le voci che corrono

 

Bianciardi antimeridiano

 

>Luciano Bianciardi, L'antimeridiano, Opere complete. Volume primo, Isbn Edizioni e ExCogita, 2005

Il primo volume contiene romanzi, saggi, racconti e diari giovanili: I Minatori della Maremma scritto con Carlo Cassola, Garibaldi, La vita agra, il Lavoro Culturale, L’integrazione, Viaggio in Barberia, Daghela avanti un passo!, Da Quarto a Torino, Aprire il fuoco, tutti i suoi racconti (pubblicati su vari giornali e in alcune raccolte) e i suoi Diari Giovanili (diari universitari e di guerra), fino ad oggi inediti.

 

>Luciano Bianciardi, L'antimerdiano, Opere complete, volume II, Isbn Edizioni e ExCogita, 2008

L’antimeridiano volume II raccoglie le collaborazioni giornalistiche di Bianciardi dalla metà degli anni ’50 al 1970 (ABC, La Gazzetta di Livorno, Il Giorno, L’Avanti, Il Guerin Sportivo, Playmen, Le Ore, L’Unità di Torino). Il calcio, la televisione, le donne, le parole della gente e degli intellettuali: la cultura popolare all’alba della post-modernità. Una cronaca ragionata dell’Italia com’era e come necessariamente è, una riflessione talvolta amara, più spesso divertente, che racconta con passione e un cinismo mai compiaciuto, personaggi, vizi e virtù dell’italietta degli anni ’50 e ’60.

 

a cura di Massimo Coppola, Alberto Piccinini e Luciana Bianciardi

 

Fabio Canessa
La fortuna editoriale di Luciano Bianciardi sembrava destinata a rimanere patrimonio di un circolo ristretto di fedelissimi. Uno degli scrittori più interessanti della letteratura italiana del dopoguerra risultava anche uno dei più dimenticati. Con i vantaggi e i limiti che una tale condizione comporta. Pressoché ignorato dai corsi universitari, quasi mai incluso nelle antologie scolastiche, Bianciardi aveva lo status privilegiato di autore di culto, letto da una nicchia di appassionati. Come si addice a un personaggio umorale, irregolare, antiaccademico, curioso della politica e onnivoro di cultura, ma anche disincantato, dotato di un senso dell’umorismo da maremmano chiassoso che sembrò spesso fuori posto fra gli intellettuali della Milano degli anni Sessanta, diviso com’era fra individualismo scanzonato e bisogno di impegno sociale, voglia di trasgressione e devozione agli eroi del Risorgimento. Quando, una quindicina di anni fa, arrivai a Grosseto per insegnare al Liceo, scoprii che agli studenti della sua città era sconosciuto perfino il suo nome. Ma mi accorsi anche che le proposte di lettura dei suoi testi incontravano l’interesse dei ragazzi più di quanto non riuscissero a fare i soliti Svevo e Pirandello, onnipresenti evergreen dell’ultimo anno delle superiori. Inoltre, era difficile all’epoca trovare in libreria i suoi libri, con l’eccezione del romanzo “La vita agra”. A smuovere le acque ci pensò il convegno grossetano dei primi anni Novanta, quando studiosi e amici dello scrittore (presenti, fra gli altri, Oreste Del Buono e Manlio Cancogni) si riunirono al Palazzo della Provincia. Da allora, la casa editrice ExCogita, diretta dalla figlia Luciana, la Bompiani, detentrice dei diritti di alcune opere, e Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, con il contributo del figlio Ettore, sembrano aver fatto a gara nel ristampare i libri di Bianciardi. Il convegno romano dell’anno scorso, organizzato dalla compagna Maria Iatosti, e il film di Coppola e Piccinini, presentato alla Mostra di Venezia, sono solo le ultime tappe di una riscoperta dal ritmo incalzante. È antipatico dirlo, ma paradossalmente anche le accese polemiche e le spiacevoli liti in famiglia hanno contribuito a moltiplicare le iniziative che mettono questo scrittore di nuovo al centro dell’attenzione, se, oltre a Luciana, adesso anche Ettore e Maria Iatosti sono attivissimi sul fronte bianciardiano. Senza contare le numerose iniziative che ha in serbo la Fondazione, recentemente rinnovata nei membri e nella sede. Quando fu pubblicato il primo volume dell’Antimeridiano, perfino i bianciardiani doc si chiesero che cosa potesse contenere il secondo, visto che tutti i libri pubblicati in vita erano stati inseriti in quel gigantesco tomo. Adesso che è uscito, scopriamo invece altre duemila fitte pagine di un Antimeridiano (Isbn, euro 69) che comprende tutti gli articoli giornalistici dal 1952 al 1971, raccolti con attenta cura da Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini. Non si tratta di grattare il fondo del barile, perché la forza delle idee e l’estro della scrittura sono quelli delle opere maggiori. Molti critici anzi diranno (come già Antonio D’Orrico ha suggerito dalle colonne del Corriere) che in queste pagine risiede l’anima del Bianciardi più autentico. Finora dispersa fra Il Giorno e il Guerin Sportivo, L’Europeo e Le Ore, Epoca e Abc, e adesso finalmente rilegata nella lussuosa cornice dell’Antimeridiano. A riprova di quanto sia fuorviante dividere la letteratura di Bianciardi nei suoi vari libri, ognuno dei quali, convergendo in un’unica corposa autobiografia, travestita ora da romanzo ora da saggio ora da elzeviro, costituisce un capitolo di un’esaltante opera totale, nella quale la scrittura scandisce il diario di una vita, trasfigurata dal talento narrativo e dal linguaggio speziato. Da leggere come un continuum.

Il Tirreno”, 3 febbraio 2008

 

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Antonio D’Orrico: L’Italia Pop di Bianciardi
Giovedì 16 luglio 1959, dal teatro della Fiera di Milano, Mike Bongiorno con voce rotta dall’emozione presentò l’ultima puntata di Lascia o raddoppia?, il programma che lo aveva lanciato e che aveva fatto degli italiani dei teledipendenti.
Luciano Bianciardi ne scrisse sull’“Avanti!” del 28 luglio: «Quella sera Mike Bongiorno parlò abbastanza a lungo di sé e affermò di aver conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili. Non c’è motivo per non credergli. Mike Bongiorno in questo non si distingueva per nulla dalle centinaia di concorrenti che gli son sfilati accanto... anche loro han conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili, anche loro hanno saputo, da buoni italiani degli anni cinquanta, aspettare il quarto d’ora di celebrità e di fortuna».
Quasi dieci anni prima che lo proclamasse Andy Warhol («In futuro, tutti saranno famosi per 15 minuti»), Bianciardi anticipò la teoria del «quarto d’ora di celebrità» che tocca a tutti nella società di massa.
In quell’articolo, Bianciardi spiega anche perché gli italiani stravedevano per Mike: «I nostri presentatori della televisione avevano successo, e lo hanno, in quanto riassumono ed esprimono certi difetti, certe tare nazionali. Mike Bongiorno ne riassumeva più di tutti, ed ecco perché lo possiamo stimare il più mediocre, quindi il più bravo».
Quel 28 luglio 1959 Bianciardi anticipava il concetto (è la mediocrità che fa il divo televisivo, nella fattispecie il presentatore di Lascia o raddoppia?) che avrebbe ispirato il citatissimo saggio di Umberto Eco Fenomenologia di Mike Bongiorno (che è del 1961, cioè due anni dopo Mike: l’elogio della mediocrità, l’articolo dell’“Avanti!”).
Possiamo dare finalmente a Bianciardi quello che è di Bianciardi [...], grazie a un libro gigantesco e folle, quasi duemila pagine, che si intitola L’antimeridiano (nel senso dei Meridiani, la prestigiosa collana di Mondadori riservata agli autori consacrati). Due anni fa era uscito un primo volume di romanzi, racconti e saggi, ora (sempre a cura di Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini) ne esce un secondo con tutta la produzione giornalistica, dai primissimi anni Cinquanta alla morte nel 1971.
Luciano Bianciardi si poteva finora archiviare con le 15 parole che non si negano alle celebrità di nicchia: scrittore tosco-milanese, autore di La vita agra (notevole), morto appena quarantanovenne per abuso di alcol. Il classico talento letterario dissipato nel giornalismo e nella grappa. Bianciardi batteva a macchina tutta la settimana box, boxini e rubriche per decine di testate [...]. Solo la domenica si riposava e scriveva i suoi romanzi. Raccolti nell’Antimeridiano 2, i suoi articoli non sembrano pezzi d’occasione, buttati giù un tanto al rigo, ma un’opera unica, la cronaca in diretta dell’Italia e della Milano del boom.
L’eroe di questa epopea è l’Italiano Medio. Eccolo in vacanza, una delle grandi conquiste sociali dell’epoca, assieme all’automobile e agli elettrodomestici (con la televisione al posto d’onore): «Qual è la sorte estiva dell’italiano medio, bene in regola col canone di abbonamento..., ligio alle norme repubblicane, e villeggiante con la famiglia su una qualche riviera della penisola? Ha passato la sua giornata con moglie e figli al mare, ha desiderato la donna d’altri, se ne è pentito, ha dovuto accontentarsi della donna sua, e si prepara da buon padre di famiglia incensurato alla sua legittima sera televisiva. Si versa un aperitivo, ascolta i rumori della cucina, dove la consorte prepara mozzarelle, pomodori e melanzane fritte. Si siede in poltrona e ordina al figlio disubbidiente di accendergli il televisore. Sono le otto e trenta, grazie all’ora legale c’è ancora luce, ma per fortuna comincia a fare un pochino di fresco. È l’ora del telegiornale». [...]
Bianciardi si era laureato alla Normale di Pisa con il filosofo Calogero. La mamma (maestra elementare, il padre era un cassiere di banca), lo aveva costretto a essere sempre il primo della classe. Lui lo fu ma sedendosi all’ultimo banco della società, vicino ai minatori dell’Amiata che gli scoppiarono sotto il naso per il grisù e che lui sognò di vendicare con un attentato nel suo romanzo più bello e più agro.
Solo il primo della classe poteva osservare, guardando la tv, che il modo di ballare delle gemelle Kessler (sogno erotico degli italiani di allora) ricordava il passo di marcia dei soldati della Wehrmacht. Solo il primo della classe poteva cogliere in Walter Chiari «il candore quasi musulmano del bigamo». Oppure intuire che una banale intervista televisiva a Gianni Rivera era in realtà un dialogo da teatro dell’assurdo, da Ionesco: «“Come le è parsa l’Inghilterra?” “Ho visto molto poco. Eravamo in ritiro”. “Sa che lei gioca benissimo?” “Bè, faccio del mio meglio”. “Dove andrà in vacanza?” “Non ho ancora deciso”. “Preferisce il mare o la montagna?” “Un po’ il mare, un po’ la montagna”. “Allora grazie, signor Rivera, e buongiorno”. “Speriamo”».
Montanelli, che di primi della classe, di stile di scrittura e di temperamenti anarchici se ne intendeva, gli offrì un posto d’oro al “Corriere”. Lui rifiutò. Niente elzeviri di Terza Pagina sul più grande quotidiano italiano ma boxini di costume sulle riviste per soli uomini dove recensiva tutto, dai juke-box ai flipper, dalle annunciatrici Rai [...] ai primi supermercati [...].
Dal suo ultimo banco comprese, prima di Warhol e di Eco, i meccanismi di fondo che regolano la società di massa. Scrisse a cottimo, in forma di rubrica giornalistica, il romanzo più divertente e intelligente dell’Italia di quegli anni (si trova sparso tra queste duemila pagine). Dicevano di lui (ma spesso se lo diceva da solo) che era un provinciale inguaribile (il suo culto per I Vitelloni di Fellini), un arrabbiato di professione, un rompiscatole a pagamento, un precursore della Milano da bere in senso letterale. Ma chi era veramente forse non si capirà mai, il suo mistero è chiuso in lui. Luciano Bianciardi era Luciano Bianciardi era Luciano Bianciardi...

“Corriere della sera”, 5 febbraio 2008