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Cristoforo Beggiami

Savigliano

LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

UN'ASSOCIAZIONE CHE SI OCCUPA DI EDITORIA SIN DALL'ORIGINE

SERATE IN COMPAGNIA

Me ne accorsi una sera che per caso avevo escluso l'audio della tele. M'era sembrato di sentire un lievissimo scalpiccío sul legno del parquet della sala. Ma forse me l'ero solo immaginato. Ma no, invece, era vero e ora lui era là, sulla striscia di marmo che separa la sala dalla cucina. Se ne stava tranquillo come se quello fosse stato il posto a lui assegnato e non si trattasse, in fondo, di un'occupazione abusiva.

Sì, un graziosissimo e microscopico topino, tutto occhietti e baffetti, di quelli che nelle case di una volta frequentavano madie e dispense.

Questi topini e le arvicole, i loro parenti di campagna, venivano considerati, un tempo, quasi come dei genietti benefici, a patto che sapessero stare al loro posto. Le massaie non osavano perseguitarli o consegnarli alle ire degli uomini di casa.

Quel poco cibo che sottraevano veniva considerato come una dolce tassa da pagare per avere in casa un influsso positivo. E poi avere topi che circolavano nella dispensa significava avere qualcosa da mangiare, e in tempi di miseria non era cosa da poco. Negare il cibo ad un piccolo essere, debole e indifeso, poteva portar male: era una cosa che non apparteneva alla cultura del popolo e dei contadini. In tutt'altra considerazione erano tenuti i topi più grandi e le pantegane delle fogne, che da millenni trovano posto sulla lista nera degli animali nocivi e schifosi, da eliminare a vista perché repellenti e voraci. I danni che possono portare sono notevoli.

Il nostro era talmente rapito dal programma televisivo, o forse semplicemente dalla luce dello schermo, che, ne ero sicuro, avrei potuto arrivargli accanto e catturarlo senza che se ne accorgesse.

Sapevo delle lepri, che, se colpite dalla luce dei fari di un'automobile, rimangono abbagliate al punto che puoi investirle o catturarle a piacimento. Ma dei topi non mi risultava. Stavo forse assistendo ad un fatto nuovo, a un evento inatteso ed eclatante. Ovviamente, per quanto possa essere un fatto più o meno eclatante ed importante che i topi rimangano paralizzati dalla luce della televisione.

Poteva anche essere, quel simpatico piccolino, un topo emancipato e colto, anche capace, semplicemente, di seguire un programma che lo interessava in modo particolare. Sappiamo così poco sugli animali, e nulla esclude che possano essere più intelligenti di quello che noi crediamo. Dopo millenni di promiscuità con gli uomini, può darsi che abbiano imparato il nostro linguaggio e sappiano su di noi più cose di quanto noi sappiamo di loro.

Il primo impulso fu quello di ammazzarlo senza dargli il tempo di reagire. Mi infastidiva quella presenza e mi stavo pentendo di aver scelto un appartamento al piano rialzato.

Nelle nostre case, moderne, elettrificate ed elettronicizzate, super protette e asettiche, una presenza del genere non è prevista e tollerata. Sarebbe stato un disonore se qualcuno fosse venuto a conoscenza del fatto che avevo i topi per casa. Avrebbero anche potuto prendermi per un poveraccio che abita in un tugurio.

Subito dopo pensai che i tempi erano in via di cambiamento: viviamo nell'era delle cliniche per animali e degli psicologi per cani, nell'età in cui il veterinario si sta trasformando in una figura chiave della società, mentre il medico dei cristiani è inflazionato e svalutato.

Apri la televisione e senti di guerre e di pulizie etniche, di massacri e di stragi, di malattie devastanti che fiaccano l'umanità. Segui con interesse, ma ti commuove di più la storia di un cagnolino smarrito. Volevo dare anch'io il mio contributo al nuovo umanesimo (pardon, volevo dire animalesimo), non volevo essere sorpassato dai tempi.

Decisi di risparmiarlo, non avrei detto niente a nessuno, per non fare brutte figure, ma l'avrei risparmiato e sarebbe stato un segreto fra me e lui. L'ho sempre saputo che in fondo sono un romantico.

Lui rimase tranquillo e compunto al suo posto e seguì con il massimo interesse tutti i programmi di prima serata, per andarsene poi lemme lemme, non senza aver lasciato sul posto, a testimonianza del suo passaggio, un paio di caratteristiche pastigliette di cacca.

Ma cosa saranno mai due piccole cacchine di topo? Ero ansioso di vedere se l'indomani sera sarebbe tornato! Per quanto mi riguardava, il patto era concluso e rispettato, e mi aspettavo che lui facesse la sua parte.

Non dovetti pentirmi della mia nuova sensibilità, perché, per la mia massima gioia, quello tornò la sera seguente e tutte le sere alla stessa ora.

Prima di gustarci i programmi ci guardavamo di lontano: non osavo avvicinarmi, perché temevo di spaventarlo e di rompere l'incantesimo. Ci si fissava per un po' senza parlare, come vecchi amici che si capiscono al volo. Adesso era chiaro: lui veniva in casa per i programmi. Era un intenditore e non si era trattato dell'abbacinamento fortuito di una volta.

Pensavo fosse una cosa meravigliosa che quell'animaletto possedesse tanto intelletto, che fosse capace di seguire i programmi televisivi e avesse dalla sua tanto fegato da instaurare un'amicizia a quel livello con un uomo. Era di sicuro un topino con le palle.

Ormai consideravo con orrore la possibilità che una sera non l'avrei più rivisto. Mi ci ero affezionato in un modo incredibile ed ero orgoglioso di quel rapporto insolito. Consideravo ormai la possibilità di raccontarlo al mondo, in barba alla vergogna che provavo prima.

Dopo una settimana, una sera mi venne in mente di mettergli del formaggio in un piattino. Scelsi quello con i buchi, nel rispetto delle scene che animano i cartoni televisivi o delle rappresentazioni tradizionali, nelle quali il topo è rappresentato a caccia di formaggio con i buchi. Piazzai anche uno specchio, in modo da poterlo spiare senza essere visto. Con un occhio guardavo la televisione e con l'altro osservavo cosa faceva lui.

Annusò a lungo il formaggio, muovendo nervosamente le agili vibrisse e roteando gli occhietti; poi assaggiò. Lo fece però senza convinzione. Anzi, dopo averlo appena sbocconcellato lo abbandonò e, per tutto il tempo che rimase, non ne prese più. Pensai che forse non aveva fame o che era troppo impegnato a guardare il programma.

Mi venne anche in mente che potesse non piacergli il formaggio. Non si sa mai. Certo che un topo che non ama il formaggio non s'era mai visto: quello era proprio uno strano tipo.

Pensai allora che magari era stufo di formaggio con i buchi e andai a comperare del provolone di marca. Niente da fare, neppure il provolone lo entusiasmava.

Andai avanti a cambiar formaggio per altre due o tre sere, passando dalla toma al taleggio, sino a tentare con un famoso formaggio francese. Ma lui niente, non gradiva; lasciava sempre quasi tutto nel piattino. Ero dispiaciuto: volevo favorirlo ad ogni costo, ma non sapevo come fare.

Una sera si mise a fare degli strani movimenti, come una sorta di frenetica danza consumata intorno a quel piattino. Non aveva mai tenuto un simile atteggiamento. Mi stupii, interrogandomi inutilmente sul caso.

Una volta ritirato, andai a togliere il piattino. Notai che c'era a terra un bel numero di cacchine rotonde. «Si vede che non sta bene -pensai preoccupandomi della sua salute- deve essere questo il motivo per cui rinuncia al formaggio». Mi improvvisai veterinario. Doveva avere la dissenteria, povera bestiolina, e si sa che il latte e i latticini non vanno bene in questi casi! Presi la scopa per spazzarle via. Per caso mi avvidi che le cacchine, come per incanto, avevano una loro disposizione non casuale. Guardai meglio ed osservai che disegnavano sul terreno due lettere dell'alfabeto, la p e la a, in carattere maiuscolo. Rimasi esterefatto: doveva trattarsi di un caso; non era possibile che le avesse rilasciate con una precisa logica, e naturalmente era anche paradossale che lui usasse il nostro alfabeto.

Quasi per gioco fantasticai per un attimo che la cosa fosse possibile! Pa … che cosa potava significare? Pa … pa … ma … sì, certo ci sono. Pazzesco, ma poteva significare parmigiano? Per quel che costava potevo provare. E, in effetti, pensandoci, il parmigiano era uno dei pochi formaggi che ancora non gli avevo dato in degustazione.

La sera seguente misi dunque una bella scheggia di parmigiano, sicuro che tanto le cose si sarebbero svolte come sempre. Ed invece, incredibilmente, dopo averlo annusato, lui ci si buttò a pesce. Se ne fece subito una bella dose e poi si sgranocchiò il resto pian piano godendosi i programmi. Quello era con ogni evidenza il suo snack preferito.

Non sapevo più cosa pensare, perché due erano le cose: o mi trovavo ad avere a che fare con un essere straordinario, o tutto era frutto del caso. Mi allettava l'idea di avere scovato un topo-genio, un animale che per primo in tutta la storia del pianeta aveva saputo instaurare un dialogo con gli umani, sia pure con un mezzo di comunicazione non proprio ortodosso. C'era da diventare famosi, da farsi i soldi.

Andammo avanti ancora per qualche sera: io a mettere il parmigiano e lui a mangiarlo, senza tuttavia lasciare altri messaggi. Cominciavo ad irritarmi, perché quello continuava a farsi i fatti suoi senza cercare di comunicare. Possibile che non abbia il desiderio di dire qualcos'altro, di raccontare di sé e del suo mondo? Certo, con le cacchine non è che si potesse scrivere un romanzo o tirarla troppo per le lunghe, lo capisco; in ogni caso, avrebbe potuto almeno lasciare sul terreno una g, g come g … razie. Invece, niente. Alla faccia dell'amicizia e della riconoscenza.

Nel frattempo il topino alieno mi stava mangiando un patrimonio in parmigiano.

«Che si sia trattato proprio di un caso?», m'interrogai ripetutamente. Certo, il fatto che guardasse i programmi televisivi era già di per sé un evento eccezionale. Che fosse anche uno scrittore -come stavo pretendendo- e che fosse in grado di usare la nostra lingua, ecco, questo, forse, era un po' troppo. Dovevo essermi lasciato trasportare dall'entusiasmo. Mi dissi che dovevo sorvegliare la fantasia, ma l'idea di osservare per primo una straordinaria mutazione ed avere in casa un topolino letterato mi abbacinava come un miraggio.

Beh … allora, ancora due o tre sere e poi basta parmigiano. Se voleva continuare a guardare i programmi andava anche bene, ma continuare a mangiare a sbafo, non la potevo digerire. Questo, proprio no.

La seconda sera dell'ultimatum, però, si mise a compiere strani moviment: si agitava sul posto ed eseguiva una strana danza strisciando il sedere per terra. Si spostava di pochissimo e poi ritornava al punto di partenza. Un movimento bustrofedico.

Ero al settimo cielo. Ci siamoooo …! Quello sta scrivendo qualcosa ed usa le cacchine come inchiostro. Il movimento è inequivocabile. Finalmente ha deciso di mettere giudizio. Stavo assistendo ad un programma televisivo e un alieno stava comunicando con me.

Non stavo più nella pelle. Come per dispetto, però, il maledetto aveva stabilito di intervenire quella sera, proprio quando ero più stanco del solito. Era tardissimo. Mi aveva costretto a sorbirmi fino alla fine un "noir" francese con Jean Gabin, un film che avevo visto un milione di volte. Avrei voluto girar canale, ma temevo, visto che con il film rimaneva, che se ne andasse, interrompendo la stesura dei suoi messaggi.

Finalmente se ne andò. Ecco, aveva lasciato sul pavimento le tracce del suo passaggio: mi sembravano due lettere maiuscole, una n ed una s. N come noci e s come sgusciate. Incredibile, aveva fatto dei progressi da gigante. Questo, fra un mese -pensavo scherzando-, avrebbe potuto iscriversi all'università. L'avevo sentito dire che i topi erano molto intelligenti. Ero però combattuto fra la meraviglia e l'irritazione per l'incredibile sfacciataggine di quella bestia. Andammo avanti ancora qualche sera ed io esaudii tutte le sue richieste. «Di questo passo -m'interrogai un po' perplesso- dove saremo andati a finire?». Adesso, sinceramente, ero preoccupato di trovare altri messaggi. Per quanto avrei potuto continuare a foraggiarlo senza perderci la faccia? «Possibile -insistetti nelle mie elucubrazioni- che non gli venga da scrivere altro che richieste alimentari?».

Capitò ancora una volta, circa una settimana dopo la richiesta delle noci. Trovai un bella p maiuscola, senza ombra di didascalia esplicativa. Cominciai a lavorare con la fantasia. L'enigmatico messaggio mi pareva strano. Fino a quel momento le richieste erano sempre state esplicite. Questa volta, invece, niente.

Pensa che ti ripensa, ad un certo punto mi venne un dubbio atroce: e se … p … p … ma no … ma perché … non poteva essere, non poteva essere ingrato fino a quel punto. Va bene, era pur vero che mi trovavo di fronte ad una bestia, ma dopo che l'avevo foraggiato per mesi mi sembrava impossibile che avesse potuto affibiarmi un bel p … ciu.

Ad ogni modo mi ripromisi che, prima di divulgare al mondo l'incredibile segreto del topo scrittore, avrei chiarito quest'ultimo punto. Non si sa mai. Di figuracce, in giro, c'è gente che ne fa anche troppe.

Nonostante le mie intenzioni, però, non riuscii mai a realizzare i miei progetti, perchè una sera accadde una terribile disgrazia.

Accesi la tele, controllai nello specchio e … orrore … lui era la in compagnia di quattro o cinque suoi simili. Stavano uno a fianco all'altro, come in parata, un piccola schiera di sfacciati curiosi.

Mi sentii tradito, raggirato: … eh … no, di questo passo dove saremmo andati a finire. «Almeno avrebbe dovuto avvisarmi prima!», pensai preoccupato. «Fossero almeno aumentati uno alla volta!», insistetti nei miei pensieri. No, così no, non potevo tollerarlo! Se i suoi amici avessero sfoderato la sua stessa boccaccia poteva anche non bastarmi lo stipendio per gli snacks.

Fu un attimo. Presi lo spazzolone dallo sgabuzzino e, avvicinatomi senza che loro, fiduciosi, accennassero ad una qualche reazione, li massacrai quanti erano, senza pietà. Li feci a pezzi, li ridussi a piccoli grumi sanguinolenti. Mentre li spazzolavo nella paletta per gettarli nella pattumiera ero già amaramente pentito.

Forse lui, il mio amico, aveva voluto presentarmi la sua famiglia. Aveva avuto fiducia in me ed io l'avevo tradito.

No so dire perché lo feci. Sarà stato un rigurgito di barbarie. Chissà quale liquame abbiamo, noi umani, nascosto nei nostri cromosomi.

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