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Bàccolo
IL
MORMORIO DELLE PASSIONI NASCENTI E ALTRE
COSE
In una
pagina dedicata al mondo fiabesco non poteva
mancare Luigi Bàccolo che a quel modo ha
dedicato alcune tra le sue più sensibili
pagine raccolte con i bellissimi ritratti di Giono,
Cioran, Leautaud, Montherlant, Jouhandeau,
Cèline (tra quanto c'è di meglio e di
meno conclamato della letteratura francese del
nostro secolo) nonché della «Normale di
Pisa» da Bàccolo frequentata nel 1938,
ai tempi di maestri quali Russo, Farinelli e
Pasquali, chiamatovi in seguito alle attenzioni del
più grande dei maestri di allora,Benedetto
Croce, ad un suo saggio su Pirandello.
«Il
mormorio delle passioni nascenti» s'intitola
la raccolta (vincitrice nel 1982 al premio Estense)
ed è titolo, nella sua bellezza evocativa,
augurale e profetico.
Critico
letterario raffinatissimo, specializzatosi per
gusti e inclinazione nel Settecento Francese,
Bàccolo è stato biografo di stile in
epoca di sciatterie biografiche. Uomo di indole
mite appartato più che per ragioni
geografiche, per dignità di salvaguardia
spirituale, avendo dovuto attraversare prima le
restrizioni intellettuali del fascismo e in seguito
la «lunga penombra» letteraria e civile
dei nostri anni in cui si è barattato con
disinvolto cinismo l'esprit con il
«minimalismo» (e non solo newyorkese), il
bisogno di Utopia con la concretezza dei
barattieri, la conversazione arguta e brillante col
chiacchierume televisivo.
Bàccolo
è stato, in particolare, conversatore
«de plume» nel senso francese di
intrattenitore su cose letterarie di un'epoca in
cui la letteratura era sostanziata dal pensiero e
felicemente intrecciata alla vita mondana.
«Il
regno dell'esprit, della originalità, della
fantasia!» così Leautaud, per la penna
di Boissard, si rivolge a Diderot «Epoca
deliziosa, ch'armate, la vostra, la più
bella che il mondo abbia conosciuto».
E fu
proprio la biografia di uno dei protagonisti di
quell'epoca, Giacomo Casanova, che valse a
Bàccolo, dopo il «Comisso», il
Prix Casanova e l'affermazione non solo nazionale.
La
biografia e gli studi su Sade, Restif de la
Bretonne, Alfieri e altri scrittori del
«settecento», hanno costituito per
Bàccolo sia un irresistibile orientamento
culturale, sia, presumibilmente, un universo
«alternativo», più immaginato che
reale, di galateo letterario vivificato dalla
intelligenza dei «philosophes» e dai suoi
discendenti diretti, tra cui umilmente si
annoverava.
Non a
caso intitolò «Vivere come sopra una
montagna» un suo romanzo del 1965 volutamente
«inattuale», o, al contrario, in anticipo
sui tempi. Ma fu anche un uomo straordinariamente
legato agli affetti della «sua»
Savigliano, che gli ispirò il romanzo
«Amore a quattro voci», edito nel 1980,
nel quale con poetica leggiadria e garbata arguzia
fa rivivere una Savigliano d'epoca (quel 1935
«Anno Grande e Matematico»), omaggio alla
città ma anche, e soprattutto, ad una donna
tanto amata (e tanto amabile, a quanto pare) della
sua prima giovinezza, dissimulando se stesso
nell'anagramma «Còlcabo», uno dei
protagonisti del romanzo.
«E
così addio diletti fantasmi! E arrivederci a
suo tempo ove Dio, eventualmente intendesse
risparmiarci l'onta del Nulla» scriverà
successivamente Còlcabo ne «Il commiato
del mago e delle fate»: commiato da un'epoca
ideale, in cui la sanità dello spirito
poteva salvare dall'infermità della storia.
Beppe
Mariano
(«Il
Saviglianese», 1994)
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