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Un anno
dalla scomparsa, Savigliano ricorda
GINO
BACCOLO
Celebrato
a Palazzo Taffini il grande scrittore
Luigi
Bàccolo nasce a Savigliano nel 1913.
Laureato in lettere classiche alla Normale di Pisa,
ha insegnato nel Licei di Savigliano e di Cuneo. La
figura di Luigi Bàccolo è di
risonanza nazionale per la sua attività
giornalistica, come collaboratore di importanti
testate quali «La Stampa», «La
Gazzetta del Popolo», «Il Resto del
Carlino», e per la sua opera saggistica e di
narrativa, che gli fruttò riconoscimenti da
parte di critici di risonanza nazionale, tra i
quali, addirittura, Benedetto Croce. È noto
al grande pubblico per una vasta produzione
saggistica sul 1700 e per i suoi romanzi.
Ricordiamo il ritratto del Marchese del Sade, la
vita di Alfieri, la vita di Casanova e «Amore
a quattro voci», solo alcune tra le sue tante
opere. Sabato 4 dicembre, a un anno dalla
scomparsa, nella sala di Palazzo Taffini, esponenti
del giornalismo e della letteratura nazionale quali
Piero Bianucci ed i professori Jacomuzzi e Sozzi,
affiancati dalla Dott. Elda Mellano e da due amici
del Bàccolo, hanno voluto ricordare questo
grande saviglianese nella sua veste umana e
privata.
Nel porsi
di fronte a uomini di cultura di questo calibro,
c'è la tendenza rischiosa a cadere nel
prosaico. Si comincia a dire chi era e cos'ha
fatto, e magari si condisce il tutto con una bella
«critica estetica» della sua opera, in
modo che il pubblico non ci capisca niente. Ma a
Luigi Bàccolo è stato riservato un
trattamento diverso, perché ancora vivo e
presente è il valore dell'uomo
Bàccolo in Savigliano, e quindi è
ancora impossibile ricordarlo freddamente solo come
scrittore. Parlare di Luigi Bàccolo, ora, in
una Savigliano che sta viaggiando nel tempo per
riscoprire i suoi uomini illustri, non significa
però commemorare un defunto. «Non
sarebbe nel suo spirito giovanile, andrebbe contro
il suo atteggiamento sereno verso la vita»
dice Piero Bianucci, giornalista, scrittore,
redattore capo de «La Stampa». E infatti
Luigi Bàccolo si trasforma come per miracolo
in «Gino», e Gino rimarrà fino
alla fine. Non si parla di chissà quali
uomini lontani nel tempo e nello spazio. Si parla
di un amico, un amico grande per valore umano e
professionale.
Lionello
Sozzi, ordinario di Letteratura francese presso la
facoltà di Lettere di Torino, ricorda come
il suo Gino non fosse un letterato accademico,
pedante, libresco. La sua vita era la letteratura,
e individuare i confini tra l'una e l'altra era
pressoché impossibile. Sozzi ricorda
Bàccolo come uomo della gioia di vivere,
come un uomo che ci ha lasciato una grande idea di
un'umanità forte e compatta, che sa
resistere al male. Anche Stefano Jacomucci,
ordinario di Letteratura italiana
all'Università di Torino, ricorda come gli
fosse difficile distinguere tra il
«Bàccolo che scrive e il Gino che
parla».
La
letteratura e la vita sfumavano l'una nell'altra, i
suoi personaggi nascevano dalla realtà,
nella realtà, e creavano essi stessi il
mondo fantastico della letteratura. Bàccolo
è ricordato soprattutto come un uomo umano,
che ha saputo umanizzare anche il mondo circostante
ed esprimerlo nella sua opera in modo
comprensibile. I suoi personaggi sono tangibili,
tridimensionali, sono uomini donne che incontriamo
per strada, al mercato. E Savigliano diventa
magicamente la città dei sogni,
«l'ombelico dell'universo», a detta dello
stesso Bàccolo. La sua Savigliano è
teatro di alcune sue opere, e i suoi uomini vi si
muovono con leggerezza, con la disinvoltura che
solo un grande scrittore avrebbe saputo donare
loro. Natascia Chiarlo legge per il pubblico alcuni
brani tratti da varie opere, e subito possiamo
penetrare nello stile di Bàccolo, cogliere
la sua finezza, il suo equilibrio, la classe del
suo scrivere mai volgare o eccessivo, ma gustoso in
certe sue espressioni colloquiali e veraci, colte
nella loro quotidianità.
E
davvero, più che mai, dobbiamo accorgerci di
quanto testimoniano i suoi amici: tra il
Bàccolo scrittore e il Gino uomo c'è
un limite sottilissimo, venato di passione, di
sincerità, di umanità. E c'è
commozione vera nell'intervento dei suoi amici
Piero Camilla, e Beppe Trucco, che ricordano come
la sua estrema capacità analitica, la sua
abilità nel penetrare a fondo i testi e le
realtà circostanti, altro non fosse che
l'effetto del suo amore per la vita, della sua
ironia verso le vanità del mondo. Non c'era
chissà quale solennità, nella sala
Taffini, ma la dolcezza di trovarsi con un amico,
che Beppe Trucco ha immaginato entrare in silenzio
e umilmente, con il sorriso, uscire prima di
tutti.
M.B.
[Beppe Mariano]
(«Il
Saviglianese», 8 dicembre 1993)
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