L’Ateo, n°32, marzo 2004,
p. 28.
FABIO BAZZANI: Necessità e libertà. L’ateismo oltre il materialismo,
di Carlo Tamagnone
Vi sono due errori ermeneutici fondamentali, scriveva Schopenhauer,
che attraversano l’intera storia del pensiero
occidentale e che lo connotano in situazione
di radicale distanza dal vero:
l’interpretazione idealistica e l’interpretazione
materialistica della realtà;
né l’una né l’altra, di fatto, rappresentano
la realtà, poiché tanto l’una
quanto l’altra forniscono di essa una lettura
parziale, rinserrandola in una
dimensione che, o su un versante oppure sull’altro,
ne elimina elementi
basilari e costitutivi. Tanto l’idealismo
quanto il materialismo, infatti, pur
se caratterizzati da una differente determinazione
del soggetto, sono
accomunati, nondimeno, dal medesimo “sguardo”
sul soggetto medesimo e
sul suo necessario rapporto con l’oggetto, un rapporto che viene scorto non in termini di correlazione bensì
in termini
di causazione: l’idealismo fa del soggetto
la precedenza assoluta, la causa
dell’oggetto, dimenticando, in tal modo,
che l’unico rapporto tra loro
sussistente è quello della correlazione conoscitiva
(non si può pensare ad un
soggetto senza un oggetto, anche perché,
in ogni caso, il soggetto medesimo è
sempre oggetto a se stesso); il materialismo,
per parte sua, riconduce quella
precedenza assoluta, quel momento causativo,
all’oggetto in quanto tale (è
l’oggetto ad esser causa del soggetto), dimenticando
che dell’oggetto neppure
si potrebbe parlare se non vi fosse un soggetto
che lo dice e che, quindi, lo
pensa e lo ha pensato. Idealismo, da un parte, e
materialismo, dall’altra, conclude Schopenhauer,
approdano, ognuno per suo verso, ad una forma
di metafisica religiosa: il
primo, divinizzando la soggettività (che
diviene, così, Spirito, Sostanza,
Idea, Dio, Causa incausata ecc.); il secondo,
divinizzando l’oggettività (che diviene Realtà
Oggettiva, Materia ecc.). Questo
materialismo, ancora, con l’eliminare il
soggetto medesimo dall’ambito
dell’esistenza e dell’esperienza – o perlomeno,
scorgendovelo solo in una forma
tutto sommato accessoria e marginale –, con l’ignorarne le figure pluralmente
articolate sia in senso di proiezione che
di introiezione conformemente alle quali
la vita del soggetto stesso si articola,
«reca la morte nel cuore»; si tratta di quel
materialismo, appunto assimilabile ad un’idea
di totale immanenza della materia – che però,
poiché astratto dalla connotazione vitale
della materia in quanto tale, giunge a rovesciarsi
in una metafisica della più sterile trascendenza
della materia stessa –, lo stesso Marx non
esitava a definire «volgare».
È questa complessa e plurilivellare
cornice problematica che, a mio avviso, fa
da sfondo all’ultima fatica di Carlo
Tamagnone, a quel suo Necessità e libertà che
già nel titolo, classico ed impegnativo,
rispecchia secoli di dibattito
filosofico e riformula questioni ancora per
molti versi aperte ed irrisolte. La
necessità e la libertà sono, per l’autore,
le categorie attraverso le quali
leggere la realtà nel suo insieme, una realtà
che è plurale ed irriducibile ad
uno; ma non solo, la libertà e la necessità
rappresentano anche l’articolarsi reale, vitale, della realtà – da qui, anche,
il
carattere plurale di essa –, tenendo conto
del quale risulta non praticabile,
conoscitivamente errato, un approccio monistico,
tipico di ogni metafisica e di
ogni religione, nelle sue declinazioni idealistiche
o materialistiche dogmatico-radicali. La visione dell’opera di Tamagnone è
prospettica: definisce un approccio ermeneutico
inedito che disancora, emancipa, il materialismo
dalla deriva metafisica,
“morta”, “volgare”, “religiosa”, grazie ad
una valorizzazione di quelle componenti esistenziali ed esperienziali
che, lo si comprenda o meno, sono imprescindibili
in ogni percorso di
conoscenza, dal momento che il punto di avvio
e di sviluppo di ogni sapere non
può muovere che da una interrogazione del
soggetto interrogante, interrogazione
che è innervata nella nostra esistenza ed
esperienza medesime. In questo senso,
vale a dire in una prospettiva antimetafisica,
antimonistica, anche il
sottotitolo dell’opera, «L’ateismo oltre il
materialismo», è molto significativo e ricco di
sollecitazioni: solo un’idea di materialismo
scaturente da un approccio
analitico di indagine che faccia rientrare
nella dimensione correlata della
soggettività e della oggettività i motivi
dell’esperienza, costituenti in
quanto tali una realtà non riconducibile
a monotematicità,
è in grado di liberare il pensiero dalla
metafisica religiosa, tanto dalla
religione dell’idea quanto dalla religione
della materia, da una ontologia
materialistica che di frequente continua
ad esprimersi secondo gli stilemi di
un sorpassato positivismo e di un male interpretato
marxismo. E se le filosofie
di Schopenhauer e di Marx possono, sotto alcuni
riguardi, essere ricordate come i riferimenti
impliciti, perlomeno sotto il
profilo dell'inquadramento problematico e per qualche
indicazione di metodo, della riflessione
di Tamagnone, un altro pensatore
classico può forse essere richiamato ad antecedenza
della prospettiva
pluralistica, atea ed “oltrematerialistica” che egli
propone; mi riferisco a Feuerbach ed alla
sua antropologia integrata dalla
fisiologia, ad una dimensione della teoresi, che
Tamagnone definisce «dualismo reale» e che
appunto determina un approccio
analitico all’esperienza ed all’esistenza
di tutti gli enti su uno sfondo
pluralistico; il che, poi, a ben vedere,
altro non è se non la realtà in quanto
molteplicità di forme.
Fabio
Bazzani
(f.bazzzani@tin.it)
Carlo Tamagnone, Necessità e libertà. L’ateismo oltre il materialismo,
Editrice Clinamen (www.clinamen.it), Firenze
2004, pagine 289, Euro 23,80