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Un
affettuoso ricordo di Luigi
Bàccolo
CARO
GINO...
Non avrei
mai più immaginato, caro «Gino»,
di dovermi occupare di Te, in modo infausto,
così in fretta. Sapevo che prima o poi
l'avrei dovuto fare; e solo l'idea mi spezzava il
cuore, mi riempiva di tristezza e mi addolorava.
Ora che
te ne sei andato e che la notizia mi è
giunta improvvisa, nel tardo pomeriggio di un
giorno dell'Immacolata, un 8 dicembre pieno di
pioggia e, per me, di tanti chilometri di auto, ci
sono praticamente costretto. Speravo di doverlo
fare molto più in là negli anni, di
poterti ancora incontrare un'infinità di
volte, di ricevere da Te molte di quelle
«lezioni» che un discepolo riverente ben
accetta da un grande maestro.
E,
neppure un'ora dopo la triste notizia, smorzati i
sentimenti, sono già qui a scrivere, a
doverti ricordare, a dover parlare di te a gente
che leggerà di Te sul giornale e che
commenterà la notizia uno, due, tre giorni
dopo. Sono gli incerti del mestiere. Quante volte,
Tu stesso ti sarai trovato nelle mie medesime
condizioni, commentando quasi «a
braccio», per i numerosi giornali cui
collaboravi con infinita umanità e
competenza, la figura di questo o quel personaggio
deceduto nelle più svariate contrade
italiane.
Personaggi
che come Te, in campo nazionale, avevano trasmesso
ad altri, con profonda intelligenza e
capacità, il messaggio della cultura. E che,
magari, erano anche tuoi amici. Gli incerti del
mestiere. Quante volte ne abbiamo parlato, di
questi incerti!
Mi
piacerebbe, in mezzo alle mille sofferenze che una
notizia così improvvisa si porta appresso,
raccontare ai lettori tutto ciò che so di
Te.
I tuoi
libri, il tuo profondo amore per Savigliano, la tua
immensa gentilezza, la tua disponibilità
verso chiunque, la tua sincera umiltà, ed
un'infinità di altre cose. Ma comprendo che
è difficile. Quasi impossibile, se poi si ha
la mente turbata dalla notizia. Pertanto non
avermene se sarò impreciso; se
peccherò di pressappochismo se
richiamerò dalla mia memoria soltanto poche
di quelle tantissime «lezioni» che in un
modo o nell'altro, nel corso di oltre un ventennio,
Tu sei riuscito a darmi.
Alla
rinfusa. Soltanto pochi giorni addietro,
riordinando la biblioteca di casa, mi è
capitato tra le mani un Tuo libro del 1972 che
dedicavi all'amico Piero Chiara, «Casanova e i
suoi amici», pubblicato da Sugar, editore
milanese. Un libro che all'epoca mi ero letto tutto
d'un fiato e che, sfogliandolo in quest'ultima
occasione, mi ha permesso di «rileggere»
l'aggiornamento, a quell'anno, della tua
bibliografia. Ti dichiaravi, in tale circostanza,
«nato a Savigliano (la patria di Santarosa e
dell'astronomo Schiapparelli)». La tua
città era sempre presente. «Nato a
Savigliano in Piemonte», scrivevi in altre
occasioni. Tanto che la pubblicazione fosse di
interesse locale o internazionale la Tua origine
veniva dichiarata nel dettaglio. Mai una volta che
Savigliano sia stata rinnegata. Mai una volta che
sia comparso, quasi anonimamente, in una biografia,
nato a Cuneo, o nato in una città della
provincia di Cuneo, o, genericamente, nato in
Piemonte. Le Tue origini (79 anni fa) erano
saviglianesi. E ci tenevi a farlo sapere, quasi
gridandolo a squarciagola affinché tutti
potessero ben saperlo.
La
bibliografia. Quante volte ho pensato di riuscire,
con il tempo, a raccogliere tutte le tue
pubblicazioni. Un po' la negligenza, e un po' la
difficoltà a reperire sul mercato opere
ormai considerate introvabili me lo hanno
materialmente impedito. Ma ci riuscirò.
La
malattia. La Tua bibliografia cessa, ahimè,
al 1982, con «Il commiato del Mago e delle
Fate» e con l'annuncio dell'imminente
pubblicazione di una biografia sulla «Marchesa
de Brinvilliers», una gran dama criminale del
secolo XVII, opera che, da quanto sono a
conoscenza, nonostante si trovasse alle battute
finali, è rimasta incompiuta. «Il
Commiato», il più saviglianese di tutti
i libri, quello intimamente dedicato alla Tua
città ed a tutti i suoi abitanti, è
l'ultimo ricordo scritto che abbiamo di Te. Una
malattia Ti ha impedito, nonostante la Tua
lucidità mentale sempre vivace e stimolante,
di continuare a produrre, offrendo a chi seguiva la
Tua attività di poter ulteriormente godere
della grande conoscenza e capacità
espressiva che mettevi a disposizione di tutti.
La
saviglianità. Il discorso si fa complesso,
caro «Gino». Sfido chiunque Ti conoscesse
a ricordarTi in una veste non saviglianese. La Tua
città, la nostra città, era
perennemente sulle Tue labbra. Volevi sapere,
desideravi conoscere ogni novità, sviscerare
questo microcosmo di gente e strade che Ti avevano
dato i natali e scoprire sempre qualcosa di nuovo.
Non posso non ricordare le nostre lunghe
passeggiate dell'estate del 1989 in corso Vittorio
Veneto. Tenendoti sottobraccio Ti accompagnavo
avanti e indietro lungo quel marciapiede mentre mi
raccontavi &endash;maledetti gli scalini che
interrompevano troppo sovente il discorso&endash;
della città di un tempo, delle Tue zie, del
lessico locale di una volta, di piazza Santa Rosa e
di tutto ciò che era legato al nostro
passato, che apparteneva tanto a Te quanto a me (e
questo concetto me lo infilasti bene in testa),
perché apparteneva alla nostra Savigliano.
Non mi hai mai svelato chi fosse la bella Maria M.
di «Amore a quattro voci», ma mi hai
promesso più d'una volta che avresti
volentieri curato l'introduzione a qualche mio
lavoro. Credimi, adesso posso dirlo, non ho mai
osato chiedertelo!
Cn.
Volevi e dovevi essere Tu l'autore, il più
significativo, del capitolo riguardante Savigliano
da pubblicarsi sul volume «Cn, Cuneo la
Provincia Granda», da me curato (insieme
all'amico Franco Collidà) e pubblicato nel
1990. Non potevi, per motivi di salute, provvedere
direttamente. Mi incaricasti con garbo di mettere
insieme quelle sette o otto cartelle che
componevano il testo, magari spulciando tra le cose
già scritte. Lessi, all'epoca, tutto
ciò che avevi pubblicato su Savigliano. Feci
un collage cucendo e ricucendo diverse cose
significative, «cucinando», come si dice
in gergo, i testi più belli. Li collegai con
pochissime cose di mio pugno. Mi abbracciasti
quando Ti consegnai il dattiloscritto. E me lo
riconsegnasti, ringraziandomi infinitamente, una
sera nella quale ci incontrammo con tua moglie, mia
moglie ed i miei figli. Vi era una correzione per
un errore di battitura. Eri stato troppo generoso
nei miei confronti! Non speravo tanto!
L'Anglia.
Ricordo più che mai quell'Anglia bianca
parcheggiata in corso Caduti per la Libertà.
Ogni pomeriggio, con qualsiasi tempo, uscivi dalla
portina di corso Roma dove abitavi, accompagnando
Tua madre sotto braccio. Insieme, in auto,
percorrevate Savigliano per un'oretta. È
stato così per anni. Questa Tua immagine, di
figlio generoso e fedele che rimane legato alla
madre sino alla morte, mi rimane fissa nella mente.
E sono certo che non sfuggirà tanto
facilmente, come rimarrà impressa in tutti
coloro che, estate ed inverno, Ti hanno visto
compiere con amore sempre i medesimi, ma
significativi, gesti.
Le ultime
cose. Ti ho incontrato l'ultima volta a Cuneo, in
piazza Galimberti. Mi hai abbracciato e baciato. Ci
siamo aggiornati su ciò che succedeva a
Savigliano. Ho visto scendere dai tuoi occhi alcune
lacrime. E mi è venuta alla mente una tua
frase, che riporto per esteso perché troppo
significativa e chiarificatrice del Tuo immenso
legame con la città: «Ricordo di aver
fatto una volta ridere i miei amici scrivendo che
un saviglianese, se è costretto ad
allontanarsi dieci chilometri dalla sua
città, tira fuori il cuore dell'esule e
manda sospiri al campanile della sua parrocchia,
pensando poeticamente alla donna che
scioglierà le chiome sul suo sepolcro, se
almeno quello non sarà di esilio».
Sapevo,
caro «Gino», che era difficile
ricordarTi. Mi rendo conto di aver dimenticato
quasi tutto ciò che sapevo e so di te. Di
aver scritto queste brevi note con impulso e pacata
rassegnazione, senza quasi ragionarci sopra,
raccontando, più che la Tua figura, una
parte di ciò che ha rappresentato per me la
Tua figura. Non ho parlato, ad esempio, dei Tuoi
studi alla «Normale» di Pisa, del Tuo
insegnamento scolastico, delle lodi che Benedetto
Croce fece di un Tuo saggio, degli anni passati
come pubblico amministratore nell'aula del
«Consiglio» di Savigliano, delle Tue
amicizie con Piero Chiara e con Piero Bianucci,
della Tua famiglia e di un'infinità di altri
argomenti determinanti della Tua vita.
Ti chiedo
sinceramente perdono. Non avermene.
Luigi
Botta
(«Corriere
di Savigliano», 18 dicembre 1992)
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