Wolf Bruno
l’arte cruda 8
La
filosofia gode di grande prestigio. I filosofi talvolta si schermiscono
affermando, senza crederci troppo, che tutti vanno filosofando. Certo Epitteto era uno schiavo, Spinoza molava le lenti e Dario Bernazza era un negoziante eppure tutti pensano ma non
tutti fanno filosofia. In ogni caso sono i filosofi a interpretare i
pensieri presuntivamente di tutti, i grandi problemi irrisolvibili che la ragione
- la quale, come diceva Rousseau, non esclude i matti - cerca di risolvere.
Come noi tutti si sono nondimeno esposti, a malincuore come tutti, alla
canzonatura. Fu molto efficace, in questa ilare rotta, nientemeno che Palmiro
Togliatti (firmandosi filosoficamente Empedocle) in un articolo su Giovanni
Gentile - verso il quale, nella critica, ebbe anche parole di ammirazione -
pubblicato sul numero dell' "Ordine Nuovo" datato Primo maggio del
1919: "Che cos’è un filosofo? Qualcosa di mezzo, si dice, tra il pedante e
il perdigiorno, e, per di più, un uomo abbastanza fortunato, perché i suoi
libri, sui quali ha imparato le sottigliezze più sottili, gli hanno pure
insegnato, beato lui!, a sprezzare le miserie di questo mondo corpulento nel
quale noi viviamo, lavoriamo e ci tormentiamo. Tutt’al più gli potrà capitare,
un bel giorno, di cadere in un pozzo mentre cammina estatico e contempla le stelle… Eppure, se vogliamo prestargli fede, quest’uomo non
si propone altro scopo che la ricerca della verità, cosa tutt’altro che
indifferente a ognuno di noi, se è vero che tutti ne parliamo, tutti crediamo,
o almeno diciamo di possederla".
Dalla
Grecia di Pericle in poi i pensieri di tali sapienti si sono attorcigliati su
pochi temi e altrettanto poche soluzioni alternando ai dubbiosi i fanatici che
schifano il certo visibile in nome della Verità, in combinazioni, va detto,
anche originali che fanno della filosofia una branca della letteratura (proprio
nel senso che Borges affibbiava alla teologia come brandello del fantastico) ma
non necessariamente di quella umoristica - anzi - ancorché non manchino
illustri esempi in questa direzione.
Alla
gamma dell'illuminismo si sono attribuite da varie parti, anche confliggenti, diverse storture confluite in un'ideologia
indefinitamente progressista, ma solo animati da ottusi preconcetti si arriva a
negarne la vivacità demistificatrice e, perlomeno in alcuni protagonisti, la
costruzione del loro pensiero in un'accattivante forma letteraria impregnata di
allegra derisione. Alcuni di questi, ancorché aureolati da "Philosophes", sono visti da chi si sente filosofo a
tempo pieno come "semplici" scrittori poveri di pensiero, cosa che
lascia dei dubbi sul benevolo annuncio della filosofia di tutti - oltre a
smentire un collega illustre come Bergson che
riteneva possibile l'accesso col francese ai pensieri più complessi (che si
presume fossero espressi nell'esoterico tedesco). Allo stesso tempo alcuni
scrittori di romanzi, specie fra i russi, sono riletti in quanto filosofi,
senza contare che si ammette con una certa qual facilità una filosofia
poeticamente connotata, come quella di Nietzsche, Leopardi, Cyrano
o chi altro. Vai a capire... Non è certo mia intenzione mettere d'accordo i
filosofi ma quando mi capita di leggere che la metafisica sarebbe il più
naturale dei pensieri dal momento che ognuno di noi si chiede perché stia al
mondo è un mondo stesso di convizioni a crollarmi
addosso dal momento che mi è stato fatto credere da sempre che la prima parola
che pronunciamo è "mamma".
La
mamma dei filosofi è, si dirà, la Grecia, ma già se invece di Atene (o di
Mileto) si parla di Sparta le cose cambiano drasticamente e arrivando a
Rousseau si passa direttamente a Robespierre e a tutti i "terrori"
sanguinari successivi di ogni ordine e varietà così che la maternità assumerà i
contorni tragici di Medea e non quelli soavi della Madonna. Detto questo,
chiedersi cosa c'era prima della redenzione recapitata dai filosofi a
un'umanità ricca di dei e visioni non è esattamente fare un salto nel buio, per
quanto "la storia" abbia per quei tempi lontani contorni meno netti.
Che, per rimanere alla Grecia, ci fossero Omero, "i misteri", i
coribanti e le ebbrezze vinaccine devo pensare a un
motivo buono e scatenante perché "la ragione" brandisse le sue misure
salvifiche e crescesse nei secoli fino all'assoluto o, per altri versi, ci
regalasse la religione positiva fino a farci capire che non è giovevole
mettersi a parlare di ciò che le parole non riescono a esprimere? Penso invece
a quegli sciamani che con qualche erba alteravano la visione del mondo
dimostrando - e oggi "il progresso" ha fatto miracoli su questo piano
- quanta precarietà si celasse sia nella percezione sia nel pensiero.
Cercare
la perfezione nel passato è un gioco che alimenta sogni e fantasie ed è comune
- perlomeno a me è successo - presentare il conto alla vita in un costume
d'altri tempi. Quella presuntivamente originaria - che in realtà attinge a
modelli non sempre coerenti fra loro - è d'altra parte la perfezione che tenta
di forzare il tempo da dietro in avanti con mezzi che quando non si limitano
all'immaginazione finiscono in massacro col nobile proposito di trasfigurare
nella bontà ciò che in realtà è da sempre identico, vale a dire l'uomo. Mike Hammer, il detective spaccamondo
di Mickey Spillane, disse una volta (in "Bacio mortale") che
"l’innocenza non esiste. Il massimo che puoi avere è l’innocenza mescolata
alla colpa". Si dovrebbe a questo punto capire che l'utopia non mi
appassiona e non le rendo uno speciale onore ammettendone qualche punto di
forza creativa. Ci si deve tuttavia intendere. Marx
scrisse che i costi vantaggiosi avrebbero abbattuto la muraglia cinese e,
all'incirca nello stesso volgere di tempo, altri arieggiavano l'idea che dal
commercio sarebbe derivata la pace perpetua. C'è una certa qual vicinanza di
pensiero, ma il carattere dell'utopia - sulla base di esperienze che non hanno
smesso di traumatizzarci - appartiene in questo caso all'ultimo dei due.
Forse
però la più stravagante delle utopie convertite in politica è quella del regime
di Pol Pot in Cambogia, il
quale fondandosi sull'aperta avversione verso chi portava gli occhiali e la
feroce criminalizzazione delle popolazioni urbane e dei loro costumi finì col
diventare una fabbrica di sterminio e una singolare fonte di orrore per
chiunque - la stragrande maggioranza degli esseri umani - si sentisse, a torto
o a ragione, in odore di civile mitezza. Guardando più da vicino quei
raccapriccianti avvenimenti si scopre tuttavia che cinesi e statunitensi
appoggiavano quel regime e che al momento dell'intervento dei
"compagni" vietnamiti che ne decretarono la fine, gli USA
rivendicarono quello deposto come governo legittimo. Per altro furono gli
stessi abitanti delle città a chiedere di bombardare le campagne e questo in
parte può spiegare la condotta degli uomini di Pol Pot - i Khmer rossi - sostenuti da un'ideologia grosso modo
linpiaoista di conflitto fra campagna e città. Più
indecifrabile è, a prima vista, l'ostilità nei confronti degli occhiali, delle
lavatrici e delle automobili, a meno di non evocare una distorta guerra al
consumismo che presupponeva le altrettanto fraintese idee di purezza originaria
e vita autentica.
Una
branca della storia recente certifica vette di educazione universitaria europea
per i più pericolosi interpreti delle dittature e del terrorismo, dalla fine
del colonialismo agli attentatori dell'11 settembre e alle scatenate truppe
nazionaliste che guardano perversamente alle esperienze sioniste, altrimenti
disprezzate, e alle idee mazziniane. Pol Pot interruppe viceversa la sua altolocata educazione in un
liceo parigino passando svogliatamente a una preparazione tecnica ma,
soprattutto, dedicandosi alla politica e alle discussioni nei bistrot, dove fu
contagiato dal pensiero di Heidegger e dall'esistenzialismo
sartriano, cosa pressoché inevitabile all'epoca. Fare
filosofia era dunque possibile a tutti, senza alcun titolo accademico, se si
avevano i mezzi per bighellonare a Parigi. Oggi che non sembra più così
necessario andare ad assorbire lo spirito dei luoghi, se non sotto forma di un
distratto turismo, le persone comuni che hanno pensieri comuni possono tuttavia
provare incoraggiamento nei filosofi come John Searle
che assicurano interessarsi la filosofia soltanto delle idee comuni.
“Fogli di Via”,
luglio 2018