Wolf Bruno
di Negri e
di arte
Toni Negri: ARTE
E MULTITUDO. DerriveApprodi, 2014
La
storia di questo libro, costruito attorno ad alcuni pretesti in forma di
lettera, è vivace. La prima edizione fu pubblicata da Giancarlo Politi -
editore e direttore di "Flah
Art" - nel 1990. Anni dopo, tradotto in Spagna (Trotta, 2000), alle
sette lettere dell'edizione originale ne fu aggiunta un'ottava. Una nona la si
deve all'edizione francese del 2005 (Epel) mentre l'edizione del 2009 (Mille et
une Nuits) lo incrementò col testo di una conferenza tenuta alla Tate Gallery
di Londra l'anno precedente. Questa nuova edizione propone una nuova lettera,
la decima, e si irrobustisce con l'aggiunta di un'intervista a "Flash Art" del 1988 (anno al
quale risalgono le prime lettere) e alcuni testi inediti, di cui uno del
curatore del libro Nicolas Martino. I destinatari delle lettere sono Gian Marco
Montesano, Carlo Formenti, Giorgio Agamben, Manfredo Massironi, Massimo
Cacciari, Nanni Balestrini, un non meglio precisato "libero
intellettuale" di nome Silvano, Raùl Sanchez - "un compagno
spagnolo" che lavora al Mueso Reina Sofia di Madrid, Marie-Magdeleine
Lessana - "un'amica psicanalista" e, infine, una lettera all'attuale
curatore, al quale per altro si deve un'accurata ricostruzione - quale sfondo
necessario - del dibattito sul "postmoderno" in Italia.
Se
si riesce a familiarizzare col linguaggio di Toni Negri - e non dico delle
nuove combinazioni terminologiche cui sottopone il lessico dell'ordinaria
marxologia - si dovrebbe arrivare a capire (ma posso non aver capito niente)
che a lui prediletta è l'arte astratta. In un certo senso tutta l'arte lo è,
però qui si parla di un gusto preciso e delle capacità che l'astrazione avrebbe
di rappresentare l'attività umana e le mostruosità che derivano dalla sua
organizzazione capitalista. Particolarmente significativa - e la più
rivelatrice - mi è sembrata la lettera a Manfredo Massironi, un artista che
partecipò al "gruppo N", vale a dire a uno di quegli insediamenti più
o meno locali che attraverso enigmatiche geometrie e filosofiche ambizioni, per
lo più di ispirazione husserliana, si ritenevano la punta avanzata della
"ricerca" artistica italiana dei primi anni Sessanta.
Con
un'immagine scoraggiante Negri parla di un' "orgiastica taylorizzazione
dell'arte" che dissolvendo gli oggetti avrebbe rivelato la "sua
natura non misteriosa", ricondotta alla "normalità di una vita anormale".
Da allora, vale a dire dai tempi dei "Quaderni Rossi" e
dell'Italia dei gruppi artistici come "N", "noi non abbiamo
abbandonato il terreno dell'arte ma ne abbiamo riscoperto la consistenza
nell'umana realtà", scrive Negri al "Manfredo carissimo". Nell'intervista
del 2010 rilasciata a Jacopo Galimberti riportata nel volume,
all'intervistatore "colpito dal fatto che nei primi anni Sessanta un
gruppo di artisti... lavorassero a stretto contatto con gli operaisti"
Toni Negri precisa: "Il discorso del Gruppo N all'inizio lo costruimmo
insieme. Era un lavoro legato a 'Quaderni Rossi' prima ancora che a 'Classe
Operaia'. Si trattava di riuscire a esprimere il concatenamento del lavoro
e della macchina, del soggetto e dell'oggetto all'interno di una esperienza che
fosse insieme tecnologica e politica".
Cosa
Toni Negri abbia concretamente precisato per la verità a me sfugge come mi
sfugge la natura dell'operaismo astrattista (o astratto-concreto?) eppure nella
mia ignoranza trovo saporito spigolare fra mittente e destinatari su
"l'irresistibile linea difensiva che possiamo tenere " (Negri e il
destinatario Nanni Balestrini?) intenti "a ricostruire le alternative di
quell'esperienza collettiva che ci permette di chiamare bella l'eccedenza dell'essere"
(a Cacciari: "Massimo, una differenza che si voleva di superficie diviene
fra noi una separazione di cammino"). Certo che tutto questo mi fornisce
un'idea più vicina alla realtà di ciò che è stato lo scicchissimo
"operaismo italiano" e in quali parodie analitiche affondino termini
come "comune" e "multitudo" usati da Negri. Mi duole
riconoscere che ho capito poco dell'arte, per quanto mi sia stata additata
"la sua natura non misteriosa". Non si può avere tutto e non tutto si
capisce. Se ciò mi esclude dalla "moltitudo", benvenuta sia
l'ignoranza.
“Fogli di Via”, marzo-luglio
2015