Wolf Bruno

Arte cruda 10

Può sembrare strano ma quando si parla del nulla non si ha necessariamente la sensazione di stare a dire niente. Quando poi si parlasse di "nientificazione" la concretezza potremmo avvertirla come un malsano prurito inflitto alla nostra pellaccia non così dura come vorremmo. Vi allusero Karl Marx, che di prurito soffriva, e alcuni suoi più tardi discepoli. Lo stesso Marx, che già riteneva questa condizione come propiziatrice di una svolta, sembrava provare - a un certo punto aiutato anche dalle attenzioni che dedicò alla neonata disciplina dell'antropologia culturale - un qualche genere di rimpianto per gli antichi vincoli brutalmente compromessi dalla nuova formazione sociale che si trovava a vivere e a condannare.

Nel XX secolo personalità diverse finirono per esibire analoga sensibilità. Marx era un materialista, ancorché modellare di qual tipo sia più complicato di quanto si creda. Si pensò in seguito che il problema stesse proprio nell'indugiare sulla riduzione del vivere alle circostanze materiali cosicché la sua soluzione andava posta nella riappropriazione del fatto spirituale, il che non significava necessariamente dio e l'anima ma quanto a chiarezza la distanza era inavvertibile, perlomeno nella maggior parte dei casi. Troppo zelo si destinava alla quantità, ecco il problema!

Marshal Shalins scrisse tanti anni fa che per trovare la vera società dell'abbondanza si doveva risalire a prima della rivoluzione agricola, a coloro che gli antropologi come lui definiscono "cacciatori-raccoglitori". In un mondo come il nostro dove un normalissimo percettore di reddito da lavoro si avvale di comodità di gran lunga superiori a quelle di cui poteva godere il Re Sole l'asserzione risulta fuor di dubbio sorprendente. Se tuttavia ci si mette a pensare, a torto o a ragione, che quella fu l'ultima volta che l'uomo fece a meno del lavoro un moto di ammirata invidia può trasformare ogni dubbio in volontà di credere. Qualche incrinatura nelle congetture che non si fossero spinte al fideismo la dà la malinconica cautela con la quale si deve concedere alla nostra specie di essere definita "sapiens", ma cedendo al buon senso del mito - un racconto che Cassirer valutava ragionevole come Chesterton valutava ragionevoli le fiabe - è facile pensare a un'"età dell'oro".

In quei tempi remoti fuori dalla storia gli uomini erano immersi in un mondo paritario di spiriti così che quello di una tigre, di una pianta o di un luogo andava rispettato come si rispettavano - ammettendo che fosse così - quelli dei propri simili. Una siffatta concezione rispondeva al mistero della vita come se smarriti in un parco dei divertimenti si intravvedesse l'uscita scrutandola allucinati. Coloro che oggi reclamano più spirito da opporre alle bassezze materiali e all'ingordigia consumistica si pongono in maniera assai diversa, anche se possono riconoscere a quei nostri progenitori un passo in avanti sulla via del sacro benché guastato da un esagerato culto della natura che sconfina nel panteismo e, in fin dei conti, nel materialismo. Quantunque non ne raccomandino l'estremismo ritengono siano più congrui e comprensibili alla loro visione episodi come l'evirazione di Origene e il falò delle vanità di Savonarola.

Assumere come alternativa a questa visione una riflessione sull'uomo come minuscola parte senza alcun senso di un infinito indifferente al suo destino è a pensarci bene un momento del sacro dove il dovuto rituale corrisponde alla vita stessa, minacciata tuttavia dagli elementi blasfemi che la vorrebbero scissa in componenti superiori e inferiori - che siano sanciti da una cartesiana Ragione o da un Dio-persona che stigmatizza i nostri genuini comportamenti - cosicché immergerci nella nostra natura corrisponderebbe a disprezzare "lo spirito".

Devo dire che quando alludo alla nostra natura non penso che per essa ci sia stata un' "età dell'oro" della bontà, e come - pur apprezzandone tanti elementi visionari - rimango interdetto al cospetto delle geometrie sociali dell'utopia non mi sento di cedere, sotto i colpi dei primordi russoviani, la vita come la conosco, casomai la vorrei piena. Ritengo però che un certo sguardo all'indietro mi aiuti a indovinare ciò che la civiltà - con la violenza sanguinaria che hanno imposto le giurisdizioni agricole - ha comportato deprivando gli uomini del loro mondo, quello spirituale compreso.

“Fogli di Via” gennaio 2020