Danila Boggiano
Su “Aneddoto
terrestre” di Wallace Stevens
ANEDDOTO TERRESTRE
Ogni volta che i
cervi scalpitavano
attraverso
l’Oklahoma
un gatto di fuoco gli sbarrava la strada.
Dovunque andassero,
scalpitavano,
finché piegavano
in una linea veloce, circolare,
a destra
a causa del gatto
di fuoco.
O finché
piegavano
in una linea veloce, circolare,
a sinistra
a causa del gatto di fuoco.
I cervi
scalpitavano.
il gatto di fuoco balzava,
a destra, a
sinistra,
e
gli sbarrava la strada.
Poi, il gatto di
fuoco chiudeva gli occhi luminosi e dormiva.
(Wallace Stevens, Tutte
le poesie, a cura di Massimo Bacigalupo,
Mondadori, Milano 2015)
Credo che la prima
domanda che suscita la lettura di questo testo di WS sia che cosa rappresenti
il Gatto di fuoco. Il Perturbante, forse, la Musa, Amore, e anche Morte, la
Mente, in ogni caso elementi senza Spazio né Tempo, eppure necessari per
definire l'uno e l'altro. Kant insegna...
E poi, che cosa ha alle
spalle? Caduto dal cielo o suscitato dagli inferi, infinito che esige il
limite, per una sorta di garanzia-bisogno da parte dei cervi che si muovono in
massa, necessariamente il Gatto di fuoco è nella solitudine, in sé e per sé,
costretto dalla sua stessa natura a costringere i cervi dentro la circolarità
dell'angoscia, della sconfitta.
I Cervi - pensieri? -
partecipano tuttavia, nel loro assecondare le sollecitazioni del Gatto di
fuoco, della sua natura, lo riconoscono e lo temono.
Duplice, speculare
inseguimento. Penso al Franco cacciatore in Caproni.
Quel “poi” finale, lascia
dietro di sé come uno spazio bianco, il tempo della nostra riflessione, forse.
Ancora gioco tra Mente e Pensieri, o meglio l'impressione scaturita dalla
lettura che va a suscitarli.
Così la poesia è in noi e
da noi riscritta.
Poi... il Gatto di fuoco
chiude i suoi occhi, non per rinuncia- sono luminosi, infatti-, ma come per
concentrarsi su un nuovo tentativo di costringere i cervi dentro un recinto
conveniente da dove, è certo, ancora e ancora tenteranno di evadere incontro a
nuovi timori e sfide e sconfitte.
Eterno ritorno. Tempo
incessantemente perduto e ritrovato.
WS avrebbe potuto
attribuire al Gatto di fuoco non il sonno, ma la sua finzione come accade nel
piccolo grande racconto di Kafka “Il silenzio delle sirene” che fingono di
cantare per vanificare tutti gli accorgimenti di Ulisse e deriderlo, così
caduto dentro il tranello della loro ambiguità, in realtà ingannate dal loro stesso
inganno, dal momento che pare che Ulisse si sia accorto della simulazione del
loro canto.
Ma... che cosa accadrà
dopo il sonno del Gatto di fuoco? Si saranno illusi i cervi di averlo domato, o
lui loro? Dove la vittoria e la sconfitta? Nessun messaggio da consegnare da
parte del messaggero imperiale, solo il “vetro barbarico” su cui appoggiare la
fronte, la sera, a rincorrere l'0mbra del merlo.
Danila
Boggiano è autrice fra l’altro di Piccole foglie e
sparse (San Marco dei Giustiniani, 1997), La pazienza del Tempo
(Edizioni di Resine 1999), La tessitrice di vento (La Mani, 2004).