Massimo Bacigalupo

Auden: dallEtà dellAnsia allEtà dellAids

Per il centenario della  nascita di W. H. Auden (Wystan per gli amici), che appunto nacque a York il 21 febbraio 1907, Radio3 Suite ha proposto il 20 febbraio a ora tarda una conversazione fra Franco Buffoni, autore di un nuovo libro su “Auden critico-poeta” (L’ipotesi di Malin, Marcos y Marcos), il conduttore-compositore Nicola Campogrande, e il sottoscritto. Naturalmente si è parlato  essenzialmente di Auden poeta, amato e contestato, senza però trascurare i suoi rapporti con cinema, teatro e melodramma. Poeta oratorio, Auden era un animale da palcoscenico.

     Cercando su YouTube si trovano diversi video autoprodotti in cui dei tipi punk leggono benissimo la poesia resa famosa da Quattro matrimoni e un funerale, appunto Funeral Blues: “Stop all the clocks, cut off the telephone…”. Che continua con lo struggente ricordo dell’amico morto: “He was my North, my South, my East, my West, / My working week and my Sunday rest…”.

     I fini dicitori di YouTube leggono questi versi nell’Età dell’Aids. Auden, che era un poeta occasionale nel senso goethiano, cioè un artigiano della poesia che scriveva “su commissione”, li avrà forse composti per un personaggio inventato di un’altra epoca, l’Età dell’Ansia. A questa egli diede il nome così titolando una lunga “Egloga barocca”, vero e proprio racconto a più voci che inizia in un bar per single di New York e continua con l’amore d’una notte (eterosessuale, anche se Auden pensava ad altri bar e incontri: ma nel 1954 avrebbe rischiato di scandalizzare se a dividere il letto fossero stati due uomini).

     L’Età dell’Ansia: gli innumerevoli studenti di inglese che hanno faticato sulla Storia di Mario Praz, sanno che così M.P. intitola la sezione riservata al Novecento. Ma tutto sommato il pacioso Auden non fa l’impressione di un uomo ansioso. Maestro sovrano delle forme, si affermò giovanissimo con poesie di difficile decifrazione che sono fra le sue migliori, ma presto cominciò a scrivere lunghi poemi ironici nello stile di Byron come Lettere dall’Islanda. Soprattutto compose  per il teatro con Christopher Isherwood operine sul superuomo (L’ascesa di F6, musicata da Britten) e la vita della società di massa (Il cane sotto la pelle). Scrisse anche il testo in rime per un film epico di celebrazione delle efficientissime poste inglesi, in sui scorrevano immagini di locomotive fra colline, che senza arrestarsi in piena corsa sotto le nuvole prelevano grandi sacchi di lettere e cartoline di ziette e madrine, di fidanzati e commercianti.

     Auden anticipa il mondo piccolo borghese caro agli autori e drammaturghi inglesi, da Betjeman all’odierno Alan Bennett, e gode di descriverlo nella sua varietà nevrotica. Ma nel 1939 si lasciò alle spalle la vecchia Inghilterra e sbarcò in America cercando di internazionalizzarsi, di sfuggire alla provincia e alle conventicole. Divenendo cittadino americano nel 1946. Non so se la sua poesia ne guadagnò. Politicamente divenne un liberal moderato, in religione tornò alla comunione anglicana, e i suoi versi assunsero tonalità bibliche. Ma restano bellissime certe poesie dell’esilio come 1° settembre 1939 e Lettera di Capodanno, e intricate riflessioni sul mondo naturale come In lode del calcare, dove si avverte l’influsso dell’eccentrica brooklyniana Marianne Moore.

    L’America conciliò l’incontro a Hollywood con Stravinskij, che volendo comporre un melodramma fu consigliato di rivolgersi al poeta virtuoso per eccellenza. Fu Auden a suggerirgli come tema le tavole di Hogarth della Carriera del libertino e a produrre un bellissimo libretto che Igor non si stancò mai di lodare. Intanto Auden era diventato un melomane indefesso, affermava che il Falstaff di Verdi era superiore alle Allegre comari di Shakespeare, e nutriva una passione smodata per il Dittico che i melomani americani chiamano “Cav and Pag”. (“Coloro che detestano Bellini dovrebbero avere il buon gusto di non venire al mondo”, sentenzia una poesia.) Scriveva saggi capziosi, ma anche un vasto commento in forma drammatica alla Tempesta, Il mare e lo specchio, in cui Prospero e compagnia a sipario chiuso si rivolgono al pubblico in ogni tipo di metro, e stranamente il selvaggio Calibano parla lungamente in una prosa arzigogolatissima.   

      Auden produsse anche abili versioni inglesi dei libretti di Da Ponte per Mozart (ma non tutti sono d’accordo sulla loro riuscita). D’estate andava a Ischia, più tardi in Austria, fino a rientrare nel suo college di Oxford negli ultimi anni, quando aveva fama di attaccabottoni. Un suo tardo libretto per Henze, Elegia per giovani amanti, è una storia commossa sul rapporto ambiguo fra vita e arte nello scenario della Montagna incantata.

     Forse in Auden c’è troppa arte: al delirio del secolo XX rispose con le sue forme serrate e lucide, con l’ironia, con la decenza. Alle cene eleganti newyorkesi era solito presentarsi in ciabatte, ancora sempre il discolo della Berlino di Cabaret.

Off. Quotidiano di Spettacolo”, n. 40, 20 febbraio2007