Arte cruda 12

Devo ringraziare il solito amico che mi ha aperto gli occhi. Non che da qualche parte non avessi mai letto il nome di Marco Malvaldi e i titoli dei suoi romanzi, ma c'ero passato svogliatamente sopra. Leggevo di libri spassosi, ma mi dovevo fidare? Che uno fosse nato e vivesse a Pisa mi faceva sorgere dei dubbi, condizionato evidentemente dalle ilari fanfare livornesi e dalla furia delle facezie raccolte nel "Vernacoliere", la rivista a tal punto provocante da dischiudere l'impensabile ipotesi di un accettabile bolscevismo labronico antipisano. Mi sbagliavo di grosso e sbagliandomi di grosso ho perso un quindicennio senza rendermi conto di ciò che avevo perso.

Il rimedio predisposto dall'amico di primo acchito mi impaurì. Nel sacchetto sciupato di una libreria che ambedue frequentiamo mi consegnò sotto casa tutto quel che aveva raccolto dell'autore nei classici libri blu di piccolo formato della Sellerio. Ringraziai, ovviamente, non è che sia maleducato, ma mi inquietava l'impegno che mi ero preso di leggerli non volendo oltretutto deludere il suo entusiasmo e l'impegno che ci aveva messo, fra frizzi e lazzi, nel riuscire convincente. Le letture non mi mancavano e ciò che avevo già a disposizione lo stimavo più urgente.

Se poi ho rimediato all'errore lo devo all'abitudine, comune a ogni lettore, di scartabellare fra le pagine di un libro alla ricerca di qualche elemento che possa coinvolgere. Non ci misi molto a trovarlo in La briscola in cinque - del 2007, il primo dei romanzi dell'autore - quando mi imbattei nella descrizione di un tipo dall'aspetto disastrato al quale mancavano quattro dita alla mano destra a causa di un'esplosione. I compaesani lo chiamavano Ochei "perché la mano destra munita del solo pollice sembrava sempre fare segno che andava tutto bene, nel gesto tipico dei film americani". Bastò per immergermi nelle non poche vicende di cronaca nera accadute nell'immaginario borgo di Pineta nei dintorni di Livorno (e qui fra l'autore pisano e l'ambientazione dei suoi romanzi dovrebbero scattare degli interrogativi) dove un gruppo di vecchietti - rimasti autentici nell'imbarbarimento della località divenuta centro balneare - s'incontra al BarLume e fra un bicchiere e una partita a carte s'impuntano sui fatti del giorno spingendosi, quando è il caso, a indagare su ciò che di oscuro è accaduto che tuttavia sarà Massimo, il "barrista" a risolvere (ma nel romanzo uscito nel 2021, Bolle di sapone, che ha per cornice la pandemia da Covid, sarà incisiva anche sua mamma).

Ridere si ride e lo si fa con gusto, ma ho qualche esitazione nel definire umoristici senza riserve questi romanzi. Chi ha esperienza della vita di paese ben oltre alla generica vita provinciale, vi riconoscerà piuttosto - coi pettegolezzi, il sarcasmo, il profilo dei caratteri - una buona dose di realismo, benché non esattamente alla Zola. Ciò nondimeno penso che non sia un caso che Marco Malvaldi abbia dedicato all'umorismo "un piccolo saggio", Per ridere aggiungere acqua (Rizzoli, 2019). Malvaldi, chimico, è ricercatore presso l'Università di Pisa con all'attivo diverse pubblicazioni scientifiche. Insieme a Roberto Vacca - il matematico, divulgatore e scrittore di fantascienza - ha pubblicato anche un libro sulle epidemie (La pillola del giorno prima, Transeuropa 2012).

La formazione scientifica traspare - specialmente nella prima parte sul linguaggio - anche nel libro sull'umorismo, seppure con benevolenza. Meno benevolenza la riserva piuttosto al libro di Bergson Il riso (1899) che, a suo parere, andrebbe letto più che altro perché ben scritto, mentre accorda profondità psicologica al saggio su L'umorismo (1908) di Luigi Pirandello che pur partendo dalle stesse premesse di Bergson (si ride sempre di qualcuno) si spinge ben oltre nella sua indagine. Malvaldi non fa ovviamente mancare gli ovvi accenni al Freud del "motto di spirito" o a qualche risvolto della psicologia cognitiva e tutto condisce con qualche amabile stravaganza di variamente titolati in ambiti scientifici. Molta cura, ma non senza qualche piccola riserva, la concede a Umberto Eco, col quale ha condiviso per altro, quale socio onorario, l'appartenenza al CICAP, il comitato italiano per il controllo delle affermazioni delle pseudoscienze, l'associazione che raduna non pochi attivisti di uno scetticismo militante che non schifa la risata (tanto da risultare ai miei occhi affine alla patafisica).

Il "naturalismo comico" sul quale penso di essermi imbattuto nei romanzi di Malvaldi trova nel saggio sull'umorismo un'esemplificazione direi - bisticcio di parole a parte - esemplare nel racconto di una lontana "serata letteraria" livornese raccontatagli da un amico più anziano. L'ospite speciale della serata era Achille Campanile il quale prese a raccontare la storia "del tasso del Tasso, per il tasso del tasso birbasso" (poi finita, se ricordo bene, nel Manuale di conversazione pubblicato da Rizzoli). Alla fine del racconto il grande (anzi, grandissimo) umorista si aspettava risate fragorose che, delusione, non ci furono. Ci fu invece chi si alzò e chiese: "ci dica lei Maestro quando dobbiamo ridere". Campanile non la prese di buon grado (preoccupante macchia nella sua carriera) e la serata finì lì. Credo proprio che ciò che accade al BarLume goda della medesima diffidente intensità.

Da diversi anni è emersa nella letteratura italiana una tendenza al "giallo" vernacolare, probabilmente al seguito del successo dei libri di Camilleri. Per i miei gusti quelli di Malvaldi sono indiscutibilmente superiori ai "gialli" di quest'utimo (che tuttavia ha fornito nella sua lunga carriera - a partire dalla tv classica - imprescindibili contributi alla cultura popolare italiana). Dirò di più, mi son fatto l'idea che Malvaldi sia il più importante scrittore italiano emerso nel nuovo secolo, troppo avvinghiato a mio modo di vedere al linguaggio forbito (che pure ha avuto in passato estrosi e anche strampalati esempi di capolavori) di scrittori provenienti dalla magistratura, cosa che più che altro incute timore ma che in un poliziotto come Pizzuto ai suoi tempi non incuteva. Casomai incuteva ammirazione quando lo si fosse capito. E anche quando - effetto tutt'altro che raro - non lo si capiva.

Per “fogli di via”