Wolf Bruno

l'arte cruda 7

Una delle convinzioni più balzane che si sentono esprimere, e non necessariamente da persone benintenzionate, è che l'umanità sia essenzialmente buona, affetta tutt'al più da quelli che graziosamente i religiosi chiamano "peccati veniali". Sarebbero le avverse circostanze ad averla corrotta ostacolando così la pura e semplice rivelazione di una virtù ahimè sottomessa agli imperativi di una storia infelice. Un'epoca come la nostra, che ci ha riservato grandi crimini insieme a decisive illuminazioni, è l'epoca dalla quale ci dovremmo aspettare, proprio perché tanto abbiamo sofferto e altrettanto capito, la catartica rimozione delle sciagurate fonti della cattiveria con i mezzi stessi, quando l'esempio della mansuetudine non bastasse, che la stessa cattiveria ci offre in vista della bontà. La psicoanalisi ci ha voluto convincere del resto che i nostri problemi risalgono all'infanzia ma, come dimenticarlo, l'Illuminismo ci ha reso adulti e gli adulti sono attenti, cauti, riflessivi e, se vecchi, anche saggi. Ovviamente queste son tutte caratteristiche che potrebbero essere impiegate per viver bene - vale a dire vivere con gusto sulla base delle proprie non necessariamente morali inclinazioni - se non fosse che la bontà, sottratta all'esperienza che se ne può avere, pare risieda in quella superiore armonia alla quale dovrebbe ispirarsi la nostra condotta, altrimenti bottino di quello "zero" di cui, tanto per dire, Jean Vigo ci ha mostrato tutta la sua infantile vitalità.

Ma la bontà, quando ben fondata, sa fornire i suoi buoni esempi anche nella problematica contingenza esistenziale che la mette in pericolo. Una santa donna, Santa sul serio, la patrona d'Italia Caterina da Siena, pare morisse (lo dice il Bargellini) lanciando un ultimo grido: "sangue, sangue, sangue". Non si cada nell'equivoco, tutt'altro era da un grido di guerra, era invocazione al Sangue del Redentore del quale, diceva, i sacerdoti - che ottant'anni dopo non per niente la misero sugli altari - son ministri. Ma ciò lo capirono, e non poteva andare diversamente, pure i pittori come Andrea Vanni che andarono a ritrarla immacolata come il giglio tenuto in mano nella loro santissima allegoria. A noi non rimane da constatare, se non con sanguigno godimento, la perfetta simbiosi fra l'immanente e il trascendente nel cruciale momento in cui la vita da effimera ed esposta al peggio va a farsi eterna nella beatitudine. Ma l'esempio massimo della bontà la santa donna lo diede quando, per punirsi di essersi in un primo tempo ritirata alla vista delle piaghe, trangugiò l'acqua che era servita a rimuovere le purulenze dai lebbrosi ai quali volle dedicarsi.

Che dire invece della rappresentazione offertaci con allegrezza priva di vergogna da Jean Vigo dei fanciulli ribelli? Sappiamo del padre giustiziato quale traditore per aver scritto e combattuto contro l'inutile strage della guerra detta "grande". Un buon motivo, certo, per non provare rispetto verso una legale autorità fatalmente annunciata in chiave omicida così da lanciarvi contro il bambino che fu attraverso i bambini del capolavoro cinematografico che ancor giovane, rimanendo tale fino alla precoce morte, diresse. Perché però il padre si firmava nelle pagine incriminate dalla bellicosa autorità con l'anagramma di "y a la merde", cioè Almereyda? Lui che condannava le sciagure della guerra quali attentati contro la vita pensava allo stesso tempo che questa valesse gli escrementi?

Non so quanta pertinenza ed efficacia abbiano gli esempi riportati. Scrivo senza badare troppo alla coerenza di ciò che mi torna in mente avvertendo tuttavia la pressione che esercita affinché lo scriva. Ho evidentemente la mente prigioniera di futili ispirazioni (quelle che volgarmente son dette "cazzate") per le quali non provo altrettanto evidentemente alcun imbarazzo (ancorché possa dare l'impressione di giustificarmi). Il punto era la bontà dell'uomo. Ora, quantunque ci si imbatta in manifestazioni che chiamiamo di bontà ciò non prova che l'uomo sia buono. Il perché di tali manifestazioni non è mai d'altronde del tutto chiaro. Lì per lì ci illudiamo che sia disinteressato ma succede che un pungolo maligno insinui il dubbio mentre cerchiamo che l'esteriore festosità non ne sia compromessa. In ogni caso dalla mancata consustanziale bontà dell'uomo non discende necessariamente che per gli uomini sia indistinguibile il bene dal male dal momento che solitamente ognuno pensa di decidere per il meglio e non per il peggio.

(Mettiamola così: la ribellione di Vigo smantellava il rapporto coi superiori e le loro idee, l'acqua della Santa elevava al cielo delle idee superiori delle papille gustative di per sé originali. Indubbiamente ognuno pensava a ciò che fosse meglio e anch'io mi son fatto l'idea di cosa lo sia).

Una volta che si parla di bene e di male ci si accorge tuttavia che queste parole hanno acquisito una forza espressiva difficile da negare, ma è anche vera una loro malleabilità soggetta alle potenze sovraindividuali che ne determinano il senso. Si tratta dunque di parole portate a convincere su linee metafisiche adatte a ridurre la scelta fra il meglio e il peggio a cosa di poco conto, provvisoria, non decisiva della nostra salute spirituale che casomai egotisticamente corrompe.

“Fogli di Via”, marzo-luglio 2017