Massimo Bacigalupo

B.S. Johnson. Ritratto d’autore in forma di schegge

Jonathan Coe è un romanziere inglese cinquantenne che si è spesso occupato di memoria (vedi ad esempio La pioggia prima che cada). Racconta le sue storie con tranquilla sicurezza, attraversando l’Inghilterrra del Novecento, e si legge con piacere. Infaticabile, è anche autore di biografie di Humprey Bogart e Jimmy Stewart, e ora di B. (Bryan) S. Johnson (1969-1973), scrittore sperimentalista di estrazione “working class”, sedicente allievo di Joyce e Beckett (e amico di quest’ultimo, che lo aiutò anche finanziariamente). Come un furioso elefante. La vita di B.S. Johnson in 160 frammenti (trad. di Silvia Rota Sperti, Feltrinelli, pp. 526, € 28,00) è un progetto inconsueto, estremo. Mezzo migliaio di pagine con tanto di indici accurati , introduzioni, code, documenti, 160 frammenti di ogni genere (poche le poesie di BSJ, quasi ignorate). Il tutto per uno scrittore appassionato e furioso, morto suicida e abbastanza dimenticato. In Italia nessun suo libro fu pubblicato in vita, nonostante un certo successo in patria e la sua attività di cineasta sperimentale e documentarista (diversi suoi lavori sono disponibili su YouTube).

      Solo in seguito al lavoro massiccio e appassionato di Coe una casa editrice non inglese ma americana, New Directions, ha ora riproposto The Unfortunates, il libro di cui molto si parlò nel 1969 perché costituito di 27 sezioni separate di varia lunghezza, raccolte in una scatola e da leggersi in ordine casuale a parte la prima e l’ultima. Comincia, nella traduzione del joyciano Enrico Terrinoni testé pubblicata dalla BUR col titolo In balìa di una sorte avversa (€ 22,00): “Ma io questa città la conosco!”. Finisce: “Non come è morto, non di cosa è morto, e men che meno perché è morto, mi importa, ma solo il fatto che sia morto, lui è morto, è importante: la perdita per me, per noi” (nessun punto). Molto beckettiano, molto ossessivo. Ma nondimeno leggibile e accattivante.

     L’argomento di In balìa... è la morte di un grande amico. BSJ, cronista sportivo a tempo perso, arriva a Nottingham per una partita e improvvisamente si rende conto di quel che sapeva benissimo: questa è la città di Tony, il suo confidente studioso, morto anni prima di cancro dopo un rapido doloroso decadimento proprio quando con moglie e figlioletto aveva trovato casa e lavoro. Nel documentario che la BBC realizzò per l’uscita del romanzo (anch’esso su YouTube), un BSJ in buona forma porta la troupe a Nottingham e spiega che l’ordine casuale della lettura deve riprodurre gli scatti aleatori della memoria, delle immagini di una vita.     

    Seguendo i suoi maestri irlandesi, ma senza la loro sospensione ironica, BSJ pensava che il romanzo fosse defunto e che, per non “dire bugie”, si poteva solo lavorare direttamente sull’esperienza. Sicché i suoi libri sono dei monologhi interiori ricostruiti ad arte, con una tonalità di fondo cupa. Oltre che sulla perdita di Tony, la visita ai suoi genitori ecc., BSJ rimugina su una ragazza che l’ha piantato da tempo, facendosene una malattia. Tony e la moglie a un certo punto gli dicono di piantarla con questo piagnisteo. Ma il tema non viene superato. BSJ aveva la paranoia del tradimento, e non guarì nemmeno quando negli ultimi anni si sposò felicemente ed ebbe due figli da una giovane di estrazione privilegiata. A poco a poco la relazione si guastò e di ritorno dal Galles amato dove aveva girato il suo monologo assurdista ma estroverso Uomo grasso su una spiaggia passò alle minacce e quando Virginia lo lasciò per qualche giorno pose fine alla sua vita in vasca da bagno, forse svenandosi. Coe, di solito così puntiglioso, non fornisce dettagli sull’atto. Ma seguendo tracce e indizi ne scopre un retroscena inedito.

      BSJ, beffardo razionalista, autore di un testo teatrale intitolato BSJ contro Dio, aveva da sempre un’inclinazione occultista. Da giovane era sicuro che sarebbe morto prima dei trent’anni. Il libro di mitologia poetica di Robert Graves La dea bianca divenne la sua bibbia. Sostenne di aver avuto un incontro con la Dea che è origine a argomento di tutta la poesia, che gli mostrò il sesso in una strada di campagna. E fra le sue frequentazioni c’era un coetaneo guru omosessuale di nome Michael Bannard che esercitò su lui una sorta di ascendente a distanza e che BSJ incontrò poche ore prima di uccidersi.

     Come un furioso elefante è un ottimo libro, un romanzo fatto di schegge reali. I “160 frammenti” del titolo sono le citazioni di BSJ, tutte numerate, disseminate nelle sue pagine. La 160ma legge “Questa è la mia ultima / parola”. Uscito dalla Londra operaia, appassionato di avanguardia, autodidatta, nemico degli intellettuali agiati prodotti da Oxbridge, incapace di conservare un editore o un agente, BSJ è un uomo attraverso cui si può conoscere un’epoca. Figlio degli anni ’50, detestava gli hippy, si ubriacava di birra e non di erba, e quando Virginia cominciò a voler respirare la libertà scanzonata della fine dei ’60 perse il controllo che aveva: ferreo nella sua scrittura e nel suo lavoro ordinatissimo, assente nei rapporti personali, ora cordialissimi, ora aggressivi (era famoso per le violenti scenate che faceva in pubblico a chi aveva osato recensirlo sfavorevolmente). Così Coe ha potuto recuperare i suoi 160 frammenti e fabbricare questo romanzo biografico, con  i suoi colpi di scena (e anche qualche lungaggine).    

    Stranamente però BSJ rimane abbastanza sfuggente. Leggiamo le sue parole, e quelle di chi lo conosceva. Virginia parla, comprensibilmente, poco. Ci vuole un po’ di passione smodata per digerire Come un furioso elefante, ritratto-puzzle di uno scrittore dimenticato che non brillava per umorismo. Nell’edizione inglese c’è anche la sezione “Una vita in  44 voci” che aumenta il nostro sconcerto. Manca nella versione italiana, e non è una gran perdita. Più si sa, meno si sa. Strano però che nell’edizione italiana manchi anche la parte iniziale “Una vita in sette romanzi”, in cui Coe fornisce informazioni essenziali sui libri di BSJ, quando e come scritti e pubblicati e su quali argomenti, sempre del resto autobiografici. Un’estate di lavoro in un villaggio turistico del Galles, gli anni di insegnamento scolastico (fu un allievo a definirlo in un compito “fiery elephant”, forse errore, dice Coe, per “fairy elephant”, elefante fatato, ma “fairy” vale anche “frocio”). Poi la spedizione su un peschereccio commerciale, la morte di Tony e il tradimento di Wendy-Muriel, la vita sadica di un ospizio, la morte della madre amatissima. Dispiace che questa sezione informativa non sia disponibile in italiano, ma è già molto che editore e traduttrice si siano sobbarcati a tanta fatica, che merita senz’altro di trovare lettori appassionati che cominceranno a interrogarsi su BSJ e, come faceva lui, su vita, morte, caos, mancanza di senso del tutto. “Forse non c’è nulla da capire, forse capire è semplicemente inutile... Ma è difficile, difficile non cercare di capire, anche per me, che sono convinto che tutto sia nulla, che un senso non esista”. “il Manifesto”, 29 marzo 2012