Wolf Bruno
Arte Cruda 16
(Annie
Lebrun, rip)
Sul
n. 4 de “L’Archibras”, rivista surrealista
sopravvissuta a Breton e affidata alle cure del suo “erede” Jean Schuster ,
alle edizioni “Terrain Vague”
di Eric Losfeld e alla bella impostazione grafica di Pierre
Faucheux apparve un ironico tributo al generale De
Gaulle che deciso a non dimettersi a fronte delle manifestazioni del maggio
1968 vedeva organizzarsi un’imponente manifestazione dei suoi seguaci con in testa
il vecchio Malraux. Il numero, sequestrato, benché elaborato a fine maggio,
portava la data del 18 giugno, giorno che corrispondeva all’appello da Radio
Londra del 1940 che è considerato il punto di partenza della resistenza contro
l’occupante tedesco. A redigerlo ci pensarono Jean Schuster,
Vincent Bounoure, Claude Courtot,
Gérard Legrand, José Pierre, Georges Sebbag e Jean-Claude Silbermann . Fra loro anche Annie Le Brun
che con Claude Courtot vi pubblica Vive les Aventurisques! Nel numero precedente aveva
intrecciato un suo testo di Preliminari a
un’Eva Futura con le illustrazioni di Toyen (Manka Cerminova), una delle
fondatrici del gruppo surrealista praghese ancora ben articolato nel 1968
quando insieme ai parigini i suoi ultimi componenti figurarono nel n.5 de “L’Archibras”, consacrato alla denuncia dell’invasione
sovietica della Cecoslovacchia.
“Abbiamo
scorte di sogni e munizioni di trovate” avevano proclamato sulla rivista,
tuttavia il “castrista” Jean Schuster decise per lo
scioglimento del gruppo e distinse (su “Le Monde”) fra “surrealismo storico” e “surrealismo eterno”. Giovani e meno giovani si opposero a
questa decisione unilaterale e fecero uscire il “Bulletin
de Liaison Surréaliste” (fra il 1970 e il 1976)
mentre analoghe iniziative, prescindendo dai parigini, si segnalarono un po’
ovunque (“Surrealism Now” in
Inghilterra e Olanda paese nel quale
tuttavia dal 1964 si era creato un gruppo attorno alla rivista “Brumes Blondes”, “Gradiva” in
Belgio, “Arsenal” e “Surrealist
Intervention” negli USA, “The Moment” in Australia, “Melmoth” nel Regno Unito, “Luz negra” in Spagna, “Poddema”
in Argentina).
I
liquidatori si attestano su una nuova rivista “Coupure” (7 fascicoli, sempre
editi da Losfeld) alla quale partecipa anche Annie Le
Brun finché giudiziosamente non si sposta sul
collettivo di “Maintenant” (titolo che riprende
quello della rivista di Cravan del 1913) che è anche
il nome della casa editrice fondata dal marito Radovan
Ivšić, poeta libertario croato amico di Breton che
si trovò ostacolato in patria prima da Ante Pavelic e
poi da Miroslav Krleža,
grande scrittore ma vice segretario dell’Accademia jugoslava delle scienze e
delle arti.
Con Maintenant Annie Le Brun pubblica alcune plaquettes, ancora
in collaborazione con Toyen, fra le quali la
deliziosa Annulaire la lune. Poco dopo con Lâchez tout, un libro-invettiva contro le imposture burocratiche e gesuitiche del
femminismo (“stalinismo in sottoveste”, materia ripresa anni dopo in Vagit-prop)
si qualifica come la sorprendente, acuta e impetuosa saggista che sarà riconosciuta
negli anni successivi.
Qualche puntualizzazione, arrivati al momento della
produzione che più caratterizza la presenza di Annie Le Brun
nel biasimato milieu culturale e nella continuità col surrealismo, è quantomeno
necessaria per contribuire a buttar giù dal piedistallo, come amava fare la
scrittrice, anche lei, per quanto non sia facile essendosi cautelativamente collocata
in una zona indefinita fra la grande cultura e le frange decorative.
Il surrealismo, con la sua grandezza e sontuosità, è
servito a non pochi da copertura. L’antitotalitarismo
è la via per salvarsi la coscienza. Abbassare
le pretese della ragione col primo e lanciare accuse a destra e a manca col
secondo è un modo per stare nel magazzino delle intelligenze senza prendersi
troppe responsabilità, ma anzi dando prova di arguzia e, inspiegabilmente
poiché irragionevole chiederla con queste premesse, di coerenza. L’impressione
che si deve dare è che non si scende mai a compromessi (da qualche parte questi
aspetti li maneggiò col solito appassionato ma pungente garbo Mario Perniola). Campionissimo di questo genere sfacciato di spesso
monotono esibizionismo fu Guy Debord
e, bisogna pur riconoscere, che Annie Le Brun non gli
fu seconda, solo forse un po’ più dotata.
La
giovane Le Brun volle incarnare la poesia come fosse
la vita stessa (per cui la mancanza di poesia equivaleva alla mancanza di
senso) quanto la matura seppe far incarnare al “divin
marchese” la ragione nella sessualità. Ciò nondimeno vide bene nel collegare la
maledizione che colpì l’umanità di Sade quale lato oscuro dell’illuminismo alla
disumanizzazione degli uomini, che poi è il tema cardine dei suoi libri di
filosofia sentimentale, un romanticismo che si vuole “nero” (Bataille docet) posto
surrealisticamente alla difesa delle necessità sovversive dell’immaginazione.
L’ex
operaia e pittrice Toyen, che come abbiamo visto ha
svolto un ruolo caratterizzante nella percezione del surrealismo di Annie Le Brun, immaginava sé stessa come un uomo. Strano che una
fustigatrice delle femministiche fluidificanti fantasie di genere non l’abbia
insolentita ma, al contrario, se ne sia avvalsa. Non meno strano è che la
surrealista Le Brun anziché invocare la catastrofe
come fecero Aragon o Breton ("La fine del mondo,
del mondo esterno, è attesa di minuto in
minuto") si sia adoperata – tramite Jaime Semprun
e l'Encyclopédie des Nuisances - per una riscossa ecologica (Appel d'air)
il cui grande interprete sarebbe da riconoscere in Ted
John Kaczynski, meglio noto come Unabomber, sostenuto
malgrado l’attività terroristica con la prefazione al “Manifesto” sul futuro
della società industriale (non privo di interesse d’altra parte).
“La vita umana è in continua oscillazione fra dolore
e noia” scrisse Schopenhauer e nelle opere della nostra scrittrice si coglie un
retrogusto del genere, ma è perlappunto un retrogusto dal momento che per
combattere "il corridoio pestilenziale in cui l'uomo si trova
impegnato" (Breton) ha dalla sua, coerente coi surrealisti, nientemeno che
Fourier, colui che per noi uomini del futuro aveva previsto un mare di limonata
(quando anche nell’adorato Sade c’era una punta di pessimismo che con
l’utopista viene emendato). La limonata, un termine che gergalmente indica
anche l’intimità senza penetrazione, combatte dunque la voluttà alla quale
sacrificando tutto “quell’essere infelice che chiamiamo uomo finito suo
malgrado in questo universo”, come diceva Dolmancé in
La Filosofia nel Boudoir, “può
riuscire a spargere qualche petalo di rosa fra le spine della vita”.
Un
certo ruvido esercizio della critica rende tutto più facile e io, al pari della
Le Brun, ne ho approfittato. Con un cappello
pressapoco storico ho voluto dare l’impressione di padroneggiare come pochi la
materia. È normale voler fare bella figura e con l’atteggiamento del
rompicoglioni (o dell’emmerdeur,
se si ritiene più indovinato il termine francese) si vuole dar prova di
un’intelligenza che supera anche quella del signore, della signora o della
situazione analizzata. Fare il castigamatti è un po’ farla fuori simbolicamente.
Una frase attribuita a Giuseppe Stalin suona più o meno così: “La morte è la
soluzione a ogni problema. Nessun uomo, nessun problema”. Per rimanere in tema,
il padre dei popoli, il magnifico georgiano diceva d’altra parte che ”tutti hanno il diritto di essere stupidi, ma alcune
persone abusano del privilegio”.