LA MODERNA IMPRESA INDUSTRIALE

Nella moderna impresa industriale si assiste alla scissione tra proprietà e potere decisionale; la proprietà è spesso ripartita in un elevato numero di azionisti ed il potere decisionale è delegato a manager professionisti. Il finanziamento delle imprese può essere effettuato con il ricorso alle riserve facoltative (auto - finanziamento), attraverso l’emissione di titoli azionari ed obbligazionari, oppure tramite il sistema bancario. Le tecniche di marketing hanno il fine di prevedere gli orientamenti delle preferenze dei consumatori e consentono all’impresa di programmare o di rettificare le proprie strategie di mercato. L’elaborazione di modelli previsionali comporta la necessità di disporre di un valido sistema aziendale informativo. Le imprese multinazionali sono sorte a partire dagli anni ’50 grazie alla liberalizzazione del commercio internazionale, alle innovazioni tecnologiche ed alla concentrazione di ingenti capitali nelle mani di grandi società finanziarie. Le imprese pubbliche sono organismi imprenditoriali istituiti e controllati da un ente pubblico; esse svolgono una attività di produzione di beni e servizi, generalmente con fini di utilità generale. L’opportunità di affidare l’esercizio di alcune attività produttive ad organismi pubblici è suggerita da ragioni economiche e sociali.

LA DISTRIBUZIONE FUNZIONALE DEL REDDITO: IL SALARIO ED IL PROFITTO

La distribuzione funzionale del reddito è il procedimento in forza del quale il reddito nazionale si ripartisce in salari, profitti, rendite e interessi, in relazione ai fattori forniti al processo produttivo da parte dei soggetti della collettività (lavoro, organizzazione dell’impresa, natura e capitale).

I prezzi dei fattori produttivi possono essere considerati come:

·        redditi (per i soggetti che li percepiscono)

·        costi di produzione (per le imprese che li pagano)

I redditi  vengono suddivisi in 3 categorie:

·        redditi da lavoro dipendente (salari)

·        redditi misti (lavoro autonomo)

·        redditi di proprietà (interessi, rendite, profitti)

 

Il salario è la remunerazione corrisposta al lavoratore per il lavoro prestato sotto la direzione o alle dipendenze di un datore. Il salario del lavoratore dipendente può essere:

·        a tempo, se è relativo al periodo di tempo della prestazione (es. ore, giorni)

·        a cottimo, se è relativo alla quantità di lavoro effettuata (es. numero dei beni prodotti)

·        progressivo (o a cottimo misto), se è dato da una retribuzione minima + una quota variabile in rapporto alla quantità di lavoro effettuata.

 

Il salario dei lavoratori dipendenti (paga base + maggiorazioni) è stabilito dai contratti collettivi. Il salario nominale, consiste nella quantità di moneta corrisposta al lavoratore, quello reale, è il potere di acquisto o di scambio della retribuzione e rappresenta la quantità di beni e servizi  acquistabili con il salario nominale. Secondo i classici il salario è il prezzo del bene lavoro in un mercato perfettamente concorrenziale. Il suo livello perciò dipende dalla domanda e dalla offerta di lavoro esistenti in un determinato momento. Gli esponenti dell’indirizzo neoclassico sostenevano che il livello salariale dovesse dipendere dalla produttività marginale del fattore lavoro. Oggi le moderne costituzioni democratiche sanciscono che il salario non debba essere considerato solamente come il prezzo di un fattore produttivo, ma anche come lo strumento indispensabile per realizzare il progresso sociale e civile di una collettività. Il mercato del lavoro oggi si può configurare come un monopolio bilaterale, in cui la domanda e l’offerta sono rispettivamente concentrate nelle organizzazioni sindacali dei datori e dei lavoratori..

Il profitto è la quota di reddito spettante all’imprenditore. Ha natura residuale, è cioè pari al reddito prodotto, detratte le somme necessarie per pagare salari, interessi, rendite, ed è costituito da 3 elementi:

1.     la retribuzione del lavoro dell’imprenditore

2.     gli interessi sui capitali investiti

3.     il compenso dovuto per i rischi tecnici ed economici connessi all’esercizio dell’impresa

Il profitto normale è quello compreso nel costo medio, mentre l’extra - profitto è un margine eccedente a quello normale. Secondo la scuola classica l’extra - profitto tende ad annullarsi nel lungo periodo per effetto dell’ingresso di nuove imprese sul mercato, che provocano così un aumento dell’offerta e una diminuzione del prezzo di equilibrio. Nelle forme intermedie di mercato, cioè quelle reali, il prezzo è fissato col metodo del mark-up e le imprese stabiliscono il margine di profitto tenuto conto del grado di competitività esistente sul mercato.

 

LA DISTRIBUZIONE FUNZIONALE DEL REDDITO: LA RENDITA E L’INTERESSE

La rendita è la quota di reddito corrisposta ai proprietari dei fattori produttivi non riproducibili, ossia disponibili in quantità fissa, non aumentabile. Proprio perché l’offerta di tali beni è fissa, il loro prezzo non dipende dal loro costo di produzione, ma dalle variazioni della domanda rispetto alla disponibilità. I classici si riferivano alla terra come remunerazione del fattore terra. Oltre alla rendita fondiaria, c’è quella mineraria ed edilizia.

La rendita differenziale, teorizzata da Ricardo, è dovuta per la diversa fertilità dei suoli atti alla coltivazione o per la loro diversa ubicazione rispetto ai mercati di vendita.

La rendita assoluta, è quella dovuta per procurarsi la disponibilità di beni non riproducibili, qualora la loro domanda sia superiore alla loro offerta. Ai fini fiscali, le rendite si classificano normalmente tra i “redditi fondiari”; esse trovano giustificazione nella fertilità della terra o nella posizione delle aree fabbricabili e negli interessi sui capitali durevolmente investiti. In generale l’interesse, è la remunerazione del fattore capitale o meglio è il compenso pagato per ottenere l’uso temporaneo (quindi in prestito) di un bene economico di proprietà altrui, e in particolare per ottenere un prestito di capitale o di una somma di denaro.  Questo compenso si esprime di solito su base annua; prende il nome di saggio d’interesse il rapporto tra l’importo pagato a titolo d’interesse e l’ammontare del capitale preso a prestito ragguagliato a 100. Il livello del saggio d’interesse può dipendere da svariati fattori, tra i quali: la solvibilità del debitore, la durata del prestito.

                                     

                                     I = interesse / capitale

 

Per tutelare le legittime pretese di chi presta (es. banche) i saggi di interesse aumentano in presenza di tendenze inflazionistiche. Secondo gli esponenti della scuola classica l’interesse tende sempre verso il suo livello di equilibrio, in corrispondenza del quale domanda ed offerta di risparmio sono uguali. Keynes negò che l’offerta di risparmio dipenda principalmente dal saggio d’interesse. Egli sostenne che i soggetti hanno la tendenza a tenere presso di sé una parte del reddito in forma liquida per motivi :

·        transazionali, cioè per le loro spese di ordinaria amministrazione

·        precauzionali, cioè quelle somme destinate a far fronte agli imprevisti

·        speculativi, cioè la compra - vendita di attività finanziarie

Quindi secondo Keynes, il saggio d’interesse non influenzerebbe tanto il risparmio, quanto la quota di reddito che i soggetti decidono di tenere in forma liquida e di non investire in titoli.

 

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