Massimo Bacigalupo

Bennett. Tra i banchi di Storia, scoppiettando

Da oltre un anno il Teatro dell’Elfo propone sulle scene italiane The History Boys, la fortunata commedia di Alan Bennett su un gruppo di liceali inglesi che verso il 1985 preparano gli esami di storia per l’ammissione alle ambite Oxford e Cambridge. La traduzione è di Salvatore Cabras e Maggie Rose, la regia è di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani, che brilla nella parte di Hector, l’insegnante anziano e un po’ matto ma pieno di verve e amatissimo dai ragazzi nonostante i palpeggiamenti rituali cui li sottopone (del resto Hector ha anche un’“inverosimile moglie”). Il testo è un tour de force di tre ore scoppiettanti in cui si confrontano modelli di apprendimento e c’è molta letteratura, addirittura una explication de texte in scena fra Hector e il timido ragazzo ebreo Posner, riguardante una poesia di guerra di Thomas Hardy. Le citazioni abbondano, per esempio i ragazzi fanno un gioco con Hector imitando scene di film famosi (si fa per dire) come Breve incontro, che lui deve riconoscere. E il pubblico è chiamato a un gioco analogo per quanto riguarda le citazioni nascoste. Per mettere gli spettatori sulla pista giusta l’Elfo fornisce un programma di sala che elenca poeti, scrittori, filosofi, attori, film, musiche (soprattutto l’infallibile Bewitched bothered and bewildered ma anche Bye Bye Blackbid). Lo spettacolo comunque funziona benissimo, citazioni o no. E’ un poco ipertrofico con le sue tre ore e tutto il materiale che sciorina e il suo finale enfatico: Hector muore in un incidente quando tutto sembrava mettersi per il meglio... Una scappatoia un po’ facile che Bennett si è concesso  e che permette di finire alla grande sulla scena.

    Un anno dopo la prima milanese di The History Boys (dicembre 2010) il testo di Bennett esce nella Piccola Biblioteca Adelphi, col titolo Gli studenti di storia, e una  non meno efficace traduzione di Mariagrazia Gini (pp.  178, € 12,00). La cosa strana è che, con la consueta reticenza adelphiana, il testo è offerto nudo e crudo, senza alcuna indicazione sui prestiti che contiene. Non so chi riconoscerà le citazioni entrate in proverbio di Milton, Housman e altri, gettate lì come arcinote, come se in un lavoro italiano un personaggio dicesse “ciò che non siamo ciò che non vogliamo”. Ma forse il lettore di Gli studenti di storia avrà qualche difficoltà con l’altrettanto noto (in Inghilterra) “Sono un uomo vecchio in un’arida stagione” (frase non virgolettata nel testo, come invece lo è un altro magniloquente prestito eliotiano, “Dopo una tale conoscenza quale perdono?”). Frasi sempre pronunciate da Hector, e il gioco sta nel fatto che queste dichiarazione disperate sono intonate comicamente. Ovviamente nell’edizione inglese del testo Bennett non ha messo in nota le fonti, ma chissà in italiano potrebbe essere stato utile. Va aggiunto però che il testo stampato si presenta davvero come un do-it-yourself. Nell’ampia e ricca introduzione che è uno dei regali di questo volumetto Bennett scrive di aver lesinato le indicazioni di scena per lasciar maggiore libertà ai registi. Questo però si traduce in un copione di non facile decifrazione, su cui il lettore è chiamato a fare un lavoro di ambientazione e attualizzazione. Forse la cosa migliore sarebbe che vedesse la produzione dell’Elfo e poi leggesse il testo, anche per confrontare le traduzioni (per esempio “testa di cazzo”, rivolto dall’unica donna in scena, l’insegnante di storia, al preside opportunista, è “troia” sul palcoscenico). L’edizione a stampa si presenta così come un esperimento, un canovaccio con la sua lunga premessa autobiografica. Una copia precisa dell’edizione inglese.

     Bennett racconta nella premessa che la vicenda di Gli studenti di storia è un poco la sua, che da una scuola secondaria non prestigiosa di Sheffield (Bennett proviene da una famiglia piccolo borghese) ha tentato con successo l’arrembaggio a Oxford, e che per riuscirvi si è provvisto di una cultura epidermica e di un metodo: sorprendere i commissari con risposte brillanti e paradossali. “Pensate agli esaminatori che devono leggere centinaia di temi. Se dici che Stalin era tutto sommato un buon uomo o Hitler un politico come un altro hai maggiori possibilità di essere preso in considerazione”. Da qui il conflitto alla base di Gli studenti di storia. Insoddisfatto dell’approccio viscerale del vecchio Hector, che prepara alla vita ma non agli esami, il preside che ambisce a piazzare i suoi diplomati a Oxbridge assume un giovane rampante che insegna a rispondere alle domande e sostiene che la storia non è verità ma performance e che per rispondere bisogna innanzitutto capovolgere la domanda. Irwin, così si chiama, a poco a poco col suo arrivismo ruba spazio a Hector nell’orario e nel cuore degli studenti, anche in quello del bello della classe, Deakin, che capisce presto che i due avversari hanno almeno in comune l’inclinazione omosessuale, anche se entrambi in diverso modo repressi. A un certo momento il preside, avendo scoperto fra l’altro le goffe molestie praticate da Hector, decide che i due faranno lezione insieme. E qui si inserisce il pezzo forte della lezione sull’Olocausto. Hector dubita addirittura che questo si possa insegnare, in quanto pensa al dolore indicibile. Irwin ovviamente è di altro parere: è un argomento storico come un altro, “come la soppressione dei monasteri”... Il preside riceve una lettera furiosa dai genitori ebrei di Posner, e questa volta striglia Irwin chiedendo prudentemente: “Non avrà mica detto che non è avvenuto?”. Posner, comunque, gli rivela Irwin, può permettersi maggiori libertà nel trattare l’Olocausto dei suoi compagni. Comunque la strategia funziona, i candidati sono tutti ammessi, e Bennett sa mescolare benissimo ironia, riflessione e commozione.

     La poesia contro il calcolo, la cultura contro l’opportunismo, l’affetto contro il cinismo, il passato contro il presente, Churchill contro Blair. Ecco il conflitto fra Hector e Irwin. Nella messa in scena dell’Elfo, De Capitani è grandioso come Hector, ma la regia ha tentato di problematizzare Irwin (Marco Cacciola) certo per evitare di ridurlo a macchietta efficientista. Cacciola è adatto a presentare un personaggio a più dimensioni, però c’è il rischio che si confonda quello che sembra il disegno drammaturgico di fondo. E’ vero che Irwin è tutto apparenza (millanta fra l’altro un’inesistente laurea oxfordiana) ma immagino che debba presentare al mondo una faccia sicura di sé fino al momento in cui viene smascherato. Invece l’Irwin di Cacciola è fin dall’inizio problematico, mentre dovrebbe essere uno che cancella e ignora i suoi problemi.

      Da parte sua tuttavia Bennett chiarisce che il conflitto da lui presentato non prevede una soluzione univoca. Se i genitori dovessero scegliere per i figli una scuola per la vita o una scuola che gli assicura una carriera, quale vorrebbero? Gli esami bisogna passarli, poi c’è il resto della vita per leggere tutti i classici che si vuole. Ma probabilmente non lo si farà.

 

Alcuni hanno puntato sul loro sapere;

altre persone sull’essere sincere.

Per te, come per loro, questo può forse valere.

 

Ecco una citazione (da Robert Frost, Provide, Provide) che non è fra quelle di Larkin, Auden e compagni con cui Hector e Bennett ci dilettano. Di solito un esaminatore capisce se quello che legge viene dalla convinzione o dal bignami, magari aggiornato. Bennett è uno scrittore serio e spiritoso con cui vale la pena si passare le tre ore che ci vogliono per leggere Gli studenti di storia o vedere The History Boys. (“il manifesto-alias”, 26 febbraio 2012)