Carlo Romano
il centenario dell’arte contemporanea
Cent'anni
fa nasceva l'arte contemporanea. Detta in questo modo può sembrare un'assurdità
o un difettoso sentimento del tempo che passa. Non è così. Nel febbraio del
1913 si inaugurava a New York, in un edificio di inizio secolo progettato per
far posto a un'unità militare (che ancora lo occupa), l'Armory Show, la
più grande esposizione d'arte figurativa che si fosse mai tenuta. Furono
esposte 1300 opere, in massima parte di artisti europei. L'intenzione dei
promotori (Arthur B. Davies, Walt
Kuhn e Walter Pach dell'Association of
American Painters and Sculptors) era di far conoscere nel nuovo mondo,
facendone un evento globale, l'arte che aveva preso piede in Europa a partire
da Corot e che, passando per gli impressionisti, era approdata ai fauves e ai
cubisti, i quali ultimi furono i protagonisti principali dello scandalo che la
mostra suscitò (il presidente Theodore Roosevelt sentenziò: “questa non è
arte”) non meno che del suo successo.
Benché invitati, i futuristi italiani si tennero fuori, marcando
il primo e colossale errore tattico di Filippo Tommaso Marinetti (per quanto se
ne addossi generalmente la responsabilità a Umberto Boccioni). Fra gli artisti
presenti, tuttavia, era vicino al futurismo il pittore americano (ma nato in
Italia a Muro Lucano) Joseph Stella. Anche l'opera che destò maggior chiasso e
meraviglia, il Nu descendant un escalier di Marcel Duchamp, poteva
essergli associata, benché costituisse una sintesi di tutte le sperimentazioni
di allora. Duchamp non partecipò fisicamente alla mostra ma il successo
personale lo stimolò a guardare con interesse all'America tanto che nel 1915,
riformato dal servizio militare per problemi cardiaci, pensò bene di
trasferirvisi. In Francia era stato ospite delle riunioni in casa degli
espatriati e collezionisti americani Gertrude e Leo Stein, frequentate da
Picasso e da altri. A questi incontri del sabato sera parteciparono per qualche
tempo, nel soggiorno europeo, anche i fotografi, ma non solo, Eduard Steichen e
Alfred Stieglitz che nel nel 1908 avevano suscitato scalpore a New York con la
mostra dei disegni di Matisse alla galleria 291 (dal numero civico
dell'abitazione occupata prima dall’uno e poi dall’altro).
Qualche anno dopo l'Armory Show, un'altra mostra suscitò
l'indignazione dei tradizionalisti e ancora una volta il frastuono che sollevò
fu da addebitare a Duchamp. Duchamp era un pittore dotato ma un artista pigro e
negli Stati Uniti - dove vedeva l'arte moderna in atto nelle luci, nelle
pubblicità e nella vita cittadina - si dedicò principalmente agli scacchi col
risultato di conquistare il titolo di campione alle "olimpiadi" del
gioco per corrispondenza. Per la mostra del Grand Central Palace, nel 1917,
ebbe l'incarico di dirigere la sistemazione dei quadri alle pareti. Alla mostra
poteva partecipare chiunque fosse disposto a sborsare una cifra modesta.
Duchamp pensò di ordinare le opere attraverso l'ordine alfabetico dei nomi
degli artisti. La confusione di bravura, stile e novità risultò dunque elevata.
A suscitare le reazioni di rifiuto non fu tuttavia questo aspetto, lo fu
l'opera che il francese, firmandosi R. Mutt (Mutt come il personaggio della
striscia a fumetti Mutt and Jeff
di Bud Fischer) decise di esporre: un orinatoio da muro capovolto.
Respinta dalla mostra, l'opera finì, con soddisfazione di Stieglitz,
sulle pareti della galleria 291, dove si era appena conclusa una mostra
dell'artista americana di grande avvenire Georgia O'Keeffe. Insieme a Duchamp
esponeva un altro artista incriminato, l’americano Marsden Hartley, altro
partecipante all’Armory Show, omosessuale e amico di Duchamp al pari di Stella,
che all’epoca era attratto, dopo un soggiorno a Berlino, dalle divise tedesche
e dai simboli del militarismo, un’ossessione giudicata sconveniente e
anti-patriottica da una nazione che stava entrando in guerra contro la
Germania.
L'orinatoio fu ribattezzato "fontana" e Stieglitz lo
fotografò. Le fotografie furono pubblicate su "The Blind Man",
la piccola rivista, diretta dallo stesso Duchamp, che costituiva un po' il
versante americano di Dada. Il commento recitava: "Che il signor Mutt
abbia o meno costruito da sé la fontana è di nessun rilievo. L'ha scelta e ha
così determinato un modo nuovo di guardare all'oggetto". In questo
percorso dall'Armory Show al Grand Central Palace l'arte contemporanea era
dunque nata. Da allora - a parte il perfezionamento dispotico della sua
organizzazione commerciale e il venir meno di un qualsiasi senso dell'umorismo
- non è cambiata granché.
“il Secolo XIX”,
20 febbraio 2013