Il sogno di mio nonno Bertolino Pietro

 

Il 22 ottobre del 1915 sulle pendici del Col di Lana ai piedi del Cappello di Napoleone, una cima imprendibile per i nostri soldati che attendono senza speranza nelle trincee.

E' notte fonda.

Il terzo battaglione del 50° reggimento di fanteria Parma attende l'attacco imminente nelle immediate vicinanze del castello di Buchenstein.

Un gruppo di soldati attende in silenzio, i volti disperati vengono illuminati a tratti dal fuoco improvviso delle esplosioni, la rassegnazione, la paura, la muta disperazione danzano negli occhi degli uomini abbandonati nel freddo e nella neve che si è posata silenziosamente sul pendio notturno. Alcuni piangono sommessamente, altri ancora guardano nel vuoto senza comprendere, solo pochi stringono il fucile con rabbia. Anche mio nonno è con loro, l'elmetto d'acciaio gli copre la fronte, il fucile trema nelle sue mani, la baionetta innestata riluce ai lampi degli scoppi vicini. Nessuno desidera parlare nel momento dell'addio.

Il tenente improvvisamente rompe il silenzio che minaccia di diventare un grido insopportabile:

"Mi domando se qualcuno si ricorderà di noi, forse scompariremo senza traccia e tutto questo assurdo dolore si perderà nel nulla. Nessuno saprà”

Nessuno fa cenno di risposta.

Passano alcuni minuti nel silenzio rotto a tratti dai rimbombi lontani. Improvvisamente si ode la voce di mio nonno, che sommessamente inizia a parlare apparentemente senza motivo. La sua voce risuona non vera nella battaglia che striscia in lontananza.

 Ho fatto un sogno giorni fa” dice.

“Uno strano sogno”.

Nessuno si muove, i soldati ascoltano in silenzio.

Ho sognato che fra molti anni, in un altro tempo, mio nipote verrà per caso in questi luoghi. I contorni del sogno erano vivi, sembrava tutto reale, ma non c'era più la guerra". Ho visto nel sogno mio nipote vagare con la pena nel cuore su questo pendio dove fra poco moriremo.”

Mio nonno continua nel silenzio oscuro.

 E la sua pena era la nostra pena di oggi, per l'ingiustizia che ora ci porta a morire per nulla, in questo tempo, in questo luogo, in questa notte."

Di nuovo il silenzio.

Il tenente incuriosito dalle parole di mio nonno desidera conoscere ulteriori dettagli del sogno.

Che cosa faceva per ricordarci, tuo nipote?”

Ho visto nel sogno che nella luce della sera osservava il nostro pendio e lacrime di dolore gli solcavano il volto.”

Mio nonno continua a descrivere il sogno impossibile.

Mio nipote scriverà di noi, della nostra disperazione, e molti nel mondo conosceranno il dolore di questa notte”.

Allora il tenente ha un'idea, il tenente che molto aveva letto, e che possedeva una viva immaginazione ricca e seducente.

Sentite, ragazzi!” dice “se veramente Bertolino ha visto il futuro, dobbiamo fare qualcosa per questo nipote che verrà. E' nostro dovere aiutarlo, essergli vicino, dobbiamo farlo.”

Minuti di silenzio.

 Dobbiamo aiutarlo quando verrà, non so se potremo farlo, non so se esisteremo ancora, ma dobbiamo prometterlo tutti, tutti insieme, adesso tutti insieme, nell'ora della nostra morte.”

Ancora il silenzio.

 Io lo prometto”

 inizia un soldato.

Anch'io” dice un altro, e poi un altro ancora in un coro sommesso di voci disperate.

Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo scomparire così senza un grido”.

E' una promessa, lo aiuteremo”

Le sue parole risuonano solenni e definitive. Quasi si stupisce di averle pronunciate.

Improvvisamente si ode il sibilo dei fischietti con i quali gli ufficiali delle compagnie vicine comunicano ai soldati il segnale d’attacco. Una mitragliatrice inizia a rumoreggiare.

Anche il tenente soffia con baldanza nel suo fischietto, afferra la pistola e grida con rabbia:

Dobbiamo andare, è ora, non c’e’ più tempo, ragazzi, ricordatevi che avete fatto una promessa”, poi balza fuori dalla trincea, i soldati lo seguono, e scompaiono per sempre nella notte scura.


bertolino.pietro@libero.it

50° Rgt. fanteria "Parma"

 

 

Nell'Aprile del 2006 casualmente sono passato vicino al castello di Buchenstein ai piedi del Col di Lana da dove il 50° reggimento fanteria "Parma" mosse all'attacco in quel lontano 22 ottobre 1915.

 

Mi sono fermato per un momento e la mia auto  proprio in quel punto è stata danneggiata da un sasso sul selciato e non è più ripartita.

 

Mentre attendevo aiuto,  ho teso l'ascolto ed il vento della sera mi ha portato le voci dei soldati che da allora vagano ancora sul pendio in attesa di pace e di giustizia dopo l'inutile massacro.

Quanto dolore, quanta disperazione ho sentito nel vento, grosse lacrime di dolore sono scese sul mio volto, quel luogo di montagna mi era incredibilmente famigliare, vicino, e suscitava in me opposte sensazioni, un dolore infinito nell'anima, ma anche coraggio e determinazione.

Che cosa volevano questi soldati lontani che mi sussurravano parole nel vento? Non volevano più guerre, non più morti in battaglia , non più violenza.

Volevano tornare dalle donne amate, dai figli in attesa, non volevano morire.

Ho avuto l’impressione di essere proiettato in un altro tempo, oltre i confini del reale, in un mondo impossibile di ombre. Ho avuto la percezione dell’infinito, dell’eternità’ che si apriva di fronte.

 

Tornai a casa. Mi accorsi però di non essere piu' solo, i soldati del 50° reggimento mi avevano seguito in silenzio, erano scesi con me a valle, da quel momento mi sarebbero rimasti  tutti accanto. Mi avrebbero confortato nel momento del dolore, avrebbero sorriso con me in futuri momenti di gioia.