gente di Liguria

 

Massimo Bacigalupo

geniale Attilio, ragazzino degli anni ‘50

 

Una coppia di amici americani del Connecticut ha messo l’occhio su una casetta in una frazione di Rapallo: signorile, piuttosto malandata, ma con una vista d’infilata fino a Portofino. Durante le trattative per l’acquisto, me l’hanno fatta vedere. Non è abitata da decenni, ma dentro ci sono ancora i vecchi mobili accatastati, dai quali spuntano abiti (e mutandoni) da Signorina Felicita. Su una cassettiera sono sparse vecchie foto del Sud America, cartoline, lettere. Ho raccolto un quaderno, mangiato dai topi in un angolo. Mi sono messo a leggerlo e ci ho trovato una miniera di notizie. Apparteneva a un ragazzo che chiamerò Attilio, che faceva la quinta elementare nel 1951-52. Giusto cinquant’anni fa.

                   Attilio era un giovane diligente e intelligente, e il suo quaderno è un documento che piacerebbe agli storici. Il novembre 1951 ci fu il disastroso allagamento del Polesine. La maestra assegnò il tema: “Descrivete gli aiuti offerti agli alluvionati”. Attilio lo svolge così: “A tutte le parti del mondo hanno chiesto soldi e roba di vestiario per dare aiuto agli alluvionati. Un italiano che è in America ha offerto 13 milioni per quei poveri ragazzi che prima dell’alluvione erano forse più ricchi di noi, ma l’acqua ha portato via ogni cosa. Una vecchietta ha offerto un uovo perché non aveva altro, ma la sua elemosina  era fatta veramente col cuore. Genova ha offerto quasi mezzo miliardo. Come si vede anche a Genova dei soldi ce ne sono! Milano ha dato solo cento milioni eppure ha tanti stabilimenti. Il Po ha straripato allagando campagne e borgate poi lo Stato ha pensato di rompere i margini e così l’acqua a poco a poco ritornerà nel suo letto”. La maestra diede al compito 7+.

         Fu un autunno di maltempo: “Il temporale che c’è stato in questi giorni ha fatto molti danni in tutte le parti d’Italia. Specialmente a Milano andavano a salvare la gente con le barche! A Genova si sono franate molte muraglie che erano accanto alla strada e così il traffico si è fermato. A S. Michele, che è una spiaggetta per andare a S. Margherita, ci sono state due vittime: due bagnini che erano andati a portare via le loro barche... A Rapallo il mare ha rotto la passeggiata a mare. Alberi fiori ricci di castagno galleggiavano come tante barchette. Il vento ha rotto il pino più grosso che c’era  a Rapallo. Ringraziamo Iddio e la Madonna di Montallegro che non c’è stato alcun danno e non è morto nessuno. Speriamo che Dio ora ci mandi un po’ di sole” (9 novembre).

         Il 12 dicembre gli viene chiesto di scrivere sul tema: “Nelle ore della giornata dopo la scuola che fai?”. Ed ecco come Attilio viveva:

         “Nelle ore del pomeriggio, dopo la scuola, vado a lavorare e mi danno un tanto all’ora così porto il mio aiuto alla famiglia. Se è bel tempo e c’è l’erba asciutta vado a raccogliere le olive. A giorni ne raccoglierò molte, ma a volte meno perché sono nascoste nell’erba, e allora bisogna fare come i gatti che si affilano le unghie ai pali e invece noi le affiliamo nell’erba. Quando arrivo a casa, non vado subito a lavorare, ma mangio e intanto che mangio se ho dei libretti li leggo. S’intende che non studio la lezione che ci dà la Maestra perché due lavori seri non si possono fare in una sola volta. Dopo giuoco col gatto e con mia sorella più piccola quella di quattordici anni che ride sempre, e all’ultimo, se c’è da fare qualche servizio in casa, lo faccio. Infine vado a lavorare a raccogliere le olive o a seminare il grano ecc. Alla sera quando finisco di lavorare mi sento stanco, ma se c’è da fare dei lavoretti li faccio lo stesso. Poi vado a casa, mangio e prendo il libro di lettura o libretti e mi metto a leggere. Verso le dieci o le nove vado a dormire, soddisfatto della giornata trascorsa”.

         Era un’Italia felicemente pretelevisiva: non so se sia per questo che il ragazzino undicenne sappia scrivere correttamente e con tanto buon senso. Ed è anche spiritoso. Richiesto di descrivere l’inverno dice:

        “In casa d’inverno non passa giorno che ci sia una con i nervi. Qualcuno ha il nervoso perché in casa c’è sempre buio e non si può cucire se non si accende la luce (e questa sarebbe la mamma) oppure una sorella perché quando piove non può andare fuori a sbizzarrirsi come vuole; cosicché quando è una di queste giornate noiose io devo uscire di casa perché se la prendono con me”. Conclude, con l’occhio al libro di lettura: “Speriamo che passi presto questo inferno d’inverno che potremo andare fuori a cogliere profumati fiori e cantare le liete canzoni”.

         E ora vediamo il Natale 1951. “Io le feste natalizie le ho passate bene” scrive  l’8 gennaio 1952 (chiaramente intendendo per “feste natalizie” il solo Natale). “Prima di tutto sono andato alla S. Messa che si celebra in tutto il mondo in quella bella sera infatti si dice: S. Messa di mezzanotte. Sono andato a quella Messa come tutti gli altri parrocchiani. Ho fatto il chierico perché non c’era nessun altro che lo facesse. Siamo andati solo io e Calandrini. Non abbiamo saputo servirla molto bene perché era già un po’ di tempo che non andavamo più. Quando Gesù Bambino è nato gli abbiamo baciato il piedino poi siamo tornati a casa. Al mattino mi sono alzato e sono andato a caccia. Sono tornato a casa, abbiamo pranzato e poi sono andato a giocare al pallone. Finito il giuoco sono tornato a casa e mi sono addormentato felice”.

       Un po’ sbrigativo, e nessuna parola di regali. Prese di nuovo 7+. Alla fine del secondo trimestre (7 aprile 1952), fece qualche considerazione preoccupata sul suo profitto e sul suo futuro:

         “Vedendo la pagella mi sono meravigliato perché credevo di avere tutti cinque perché ho fatto il cattivo e non ho studiato come il primo trimestre che avrei dovuto avere tutti nove, ma invece me li ha abbassati perché ho avuto sette in condotta. A me tutti quei sette e quei sei mi preoccupano perché se sarò bocciato dovrò tornare di nuovo a scuola un altro anno. Mi voglio mettere in mente di prendere tutti otto e di essere promosso così un altr’anno darò aiuto alla mia famiglia e potrò comperare la bicicletta da corsa. E fare il corridore”.

        Mi chiedo veramente cosa abbia fatto un ragazzo così dotato, se abbia continuato a studiare o no. Oggi non sarebbe facile trovare uno scolaro che scriva con tanta proprietà. Sarà senza dubbio per la sua  intelligenza, ma anche per una scuola pubblica che in una remota frazioncina, in un’epoca che si associa spesso all’analfabetismo, in realtà sembra aver saputo fornire ai ragazzi le cognizioni fondamentali. Oggi si parla di abolire il tema in classe o a casa. E invece qui la forma dimostra la sua utilità pedagogica. Per noi anche storica, e quasi letteraria. Ecco una pagina  (19 aprile 1952) che potrebbe essere da “Cuore” se non fosse sintetica e vera (solo un po’ furbesca?):

      “Stamane quando mi sono svegliato e fra le fessure delle persiane ho visto che era una bella giornata, mi sono alzato e ho aperto le finestre. Ho visto che il sole batteva sul mio davanzale ed ero felice. Sembrava che Dio me lo dicesse che sarei andato incontro alla mia Signora Maestra e che mi sarei divertito molto... Quando mi hanno detto che i bambini erano andati incontro alla maestra, sono partito veloce e pensavo quando arrivavamo laggiù tutti col sorriso sulle labbra... Eravamo tutti intorno a lei che sembrava la chioccia con i pulcini. Mi ha preso per la mano, ma dopo mi sono messo a correre e in un minuto sono arrivato sulla strada. La maestra si è poi inquietata perché eravamo sfrenati un po’ troppo. Nelle lezioni si è di nuovo tranquillizzata perché le sapevamo tutti. E’ rimasta contenta ed infatti ci faceva le carezze. Ci ha dato i distintivi e gli abbiamo dato trenta lire. Finora è passata sola metà giornata eppure ho fatto molte cose belle e utili”.

         Naturalmente ci sono anche temi  sul risorgimento, Mazzini, il vaiolo, la fisica, la grammatica, “I due orfani” di Pascoli (“Nei tempi scorsi viveva un poeta che si  chiamava Giovanni Pascoli, che scrisse molte poesie. Una di queste l’ho studiata ed è intitolata I due orfani”). Visto che la casa di Attilio sembra essere stata di sole donne, i versi del Pascoli dovevano avere per lui un significato particolare.

      Il quaderno si interrompe il 14 giugno 1952, all’inizio del tema “La guerra del 1915-18”, a metà frase. Forse perché erano ormai arrivate le vacanze e Attilio era corso fuori nei boschi? Glielo auguriamo.  

        Curiosa questa vita e storia ritrovata in un vecchio cassetto. Ha un suono così fresco e autentico, di cose toccate con mano. Chi penserebbe che le pagine scritte da un ragazzino di undici anni possano avere tante cose da dirci? Come si vede, l’intelligenza si trova dappertutto, e fa piazza pulita dei luoghi comuni. Grazie ad Attilio, non siamo più sicuri di essere tanto più evoluti, cinquant’anni dopo. 

Secolo XIX”, 6 gennaio 2002