La revocatoria fallimentare: retroattività ed azioni di reintegrazione in Spagna
a cura di Isabel Candelario Macias, Profesora de Derecho Mercantil de la Universidad Carlos III de Madrid
1.- PRESENTAZIONE DELL'ISTITUTO(1):
Una delle questioni più difficili da affrontare nella pratica del procedimento del fallimento spagnolo è la delimitazione della massa destinata a soddisfare i creditori.
A nessuno sfugge che il fallimento non si produce in modo improvviso. Di norma viene preceduto da un periodo più o meno lungo durante il quale l'impresario tratta, per prima cosa, di rimediare alla sua situazione e, dopo, di diminuire gli effetti dell'inevitabile fallimento con operazioni sui suoi beni pregiudizievoli per tutti i creditori, o in beneficio di alcuni e pregiudizievoli per altri.
Contro questo pericolo ha reagito la Legge in ogni momento storico. Il Diritto Romano conobbe la actio pauliana ordinaria allo scopo di impugnare gli atti del debitore fatti in frode ai creditori; azione conosciuta da tutti gli ordinamenti legali e concretamente dal nostro codice civile (art. 1111 e 1291.3).
In caso di fallimento tuttavia non risultava sufficiente la protezione che offriva questa azione e fu necessario fissare un sistema di nullità per determinati atti del fallito anteriori alla dichiarazione di fallimento, riconoscendo al giudice allo stesso tempo la facoltà di determinare, facendo riferimento alle circostanze del caso, il periodo immediatamente anteriore al fallimento durante in quale avrebbero dovuto realizzarsi gli atti annullabili, oppure fissando la Legge questo periodo, oppure ancora stabilendo un sistema misto (2), come è in realtà il nostro (3).
Secondo quanto detto, possiamo fare differenza tra la actio pauliana classica ereditata dal Diritto civile e la actio revocatoria fallimentare. Infatti, l'azione pauliana pretende proteggere i creditori di fronte al debitore che non rispetta la garanzia disposta dall'articolo 1911 del Codice civile. Di modo che sono necessari come requisiti per l'esercizio dell'azione: 1° Credito che l'azione deve proteggere. 2° Risultati dannosi. 3° Frode. 4° Atto che si impugna.
Allo stesso modo, l'azione revocatoria fallimentare tende a proteggere il creditore frodato dal debitore nel fallimento, però partendo da presupposti diversi da quelli che determinano l'azione pauliana. In questo caso non è necessaria la frode, posto che il fallimento suppone l'insolvenza del debitore e con quella si pretende stabilire la par condicio creditorum. Così si richiede: 1°. La dichiarazione formale dello stato di cessazione, realizzata nella sentenza dichiarativa di fallimento o in altra sentenza successivamente. 2°. L'insufficienza del patrimonio (netto) del debitore per soddisfare integralmente l'importo dei crediti fallimentari. 3°. L'esistenza di un determinato atto giuridico che la Legge dichiara espressamente revocabile nell'interesse della massa dei creditori.
Quindi, la chiamata revocatoria fallimentare rappresenta nel nostro sistema giuridico l'esercizio di azioni di inopponibilità, rispetto agli atti giuridici eseguiti dal debitore durante il periodo sospetto, e che siano ritenuti fraudolenti o clandestini secondo quanto stabilisce la Legge in quanto vanno in pregiudizio della par condicio creditorum (4).
Di modo che la revocatoria si inquadra nel sistema giuridico spagnolo grazie a tre elementi distinti, vale a dire:
a) alcuni atti vengono dichiarati nulli poiché compresi nel periodo di retroattività della dichiarazione di fallimento, fissato dal giudice, secondo il caso.
b) altri si ritengono inefficaci per essere stati realizzati in determinati periodi anteriori alla dichiarazione di fallimento che la Legge segnala.
c) e altri, anch'essi realizzati in determinati periodi di tempo anteriori alla dichiarazione di fallimento, potranno essere annullati previa prova che vi era intenzione di defraudare i creditori.
In qualsiasi caso, dobbiamo sottolineare che la finalità di questi istituti è indirizzata a reintegrare il patrimonio - o impedire che non siano più in possesso - i beni, crediti o i diritti che costituiscono la proprietà del debitore e che costituiscono il pegno comune dei suoi creditori.
In tal modo, il legislatore in difesa dei creditori permette lo sviluppo dell'azione revocatoria fallimentare che implica quanto segue:
1. INABILITAZIONE del fallito, per il solo fatto della dichiarazione di fallimento da parte dell'amministrazione e disposizione dei suoi beni (art. 878 Codice del Commercio).
2. RETROATTIVITA' degli effetti del fallimento fino al periodo o al giorno in cui il fallito abbia smesso di pagare le sue obbligazioni correnti. E, di conseguenza, annulla ipso iure tutti i suoi atti di disposizione e amministrazione posteriori a tale epoca (art. 872 paragrafo 2).
3. PERIODO SOSPETTO, significa che si parte dal presupposto che anche prima della cessazione del pagamento corrente delle sue obbligazioni il fallito attraversa un periodo anormale.
4. ATTI OGGETTO DELLA REVOCA, secondo quanto detto anteriormente, la normativa fallimentare spagnola stabilisce in modo esaustivo gli atti che, per essere eseguiti nel periodo supra menzionato, non hanno efficacia rispetto ai creditori, o ipso iure (art. 879 e 880), o a richiesta dei creditori (art. 881 e 882), tutti del Codice del commercio.
A) LA RETROATTIVITA':
Dice il paragrafo 2° dell'art. 878 del Codice del Commercio spagnolo: "tutti gli atti di disposizione e amministrazione (del fallito) successivi all'epoca rispetto alla quale retroagiscono gli effetti del fallimento saranno nulli".
Si osserva che secondo il paragrafo 2° delll'art. 878 del Codice del commercio gli atti realizzati in pregiudizio dei creditori saranno nulli (5). Risulta evidente, per tanto, che la finalità della retroattività ha un'evidente connessione con quella stabilita per il procedimento del fallimento in generale, già che, come tutti sanno, si tratta di assoggettare tutto il patrimonio del debitore a un procedimento che permetta di soddisfare i crediti (6). Così la retroattività implica la concorrenza di due requisiti: 1) la realizzazione degli atti o contratti nel periodo di retroattività e; 2) il suo carattere pregiudizievole per i creditori (7).
In tal modo il paragrafo 2° dell'art. 878 proclama la nullità degli atti di disposizione e di amministrazione successivi al periodo rispetto al quale retroagiscono gli effetti del fallimento e il cui fondamento (8) si trova nel non voler pregiudicare la massa generale dei creditori sia sottraendo parte dei beni toccati dall'adempimento (9) delle obbligazioni del debitore comune, sia stabilendo tra i creditori, individualmente considerati, un trattamento diseguale, incompatibile con la par condicio creditorum. Si capisce così come questo procedimento riposi sulla non disgregazione del patrimonio (10).
Così da un punto di vista processuale è nella sentenza dichiarativa del fallimento che il Giudice può dare o non dare alla stessa effetti retroattivi. Nel primo caso fissa concretamente la data fino alla quale retroagiscono gli effetti della dichiarazione e quindi, per applicazione di quanto disposto dal testo (art. 878 già commentato), tutti gli atti di amministrazione del fallito successivi a tale data saranno nulli. Se la sentenza non stabilisce la retroattività degli effetti del fallimento fino alla data anteriore alla dichiarazione, la nullità solo riguarderà gli atti posteriori a tale data. Gli atti contemporanei alla data di retroattività o della dichiarazione di fallimento devono ugualmente ritenersi nulli (si veda la sentenza del 13 febbraio 1960).
Si tratta di una nullità assoluta o di pieno diritto, che produrrà effetto rispetto a tutti (con indipendenza dalla situazione di ignoranza o di buona fede nella quale si trovi il terzo, secondo la sentenza del 21 maggio del 1960) non avrà bisogno di essere chiesta né dichiarata giudizialmente, e fa ritornare alla massa ipso iure quei beni che uscirono dal patrimonio del debitore come conseguenza di tali atti nulli (11).
Adesso, dobbiamo sottolineare che il Tribunale Supremo spagnolo ha corretto (12) l'interpretazione letterale della nullità assoluta che deriva dal precetto commentato, anche se con alcune riserve già che l'idea centrale che giustifica questa istituzione secondo l'Alto Tribunale deriva dal fatto che ci troviamo di fronte ad una situazione di "ordine pubblico" che appartiene ai precetti sostanziali e processuali, che regolano il fallimento - e concretamente l'art. 878 del Codice del commercio -, in difesa dei creditori e dell'economia pubblica. In tal modo la giurisprudenza afferma che gli interessi del fallimento devono prevalere in qualsiasi caso, evitando l'ingiusto sgretolamento della massa in proximum tempus decoctionis.
Cinonostante, la sentenza del Tribunale Supremo del 12 marzo 1993 (13) (RA. 1793) rappresenta un cambiamento di opinione dell'Alto Tribunale, in quanto segnala che la possibile inefficacia radicale dell'articolo citato è suscettibile di essere interpretata come relativa quando non si dimostra che gli atti di disposizione o amministrazione realizzati dal fallito pregiudicano la massa del fallimento. Con l'adozione di questo nuovo criterio il Tribunale Supremo segue una dottrina scientificamente fondata, che si realizza con la necessaria apertura alla realtà dei tempi che già da tempo in materia di retroattività si richiedeva (14).
B) ATTI INEFFICACI IN RAGIONE ESCLUSIVA DEL PERIODO IN CUI FURONO REALIZZATI:
Per determinati atti realizzati in periodi anteriori molto vicini alla dichiarazione di fallimento, la Legge stabilisce una presunzione di frode e dichiara la loro inefficacia, permettendo che possano essere impugnati dai sindaci in rappresentanza dei creditori.
Da un lato, dichiara il Codice che "le quantità che il fallito abbia soddisfatto in denaro, effetti o valori di credito nei quindici giorni precedenti alla dichiarazione di fallimento, per debiti e obbligazioni dirette la cui scadenza sia posteriore allo stesso, saranno restituiti alla massa da parte di coloro che le ricevettero", e che "lo sconto dei suoi propri effetti, fatto dal commerciante entro lo stesso periodo, si considererà come un pagamento anticipato" (art. 879).
Secondo l'articolo 879 sono nulli: "I pagamenti anticipati - in denaro, effetti o valori - di obbligazioni o debiti diretti, incluse lettere di cambio, le cui scadenze siano posteriori alla dichiarazione di fallimento, realizzati nei quindici giorni precedenti alla dichiarazione di fallimento. Lo sconto dei propri effetti fatto dal commerciante fallito nello stesso periodo".
La distinzione che il legislatore stabilisce tra debiti scaduti e non scaduti allo scopo di annullare il loro pagamento se fosse anticipato o prossimo al fallimento, induce a sospettare che il debitore abbia voluto migliorare la posizione di un creditore di fronte ai restanti, frodando la par condicio creditorum. E per ciò, senza ammissione di prova contraria, per il solo fatto di anticipare il pagamento al fallimento, e tenuto conto del periodo sospetto a cui si riferisce, insieme ai trattati (15), il Tribunale Supremo nella sua sentenza del 15 novembre 1928, insieme al legislatore annulla questi pagamenti. Per lo stesso motivo, si annullano gli sconti fatti dal debitore, già che il legislatore li equipara i pagamenti anticipati.
Le conseguenze di queste nullità sono: 1° Che la persona che ha riscosso anticipatamente il debito non scaduto, restituirà quanto ricevuto al fallimento. 2° Che la persona che scontò gli effetti del fallito, restituirà questi effetti al fallimento 3° e che, naturalmente, queste persone diventeranno creditori del fallito nel suo fallimento.
Tenuto conto, nonostante quanto disposto, da una parte, dell'articolo 14 della Legge "Cambiaria e del Cheque" del 1985 relativa alla trasmissione delle lettere di cambio con girata e, dall'altra, dell'articolo 1307 del Codice civile sulle conseguenze dell'annullamento quando la cosa da restituire sia in possesso di terzi, riteniamo per quanto si riferisce allo sconto degli effetti del fallito, che quando tali effetti non possano essere restituiti al fallimento, dovrà reintegrarsi il suo patrimonio, in contanti, al terzo o contrattante che lo scontò al fallito.
D'altra parte, dobbiamo sottolineare che si reputano fraudolente e inefficaci secondo l'art. 880, quando siano stati realizzati nei trenta giorni precedenti alla dichiarazione di fallimento:
1. le trasmissioni di beni immobili a titolo gratuito;
2. le costituzioni in dote di beni propri alle proprie figlie;
3. i trasferimenti di beni immobili in pagamento di debiti non scaduti al tempo della dichiarazione di fallimento;
4. le ipoteche sulle obbligazioni di data anteriore che non abbiano questa qualità, e
5. le donazioni non remuneratorie.
La presunzione è iuris et de iure, non ammette prova contraria (sentenza del 15 novembre 1928) ed esime i sindaci dalla necessità di richiedere un giudizio dichiarativo per riportare alla massa i beni oggetto di questi atti o contratti, bastando in tal senso seguire il tramite del divieto (azione) di riscossione (art. 1375 c.p.c.).
In definitiva, in relazione agli atti tassativamente stabiliti dagli art. 879 e 880 del Codice di Commercio spagnolo dobbiamo dire:
1 1 Che così come la nullità alla quale si riferisce l'articolo 879 ha una base obiettiva (data del pagamento in relazione alla sua scadenza e alla retroattività del fallimento) quella fissata dall'articolo 880 ha una base soggettiva: la fraudolenza. Per ciò l'articolo 880 designa gli atti svolti con "consilium fraudis" o intenzione di frodare in relazione all'alienazione, donazione, etc, quelli svolti da colui che acquista i beni con intenzione di frodare.
2 Che gli atti nulli e inefficaci devono essere, in ogni caso, volontari, o che è la stessa cosa, deve trattarsi di negozi giuridici. Una cosa è che un bene qualsiasi esca dal patrimonio del debitore a causa di un suo atto, determinante o preparatorio - vendita, donazione, sequestro determinato dall'accettazione di una lettera-, e un'altra cosa è che sorga per forza di natura, estranea alla volontà del fallito.
3 Che è indifferente che l'alienazione o diminuzione patrimoniale si sia realizzata mediante operazioni o atti di puro diritto privato - contratto - o con certi atti di Diritto pubblico.
C) ATTI ANNULLABILI PREVIA PROVA DELLA FRODE:
Sono quelli enumerati negli articoli 881 e 882. Dichiara l'articolo 881 del Codice del commercio: "potranno essere annullati a richiesta dei creditori, mediante la prova del fatto che il debitore procedette con l'intenzione di defraudare i loro diritti". Mentre l'articolo 882 precisa che: "potrà essere revocata su istanza dei creditori qualsiasi donazione o contratto celebrato nei due anni anteriori al fallimento, se si possa provare qualsiasi supposizione o simulazione fatta in frode degli stessi".
In realtà, si tratta di presupposti di frode che anche se non fossero raccolti dal Codice del commercio rientrerebbero comunque nell'azione pauliana ordinaria degli articoli 1111 e 1292.3 del Codice civile. Ciò che fa il Codice del commercio è fissare i periodi di tempo anteriori alla dichiarazione di fallimento nei quali devono realizzarsi gli atti affinché si possa procedere all'annullamento. In generale e previa prova della frode, sono annullabili tutti i contratti, obbligazioni e operazioni mercantili del fallito che non siano anteriori di dieci giorni almeno alla dichiarazione di fallimento; d'altra parte, le alienazioni di immobili a titolo oneroso, le costituzioni di doti di beni della società coniugale a favore delle figlie, o qualsiasi trasmissione degli stessi beni a titolo gratuito, sono annullabili se furono realizzati nel mese precedente, e le costituzioni di doti o i riconoscimenti di capitali a favore dell'altro coniuge, così come le dichiarazioni di ricevimenti di denaro o effetti a titolo di prestito, quando siano stati fatti nei sei mesi anteriori (art. 881). Però a parte questo, "potrà essere revocato a richiesta dei creditori qualsiasi donazione o contratto concluso nei due anni precedenti alla dichiarazione di fallimento, se si dimostri qualsiasi tipo di supposizione o simulazione fatta in frode degli stessi" (art. 882) come dicevamo supra.
L'articolo precedente (882) del Codice di commercio, così come i suoi precedenti 880 e 881, si riferisce a determinati atti fraudolenti del fallito. Però si differenzia da quelli per un elemento caratteristico: la simulazione o supposizione. Per tanto solamente quando, oltre alla fraudolenza, e in relazione ad essa, si provi, da parte di colui che impugna, la simulazione che dimostri un'apparenza contrattuale distinta da quella reale, si stabilirà la revocatoria prevista. La sola simulazione o fraudolenza non bastano, devono essere presenti congiuntamente entrambe (16).
Senza dubbio, come nei casi precedentemente esaminati, se si ottiene la revoca di un qualsiasi atto simulato o supposto, ritorneranno alla massa attiva del fallimento i beni che indebitamente sono usciti da essa a causa degli atti revocati, o saranno liberati da qualsiasi gravame che con tali atti siano stati creati. E, allo stesso modo, non avranno efficacia i riconoscimenti di crediti che non corrispondano alla realtà.
Gli atti toccati dall'annullabilità o nullità relativa alla quale si riferiscono gli articoli 881 e 882 del Codice del commercio, sono realizzati fuori dai limiti della retroattività, sebbene sempre all'interno del così detto periodo sospetto, e per tanto di fronte ad essi non si può allegare la indisponibilità del patrimonio. Ciò, in teoria, induce a pensare che i toccati dalla nullità possano intervenire nel fallimento. E se si considera che, secondo il tenore degli articoli 881 e 882 del Codice del commercio, è sufficiente per dichiarare la nullità che l'intenzione di frodare esista solo nel fallito, è logico dedurre che, per quanto riguarda i terzi che contrattarono con il fallito, gli effetti della nullità saranno diversi a seconda del fatto che condivisero o meno l'animus nocendi, ossia a seconda del fatto che vi fosse o meno il consilium fraudis tra il debitore e il terzo.
In ogni caso, la nullità relativa, come quella assoluta, comporta la restituzione alla massa dei beni che uscirono dal patrimonio del debitore in ragione dell'atto annullato; la liberazione degli oneri o gravami che si fissarono sopra i beni del fallito, e l'inefficacia dei riconoscimenti di credito o consegna dei beni (17).
D'altra parte, e per quanto riguarda i terzi che contrattarono in buona fede, non c'è dubbio che possono intervenire nel fallimento, partecipando alla divisione, allo stesso modo dei restanti creditori del fallito. Ciò significa che se i terzi hanno condiviso l'animus nocendi del fallito, hanno dato vita a un consilium fraudis, per tanto si dovrà negare loro il diritto di intervenire nel fallimento conformemente a quanto dispone l'articolo 894 del Codice del commercio relativo ai complici del fallito.
2.- CONCLUSIONI:
I tratti caratteristici della regolamentazione della revocatoria spagnola che dobbiamo evidenziare sono:
Primo: La revocatoria spagnola contempla un sistema misto composto dalla retroattività che presuppone la dichiarazione di nullità (nullità assoluta) di tutti gli atti anteriori alla dichiarazione di fallimento, dipendente dalla data che fissa il Giudice nella sentenza dichiarativa.
Allo stesso tempo, si completa quanto detto anteriormente con diverse nullità relative (annullabilità) facendo riferimento ai casi specifici che si stabiliscono ex lege data e in funzione del periodo di tempo nel quale furono realizzati tali atti, dai 10 giorni fino ai due anni precedenti alla dichiarazione di fallimento. Per questi atti si deve provare che andarono in pregiudizio della massa e del principio della par condicio creditorum.
Secondo: Il nostro sistema è molto rigoroso e risulta conforme con la base e il principio ispiratore del nostro procedimento concorsuale inteso nella sua finalità liquidatrice e, allo stesso tempo, sanzionatrice della figura del debitore. Sebbene sia certo che l'Alto Tribunale spagnolo ha corretto nel tempo questo carattere, continuiamo a confrontarci con questa filosofia rigida e poco realista (praticamente già nell'anno 2000) che vuole punire e non avere fiducia, ab initio, nella persona del debitore/commerciante.
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