SERATE
IN COMPAGNIA
Me ne
accorsi una sera che per caso avevo escluso l'audio
della tele. M'era sembrato di sentire un lievissimo
scalpiccío sul legno del parquet della sala.
Ma forse me l'ero solo immaginato. Ma no, invece,
era vero e ora lui era là, sulla striscia di
marmo che separa la sala dalla cucina. Se ne stava
tranquillo come se quello fosse stato il posto a
lui assegnato e non si trattasse, in fondo, di
un'occupazione abusiva.
Sì,
un graziosissimo e microscopico topino, tutto
occhietti e baffetti, di quelli che nelle case di
una volta frequentavano madie e
dispense.
Questi
topini e le arvicole, i loro parenti di campagna,
venivano considerati, un tempo, quasi come dei
genietti benefici, a patto che sapessero stare al
loro posto. Le massaie non osavano perseguitarli o
consegnarli alle ire degli uomini di
casa.
Quel poco
cibo che sottraevano veniva considerato come una
dolce tassa da pagare per avere in casa un influsso
positivo. E poi avere topi che circolavano nella
dispensa significava avere qualcosa da mangiare, e
in tempi di miseria non era cosa da poco. Negare il
cibo ad un piccolo essere, debole e indifeso,
poteva portar male: era una cosa che non
apparteneva alla cultura del popolo e dei
contadini. In tutt'altra considerazione erano
tenuti i topi più grandi e le pantegane
delle fogne, che da millenni trovano posto sulla
lista nera degli animali nocivi e schifosi, da
eliminare a vista perché repellenti e
voraci. I danni che possono portare sono
notevoli.
Il nostro
era talmente rapito dal programma televisivo, o
forse semplicemente dalla luce dello schermo, che,
ne ero sicuro, avrei potuto arrivargli accanto e
catturarlo senza che se ne accorgesse.
Sapevo
delle lepri, che, se colpite dalla luce dei fari di
un'automobile, rimangono abbagliate al punto che
puoi investirle o catturarle a piacimento. Ma dei
topi non mi risultava. Stavo forse assistendo ad un
fatto nuovo, a un evento inatteso ed eclatante.
Ovviamente, per quanto possa essere un fatto
più o meno eclatante ed importante che i
topi rimangano paralizzati dalla luce della
televisione.
Poteva
anche essere, quel simpatico piccolino, un topo
emancipato e colto, anche capace, semplicemente, di
seguire un programma che lo interessava in modo
particolare. Sappiamo così poco sugli
animali, e nulla esclude che possano essere
più intelligenti di quello che noi crediamo.
Dopo millenni di promiscuità con gli uomini,
può darsi che abbiano imparato il nostro
linguaggio e sappiano su di noi più cose di
quanto noi sappiamo di loro.
Il primo
impulso fu quello di ammazzarlo senza dargli il
tempo di reagire. Mi infastidiva quella presenza e
mi stavo pentendo di aver scelto un appartamento al
piano rialzato.
Nelle
nostre case, moderne, elettrificate ed
elettronicizzate, super protette e asettiche, una
presenza del genere non è prevista e
tollerata. Sarebbe stato un disonore se qualcuno
fosse venuto a conoscenza del fatto che avevo i
topi per casa. Avrebbero anche potuto prendermi per
un poveraccio che abita in un tugurio.
Subito
dopo pensai che i tempi erano in via di
cambiamento: viviamo nell'era delle cliniche per
animali e degli psicologi per cani, nell'età
in cui il veterinario si sta trasformando in una
figura chiave della società, mentre il
medico dei cristiani è inflazionato e
svalutato.
Apri la
televisione e senti di guerre e di pulizie etniche,
di massacri e di stragi, di malattie devastanti che
fiaccano l'umanità. Segui con interesse, ma
ti commuove di più la storia di un cagnolino
smarrito. Volevo dare anch'io il mio contributo al
nuovo umanesimo (pardon, volevo dire animalesimo),
non volevo essere sorpassato dai tempi.
Decisi di
risparmiarlo, non avrei detto niente a nessuno, per
non fare brutte figure, ma l'avrei risparmiato e
sarebbe stato un segreto fra me e lui. L'ho sempre
saputo che in fondo sono un romantico.
Lui
rimase tranquillo e compunto al suo posto e
seguì con il massimo interesse tutti i
programmi di prima serata, per andarsene poi lemme
lemme, non senza aver lasciato sul posto, a
testimonianza del suo passaggio, un paio di
caratteristiche pastigliette di cacca.
Ma cosa
saranno mai due piccole cacchine di topo? Ero
ansioso di vedere se l'indomani sera sarebbe
tornato! Per quanto mi riguardava, il patto era
concluso e rispettato, e mi aspettavo che lui
facesse la sua parte.
Non
dovetti pentirmi della mia nuova
sensibilità, perché, per la mia
massima gioia, quello tornò la sera seguente
e tutte le sere alla stessa ora.
Prima di
gustarci i programmi ci guardavamo di lontano: non
osavo avvicinarmi, perché temevo di
spaventarlo e di rompere l'incantesimo. Ci si
fissava per un po' senza parlare, come vecchi amici
che si capiscono al volo. Adesso era chiaro: lui
veniva in casa per i programmi. Era un intenditore
e non si era trattato dell'abbacinamento fortuito
di una volta.
Pensavo
fosse una cosa meravigliosa che quell'animaletto
possedesse tanto intelletto, che fosse capace di
seguire i programmi televisivi e avesse dalla sua
tanto fegato da instaurare un'amicizia a quel
livello con un uomo. Era di sicuro un topino con le
palle.
Ormai
consideravo con orrore la possibilità che
una sera non l'avrei più rivisto. Mi ci ero
affezionato in un modo incredibile ed ero
orgoglioso di quel rapporto insolito. Consideravo
ormai la possibilità di raccontarlo al
mondo, in barba alla vergogna che provavo
prima.
Dopo una
settimana, una sera mi venne in mente di mettergli
del formaggio in un piattino. Scelsi quello con i
buchi, nel rispetto delle scene che animano i
cartoni televisivi o delle rappresentazioni
tradizionali, nelle quali il topo è
rappresentato a caccia di formaggio con i buchi.
Piazzai anche uno specchio, in modo da poterlo
spiare senza essere visto. Con un occhio guardavo
la televisione e con l'altro osservavo cosa faceva
lui.
Annusò
a lungo il formaggio, muovendo nervosamente le
agili vibrisse e roteando gli occhietti; poi
assaggiò. Lo fece però senza
convinzione. Anzi, dopo averlo appena
sbocconcellato lo abbandonò e, per tutto il
tempo che rimase, non ne prese più. Pensai
che forse non aveva fame o che era troppo impegnato
a guardare il programma.
Mi venne
anche in mente che potesse non piacergli il
formaggio. Non si sa mai. Certo che un topo che non
ama il formaggio non s'era mai visto: quello era
proprio uno strano tipo.
Pensai
allora che magari era stufo di formaggio con i
buchi e andai a comperare del provolone di marca.
Niente da fare, neppure il provolone lo
entusiasmava.
Andai
avanti a cambiar formaggio per altre due o tre
sere, passando dalla toma al taleggio, sino a
tentare con un famoso formaggio francese. Ma lui
niente, non gradiva; lasciava sempre quasi tutto
nel piattino. Ero dispiaciuto: volevo favorirlo ad
ogni costo, ma non sapevo come fare.
Una sera
si mise a fare degli strani movimenti, come una
sorta di frenetica danza consumata intorno a quel
piattino. Non aveva mai tenuto un simile
atteggiamento. Mi stupii, interrogandomi
inutilmente sul caso.
Una volta
ritirato, andai a togliere il piattino. Notai che
c'era a terra un bel numero di cacchine rotonde.
«Si vede che non sta bene -pensai
preoccupandomi della sua salute- deve essere questo
il motivo per cui rinuncia al formaggio». Mi
improvvisai veterinario. Doveva avere la
dissenteria, povera bestiolina, e si sa che il
latte e i latticini non vanno bene in questi casi!
Presi la scopa per spazzarle via. Per caso mi
avvidi che le cacchine, come per incanto, avevano
una loro disposizione non casuale. Guardai meglio
ed osservai che disegnavano sul terreno due lettere
dell'alfabeto, la p e la a, in carattere maiuscolo.
Rimasi esterefatto: doveva trattarsi di un caso;
non era possibile che le avesse rilasciate con una
precisa logica, e naturalmente era anche
paradossale che lui usasse il nostro
alfabeto.
Quasi per
gioco fantasticai per un attimo che la cosa fosse
possibile! Pa
che cosa potava significare?
Pa
pa
ma
sì, certo ci
sono. Pazzesco, ma poteva significare parmigiano?
Per quel che costava potevo provare. E, in effetti,
pensandoci, il parmigiano era uno dei pochi
formaggi che ancora non gli avevo dato in
degustazione.
La sera
seguente misi dunque una bella scheggia di
parmigiano, sicuro che tanto le cose si sarebbero
svolte come sempre. Ed invece, incredibilmente,
dopo averlo annusato, lui ci si buttò a
pesce. Se ne fece subito una bella dose e poi si
sgranocchiò il resto pian piano godendosi i
programmi. Quello era con ogni evidenza il suo
snack preferito.
Non
sapevo più cosa pensare, perché due
erano le cose: o mi trovavo ad avere a che fare con
un essere straordinario, o tutto era frutto del
caso. Mi allettava l'idea di avere scovato un
topo-genio, un animale che per primo in tutta la
storia del pianeta aveva saputo instaurare un
dialogo con gli umani, sia pure con un mezzo di
comunicazione non proprio ortodosso. C'era da
diventare famosi, da farsi i soldi.
Andammo
avanti ancora per qualche sera: io a mettere il
parmigiano e lui a mangiarlo, senza tuttavia
lasciare altri messaggi. Cominciavo ad irritarmi,
perché quello continuava a farsi i fatti
suoi senza cercare di comunicare. Possibile che non
abbia il desiderio di dire qualcos'altro, di
raccontare di sé e del suo mondo? Certo, con
le cacchine non è che si potesse scrivere un
romanzo o tirarla troppo per le lunghe, lo capisco;
in ogni caso, avrebbe potuto almeno lasciare sul
terreno una g, g come g
razie. Invece,
niente. Alla faccia dell'amicizia e della
riconoscenza.
Nel
frattempo il topino alieno mi stava mangiando un
patrimonio in parmigiano.
«Che
si sia trattato proprio di un caso?»,
m'interrogai ripetutamente. Certo, il fatto che
guardasse i programmi televisivi era già di
per sé un evento eccezionale. Che fosse
anche uno scrittore -come stavo pretendendo- e che
fosse in grado di usare la nostra lingua, ecco,
questo, forse, era un po' troppo. Dovevo essermi
lasciato trasportare dall'entusiasmo. Mi dissi che
dovevo sorvegliare la fantasia, ma l'idea di
osservare per primo una straordinaria mutazione ed
avere in casa un topolino letterato mi abbacinava
come un miraggio.
Beh
allora, ancora due o tre sere e poi basta
parmigiano. Se voleva continuare a guardare i
programmi andava anche bene, ma continuare a
mangiare a sbafo, non la potevo digerire. Questo,
proprio no.
La
seconda sera dell'ultimatum, però, si mise a
compiere strani moviment: si agitava sul posto ed
eseguiva una strana danza strisciando il sedere per
terra. Si spostava di pochissimo e poi ritornava al
punto di partenza. Un movimento
bustrofedico.
Ero al
settimo cielo. Ci siamoooo
! Quello sta
scrivendo qualcosa ed usa le cacchine come
inchiostro. Il movimento è inequivocabile.
Finalmente ha deciso di mettere giudizio. Stavo
assistendo ad un programma televisivo e un alieno
stava comunicando con me.
Non stavo
più nella pelle. Come per dispetto,
però, il maledetto aveva stabilito di
intervenire quella sera, proprio quando ero
più stanco del solito. Era tardissimo. Mi
aveva costretto a sorbirmi fino alla fine un "noir"
francese con Jean Gabin, un film che avevo visto un
milione di volte. Avrei voluto girar canale, ma
temevo, visto che con il film rimaneva, che se ne
andasse, interrompendo la stesura dei suoi
messaggi.
Finalmente
se ne andò. Ecco, aveva lasciato sul
pavimento le tracce del suo passaggio: mi
sembravano due lettere maiuscole, una n ed una s. N
come noci e s come sgusciate. Incredibile, aveva
fatto dei progressi da gigante. Questo, fra un mese
-pensavo scherzando-, avrebbe potuto iscriversi
all'università. L'avevo sentito dire che i
topi erano molto intelligenti. Ero però
combattuto fra la meraviglia e l'irritazione per
l'incredibile sfacciataggine di quella bestia.
Andammo avanti ancora qualche sera ed io esaudii
tutte le sue richieste. «Di questo passo
-m'interrogai un po' perplesso- dove saremo andati
a finire?». Adesso, sinceramente, ero
preoccupato di trovare altri messaggi. Per quanto
avrei potuto continuare a foraggiarlo senza
perderci la faccia? «Possibile -insistetti
nelle mie elucubrazioni- che non gli venga da
scrivere altro che richieste
alimentari?».
Capitò
ancora una volta, circa una settimana dopo la
richiesta delle noci. Trovai un bella p maiuscola,
senza ombra di didascalia esplicativa. Cominciai a
lavorare con la fantasia. L'enigmatico messaggio mi
pareva strano. Fino a quel momento le richieste
erano sempre state esplicite. Questa volta, invece,
niente.
Pensa che
ti ripensa, ad un certo punto mi venne un dubbio
atroce: e se
p
p
ma no
ma perché
non poteva essere, non
poteva essere ingrato fino a quel punto. Va bene,
era pur vero che mi trovavo di fronte ad una
bestia, ma dopo che l'avevo foraggiato per mesi mi
sembrava impossibile che avesse potuto affibiarmi
un bel p
ciu.
Ad ogni
modo mi ripromisi che, prima di divulgare al mondo
l'incredibile segreto del topo scrittore, avrei
chiarito quest'ultimo punto. Non si sa mai. Di
figuracce, in giro, c'è gente che ne fa
anche troppe.
Nonostante
le mie intenzioni, però, non riuscii mai a
realizzare i miei progetti, perchè una sera
accadde una terribile disgrazia.
Accesi la
tele, controllai nello specchio e
orrore
lui era la in compagnia di quattro o cinque
suoi simili. Stavano uno a fianco all'altro, come
in parata, un piccola schiera di sfacciati
curiosi.
Mi sentii
tradito, raggirato:
eh
no, di questo
passo dove saremmo andati a finire. «Almeno
avrebbe dovuto avvisarmi prima!», pensai
preoccupato. «Fossero almeno aumentati uno
alla volta!», insistetti nei miei pensieri.
No, così no, non potevo tollerarlo! Se i
suoi amici avessero sfoderato la sua stessa
boccaccia poteva anche non bastarmi lo stipendio
per gli snacks.
Fu un
attimo. Presi lo spazzolone dallo sgabuzzino e,
avvicinatomi senza che loro, fiduciosi,
accennassero ad una qualche reazione, li massacrai
quanti erano, senza pietà. Li feci a pezzi,
li ridussi a piccoli grumi sanguinolenti. Mentre li
spazzolavo nella paletta per gettarli nella
pattumiera ero già amaramente
pentito.
Forse
lui, il mio amico, aveva voluto presentarmi la sua
famiglia. Aveva avuto fiducia in me ed io l'avevo
tradito.
No so
dire perché lo feci. Sarà stato un
rigurgito di barbarie. Chissà quale liquame
abbiamo, noi umani, nascosto nei nostri
cromosomi.
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