Aureliana Strulato

Quando l’arte racconta. Anni Venti in mostra tra Genova e Vicenza

ANNI VENTI in Italia - L’età dell’incertezza. Genova, Palazzo Ducale - 5 ottobre 2019 /1 marzo 2020- A cura di Matteo Fochessati, Gianni Franzone |  RITRATTO DI DONNA - Il sogno degli anni Venti e lo sguardo di Ubaldo Oppi. Vicenza, Basilica Palladiana - 6 dicembre 2019 /16 aprile 2020. A cura di Stefania Portinari

Ci pare giusto ritornare sul valore delle due belle mostre dedicate agli Anni Venti, inaugurate a Genova e a Vicenza alcuni mesi fa, ormai prossime alla chiusura. Se ne esce arricchiti per più ragioni, e non solo estetiche, con la gratitudine di avere imparato molte cose dalla bellezza dell’arte, su una stagione complessa della storia, attraversata da realtà e impulsi contrastanti che ci rimandano anche al nostro presente. E ci si chiede quanto, delle passate celebrazioni del centenario della Grande Guerra, e delle rinnovate ricerche e ristampe di memoriali censurati sul nascere, poi caduti in oblio, avrà contribuito in ambito artistico a rinnovare attenzione e consapevolezza sui costumi, gli umori e il sentire - totalmente stravolti - alla fine di un immane conflitto che squarciò le coscienze, smascherando ulteriori miserie umane.

Certo, appare tangibile l’appassionato impegno con cui i curatori dei due eventi hanno saputo dare il giusto rilievo ad artisti che appartennero all’articolato movimento del Novecento italiano; i quali, sopravvissuti alle stragi di una guerra senza pari, in parte reduci da ferite o dalla prigionia, dopo il 1919 s’impegnarono a rinnovare l’interrotto percorso delle avanguardie europee a inizio secolo: da alcuni di loro conosciute e frequentate a Vienna in Germania e a Parigi ancora giovanissimi, fino a portarne traccia nelle opere più mature.  

Usciti dalla guerra, guardarono alla grande lezione del classicismo quattro-cinquecentesco italiano per ispirarsi a un ordine e a una compostezza formali che forse appagavano il diffuso bisogno di ricomporre i tanti pezzi del loro mondo imploso.

Ritratti, nature morte e paesaggi furono i soggetti prescelti, ampiamente documentati dalle tele esposte nelle mostre, entrambe corredate da cataloghi ricchi di ottimi contributi e affini nell’allestimento che invita alla concentrazione, con il giusto risalto dato a ciascuna delle opere, raggruppate in diversi percorsi a tema lungo nere pareti, dove la luce cade su colori e manufatti sprigionando continue suggestioni. 

A Genova si guarda agli Anni Venti come “età dell’incertezza” in una società colpita dalla guerra (Anselmo Bucci, Millenovecentodiciotto; G.Battista Costanti, Ritorno alla vita; I reduci di Lorenzo Viani e di  Ardengo Soffici), ferita dai lutti (Carlo Potente, La cena dei rimasti; Galileo Chini, Le vedove; Ettore Beraldini, La canzone del Piave), sollecitata da nuovi bisogni e inquieta nelle scelte (Sesto Canegallo, La folla; Sexto Canevallo, Ritratti Bizzarri); e in una vita fatta di stenti, in campagne o interni abitati da donne sole o “in attesa” (Felice Casorati, Ragazza con scodella; Pompeo Borra, Le amiche; Cagnaccio di San Pietro, La sera/Il rosario) e in città illuminate ma prive di accoglienza (Leonardo Dudreville, Un caduto; Aroldo Bonzagni, Rifiuti della società).   

Interni opulenti di case borghesi e persino luoghi di spettacolo come il circo o il varietà tradiscono sentimenti d’inquietudine, turbamento, ambiguità, presenti nelle opere raccolte sotto il titolo “Irrazionalità” (Alberto Martini, Modelli e fantasmi nel mio studio), “Alienazione” (Gian Emilio Vedova, Maschere) e “Identità” (Ram, Grande nudo giovanile; Filippo De Pisis, Ritratti a matita di ragazzi; Ferruccio Ferrazzi, Bambola nella vetrina). Si attraversa un universo di storie, nella lunga serie di opere esposte; a partire dall’ estatica atmosfera della stupefacente In tramdi Virgilio Guidi, dove l’incredibile luce sospesa, che irrompe nel mezzo, evidenzia linee di cose e viaggiatori in una fissità incantata: perfetta a rappresentare la grande suggestione del “realismo magico”.

Antonio Donghi, tra i principali esponenti di questa importante componente del Novecento, è presente nella serie dei Ritratti che aprono la rassegna genovese – tutti interessanti, dedicati a familiari o ad amici del mondo dell’arte, della critica, della musica - con un quadro in cui egli ritrae l’amico poeta Lauro de Bosis, curatissimo ed elegante in smoking scuro, lo sguardo fermo e serio davanti a sé. Intellettuale di agiata e colta famiglia italo-americana, funzionario di organismi internazionali e insegnante negli Stati Uniti, pagò il suo antifascismo radicale ma velleitario cadendo in volo al largo della costa toscana, dopo avere sorvolato Roma inondandola di manifesti inneggianti alla caduta del fascismo, invocando all’aiuto del re e del papa: un modello di eroe tardoromantico fuori tempo, in una stagione che inneggiava all’eroismo epico di matrice romana e a ben altri ardimenti.  Nella stessa sezione troneggiano in elegante conversazione I tre chirurghi, tela di Umberto Oppi, artista originale che dal 1922 fu tra i fondatori del Novecento insieme a Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Sironi. Dopo una giovinezza vissuta avventurosamente a Vienna, in Germania, a Parigi, combattente ferito sul Pasubio e in un secondo tempo fatto prigioniero a Caporetto, rientrò da Mathausen a Vicenza - dov’era cresciuto – per trasferirsi a Milano nel ’21, facendo parte degli artisti del Gruppo del Novecento fondato da Margherita Sarfatti (anche se il suo primo sostenitore era stato il critico Ugo Ojetti ).

Il notevole dipinto in mostra a Genova, esposto con fortuna alla milanese Galleria Pesaro nel 1927, rappresenta un ideale filo rosso fra le due rassegne, accostandosi nel tema a un altro quadro di Oppi visibile a Vicenza, Il chirurgo, del 1919, in cui più evidenti sono gli echi dell’espressionismo nordico frequentato nei viaggi giovanili dal pittore.

Proprio alla formazione di Umberto Oppi si riferisce il “sogno degli anni Venti” alla mostra allestita in Basilica Palladiana, che pone al centro  gli eleganti ritratti di donna di cui Oppi celebra la bellezza, senza dimenticare il mondo degli umili e la sua cruda rappresentazione (vd. Miseria.La famiglia dei profughi, 1914). Ritratti femminili affiancati da opere coeve di artisti già presenti al Ducale di Genova i quali, a Vicenza, tornano utili a comprendere e a interpretare affinità, corrispondenze, difformità fra le tante espressioni dell’avventura novecentista italiana.

E se nel ricordo restano indelebili gli splendidi ritratti di Oppi dedicati alla moglie (Sullo sfondo di Venezia del 1921, La giovane sposa, del 1922-1924, il duplice Ritratto del 1922 e altri del 1924 e del 1928), oltre alla tela conturbante di Le amiche, che dà immagine al manifesto e alla copertina della mostra, di certo non si resta indifferenti alla serie di  pensierose Ragazze di Achille Funi, al Concerto di Felice Casorati (a confronto con Le amazzoni di Oppi dello stesso 1924); né a La disegnatrice/Ritratto di Felicita Frai di Carlo Sbisà (che bene starebbe accanto a L’infermiera ritratta da Lia Pasqualino Noto, che abbiamo scoperto a Genova); e tantomeno alle incantevoli La straniera, di Bortolo Sacchi, 1928, e alla dorata, modernissima figurina in giallo Nel parco di Amedeo Bocchi, 1919;  che pur nella diversità del colore e del paesaggio alle spalle delle protagoniste ( qui più caldo e solare) rimanda all’atmosfera seducente e sospesa, in penombra azzurra, di Calma argentea, Ritratto di Alma Fidora, 1922, esposta al genovese Palazzo Ducale.

La forza della storia sta anche nelle immagini; e il mito ce lo insegna. Per questo, forse, proviamo gratitudine nello scoprire tanta bellezza con l’impressione di avere anche fatto qualcosa di buono, imparato di più. In uno spazio che qui lascia libera la vista sull’ampia volta lignea del soffitto carenato di Palladio: uno scrigno perfetto, per i gioielli di Oppi e dei suoi compagni di viaggio.