Massimo
Bacigalupo
Amy Levy, sguardo spietato sulla borghesia ebraica vittoriana
Un incontro inaspettato e benvenuto ci è
proposto dall'editore L'Iguana e dalla traduttrice Paola De Camillis
Thomas: un breve romanzo di Amy Levy, intellettuale
vittoriana perita suicida nel 1882, ventottenne. Si intitola Reuben Sachs (testo inglese a fronte, pp. 285,
€18) e intrigherà sicuramente lettori e lettrici per l'acume spietato dello
sguardo di Amy sulla borghesia ebraica londinese a
cui apparteneva, e per la capacità di incuriosire sul destino fatale dei
personaggi. Sono giovani di belle speranze, specie il protagonista titolare,
trentenne avviato a una importante carriera politica, e disposto a sacrificare
tutto a tal fine. Anche l'amore. Vera eroina infatti non è il cinico e a suo
modo limitato Reuben ma la giovane che, segretamente
riamata, lo ama, Judith Quixano. La vicenda verte
intorno al fatto che Judith proviene da una famiglia impoverita e Reuben deve necessariamente "sposare denaro" per
facilitarsi la carriera. E non c'è nessun dubbio da parte di nessuno che solo
il denaro decida della vita e dei matrimoni.
Si
dice che Reuben Sachs (1888) sia un controcanto al Daniel Deronda
(1876) di George Eliot, il romanzo "sionista" a cui pare si debba la Dichiarazione
Balfour e la nascita dello Stato di Israele, e che si
raccomanda non per la vicenda idealizzata del protagonista eponimo ebreo ma per
la trama secondaria di mondanità e frustrazione. Alla visione idealizzata dell'ebraismo
inglese della George Eliot, Amy risponderebbe con la
sua denuncia di un mondo bassamente commerciale dove prevale il cattivo gusto,
la negazione di ogni interesse che non sia l'arrivismo e il tornaconto. Anche
fisicamente l'ebreo è sgraziato: Reuben "indossava
abiti di buona qualità, che però non riuscivano a celare un corpo disarmonico e
i movimenti goffi: inequivocabilmente la figura e il portamento di un
ebreo". I Leuniger, che hanno adottato la
parente povera Judith, "non lesinavano su cibo, abiti o mobili, andavano
costantemente a teatro nelle prime file senza badare a spese, ma consideravano
ogni scellino speso in libri puro sperpero".
La
giovane Amy Levy descrive senza commenti la posizione
delle donne, con protesta tutta implicita. C'è la madre che preferirebbe vedere
la figlia morta che sposata a un cristiano. C'è la preghiera pronunciata con più
fervore in sinagoga: "Sii benedetto tu, Signore Dio nostro, che non mi hai
fatto donna". E la nostra bellissima e intelligentissima Judith non può non
conformarsi e sposare una ricca nullità, un convertito all'ebraismo, pecca solo
in parte ripagata dal bel nome in società. Terribile, tutto. E molto
intrigante.
Da
brava scrittrice vittoriana Amy Levy fa precedere a
ogni capitolo una citazione poetica spesso ironica, e non di rado allude a
testi profani e religiosi. Le utili note ci aiutano a chiarire questi e altri
riferimenti topici. Amy Levy fu una delle prime
studentesse ebree ammesse all'università di Cambridge. Pubblicò articoli e poesie
ancor oggi ricordate. In una lirica rievoca tenere passeggiate a Bellosguardo
con Vernon Lee, l'egeria mascolina di Mario Praz, o irride la convenzione del matrimonio. Ma nella
passeggiata con Vernon Lee "il nostro discorso verteva su Arte e Vita / e
i doni che gli dei diedero a ciascuna: / Speranza a te, a me
Disperazione". Infatti Amy Levy era soggetta e a
gravi depressioni e a un'incipiente sordità, che la condussero, forse con le
delusioni sentimentali accennate in altre poesie, al suicidio. Non altrettanto
tragico il destino della bella e acuta Judith di Reuben Sachs, che, prigioniera di un matrimonio di convenienza scelto
scientemente, realizza in conclusione che la vita le riserva un'altra sorte. "Le
vie della gioia, come quelle del dolore, sono tante".
Reuben Sachs è scritto con un
certo distacco ironico e si sofferma con precisione su ambienti e tutta una
galleria di figure del grande geloso clan all'interno del quale si svolge la
vicenda. L'abilità della Levy è tale che ricostruiamo i complicati rapporti di
parentela fra i personaggi, assistiti dall'indispensabile albero genealogico fornito
all'inizio. La sorella e la madre di Reuben che guardano con una certa preoccupazione la sua
simpatia per Judith ma si rassicurano pensando che "Reuben
non farà mai nulla di avventato". Tutto è calcolo. Così si va verso le
grandi scene in cui si decide di un destino, e che Amy
Levy sa gestire con efficacia.
Questa
prima edizione italiana di un suo romanzo (scrisse un'altra storia di donne --
non ebree -- che aprono un negozio di fotografia, The Romance of a Shop) ha il pregio di presentare a fronte il testo
inglese, purtroppo incorso in un infortunio digitale, sicché spesso manca di
punteggiatura, ma comunque si lascia ricostruire, con minore difficoltà della
genealogia vittoriana della grande famiglia ebraica di Reuben
Sachs.
Una curiosità. Quest'anno in Francia il testo obbligato scelto per la licence
all'insegnamento superiore era Middlemarch (1871) di George Eliot, e l'editoria francese
come sempre in questi casi si è affrettata a commissionare studi di quel
capolavoro. È infatti curioso che in Francia tutti siano chiamati a leggere lo
stesso libro. Naturalmente George Eliot, morta quando Amy
Levy aveva 19 anni, ha una visione sinfonica e acutezza di sguardo
impareggiabili. Ma della sua
intelligenza e arte narrativa Amy, pur prendendo le
distanze dalla sua rappresentazione dell'ebraismo, è una nipote non indegna,
autrice dopotutto di un romanzo come Reuben Sachs che
comunica pensiero e passione. E insomma è (come si dice in inglese) "a good read".
“Il
manifesto-Alias Domenica”, 11 febbraio 2021