Nato a Firenze nel 1220, esercitò la professione di giudice e notaio, e appartenne alla parte guelfa. Dopo la vittoria dei ghibellini a Montaperti, fu costretto a rimanere in Francia e tornò a Firenze nel 1266 (vittoria dei guelfi nella battaglia di Benevento).
A lui si da il merito di aver introdotto e diffuso a Firenze l’ars dictandi e l’arte della politica. Durante il suo periodo in Francia volgarizzò il «De Inventione» di Cicerone col titolo di «rettorica», inoltre compose la sua opera più celebre: i tre «livres dou trèsor», un trattato enciclopedico in lingua francese che nel 1° libro tratta la filosofia teorica (teologia, storia, fisica, geografia, agricoltura e storia naturale), mentre nel 2° e 3° libro tratta la filosofia pratica (etica, economica, retorica e politica).
Oltre a questa, vanno ricordate anche le opere scritte in versi italiani, come la canzone «S’eo son distretto inamoratamente» e i due poemetti «Il tesoretto» e «Il favoletto».
Di lui possediamo 20 componimenti, 5 canzoni e 15 sonetti; tramandati da due canzonieri. Deve la sua formazione poetica alla scuola siciliana e soprattutto a Guittone d’Arezzo, anche se in seguito si allontana dalla maniera poetica di Guittone.
Le sue opere influenzarono la poesia successiva e diede particolare importanza a temi come la coincidenza fra amore e cuore gentile, il senso di drammatica stupefazione che coglie l’innamorato alla vista della donna e la virtù beatificante dell’esaltazione della bellezza della donna.
Al
cor gentile rempaira sempre amore
E una canzone sovraccarica di similitudini, che dimostra come non può esserci cuore gentile senza amore e, come non può esserci amore senza gentilezza.
Dimostra come la gentilezza sia alla base dell’amore, che nel suo valore assoluto, appartiene non alla aristocrazia ma a chi possiede certe qualità d’animo.
Io
voglio del ver la mia donna laudare
In questo sonetto, che ha come tema centrale la lode della donna, si esaltano anche gli effetti salutiferi dell’amata (in particolare il saluto della donna) sull’animo.
Vedut’ho
la lucente stella diana
Questo
sonetto sviluppa il tema dell’apparizione della donna e dello stupore
dell’innamorato. Oltre a descrivere le bellezze della donna, si descrive anche
la speranza nella pietà della donna. La donna, che attraverso le metafore,
veniva paragonata agli elementi belli della natura, qui diviene «natura
perfetta» (passaggio alle similitudini).