Massimo Bacigalupo

da L.A. a Bogliasco

Dopo anni di latitanza, la poesia americana contemporanea sembra conoscere in Italia un boom  editoriale quanto ad antologie. Sicuramente oggi chi lo desidera può leggere in traduzione quasi tutti i principali poeti, e non pochi minori. Parliamo di non meno di quattro sillogi, diverse nel taglio, sicché le sovrapposizioni sono poche, per un totale di una sessantina di poeti... (Quanti di noi saprebbero elencare sessanta poeti italiani in attività?) Una caratteristica comune è che queste scelte sono curare da poeti e traduttori italiani e americani, non da specialisti nostrani di letteratura americana, il che segnala un interesse non solo istituzionale, e aggiornato da ricerche e incontri sul campo. Molti dei poeti rappresentati sono probabilmente amici personali dei curatori, il che non toglie nulla al loro merito.

      Hanno aperto la serie nel 2003 Mark Strand, già poeta laureato Usa, e Damiano Abeni con West of your cities, 12 poeti ai vertici della carriera ottimamente tradotti per Minimum Fax (pp. 318, €14). Questa è l’antologia dei laureati, cioè dei poeti che i grossi giornali recensiscono e i grossi editori pubblicano. Ad essi ora si aggiunge un’infornata di voci d’altro genere. Luigi Ballerini e Paul Vangelisti aprono una serie prevista in sei (!) volumi divisi per aree geografiche  con Nuova poesia americana. Los Angeles (Oscar Mondadori, pp. XXII+385, € 9,40): 18 poeti (di cui 4  defunti). Questo corposo Los Angeles non potrebbe essere più diverso dal volume di Strand-Abeni: qui troviamo i decentrati e alternativi, poeti editi da piccole case editrici, contestatori e giocolieri alla Bukowski, o legati alla sperimentazione minimalista. Testi impervi nella linea di Getrude Stein si alternano a narrazioni distese (come l’ironico ritratto di Stravinskij a Los Angeles stilato da John Thomas), a epigrammi di sapore classico-poundiano, come questa Afrodite Pandemia di Thomas:

 

Non si può non ammirarne l’onestà: quando

le chiesi se le chiavi che aveva intorno al collo

erano per la cintura di castità, rispose “Direi piuttosto

che funziona come un distributore di cocacola”.

 

La misoginia qui potrebbe risultare scontata, ma qualche battuta contribuisce ad alleggerire il periglioso viaggio propostoci da Ballerini e Vangelisti. C’è anche un poeta-editore, Douglas Messerli, che offre variazioni su Zanzotto, Spatola, Villa, Ballerini, Rosselli, Pasolini, Giuliani (chi ha detto che il Gruppo 63 è morto o che è inconciliabile con P.P.P.?). E l’afroamericana Wanda Coleman che si ispira a Foscolo per denunciare “la mia terra natia fanciulletta piagata da uno scoppio di paura”. Munito di un’introduzione effervescente e brevi cenni sulle varie personalità presenti, questo ragguaglio è singolare perché permette di scendere nei sotterranei di L.A. a prescindere dai piani superiori, e incontrare degli uomini del sottosuolo  che hanno diverse cose da dire.

            Quasi altrettanto personale è la scelta offerta da Cinzia Biagini nella classica (almeno nell’aspetto) collana bianca Einaudi: Nuovi poeti americani (pp. XII+193, € 16,80). Qui su dodici poeti due terzi sono donne, perché Biagini, poetessa toscana, è soprattutto interessata alle eredi di Sylvia Plath. Qualche anno fa curò una raccolta di testi forti di Sharon Olds (Satana dice, Le Lettere, pp. 174, €16,00), la più nota esponente di una poesia viscerale e confessionale. Ora alla Olds affianca la greca Olga Broumas (“lesbica militante e traduttrice”) e l’afroamericana Lucille Clifton, che in una poesia saluta a malincuore “la mia ultima mestruazione”: “non sei mai arrivata / splendida nel tuo vestito rosso / senza qualche problema”. Alicia Ostriker descrive analogamente “quello che ci fa paura”:

 

Non pensi mai che possa accadere a te,

quello che accade ogni giorno a altre donne.

Poi, mentre siedi sfogliando una rivista,

le sue bellezze stese pigramente sul tuo grembo,

aspettando il solito arrivederci

all’anno prossimo, il tecnico della mammografia

dice: Mi spiace, dobbiamo rifarla...

 

Più laconiche e recise le confidenze di Louise Glück, altra ex-poeta laureato Usa. Infatti l’antologia di Biagini ci riporta al primo piano della casa della poesia. Gli autori che ama sono tutti noti ed editi da case editrici importanti. Fra essi Robert Pinsky, ex-laureato qui presente con testi felici, e Mark Doty, asciutto ma concentrato sulla morte per Aids del compagno. Biagini ha scelto e tradotto le poesie  con vigile passione, e le ha accompagnati con brevi ritratti critici azzeccati. Dopotutto i poeti sono rappresentanti dei vari mondi e modi di vivere del loro paese, e a volte ci si chiede se un’autobiografia dettagliata non ci incuriosirebbe di più delle loro elocubrazioni liriche.

            A questo proposito fa divertenti osservazioni Alessandro Carrera nella prefazione a La luce  migliore. Poeti americani in Italia (Medusa, pp. 273, € 19,50) – e qui veniamo all’ultima delle nostre antologie. Dice Carrera: “Le università americane operano da tempo come programmi di assistenza sociale per poeti, fornendogli posizioni di professore di letteratura inglese o di Creative Writing... mantenere una folla di poeti-professori a spese dell’università era sempre meglio che sopportare un’altra generazione di beatniks acolizzati”. Temo che l’alcolismo si trovi anche nei college, ma Carrera coglie bene la sovrapposizione di poesia (magari anche di fiction) e accademia. Nel piccolo mondo universitario come uno conosce i colleghi del suo campo così conoscerà i poeti che sono “brave persone”, e che quando ai primi di maggio le università americane chiudono (beati loro!) partono per il Mediterraneo, o si fermano a Bellagio o a Bogliasco, gloriose fondazioni americane-italiane dove i poeti sono di casa. Ne nasceranno evidentemente poesie su Como e Boccadasse. La cosa dura da molto, addirittura dall’Ottocento. Felice comunque l’idea di Carrera e Thomas Simpson di antologizzare le esclamazioni dei versificatori americani nel Bel Paese. Un’antologia a tema si lascia leggere meglio di quelle che vogliono solo rappresentare “la poesia” (cos’è?). Ma in fondo, abbiamo visto, sia Ballerini-Vangelisti che Biagini hanno in effetti alcuni temi ossessivi. Però in La luce migliore siamo a casa nostra, e possiamo verificare il vecchio detto che “nulla sente più stupidaggini di un quadro in un museo”. Non pochi si spremono il cervello per dire qualcosa su Piero Della Francesca, Botticelli, perfino la Stazione Termini che riuscì a entusiasmare negli anni 1950 il borsista Fulbright Richard Wilbur. A parte gli scherzi, le gite delle “brave persone” statunitensi in vacanza di studio producono risultati spesso freschi, comunque istruttivi. Inoltre La luce migliore si segnala per la presenza di tutta una serie di poeti non tanto minori ma trascurati come un Edwin Denby, il franco middle-western James Wright, Rita Dove (laureata Usa nel 1993), Alvin Feinman (n. 1929) che scrive classicamente di Sicilia, ecc. Insomma, dietro a La luce migliore c’è una ricerca originale sui letterati angloamericani in Italia, che si potrebbe approfondire. Giustamente chiude il volume lo spiritoso campanilista Billy Collins, altro ex-laureato:

 

Quant’è bello non dover girare l’Italia quest’estate,

vagare per le sue città o scalare i suoi torridi paesi collinari...

Anziché gingillarmi in un caffè senza sapere dire ghiaccio,

punterò dritto per il coffee shop e la cameriera

che chiamiamo Dot...

 

Però una frotta di poeti americani si aggira ormai per le nostre librerie, e tanto vale farne la conoscenza.

“Il Manifesto-Alias”, 22 aprile 2006