(a
cura di)
William Wordsworth, il Preludio e i suoi lettori
Nel maggio 1805 William Wordsworth completò il “poema sulla crescita della sua mente” che sarebbe stato pubblicato con molte revisioni nel 1850, poco dopo la sua morte, col titolo The Prelude voluto dalla moglie Mary. Era un’opera grandiosa per un poeta di soli trentacinque anni, che però aveva alle spalle una vita intensamente vissuta in un periodo di grandi sconvolgimenti storici a cui aveva assistito in prima persona, e soprattutto aveva una perenne curiosità riflessiva nei confronti del fenomeno dell’interiorità, dell’interferenza della mente e del mondo, come consapevole che lì si gioca il destino della coscienza dell’uomo. I suoi maestri erano stati Shakespeare, Spenser e soprattutto Milton, con le sue immagini cosmogoniche e la sua lingua poderosa, la sua preoccupazione per il destino ultimo, religioso e sociale, dell’umanità. Wordsworth a sua volta si avventurava lontano dalle vie del protestantesimo anglicano, recuperando un senso quasi animistico dell’uomo immerso in una natura vivente, attraversato da passioni e desideri di una fisicità sublimata ma intensissima. Era insieme un idealista e un materialista legato strettamente alle cose, agli eventi, e alla fenomenologia degli stati mentali. Ed era animato da una forza poetica senza eguali che tutto trascina lungo i tredici libri del Prelude, caso quasi unico in età moderna di potente ispirazione sostenuta sulla lunga durata. Tutti hanno i lori episodi favoriti del Prelude, quelli infantili dei primi libri, o gli esempi di epifanie (“spots of time”) evocati con stupenda evidenza nel libro XI: scene di smarrimento del giovane in luoghi perturbanti, o di solitudine piena di presagi in una giornata di nevischio lungo una strada non frequentata. Sono episodi di per sé comuni ma che Wordsworth riesce a presentarci qualo momenti intensi e numinosi come per lui furono e come di conseguenza divengono per noi. Ma anche le parti prosaiche e riflessive del Prelude sono sempre animate da una forza percettiva ed espressiva che stupisce il lettore e lo tiene legato alla voce profonda del poeta, questo grande narratore dell’interiorità ma anche dell’alba della nostra storia: gli anni di Robespierre e Napoleone, i primi anni del secolo XIX.
Nel Prelude non vi è pressoché nulla di
fantastico, esso è il più realistico e pedestre dei poemi (infatti
Wordsworth componeva passeggiando) e insieme, come
detto, uno dei più sublimi. Forse l’unico episodio apertamente visionario è il
sogno del cavaliere arabo che apre il libro V, a
illustrare la grandiosa quanto semplice riflessione sul destino dell’universo
che
Il libro V che si apre con questo celebre episodio è intitolato Libri, e prosegue parlando delle letture formative del giovane William e celebrando autori conosciuti e dimenticati (“senza nome nelle tombe sparse”), poi si avventura con qualche esitazione (“Di rado e riluttante vorrei scendere a temi transitori”) a contrastare un’educazione sana in cui i giovani sono liberi di scorazzare nella natura e scoprire insieme mondo e libri, a un’educazione nozionistica e arida, che crea dei giovani pappagalli: “intanto l’ava terra si duole vedendo / trascurati i giocattoli che con amore gli ha / apprestati: nei loro letti silvani i fiori / piangono, e le rive dei fiumi sono sconsolate”. Wordsworth, rimasto orfano in età giovanile, aveva studiato in un ginnasio nella regione dei laghi il cui influsso e la cui libertà non cessa di celebrare. E poco dopo la sua dissertazione pedagogica evoca un esempio di infanzia calata nel mondo naturale: “C’era un ragazzo...” L’episodio del bambino che dialoga coi gufi imitandone il verso è uno dei brani più famosi del Prelude, e si conclude con uno straordinario momento di comunione del bambino col senso delle cose. Meno noto è l’episodio che lo segue di poco, la visione dell’annegato, che Wordsworth pacatamente ci racconta, riportandolo in qualche modo al tema della lettura, giacché la visione del morto non lo turba, dice, perché egli conosce simili scene dai libri che ama.
Il bambino, lettore e poi poeta, si
confronta nei libri successivi con l’esperienza degli studi universitari a
Cambridge e con il primo vagabondaggio sul continente del 1790, dove scopre che
in Francia sta succedendo qualcosa di straordinario e sul
Sempione resta turbato dalle Alpi. Un libro è dedicato al soggiorno a
Londra, e cioè al nuovo fenomeno della
metropoli-selva, prima che Wordsworth passi un periodo fondamentale (1791-92) in
Francia, oggetto di due ampi libri del poema (che solo indirettamente evocano
l’amore per Annette Vallon che gli diede
L’altro angelo custode è l’amico Coleridge, a cui il Prelude è dedicato. Era stato Coleridge a incoraggiare Wordsworth e per certi versi a mostragli la strada in certe sue brevi poesie riflessive. All’amico dallo spirito più robusto spettava scrivere la grande opera che raccogliesse vita e pensiero dei due grandi poeti che videro che ciò di cui discutevano nel loro piccolo circolo appartato e senza patenti ufficiali poteva divenire una nuova visione, una nuova spiegazione dell’uomo a se stesso.
Possiamo provare l’emozione di assistere
alla nascita del Prelude leggendo la lettera che William e Dorothy scrissero a Coleridge nel dicembre 1798 da Goslar
in Germania dove volevano imparare il tedesco ed erano isolati da un inverno
freddissimo. Intanto Coleridge studiava filosofia a Ratzeburg e pattinava sul ghiaccio. Allora su un grande foglio Dorothy copia per
l’amico la scena del pattinaggio e quella della barchetta rubata che sarebbero
confluite nel libro I del Prelude, e che William aveva composto in
questo periodo di attività intensissima dell’immaginazione stimolata dalla
solitudine, dalla lontananza dalla patria e dalla mancanza di libri, come egli
spiega a Coleridge sull’altra facciata di questa
lettera costruita come una trapunta, e che contiene anche alcune poesie brevi,
e la richiesta all’amico di conservare questi versi caso
Per festeggiare i duecento anni del dono del Prelude,
presentiamo qui una piccola antologia di testi che a
esso in un modo o l’altro rispondono. In primis lo
straordinario e profetico poemetto che Coleridge
scrisse appena Wordsworth ebbe finito di leggergli il
poema, di cui Coleridge comprese subito tutta
I romantici della seconda generazione – Byron, Keats, Shelley – non poterono conoscere The Prelude, essendo tutti morti prima della sua pubblicazione nel 1850. Lessero invece il poema The Excursion (1814), che pur non avendo la forza del Prelude ed essendo più quietista nell’ideologia, non manca di grandi momenti e colpisce per la vasta concezione (e ancor più per quella annunciata nella premessa, secondo cui The Excursion doveva essere solo parte di un’opera maggiore, The Recluse, a cui il Prelude sarebbe servito come introduzione). In una nota lettera del maggio 1818 Keats mostra di aver inteso la portata dell’immaginazione wordsworthiana e non esita a paragonarla a Milton. Qualche anno prima, il radicale Shelley attacca in un sonetto il Wordsworth traditore dello spirito rivoluzionario, ma dice anche quello che egli aveva significato per lui. Mentre il poeta contadino John Clare difende in un testo caratteristicamente affettuoso e illogico Wordsworth dagli attacchi che gli si muovevano da parte dei conservatori in politica e letteratura (le accuse di ribelli come Shelley erano espressione di posizione allora estremistiche).
Nel 1850, alla morte di Wordworth, Matthew Arnold, il maggior critico inglese del secondo Ottocento, nonché poeta di vaglia, espresse in Versi in memoriam ciò che egli aveva significato per la sua
generazione, un maestro che riconduceva l’anima alla vera natura del
sentimento, e lo paragonò a Byron e Goethe, aprendo la questione – che sviluppò in seguito in
un importante saggio – della collocazione di Wordsworth
nella cultura europea, che, Arnold constatava con
disappunto, stentava a coglierne
Sulla presenza di Wordsworth nel Novecento angloamericano possiamo dare solo alcuni cenni. Egli è citato, parodiato e segretamente plagiato dai poeti del Modernismo. Il tema dell’ “epifania” che troviamo negli episodi numinosi del Prelude è alle fondamenta dell’opera di Joyce, Pound ed Eliot, e cosa sono i Four Quartets se non un esempio di pensiero poetante che alterna riflessione ed evocazione esattamente come The Prelude? (Eliot nutriva anche grande considerazione per gli scritti di poetica di Wordsworth, vedi The Use of Poetry and the Use of Criticism.) L’antimodernista ironico e lirico Robert Frost deriva da Wordsworth la sua convinzione della “necessità di essere versati nelle cose campestri” (come recita il titolo di una sua poesia alquanto amara), e in testi supremi come Birches scrive la sua versione della scena del ragazzo di Winander che parla ai gufi, aggiungendoci delle strizzare d’occhio concettose che ricordano il perdurante debito degli americani al Barocco. Fra i poeti del dopoguerra, Ted Hughes offre a sua volta delle scene di rivelazione legate alla fisicità e al mondo naturale, come in The Horses, e nelle Birthday Letters tenterà la via della memoria, forse in maniera troppo apertamente pro domo sua, ma pur sempre con coraggiosa evocazione di fantasmi e momenti. Nelle Birthday Letters si sente lo scrittore di mestiere, l’artista, non c’è la forza trascinante della cosa vista del Prelude (e forse di The Horses e altri testi più diretti del poeta laureato inglese). L’irlandese Heaney è wordsworthiano in quanto si abbevera costantemante alla vita della fattoria dove trascorse l’infanzia, e ai turbamenti dell’adolescenza, vedi Morte di un naturalista. In un saggio incluso in Il governo della lingua egli analizza curiosamente la poesia di Sylvia Plath fornendosi di un modello della formazione del poeta desunto dalla scena del ragazzo coi gufi del Prelude. Heaney usa il Preludio ironicamente nella raccolta North, quando cita il brano sul “propizio tempo di semina della mia anima” (I, 305) e poi descrive la sua educazione di collegiale discriminato per il suo nome e accento di estrazione contadina e cattolica e fermato ai posti di blocco di Belfast nelle prime uscite con le ragazze. Ma Heaney trova maggiore serenità nel successivo Field Work, dove nei Sonetti di Glanmore cerca con la lingua di immergersi nel mondo vegetale e nel sogno, e si trova a paragonarsi un po’ ingenuamente a William con Dorothy, al che la moglie col suo caratteristico buon senso femminile lo redarguisce ridimensionando le sue pose di letterato.
Potremmo trovare Il Preludio dovunque il poeta si muove nei territori di natura, coscienza e memoria. Un augusteo come il compianto Anthony Hecht (1923-2004) racconta candidamente in Una collina una sua visione del passato desolato nel bel mezzo di una scena cittadina. L’americano Charles Wright non fa che riflettere in testi poundianamente fluidi su brandelli di impressioni naturali, letture e memorie. Gli ho chiesto del Prelude e mi ha detto che ha sempre più o meno preso per buona la condanna di Pound: Wordsworth come “povera pecora belante”. In realtà, come ho detto, si potrebbe leggere Wordsworth in Pound, ma anche sostenere che Wright è quanto di più vicino vi sia oggi al bardo di Grasmere. In questo senso tornano utili le riflessioni di quel poeta della critica che è Harold Bloom, secondo cui a Wordsworth, lo si conosca o no, non si sfugge.
A duecento anni dalla composizione, The
Prelude non ha perso la sua attualità, anzi è più che mai un testo
necessario per rimetterci in contatto con le cose e la fisicità, indicando la
via della riflessione che è tutt’uno col respiro e
Letter to S.T. Coleridge An den Herrn Coleridge, Ratzeburg [ [William]
Have you been able to get any information concerning the earlier poets of [Dorothy]
You speak in raptures of the pleasures of skaiting
– it must be a deligthful exercise, & in the
North of England amongst the mountains whither we wish to decoy you, you
might enjoy it with every possible advantage. A race with William upon his
native lakes would leave to the heart & the imagination something more
Dear and valuable, than the gay sight of Ladies & countesses whirling along
the And in the frosty season, when
the sun Was set, and visible for many a
mile The cottage windows through the
twilight blazed,
I heeded not the summons: clear
and loud
The village clock tolled six; I
wheeled about,
Proud and exulting like an untired horse
That cares not for its home. All
shod with steel
We hissed along the polished
ice, in games
Confederate, imitative of the chace
And woodland pleasures, the
resounding horn,
The Pack loud bellowing,
& the hunted hare.
So through the darkness and the
cold we flew,
And not a voice was idle: with
the din,
Meanwhile, the precipices [rang
a]loud,
The leafless trees, and every
[icy crag]
Tinkled like iron, while [the
distant] hills
Into the tumult sent an alien
sound
Of Melancholy, not unnoticed
while the stars,
Eastward, were sparkling clear,
& in the west
The orange sky of evening died
away. Not seldom from the uproar I retired
Into
a silent bay, or sportively
Glanced sideways, leaving the tumultuous throng
To cut across the shadow of
a star
That gleamed upon the ice. And
oftentimes
When we had given our bodies to
the winds
And all the shadowy banks on
either side
Came sweeping through the
darkness, spinning still
The rapid line of motion, then
at once
Have I, reclining back upon my
heels,
Stopped short; yet still the
solitary cliffs
Wheeled by me, even as if the
earth had rolled
With visible motion her diurnal
round;
Behind me did they stretch in
solemn train
Feebler & feebler, & I
stood & watched
Till all was tranquil as a
summer sea. [Cfr. The
Prelude 1805, I, 452-89] I will give you a – one evening I went alone into a shepherd’s
boat, A skiff, which to a willow-tree
was tied Within a rocky Cave, its usual
home, The moon was up, the lake was
shining clear Among the hoary mountains: from
the shore I pushed, and struck the oars,
& struck again In cadence, & my little boat
moved on Just like a man who walks with stately step
Though bent on speed. It was an act of stealth
And troubled pleasure: not without the voice
Of
mountain-echoes did my Boat move on, Leaving behind her still on
either side Small circles glittering idly in
the moon, Until they melted all into one
track Of sparkling light. A rocky
Steep uprose Above the Cavern of the willow
tree And now, as fitted one who
proudly rowed With his best skill, I fixed a
steady view Upon the top of that same craggy
ridge, The
bound of the horizon; for behind Was nothing but the stars & the grey sky. She was an elfin pinnace:
twenty times I
dipped my oars into the silent lake, And as I rose upon the stroke, my boat
Went heaving through the water, like a swan.
When from behind that rocky steep, till then
The bound of the horizon, a huge
cliff,
As if with voluntary power
instinct,
Upreared its head: I struck & struck again,
And, growing still in stature,
the huge cliff
Rose up between me & the
stars, & still,
With measured motion, like a
living thing,
Strode after me. With trembling
hands I turned,
And through the silent water
stole my way
Back to the cavern of the willow
tree, –
There, in her mooring-place I
left my bark,
And, through the meadows
homeward went with grave
And serious thoughts, &
after I had seen
That spectacle for many days my
brain
Worked with a dim and
undetermined sense
Of unknown modes of being. I n
my thoughts
There was a darkness, call it solitude,
Or blank desertion, no familiar
shapes
Of hourly objects, images of
trees,
Of sea, or sky, no colours of
green fields But huge & mighty forms that do not live
Like living men moved slowly through my mind
By day, and were the trouble of my dreams.
[Cfr. The Prelude 1805, I,
372-427] William’s
foot is on the stairs. He has been walking by moonlight in his fur gown and a
black fur cap in which he looks like any grand Signior. If your eyes are not quite well, I am
afraid they will suffer from this long ill-written letter & I begin to be
half afraid that you will be tired before you get through it.... but
no! you will not – We intend to lay out a little money in
books o our
journey. What would you advise to buy? It is friday
evening & this letter cannot go till tomorrow. I wonder when it will
reach you. One of yours was eleven days upon the road. You will write by the
first post. William says you will preserve any verses
which we have sent you, in the fear, that in travelling we may lose the copy.
F Farewell! God love you! God bless you! dear Coleridge, our very dear friend. D.Wordsworth S. T. Coleridge To William Wordsworth Composed on the Night After His Recitation of a Poem
on the growth of an Individual Mind Friend of
the Wise ! and Teacher of
the Good ! Theme
hard as high ! Of smiles
spontaneous, and mysterious fears Of more
than Fancy, of the Social Sense O
great Bard ! Ere yet
that last strain dying awed the air, That way
no more ! and ill beseems it me, Who came
a welcomer in herald's guise, Nor
do thou, Sage Bard ! impair the memory of that
hour The
Halcyon hears the voice of vernal hours Eve
following eve, Dear
tranquil time, when the sweet sense of Home And when
– O Friend ! my comforter
and guide ! Percy Bysshe Shelley To Wordsworth Poet of
Nature, thou hast wept to know John Clare To Wordsworth Wordsworth
I love, his books are like the fields, Not
filled with flowers, but works of human kind; The
pleasant weed a fragrant pleasure yields, The briar
and broomwood shaken by the wind, The thorn
and bramble o’er the water shoot A finer
flower than gardens e’er gave birth, The aged
huntsman grubbing up the root – I love them
all as tenants of the earth: Where
genius is, there often die the seeds; What
critics throw away I love the more; I love to
stoop and look among the weeds, To find a
flower I never knew before; Wordsworth,
go on – a greater poet be; Merit
will live, though parties disagree! Matthew Arnold Memorial Verses |
Lettera a S.T. Coleridge An den Herrn Coleridge,
Ratzeburg [Goslar, Germania, dicembre 1798] [William]
Sei riuscito a trovare informazioni sui più antichi poeti della Germania?...
Fammi sapere cosa pensi di Wieland. Non dici nulla
di Klopstock, e quanto vale la nuova poesia di Goethe? – Dorothy ha
scritto sull’altro lato del foglio mentre ero fuori. Ha copiato alcune
descrizioni. Le leggerai con tuo comodo. Copierà anche due o tre poesiole in rima che spero ti daranno piacere. Non avendo
nessun libro a disposizione, ho dovuto scrivere per autodifesa. Avrei scritto
cinque volte di più di quanto ho fatto se non me lo impedisse
un malessere allo stomaco e al fianco, con un dolore sordo intorno al cuore.
Uso la parola dolore, ma malessere e infiammazione
esprimono più accuratamente quel che provo. In ogni caso rende spiacevole
scrivere. Ormai per me la lettura è diventata una sorta di lusso. Quando non leggo sono assolutamente consumato da pensieri
e sentimenti e da sforzi fisici della voce e delle membra, in conseguenza di
tali sentimenti. [Dorothy] Parli con entusiasmo dei
piaceri del pattinaggio – deve essere un esercizio incantevole, e nel Nord
dell’Inghilterra fra i monti dove speriamo di attirarti, ne puoi godere con
ogni possibile vantaggio. Una gara con William sui suoi laghi nativi
lascerebbe al cuore e all’immaginazione qualcosa di più caro e prezioso della
visione allegra di dame e contesse volteggianti sul lago di Ratzeberg. Trascriverò alcuni versi su questo tema, che
naturalmente ti interesseranno. Sono presi da una descrizione
dei piaceri giovanili di William. E nella stagione
del gelo, quando il sole era tramontato, e visibili per
molte miglia, le finestre dei casolari brillavano nel crepuscolo, non davo ascolto a
quei richiami. Chiaro e forte l’orologio del
paese batteva le sei; io mi voltavo, fiero ed esultante
come un cavallo instancabile noncurante del ritorno. Calzati di acciaio filavamo sul
ghiaccio lucido, in giochi concertati, imitando la
caccia e i piaceri dei
boschi, il corno sonante, la muta che forte
abbaia, la lepre braccata. Così nel buio e
nel freddo volavamo, e non c’era voce
muta: del clamore intanto risuonavano i
dirupi, gli alberi spogli e
i crinali ghiacciati tintinnavano come ferro,
mentre i colli [lontani] in quel tumulto
mettevano un suono estraneo e malinconico, non
inosservato, le stelle a oriente
luccicavano chiare, a occidente si spegneva il
cielo arancione della sera. Non di rado mi distoglievo dal vocio in qualche baia silenziosa, o mi spingevo nella foga da parte, lasciando la
ressa per tagliare coi
pattini l’immagine di una stella che brillava sul
ghiaccio. E spesso quando avevamo
affidato il corpo ai venti e tutte le rive
ombrose sui due lati ci venivano addosso nell’oscurità con rapido e continuo
vorticare, allora a un tratto, piegandomi all’indietro
sui pattini, mi sono fermato, e ancora le rupi solitarie mi ruotavano
attorno, come se la terra volgesse con moto visibile la sua rotazione quotidiana; alle mie spalle si
allineavano in fila solenne sempre più indistinti, e io fermo
osservavo finché tutto era tranquillo come un
mare estivo. [Cfr. Il Preludio 1805, I, 452-89] Ti darò
una scena di lago di un altro genere. La scelgo fra tutto quanto William ha
scritto, perché è facilmente separabile dal resto, e perché tu hai ora
quotidianamente un lago sotto gli occhi – ― una sera mi
misi da solo nella barca di un pastore, un
canotto, che era legato a un salice in
una caverna rocciosa, sua dimora abituale. La luna
era alta, il lago splendeva chiaro fra
le montagne bianche: dalla riva mi
allontanai, e con i remi diedi colpo su colpo, cadenzati, e la barchetta proseguì, come
uno che cammina con passo solenne pur
nella fretta. Era un atto furtivo di
piacere turbato: non senza la voce di
echi montani procedeva la barca, lasciandosi sempre dietro sui due lati cerchietti pigramente luccicanti al chiar di luna, finché
si scioglievano tutti in un’unica scia brillante.
Una parete rocciosa sorgeva sopra
la caverna del salice, e ora, come
si conveniva a uno che remava orgoglioso con
tutta la sua perizia, fissai lo sguardo sulla
punta di quel crinale frastagliato, limite
dell’orizzonte; perché dietro non
c’erano che le stelle e il cielo grigio. Era un
legno fatato: venti volte tuffai
i remi nel lago silenzioso, e
mentre mi rialzavo dalla battuta, la mia barca andava
alta sull’acqua, come un cigno, quando,
da dietro la parete rocciosa, fino allora limite
dell’orizzonte, una rupe maestosa, come
mossa da una forza volontaria, levò
la testa: sferzai e sferzai l’acqua, e,
crescendo ancora di statura, quella rupe si
ergeva fra me e le stelle, e ancora, con
moto misurato come cosa viva, mi
veniva dietro. Con mani tremanti
voltai, e
attraverso le acque silenziose ritornai alla
caverna del salice, – lì
all’attracco lasciai la barca, e
per i campi presi la via di casa con
pensieri gravi e seri, e dopo che ebbi visto quello
spettacolo per molti giorni la mia mente fu
pervasa da un senso vago e indeterminato di modi
d’essere sconosciuti. Nei miei pensieri c’era
un’oscurità, chiamala solitudine o
vuoto abbandono, nessuna sagoma familiare di
oggetti quotidiani, immagini di alberi, di
mari o cieli, nessun verde di campi: ma
forme grandi e potenti, che non vivono come
vivono gli uomini, mi passavano lente nella mente di
giorno, ed erano un turbamento nei miei sogni. [Cfr. Il Preludio 1805, I, 372-427] ... Sento il passo di William sulle
scale. E’ stato fuori a passeggiare al chiar di luna
nella sua pelliccia e nel suo berretto di pelliccia nera in cui sembra
qualsiasi gran signore –
Se i tuoi occhi non sono in buona
condizione, ho paura che abbiano a soffrire per questa lettera lunga e mal
scritta, e comincio a temere quasi che ti
stancherai prima di averne letta la metà.... ma no! non
accadrà – Abbiamo intenzione di spendere qualcosa in
libri durante il viaggio. Cosa ci consiglieresti di
comprare? E’ venerdì sera e questa lettera non potrà
partire fino a domani. Mi chiedo quando ti arriverà.
Una tua ha viaggiato undici giorni. Ci scriverai a giro di posta. William dice che
dovresti conservare i versi che ti mandiamo per timore che nel viaggio ne
possiamo perdere copia. Addio! Dio ti protegga! Dio ti benedica!
caro Coleridge, nostro
carissimo amico. D.
Wordsworth S. T.
Coleridge A William
Wordsworth Composta la sera dopo che ebbe
recitato un Poema sulla crescita di una mente individuale Amico
dei saggi, e maestro dei buoni! Nel mio cuore
ho accolto il canto più
che storico, il profetico canto in
cui (alto tema da te per primo degnamente affrontato) delle fondamenta e della costituzione di
uno spirito umano hai osato dire quanto
può dirsi, rivelabile alla mente ben
disposta; e quanto entro la mente attraverso vitali respiri – segreti come l’anima della
crescita primaverile – spesso desta nel cuore pensieri
di gran lunga troppo profondi per le parole! Tema arduo
quanto alto! Di
sorrisi spontanei, e paure misteriose (primogeniti gemelli della ragione), di
maree obbedienti alla forza esterna, e
correnti determinate da sé, come sembra, o da
una potenza interiore; di momenti tremendi, ora
nella tua vita intima, e ora nel mondo, quando
la forza proruppe da te, e la tua anima ricevette la
luce riflessa, come una luce portata; di
dolci fantasie e delle ore più quiete della gioventù, mormorii
iblei di pensiero poetico operoso
nella gioia, in valli e boschi nativi
o stranieri, laghi e monti famosi! o sulla
solitaria via maestra, quando le stelle sorgevano; o presso segreti torrenti montani, guide
e compagni del tuo cammino! Di più
che fantasia: il sentimento sociale che
ampio si diffonde, l’uomo amato in quanto uomo, nel
tempo che la Francia in tutte le sue città fremeva come
una barca nella bonaccia sotto lo scoppio del
tuono improvviso del cielo, quando nessuna nuvola è
visibile, né ombra sull’ampio del mare. Infatti
tu eri lì, ed erano le tue tempie inghirlandate, fra
i tremori di un reame in fiamme, in
una grande nazione piena di giubilo, quando
dal cuore generale dell’umanità la
speranza balzò nella luce, dea già matura! – Di
quella cara speranza afflitta e abbattuta, perciò
richiamata in patria, e in seguito calma e sicura sulla
torre di vedetta intoccabile dello spirito più profondo dell’uomo, con
una luce mai offuscata nei suoi occhi, per scrutare nella
distanza, ed essa stessa una gloria a
vedersi, l’angelo
della visione! Quindi (ultimo motivo), del
dovere, leggi prescelte che guidano la scelta, l’azione
e la gioia! – Un canto orfico davvero, un
canto divino di pensieri alti e appassionati, intonati
sulla loro stessa melodia! O
grande bardo! ancor
prima che l’ultimo motivo spegnendosi incantasse l’aria, con occhio pacato vidi te nel coro degli
uomini imperituri. I veri grandi hanno
tutti un’unica età, e da un solo spazio visibile spargono
influssi! Essi, insieme in potenza e in atto, hanno
permanenza, e il tempo non è con loro, se
non in quanto opera per loro, ed essi in lui. E
uno scritto non meno sacro, di quelli antichi, destinato a trovar posto come essi, con fama graduale, negli
archivi dell’umanità, la tua opera rende
udibile un canto disteso di verità, di
verità profonda un canto dolce e continuo, non
appreso ma nativo, le stesse note a esso naturali! Ah! mentre ascoltavo con cuore sconsolato, il
polso del mio essere riprendeva a battere: e
come la vita riappare a coloro che annegano, la
gioia della vita riaccendendosi suscitò uno stuolo di dolori: pene
pungenti d’amore, che si svegliavano come un bambino turbolento, con un grido nel cuore; e
paure ostinate, che fuggivano l’occhio della speranza; e
speranza che non si poteva quasi distinguere dalla paura: un
senso di gioventù trascorsa, e maturità giunta invano, e
genio concesso, e conoscenza ottenuta invano; e
tutto ciò che avevo colto su sentieri selvatici, e
tutto ciò che la fatica paziente aveva nutrito, e tutto ciò
che la comunione con te aveva rivelato, solo fiori sparsi
sul mio corpo, e portati sul mio feretro, nella
stessa cassa, alla stessa tomba! Basta
tali sentimenti! E male si conviene, a me
venuto per dare il benvenuto come un araldo, cantando
di glorie e dell’età futura, ripercorrere vie tanto malsane, cogliendo i veleni del danno provocato a me stesso! Male questa
digressione si intreccia alle corone trionfali sparse
davanti ai tuoi passi! E tu, saggio bardo! non
turbare la memoria dell’ora della
tua comunione con la mia mente più nobile con
pietà o dolore, già troppo a lungo provati! E non biasimare più
del necessario le mie parole. Il
tumulto si produsse, passò: poiché la pace è prossima dove
la voce della saggezza ha trovato un cuore in ascolto. Fra
l’ululare di tempeste più che invernali l’alcione
sente la voce di ore primaverili che
già sopraggiungono in volo. Una sera
dopo l’altra, cara
ora serena, quando il senso dolce della casa è
più dolce – momenti amati per se stessi, e
più desiderati, più preziosi, per il tuo canto – ascoltando in silenzio, come un bambino devoto, la mia anima giaceva passiva, dalla tua varia
melodia sospinta
come a ondate, ora sotto le stelle, con
stelle momentanee della mia nascita, bella
schiuma costellata, che sempre sfreccia via versò
l’oscurità, ora un mare tranquillo, ampio
e chiaro, ma gonfio sotto la luna. E quando
– o amico, mio conforto e mia guida, forte
in te stesso, e potente nel dare forza! – il
tuo canto a lungo protratto infine terminò, e la
tua voce profonda tacque – ma tu stesso eri ancora
davanti ai miei occhi, e intorno a noi due quella
felice visione di visi amati – quasi
inconscio, eppure conscio della sua fine, restai
seduto, il mio essere fuso in un solo pensiero (era
pensiero? o aspirazione? o
risoluzione?), profondamente assorto, ma ancora intento al suono: e
alzandomi mi accorsi che pregavo. Percy Bysshe Shelley A
Wordsworth Poeta
della Natura, hai pianto nello scoprire che
talune cose svaniscono e non fanno ritorno. sono
fuggiti come dolci sogni, e ti hanno lasciato in lacrime. su
un fragile legno nella tempestosa mezzanotte d’inverno; John Clare A Wordsworth Io amo Wordsworth, i suoi libri sono come campi, pieni
non di fiori ma di opere dell’uomo; l’erba
piacevole offre un piacere fragrante, la
rosa canina e la ginestra agitate dal
vento, il
rovo e la mora sopra l’acqua gettano un
fiore più squisito di quanti offra un giardino, il
vecchio cacciatore che strappa la radice
– tutti
li amo, inquilini della terra: là
dove è il genio spesso muoiono i semi; ciò
che i critici rigettano io l’amo ancor di più; mi
piace inchinarmi e curiosare fra l’erba, per
trovare un fiore a me sin qui sconosciuto; Wordsworth, prosegui – sii un poeta
maggiore; il
merito vivrà, anche se i pareri discordano! Matthew Arnold Versi in memoriam già
da molto tempo vide Byron terminare di
incubi affannosi e potere febbrile; E fu
felice, se conoscere ai
propri piedi, vedere l’alluvione torbida del
terrore, e l’inquietudine folle, un
clima invernale: questa ferrea età di
dubbi, dispute, sconvolgimenti, paure. a
spiriti morti da lungo tempo, ma
chi, come lui, l’allontaneranno? |
Nota biografica William Wordsworth nacque a Cockermouth, nella Regione dei Laghi, il 7 aprile 1770,
da famiglia benestante, ma perse presto i genitori e passò anni formativi nel
ginnasio della vicina Hawkshead dove visse a pensione presso Ann Tyson, che gli fu quasi una seconda madre, sviluppò un
senso precoce di solitudine nella natura, ebbe insegnanti sensibili e scrisse
i primi versi. Nel 1789 intraprese gli studi a Cambridge e nell’estate 1790
viaggiò con un amico in Francia e Italia, infiammandosi per lo spirito della
Rivoluzione francese. Dopo la laurea fu di nuovo nel 1791- |
“Poesia”, novembre-dicembre 2005