IL CONVIVIO

E’ l’insieme di prosa e poesia. E’ costituito dal trattato proemiale e dall’espressione delle canzoni «Voi che intendendo il terzo ciel movete» e «Amor che ne la mente mi ragiona» (dedicate alla filosofia) e «Le dolci rime d’amor ch’i solla» (sul vero concetto e forma di nobiltà).La scelta del titolo serve per indicare la funzione didascalica dell’opera, un banchetto in cui la vivanda è data dalle canzoni e il pane dal commento. L’opera è rivolta ad un pubblico di «non letterati». Il volgare viene usato per innalzare a dignità a lingua di scienza e di cultura, che deve contribuire o fondare una società migliore. Quest’opera ci permette anche di conoscere la «biblioteca» di Dante, troviamo infatti scritti di rilievo come quelli di: CICERONE (De amicitia, De Officiis, De finibus, De senectute); di ARISTOTELE (l’Etica nicomachea, con il commento di S. Tommaso); ALBERTO MAGNO; AVERROE’ (grande commentatore arabo di Aristotele), SENECA; SAN TOMMASO; VIRGILIO; BRUNETTO LATINI; BOEZIO (De consolazione

   

LA COMMEDIA

1307 - 1321

 

3 cantiche di 33 canti + 1 proemio scritte in terzina.

Inizia con una situazione drammatica (inferno) e finisce con una situazione lieta (paradiso) (POETICA ARISTOTELICA)

 INFERNO          3 è il simbolo della trinità (Dante crede anche nei multipli di 3)

                1-6

peccati di incontinenza   lussuriosi

                                         golosi

                                         avari e prodighi

                                         iracondi e accidiosi

                                         eretici

 

 

 

        7                                                 8                                9

i violenti    contro Dio            i fraudolenti          i traditori

                  contro natura

                  contro se stessi

                 

 

4 FIUMI NELL’INFERNO:  Acheronte      (prima del Limbo)

                                              Palude stige  (iracondi)

                                              Flegetonte     (violenti)

                                              Focito            (traditori)

   

INFERNO

canto I

Costituisce una sorta di introduzione all’intera commedia, si tratta perciò del proemio che introduce alle 3 cantiche.

L’azione del poema si svolge intorno al 1300, anno in cui il pontefice Bonificacio VIII aveva proclamato il 1° Giubileo e più precisamente durante la settimana santa dello stesso anno, cominciando dalla sera del venerdì santo, 8 aprile. Il poeta smarrita la dritta via, si ritrova in una selva oscura e ardua. Il suo cuore, profondamente turbato dalla coscienza del pericolo mortale che lo sovrasta, s’illumina per breve tratto di speranza, mentre s’accinge a raggiungere la sommità dai raggi del sole se nonché, a farlo retrocedere a ripiombarlo in una cupa disperazione, sopraggiungono una dopo l’altra 3 fiere: una lonza, un leone, una lupa. Queste ostacolano il cammino appena intrapreso, rinnovano la paura, gli tolgono ogni illusione di scampo. In quel punto gli appare soccorrevole l’ombra di Virgilio; il poeta prediletto maestro di bello stile e di alta sapienza gli promette di giudicarlo al dilettoso monte per altra via, più lunga e complicata attraverso i due regni della dannazione e della penitenza, donde potrà innalzarsi, con l’aiuto di un’anima più degna a quello dell’eterna beatitudine; intanto però la via più breve è impossibile, finché un veltro non verrà a ricacciare nell’inferno la terribile lupa, che ora l’impedisce. L’animo di Dante si rivolge fiducioso ad accogliere la promessa del soccorso soprannaturale.

 

canto II

Costituisce praticamente il canto I.

Tramonta il giorno, e mentre tutti gli esseri viventi si riposano dalle fatiche del giorno, il poeta, unico e solo, si prepara a combattere contro le difficoltà del cammino e contro la pietà che gli darà la vista dei dannati. Perciò invoca le muse (sempre secondo forma omerica) e l’alto ingegno e la memoria, perché gli siano d’aiuto.

 

canto III

Terribili parole si leggono scritte al sommo della 1° porta (porterà ai peccatori di incontinenza) infernale (creata da Dio al tempo degli immortali): ribadiscono il concetto della dannazione eterna, cancellando ogni luce di speranza. Nelle tenebre fitte s’aggira un tumulto confuso di voci irose, di altri lamenti, di pianti senza tragedia; e l’animo di Dante è oppresso dall’angoscia e dalla paure. Siamo nel vestibolo dell’inferno: E’ il canto degli ignavi (cioè di coloro che nella vita non hanno mai preso una posizione) e degli angeli neutrali, ai quali è stata inflitta la pena di correre nudi dietro ad un insegna, punti da mosconi e da vespe che rigano ad essi il volto di sangue, che con le loro lacrime offre pasto ai loro piedi a una turba di fastidiosi vermi. Non salvi e non propriamente dannati, ugualmente disdegnati da Dio e dai diavoli, la condizione di questi ignavi stimola il disprezzo di Dante. Tra essi, egli riconosce, senza nominarlo, Celestino V. Più oltre, sulla riva dell’Acheronte, s’accalcano le ombre in attesa di esser traghettate alle sedi infernali. Piangono e bestemmiano la loro sorte; ma la volontà di Dio le stimola ad affrettarne il compimento e tramuta il timore in desiderio. Carante, (1° demone traghettatore) le raccoglie nella sua barca per trasportarle sull’altra riva del fiume; si rifiuta invece di lasciarvi entrare Dante. Poi la terra trema e il vapore che se ne sprigiona produce un lampo abbagliante che fa svenire il poeta.

 

canto IV

Riprendendo i sensi, il poeta si trova, senza sapere come abbia varcato il fiume, sull’altra riva dell’Archeronte. Siamo nel 1° cerchio dell’inferno, il Limbo, dove stanno le anime dei non battezzati sia prima che dopo la veduta di Cristo. La loro pena è tutta spirituale, essi desiderano eternamente la vista di Dio, senza speranza di essere esauditi. E’ una folla di spiriti, uomini, donne e bambini, tra cui gente di molto valore. Tra le anime del limbo, per la bella scuola dei sommi poeti, troviamo: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano; eroi: Elettra, Ettore, Eneo, Cesare, Il Saladino etc.. sapienti: Aristotele, Socrate, Platone, Democrito, etc.

 

canto V

E’ il 2° cerchio infernale, il cui custode e giudice è Minosse, il leggendario re di Creta: confessa le anime e decreta la pena, nonché la sede in eterno assegnata a ciascun peccatore. E’ il canto dei lussuriosi; e poiché in vita furono travolti dalle passioni, così ora sono trascinati dalla incessante bufera. Virgilio ne nomina alcuni, «donne antiche e cavalieri», che morirono per forza d’amore. Tra cui Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano. La pietà di Dante ricade sull’evocazione della tragedia storia dei due amanti di Rimini, Francesca e Paolo, che scontarono con la morte l’adulterio, per mano del marito offeso, Gianciotto Malatesta.

 

canto VI

E’ il 3 cerchio infernale, il cui custode è Cerbero. E’ il canto dei golosi, e poiché in vita indulsero troppo alla gola, amando cibi e bevande raffinate, ora sono costretti a giacere supini nel fango, sotto una pioggia di grandine, di acqua sudicia e di neve, e sono intronati dal latrare incessante di Cerbero (cane Trìc’pite), che con le mani unghiate li graffia, li scuoia, e li squarta avidamente. Fra i golosi Dante riconosce il fiorentino Ciacco, che visse da parassita frequentando le mense dei ricchi gentili uomini e dilettandoli con arguzie e detti spiritosi. Il poeta lo ritrae tutto preso da una sorta di cruccioso e tormentato amore per la sua terra, che ora si è fatta estranea e lontana, amore che è tutt’uno con la nostalgia della vita serena. Rispondendo alle interrogazioni di Dante, Ciacco accenna profeticamente alla svolgimento e all’esito delle discordie civili in Firenze, e alla rovina della parte Bianca (in cui sarà coinvolto anche Dante) e riassume il significato di quelle lotte feroci, additandone le cause nelle invidie risorgenti tra i ceti e le fazioni, nella superba e smania di dominio così dei grandi come del popolo, nell’avarizia e cupidigia di quella borghesia mercantile.

 

canto VII

E’ il 4° cerchio infernale, il cui custode è Pluto. E’ il canto degli avari e dei prodighi.

Sulla soglia c’è Pluto, il «maledetto lupo», simbolo di quella brama di ricchezza, che è la maggiore nemica della felicità umana e dell’ordine sociale. Pronuncia oscure parole, che esprimono il suo stupore e il dolore per l’offesa inflitta a tutto il regno infernale e alle sue rigide leggi dalla venuta dei due insoliti pellegrini e invoca, a respingerli, l’intervento di Satana: sfogo di irragionevole e vera rivolta, smorzata e repressa dalle calme parole di Virgilio, che riaffermano l’irrevocabile volontà divina.

Due schiere di peccati, gli avari e i prodighi, che provengono da destra e sinistra, faticosamente rotolando enormi pesi, s’incontrano e cozzano in un punto, scambiandosi aspre ingiurie; poi si rivoltano e ripercorrono il cammino fatto, finché vengono nuovamente a incontrarsi e insultarsi a vicenda nel punto, diametralmente opposto del cerchio. Tutti questi dannati sono irriconoscibili, come in vita furono «sconoscenti», e cioè ciechi di mente e privi di discrezione; tra gli avari compaiono numerosi i chierici, papi e cardinali.

 

canto X

E’ il 6° cerchio infernale. Siamo nella città di Dite, i cui custodi sono le tre furie (Megera, Aletto, Tisifone).

E’ il canto degli eretici (epicurei), che come in vita vissero sepolti nell’errore e illuminati da una falsa luce, così ora giacciono in avelli infuocati. Dante manifesta il desiderio di vedere i dannati, c’è poi l’incontro e il colloquio con Farinata degli Umberti e Cavalcante Cavalcanti. Nella seconda parte del colloquio Farinata predice la cacciata dei Bianchi e l’esilio di Dante, inoltre rivela: nomi di Federico II e del cardinale Ottaviano degli Ubaldini.

 

canto XIII

Siamo nel 7° cerchio, nel 2° girone, che ha come custode le Arpie (per i suicidi) e le Cagne (per gli scialacquatori). E’ il canto dei violenti contro se stessi: i suicidi.

I suicidi, che disprezzarono il loro corpo, sono ora tramutati in alberi o «sterpi», e poiché straziarono se stessi, sono ora straziati dalle Arpie; gli scialacquatori, che dilapidarono le proprie sostanze, sono dilaniati, ignudi di tutto, da cagne fameliche. Passato a guado il Flegetonte in groppa al centauro Nesso i due poeti s’inoltrano in un paesaggio strano e crudele: una selva di alberi contorti e di colore fosco, spogli di verde e irti di spine attossicate, su cui si annidano le Arpie sozze e deformi. Lamenti umani, che si sprigionano dai rami lacerati, s’alternano con i queruli versi dei ligubri uccelli; mentre fra l’intrico fitto delle piante trascorrono in fuga ombre atterrite, incalzate da cagne feroci. Negli strani alberi sono gli spiriti dei suicidi, che neppure dopo il giudizio universale torneranno a rivestirsi del corpo contro il quale incrudelirono e che rimarrà invece da allora in poi sospeso negli alberi. Tra essi Dante riconosce Pier della Vigna, poeta e ministro di Federico II, uccisosi in carcere sotto il peso insopportabile della calunnia e dell’ingiusto sospetto del suo signore, nonché un oscuro fiorentino che s’impicco disperato nella sua casa.

 

canto XIV

Siamo nel 7° cerchio, nel 3° girone. E’ il canto dei violenti contro Dio: i bestemmiatori. Come in vita osavano scagliare bestemmie contro Dio, cosi ora giacciono supini ed immobili sul sabbione infuocato e sotto una pioggia di fuoco, col viso rivolto verso il cielo (la pioggia di fuoco ricorda la pena del rogo a cui erano condannati i bestemmiatori nel medioevo). Corrono senza tregua i sodomiti, siedono rannicchiati gli usurai. Fra i bestemmiatori campeggia l’immagine torva e sprezzante, ora non privo di grandezza, di Caponeo, uno dei 7 re che assediarono Tebe, e fu fulminato da Giove, che egli aveva temerariamente sfidato a combattere sulle mura della città nemica. I due pellegrini attraverso il sabbione infuocato camminando sull’argine d’un ruscello di sangue bollente, che deriva dal Flegetonte. Virgilio spiega a Dante l’origine dei fiumi infernali.

 

canto XV

Siamo ancora nel terzo e ultimo girone del terzo cerchio. E’ il canto dei violenti contro natura, ovvero i sodomiti. I due poeti continuano il loro cammino sopra uno degli organi del Flegentonte. Già si sono allontanati tanto dalla selva da non riuscire più a vederla; quando una schiera di sodomiti, che corrono lungo l’argine del ruscello, adocchiano con stupore l’aspetto inconsueto dei due pellegrini e si soffermano a guardarli. Una di quelle anime riconosce Dante: si tratta di Brunetto Latini che fu per Dante un autorevole consigliere negli studi e precursore dei suoi ideali della letteratura e nella politica. Brunetto Latini fa due predizioni a Dante: la prima è una predizione di gloria, mentre la seconda è una predizione di persecuzione. Brunetto si congeda infine da Dante, raccomandandogli il suo «tesoro» e correndo rapidamente raggiunge la sua schiera.

 

canto XVI

Come nel canto precedente, ci si trova nel terzo ed ultimo girone del settimo cerchio. E’ ancora il canto dei violenti contro natura o sodomiti. I due poeti giungono al luogo dove si comincia ad udire il rimbombo del Flegetonte che precipita nell’ottavo cerchio. Dante si imbatte nella schiera degli uomini politici, tra i quali si trovano i personaggi di: Iacopo Rusticucci, di Guido Guerra e di Tegghiaio Aldobramanti. Il dialogo che si intrecci fra essi ed il poeta, riguarda le ragioni della decadenza morale politica di Firenze. Staccatisi dai tre fiorentini, Dante e Virgilio giungono all’alto del settimo cerchio; qui Virgilio ordina Dante di dargli la corda che porta intorno alla vita, e la getta nel precipizio allo scopo di richiamare Gerione, custode del cerchio seguente.

 

canto XVII

E’ un canto di transizione, in cui è descritta la discesa dei poeti all’ottavo cerchio. Siamo ancora nel settimo cerchio e nel terzo girone. E il canto dei violenti contro l’arte e usurai. Come in vita stettero seduti ai loro banchi per trarre dal denaro illeciti guadagni, cosi ora sono condannati a stare seduti in eterno sull’orlo del sabbione infuocato e sotto la pioggia di fuoco. Il mostro, salito sull’orlo del settimo cerchio obbedendo allo strano richiamo di Virgilio, è Gerione, «sozza immagine» della frode. A Gerione spetterà il compito di portare sulla groppa i due poeti che da soli non potrebbero scendere al cerchio sottostante, deponendoli dopo un lento volo a larghe ruote digradanti ai piedi della stagliata rocca». La prima parte del canto è appunto occupata dalla descrizione del mostro triforme. C’è poi l’incontro con gli ultimi dannati del canto, gli usurai, che sono quasi tutti Fiorentini e nobili. L’ultima parte del canto ritrae invece le impressioni del volo dei due pellegrini sulla groppa di Gerione.

 

canto XVIII

Siamo nell’ottavo cerchio, detto Malebolge, che è costituito da 10 buche circolari e concentriche. E’ un canto dei seduttori e degli adulatori. Nella 1° balgia, sono puniti i seduttori, divisi in seduttori per conto d’altri (o ruffiani e in seduttori per conto proprio. Come in vita commisero colpe vergognose, cosi ora sono costretti a correre ignudi, sferzati da diavoli cornuti (che sono i custodi della 1° bolgia). Tra i seduttori per conto d’altri, Dante incontra Venedico Caccianemico che indusse la sorella Ghisalabella ad appagare le voglie del marchese Obizzo II d’Este.

Tra i seduttori per conto proprio, c’è Giasone, seduttore di Isifile e di Medea. Nella 2° bolgia, sono puniti gli adulatori. Come in vita si insozzarono moralmente, cosi ora sono insozzati materialmente, poiché immersi nello sterco. Tra gli adulatori Alessio Interminelli e Taide.

 

canto XIX

E’ il canto del simoniaci. Dante si trova nella 3° bolgia dell’ottavo cerchio. I simoniaci sono coloro, sia ecclesiastici che laici, che fecero mercato delle cose sacre e dei beni spirituali; il nome di questi dannati deriva da Simone mago di Sadamaria. Come in vita tentarono di accumulare denaro, cosi ora sono confitti in buche di pietra; e poiché capovolsero la legge di Cristo, ora tengono la testa all’ingiù, poiché calpestarono la fiamma dello Spirito Santo, hanno ora le piante dei piedi lambite di fiamma. Tra i simoniaci Dante riconosce Niccolò III, e vengono ricordati Bonifacio VIII e Clemente V.

 

canto XX

E’ il canto degli indovini. Dante si trova nella 4° bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti gli indovini, maghi e astrologi. Come in vita vollero veder troppo nel futuro tentando di violare i segreti di Dio, così ora hanno il capo stravolto dalla parte del dorso, in modo che sono costretti a guardare e a camminare sempre all’indietro. Dante vedendo la figura umana così contraffatta non può trattenere le lacrime e viene così severamente rimproverato da Virgilio. Tra gli indovini più famosi: Anfiarao, Tiresia, Arunte, Manto. L’accenno a Manto induce Virgilio a fare una disgressione sull’origine di Mantova, presso cui egli nacque. Dopo ciò mostra a Dante altri indovini: Euripilo, Michele Scotto, Guido Bonatti, Asdente e le maghe.

 

canto XXI

E’ il primo canto dei barattieri. Dante si trova nella 5° bolgia dell’ottavo cerchio. I barattieri come in vita usarono le arti della frode per fare mercato delle cose pubbliche a fine di guadagno, così ora sono immersi nella pece bollente e se tentano di uscire vengono uncinati e straziati da diavoli custodi della Bolgia. Mentre Dante e Virgilio osservano la 5° Bolgia, vedono arrivare i diavoli (Malebranche), che spingono nella pece un anzian di Santa Zita, cioè un magistrato di Lucca. Viene ricordato tra i barattieri anche Bonturo Dati. Virgilio si reca a parlare coi diavoli, che sono sempre più minacciosi e che infondono molta paura a Dante, tanto che questo si nasconde dietro uno scoglio. Malacoda, dopo aver ascoltato Virgilio, lo informa che il ponte della 6° Bolgia è rotto e che dovranno camminare sull’argine. Durante il loro viaggio verranno accompagnati dai diavoli.

 

canto XXII

E’ il secondo dei barattieri. I poeti e i diavoli si trovano sull’argine del lago di pece. Uno dei dannati, rimasto fuori col capo, non fa a tempo a ritrarsi che viene afferrato da Graffiacane. Altro non è che Ciampolo di Navarra, figlio di un ribaldo scialacquatore e suicida, colpevole di essere divenuto barattiere a discapito del buon se Tebaldo di Navarra . Tra gli altri peccatori, vengono poi ricordati Frate Gomita e Michele Zanche. Ciampolo escogita un inganno per sottrarsi agli uncini dei diavoli che termina con l’ira dei diavoli beffati e con la rissa feroce che insorge fra di loro, e per cui due di essi precipitano nella pece bollente. Frattanto i due poeti ne approfittano per allontanarsi.

 

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