Massimo
Bacigalupo
da Portofino a Tutankhamen
C’è un collegamento fra la tomba di Tutankhamen, la più grande scoperta archeologica di tutti i
tempi, e Portofino? Sì, ma tutto sommato indiretto.
Si sa che la spedizione che condusse al ritrovamento della tomba da parte di Howard Carter nel novembre 1922 fu finanziata dal quinto Conte di Carnarvon, George Herbert (1866-1923). Carnarvon era di salute cagionevole e aveva cominciato a visitare l’Egitto all’inizio del secolo per goderne il clima secco. Disponendo di mezzi, aveva assoldato Carter, un autodidatta che aveva molta pratica di scavi, per fare ricerche nell’antica Tebe, sulla sponda occidentale del Nilo davanti a Luxor, in una valle desertica a 500 chilometri a sud del Cairo.
Già nel 1912 Carter e Carnarvon pubblicarono “Cinque anni di esplorazioni a Tebe”, presentando scoperte di notevole importanza. Carter si era anche dedicato al commercio legale di reperti archeologici acquistati nei mercati. Infatti i suoi scavi erano tutti debitamente autorizzati dalle autorità egiziane, che concedevano una sola licenza per stagione nella mitica Valle dei Re. Qui le tombe non si contano, e molti erano convinti che non ci fosse più nulla da scoprire.
Carnarvon stesso, indebitato, aveva deciso di sospendere le ricerche nel 1922, ma Carter, da anni sulle tracce della tomba di “Tut”, lo persuase a finanziare un’ultima stagione di scavi, offrendosi di pagarli di tasca propria in caso di insuccesso. Scavò nell’unico posto che gli sembrava ancora promettente, presso la tomba ben nota di Ramesse VI, la cui costruzione aveva ulteriormente nascosto con materiali di riporto l’accesso a quella di Tut.
Il 4 novembre comparvero i primi scalini che scendevano verso l’ignoto tesoro. Carter, nemmeno sicuro che si trattasse della tomba agognata, chiuse tutto, mise delle guardie, e telegrafò a Carnarvon, che arrivò con la figlia Evelyn dopo alcune settimane.
Il 26 novembre le speranze furono confermate; il lavoro procedette lentamente e accuratamente fotografando tutti gli innumerevoli oggetti di uso quotidiano e rituale accatastati e perfettamente conservati nei piccoli ambienti (la tomba fu infatti preparata in fretta, data la morte precoce di Tut a circa 19 anni). Solo il 17 febbraio 1923 fu aperta la camera tombale, alla presenza di autorità e giornalisti.
Quando praticò uno spioncino Carter scorse -- primo uomo in tre millenni a posarvi gli occhi -- quello che gli sembrò un muro d’oro massiccio. Era la parete del primo dei quattro tempietti lignei contenenti il sarcofago. Entrato, vide in un vano attiguo “il monumento più bello che avessi mai ammirato: la parte centrale era una grande cassa a forma di tempio, tutta coperta d’oro, e sormontata da una cornice di cobra sacri. La circondavano statue delle quattro dee tutelari dei morti: graziose figure dalle braccia tese, così protettive e naturali che pareva un sacrilegio guardarle”.
Si trattava della “cassa canopica” delle
viscere. Con tutto ciò restavano da scoprire i tre altri tempietti della camera
sepolcrale e in ultimo i sarcofagi e la stupenda maschera del faraone. Questo
avvenne nella successiva stagione di scavi.
Nel frattempo tuttavia Carnarvon era
morto al Cairo, aprile 1923, vittima delle complicazioni di un’infezione
provocata da una puntura di zanzara. Sicché si parlò di una maledizione per la sacrilega profanazione
della tomba. Maledizione che tuttavia risparmiò Carter, che morì nel 1939, e
tutti gli altri profanatori.
I frutti della fortunata campagna costituiscono oggi il piatto forte dello sbalorditivo Museo Egizio del Cairo. Carnarvon negli anni passati in Egitto aveva portato in Inghilterra molti reperti, la maggior parte dei quali furono venduti al Metropolitan di New York per pagare le tasse di successione.
Molti oggetti di minore interesse finirono in un armadio a High Clere Castle, presso Newbury, a sudovest di Londra, residenza dei Carnarvon, per essere riscoperti dai discendenti nel 1987. Oggi sono esposti in un piccolo museo che ricostruisce le campagne di Carnarvon e la sua vita avventurosa di fotografo, allevatore di cavalli, appassionato (e vittima) di macchine da corsa.
E Portofino cosa c’entra? Sul promontorio in effetti si accampa, ben nota alle cronache, la Villa Altachiara, versione ligure di High Clere. Questa fu voluta dal quarto Conte di Carnarvon, Henry Herbert (1831-1890), che ebbe il futuro archeologo dalla prima moglie Evelyn. Morta questa, sposò nel 1878 una cugina molto più giovane, Elizabeth Howard. Fu durante la luna di miele nei primi mesi del 1879 che gli sposi scoprirono Portofino.
“Elsie ne fu incantata, sicché Carnarvon le comprò un grande tratto della penisola. Insieme progettarono una casa in cima alla collina, affacciata da una parte sul porticciolo e dall’altra sul mare. Fu costruita di pietra di Portland”.
Cito dalla biografia di Margaret Fitzherbert, “The Man Who Was Greenmantle” (1983), dedicata al figlio di Carnarvon ed Elsie, Aubrey Herbert (1880-1923), viaggiatore instancabile e poliglotta, che morì prematuramente nello stesso anno del fratellastro egittologo.
Aubrey fu un personaggio di spicco, amico e complice di Lawrence d’Arabia, coinvolto in complesse trame diplomatiche. Ma era anche un uomo pittoresco, semicieco, imprevedibile, eccentrico, disordinato, cui fu offerto due volte il trono di Albania. Sposò un’ereditiera angloirlandese, Mary, che gli diede tre figlie e il maschio Auberon (1922-1974), stravagante ed eccentrico come il padre anche se meno influente sullo scacchiere politico. Un omone con un ghigno cordiale e piedi piatti che continuò a dominare il paesaggio di Portofino, con l’amatissima madre, fino agli anni ’70.
La Villa Altachiara, voluta dal quarto Conte per la moglie, rimase in eredità a questa, e da lei passò agli avventurieri Aubrey e Auberon. Toccò ad Auberon venderla. Fu costruita intorno al 1880, ed è probabile che il quinto Duca, l’egittologo, vi abbia trascorso periodi di vacanza accanto al fratellastro Aubrey, di 14 anni più giovane. Ma la storia dell’Altachiara è legata alla seconda famiglia del quarto Conte, gli Herbert che non ereditarono il titolo, di cui il gioviale affabulatore Auberon fu l’ultimo erede maschio.
Un viaggio a Highclere permetterà invece di conoscere l’attuale ottavo Conte di Carnarvon e la sorridente moglie cinofila e di visitare la loro imponente residenza.
Intanto è di questi giorni la notizia che esperti anatomopatologi anche italiani hanno appurato dalla mummia (tuttora conservata nella Valle dei Re) che Tutankhamen era sciancato, soffriva di malaria e aveva il palato scisso. Il che nulla toglie all’emozione che proviamo davanti alla sua maschera aurea, che ci contempla intatta e serena dal lontano 1325 a.C.
“Rapallo Notizie”, marzo 2010