ESTENSI ED
AUSTRO-ESTENSI : IL TRAMONTO DI UNA FAMIGLIA (1796-1859)
All’atto della discesa del Bonaparte
in Italia nel 1796, i Ducati di Modena, di Reggio e di Mirandola, i Principati
di Carpi e di Correggio, la Contea di Novellara, le provincie del Frignano e
della Garfagnana ecc., cioè in una parola gli Stati
Estensi, erano da sedici anni governati dal Duca Ercole III Rinaldo. La bufera
napoleonica travolse anche Modena e il suo sovrano, che fu spodestato, mentre
il Ducato veniva incorporato nella Repubblica
Cispadana prima e in quella Cisalpina poi.
Nel 1799 i successi austro-russi,
favoriti dalla assenza del Bonaparte, inpegnato in
Egitto, e da vigorosi moti antifrancesi, portarono alla costituzione di una
“Giunta governativa degli Stati Estensi”,che per un anno circa amministrò
questi ultimi sotto la protezione degli eserciti imperiali; ma l’illusione di
una restaurazione svani’, a Modena come nel resto d’Italia, dopo la grande
vittoria riportata da Napoleone a Marengo il 14 giugno 1800.
Per compensare Ercole III della
perdita dei domini aviti, gli furono ceduti i feudi imperiali della Brisgovia e
dell’Ortenau (situati in quello che è attualmente il Land tedesco del Baden-Wurttemberg); ma
il sovrano, molto legato a Modena e ormai non più giovane (era nato nel 1727),
poco si curò dei suoi nuovi Stati, venendo poi a morte a Treviso il 14 ottobre
1803.
La
successione austro-estense
Con il Duca Ercole si spense l’ultimo
discendente maschio di Casa d’Este.
Unica sua erede era la figlia Maria Beatrice Ricciarda (1750-1829), che sin dal
1790 era succeduta sul trono di Massa alla madre Maria Teresa Cybo, sovrana di
quel Ducato. La successione negli Stati
Estensi era invece preclusa alla
principessa, perché riservata ai maschi.
Alla morte di Ercole
III il problema della sorte del Ducato di Modena era stato comunque già da
tempo affrontato e risolto, non tanto dallo stesso Ercole, quanto dal nonno di
Maria Beatrice, il Duca Francesco III.
Questi aveva cominciato a prendere in
considerazione la questione già nel 1751, alla morte del suo secondogenito
Benedetto, e ciò in quanto il principe ereditario e la
Cybo non avevano avuto in dieci anni di matrimonio che una sola figlia, appunto
Maria Beatrice Ricciarda, mentre poche erano le speranze che potesse nascere
altra prole, dato che i rapporti fra i due coniugi erano assai difficili.
Pareva dunque profilarsi il pericolo che in un futuro potesse
ripetersi quanto Francesco III aveva già visto accadere anni prima in Toscana,
dove l’ultimo dei Medici, il Granduca Gian Gastone, aveva dovuto rassegnarsi ad
accettare un erede impostogli dalle Potenze e la presenza di truppe straniere
di garanzia.
Francesco III pensò di risolvere il
problema combinando il matrimonio della nipote con un esponente di una grande famiglia reale europea, in modo da legare
quest’ultima agli interessi di Casa d’Este.
Come noto la scelta cadde alla fine
sugli Asburgo-Lorena, anche se in un primo tempo il Duca aveva pensato a
un nipote del Re d’Inghilterra Giorgio II, suo congiunto. Il Re declinò peraltro l’offerta, rendendosi invece suasor del matrimonio austriaco, che fu
stabilito nel 1753.
Diciotto anni dopo, nel 1771, Maria
Beatrice Ricciarda d’Este sposava con gran pompa a Milano l’Arciduca
Ferdinando, figlio cadetto della grande Maria Teresa.
Da tali nozze trasse origine la Casa
austro-estense, che diede a Modena ancora due Duchi, Francesco IV e Francesco
V, nonché vari altri principi e principesse. E se i sovrani della nuova dinastia inevitabilmente
sostituirono al tradizioanle stemma dei
Duchi di Modena un altro emblema avente alla base l’araldica asburgica, anche
in quest’ultimo continuò pur sempre a comparire l’aquila bianca nel color celeste, principale insegna di Casa
d’Este.
I
Principi della Casa autro-estense
a)
Francesco IV
Nel 1814, alla caduta della
dominazione napoleonica in Italia, il ricostituito Ducato di Modena fu
assegnato al primo dei figli maschi nati dal matrimonio tra Maria Beatrice e
l’Arciduca Ferdinando (m.1806), e cioè l’Arciduca
Francesco d’Austria –Este, che prese il nome di Francesco IV.
Francesco IV era nato a Milano nel
1779 e là risiedette fino alla invasione francese del
1796, sicchè “tanto Egli quanto i proprj
Fratelli seppero parlare con accento locale sinchè vissero” il dialetto
meneghino. In seguito venuto a Modena, il Duca imparò anche il nostro vernacolo, cosa tanto più
necessaria in quanto egli era solito ricevere in udienza persone d’ogni ceto.
Francesco IV era del resto un vero
poliglotta, dal momento che, come ci riferisce il suo
biografo don Cesare Galvani, parlava e scriveva correntemente, oltre che in
italiano, anche in francese, tedesco e ungherese ( in Ungheria gli
Austro-Estensi possedevano la Signoria di Sàrvàr), destreggiandosi pure con
l’inglese, il polacco e lo spagnolo.
Alto, magro, piuttosto miope (e “La vista corta, cui ricusava dar l’aiuto
delle lenti, gli dava un aspetto cupo, sospettoso”), il Duca era un uomo
probo, affettuosamente legato alla famiglia, “Non esigente con i domestici”, tanto che “si serviva sovente da sè medesimo piuttosto che turbarne i sonni”.
Un curioso particolare relativo alle abitudini
quotidiane del Principe è riferito dalla già citata biografia del Galvani,
nella quale si ricordano “i grani di
miglio e panico, e le miche di pane” che il Duca “ poneva ogni mattina sulle finestre del suo gabinetto, compiacendosi
di vedere con quanta confidenza vi concorressero gli uccelletti”. Il
Galvani ricorda anche la passione per la numismatica di Francesco IV, che fu
anche autore di alcuni fortunati ritrovamenti, quali
ad esempio quello di una rarissima medaglia greca, rinvenuta nel 1811 nei
dintorni di Pergamo, e quello di una medaglia dell’Imperatore romano Massimiano,
trovata nel 1815 “sulla più alta vetta
del Monte Cimone”.
Dotato di una solida preparazione umanistica
e giuridica e di un alto senso dello Stato, accorto ed energico nella sua
attività di governo, il Duca fu stimato dai più ragguardevoli personaggi del
suo tempo, compreso lo Zar Alessandro I, da lui
incontrato al Congresso di Verona e in altre occasioni. Gli stessi avversari
politici attribuivano del resto a Francesco IV “uno spirito penetrante ed accorto, un carattere fermo, leale,
risoluto, un coraggio straordinario, una attività immensa: queste cose non si dicevano per
elogio, ma per dimostrare qual nemico potente egli sia”.
Anche la decisione apparentemente
sconcertante di non riconoscere la monarchia orleanista, insediatasi in Francia
dopo la rivoluzione del 1830, fu presa dal Duca dopo avere ben ponderato tutte
le circostanze, come risulta da una lettera da lui
scritta al Metternich il 22 ottobre 1830. “Profitant de la circonstance d’ètre un
Souverain si petit, insignifiant dans la grande politique de l’Europe”argomentava nell’occasione Francesco IV, « et n’ayant, d’ailleurs, aucun
contact, et aucune affaire avec la France, j’ai cru pouvoir suivre en cela mes
sentimens seulement qui ne me permettent pas de reconnàitre le Duc d’Orleans
pour Roi. Je ne crains donc nullement le ressentiment du Duc d’Orleans, qui
d’ailleurs me connait mème personellement, et connait ma façon de penser et
d’agir : il n’en sera pas etonné, mème je crois qu’il s’y attendait. Un
peu plus ou moins de haine contre moi du parti revolutionnaire, cela m’est bien
igal ; mais de parler ou agir contre mes principes ou sentimens cela
m’aurait trop coutè ».
Un tratto caratteristico del primo
Duca austro-estense è l’altissimo senso
di quello che era il suo dovere di sovrano, senso del dovere che tendeva in
Francesco IV ad imporsi su ogni altra considerazione e sentimento, con un’intransigenza
che si mostrò tragicamente in occasione delle condanne a morte di Don Andreoli,
del Menotti, ecc. Si consideri sul punto, ad esempio,
l’editto del 1° marzo 1824 sulle trame settarie, attraverso la pubblicazione
del quale il Duca auspicava di potere evitare “quei dispiacevolissimi mezzi di rigore che in certe circostanze sono
uno stretto dovere del Sovrano, ma che sono altrettante piaghe del suo cuore”:
ricorrendo determinate circostanze, era stretto
dovere del Sovrano applicare gli enunciati mezzi di rigore, quali che
potessero essere i sentimenti che il Sovrano stesso provava.
D’altra parte, era sempre il senso
del dovere che spingeva Francesco IV a sobbarcarsi quotidianamente
un’incredibile mole di lavoro, come risulta dalla
descrizione dela sua giornata fornita dal Galvani. “Alle ore 9½ del mattino” narra il biografo, “ era sempre nel suo gabinetto, donde non partiva, per tutto l’anno
meno il verno, che alle 3½ pomeridiane
quando gli si annunziava che eran poste
le mense (…) Levate le tavole egli si tratteneva qualch’altro
poco colla Famiglia (…) Dopo di ciò ritornava al lavoro finchè (un’ora
circa innanzi il tramonto nella state, e dalle 2½ alle 3½ pomeridiane nel verno) gli si diceva
che era atteso dalla R. Consorte e dai
Figli pel passeggio. In loro compagnia mescevasi allora ai suoi sudditi,
o sulle belle mura della città, o nei
viali che la girano intorno(…) Dopo il passeggio, del
quale però spesso il vedevamo privarsi per qualche straordianria occupazione,
si riponeva al lavoro, e siccome egli non usava la refezione della sera, cosi’
(tranne le poche volte in che
interveniva ai teatri) questo lavoro era protratto fino verso la mezzanotte
costantemente, e talvolta per una o più ore ancora (…) Questo metodo costante avea però due alterazioni,
una dalla pietà, l’altra dalla carità. La prima facea si’ che
nelle domeniche (…) oltre i soliti esercizi nella R. Cappella si rendesse il
mattino ad altra Messa (…) La seconda lo induceva due volte la settimana, vale
a dire il giovedi e la domenica, ad accordare per quasi quattro ore continue
udienza a qualunque de’ suoi sudditi,
udienze ch’egli non volle mai intralasciare (…) preferendo cosi’ la
soddisfazione dell’ultimo abitatore della più lontana vallo o della più erta de
suoi Stati (…) a quel tormento ch’egli s’imponeva onde udire cosi’ svariate
inchieste, cosi’ molteplici bisogni, cosi’ strane pretensioni, cosi’
compassionevoli racconti, e rendere in seguito a tutti per iscritto ponderata
ragione delle loro domande (…) Quante volte al sentirsi compatito pel peso
delle udienze, non ha egli replicata quella famigliare sentenza << Un
Principe deve avezzarsi a tollerare volentieri anche la noja che porta
l’adempimento di alcuno de’ suoi debiti>>
Questa indefessa attività si
tradusse, come ci attesta sempre il Galvani, in oltre
duecentottomila rescritti apposti ad altrettante suppliche, e in più di
dodicimila chirografi ed altri provvedimenti diretti dal Sovrano ai vari
ministri e dicasteri dello Stato Estense.
Sin dalla sua prima entrata in Modena,
avvenuta il 15 luglio 1814, Francesco IV si fece conoscere per principe
profondamente cattolico, avendo fatto sapere che desiderava che le feste
organizzate in suo onore per quella giornata fossero rimandate, trattandosi di
un venerdi, giorno sacro alla dolorosa
Passion del Signore. E in effetti il Duca
fu sempre scupolosamente osservante dei precetti del cattolicesimo, fervente
nella pratica religiosa e generoso nel devolvere somme anche ingenti in
elemosine, aiuti ai bisognosi ed opere di beneficienza e assistenziali. Il
cattolicesimo di Francesco IV si tradusse peraltro anche in un orientamento
politico marcatamente confessionale (benchè ancora piuttosto legato,
soprattutto fino ai moti del 1831, agli
schemi giurisdizionalistici del tardo Settecento), dichiarato già nel preambolo
del “Piano di Governo” del 28 agosto 1814, dove i principi “della nostra Santa
Religione Cattolica, e (…) i suoi precetti” venivano
indicati dal Duca “come le basi sulle
quali crediamo che abbia essere stabilita ogni umana società”.
b)
I fratelli di Francesco IV
Oltre a Francesco IV (m.1846), Maria
Beatrice Ricciarda d’Este e l’Arciduca Ferdinando ebbero numerosi altri figli e figlie.
La primogenita Maria Teresa (1773-1832) fu regina di Sardegna, avendo sposato
Vittorio Emanuele I di Savoia, mentre l’ultima nata, Maria Luisa, fu moglie dell’Imperatore d’Austria Francesco I, morendo peraltro a meno di trent’anni, nel 1816. Una terza
sorella, Maria Leopoldina (1776-1848),
andò invece in sposa a Carlo Teodoro di Wittelsbach, Elettore di Baviera, del
quale rimase vedova dopo appena un anno di matrimonio.
Quanto ai maschi, Carlo Ambrogio (1785-1809), nato come Francesco IV a Milano e
recante in effetti il nome dei due Santi più cari ai
Milanesi, abbracciò lo stato ecclesiastico e fu primate d’Ungheria, morendo poi
giovanissimo per tifo contratto nel visitare gli ammalati degli ospedali
militari.
Il fratello Ferdinando (1781-1850) entrò invece nell’esercito austriaco,
partecipando alla campagna di Germania del 1799. Nel 1805 cercò invano di
dissuadere il Generale Mack dal chiudersi in Ulma, riuscendo poi a sottrarsi,
alla testa di dodici squadroni di cavalleria, alla stretta dell’esercito
napoleonico e a sfuggire all’inseguimento di Murat. Assunto nel 1809 il comando
dell’armata incaricata di proteggere la Galizia, battè i Polacchi a Raszym,
occupando poi la stessa Varsavia; “mais
les èchecs èprouvé par les Autrichiens sur le théàtre principal des opérations l’ogligent a revenir s’établir sur la frontière
de la Galicie et de la Pologne” Nel 1815 gli fu affidata l’armata di
riserva, che non prese però parte alle operazioni di quella campagna. Dopo la
fine delle guerre napoleoniche, l’Arciduca fi chiamato a ricoprire diversi
importanti incarichi, conseguendo nel 1836 il grado di feldmaresciallo dell’ Esercito Imperiale.
Anche lo
Stato Estense potè giovarsi delle conoscenze e dell’esperienza di Ferdinando,
che tra l’altro si occupò del riordinamento dell’esercito modenese dopo le
campagne dallo stesso sostenute nel 1815, prima contro i Napoletani del Murat e
poi in Francia. E fu proprio l’Arciduca ad
affrontare, nelle tempestose giornate del 1848, la delegazione rivoluzionaria
capeggiata da Giuseppe Malmusi che reclamava l’immediata costituzione della
Guardia Civica dal giovane Francesco V.
Quest’ultimo volle innalzare alla memoria
dello zio il bel monumento opera dello scultore Giovanni Cappelli, attualmente posto nel vestibolo della cappella mortuaria
estense in S.Vincenzo a Modena, ma originariamente collocato nella Chiesa della
Cittadella, parrocchiale delle truppe ducali. Nato un anno
dopo Ferdinando, anche l’Arciduca Massimiliano
(1782-1863) percorse la carriera delle armi nell’esercito austriaco, ricevendo
il battesimo del fuoco alla battaglia di Caldiero (29 ottobre 1805). Nel
1809 organizzò la difesa della città di Vienna, guidando poi un Corpo
in Francia nella nuova guerra seguita al ritorno di Napoleone dall’Elba.
Ancor più che per le sue qualità di
comandante Massimiliano è peraltro ricordato per essere stato “uno tra i più eminenti teorici di arte militare del
XIX secolo”, specialmente nel campo dell’artiglieria e delle
fortificazioni. Egli ideò, fra l’altro, un particolare tipo di torri a
tracciato circolare, dette appunto “torri massimiliane”, atte a formare, organizzate in un sistema, un campo tricerato. Le teorie
dell’arciduca vennero applicate a Linz, dove negli
anni 1831-35 fu eretto un vasto campo tricerato, la cui realizzazione ebbe
“grande risonanza (…) in Europa”. Successivamente anche nello Stato estense, a Brescello,
furono poste in opera quattro torri massimiliane munite di numerosi pezzi di
artiglieria, che fecero della cittadina padana la principale piazzaforte del
Ducato.
Pur vivendo nel secolo, l’arciduca
appartenne sin da giovane all’ Ordine Teutonico,
l’accesso al quale aveva comportato per lui la pronuncia del voto di castità,
voto che Massimiliano seppe osservare, riferisce il suo biografo, “con esemplarità singolare”. Austero
come il più rigoroso claustrale, nel 1835 egli assunse al Gran Magistero
dell’Ordine, riattivandone le suore, cui affidò ospedali e scuole, e ravvivando la disciplina e lo spirito
religioso dei sacerdoti teutonici.
c) La seconda generazione degli Austro-Estensi
Un delizioso quadro di gusto biedermeier, realizzato nel 1836 dal
carpigiano Bernardino Rossi, ci mostra i figli di Francesco
IV e della moglie Maria Beatrice Vittoria di Savoia, dei quali il pittore era
maestro di disegno. Il giovane raffigurato a sinistra, nell’uniforme con
colletto e paramani bianchi propri della fanteria ducale di linea, è il
principe ereditario Francesco, che appunto del Battaglione Estense di linea era
colonnello proprietario fin dal 1833. Il fratello Ferdinando Carlo Vittorio,
allora quindicenne, veste ivece l’uniforme con colletto e paramani verdi propri
dei Cacciatori del Frignano, di cui era colonnello proprietario dal dicembre
1835. A parere di chi scrive, il personaggio femminile intento a dipingere è
poi da individuare in Maria Teresa, primogenita della coppia ducale, mentre
la ragazzina sulla destra è da
identificare in Maria Beatrice Anna, la più giovane dei fratelli.
L’ arciduca Ferdinando (1821-1849) segui’, come lo zio che portava il suo
stesso nome, la carriera delle armi nell’esercito austriaco, ed ebbe un destino
analogo a quello di un altro zio, Carlo Ambrogio, essendo come quest’ultimo
morto nel fiore degli anni per la febbre tifoide contratta
nel visitare a Brùnn gli ammalati dell’ospedale militare. Il bel monumento
funebre dedicato all’arciduca, opera dell’Aleotti ed attualmente
posto nella chiesa di san Vincenzo a Modena, raffigura Ferdinando proprio
durante la visita che gli fù fatale.
Quanto alle due ragazze ( la Geggina e la Trice come erano chiamate
in famiglia), la maggiore Maria Teresa
(1817-1886), sposò nel 1846 Henri Charles Ferdinand, duca di Bordeaux,
pretendente al trono francese. In effetti, dopo essere stato travolto dalla
rivoluzione, il 2 agosto del 1830 il re di Francia Carlo X aveva abdicato
proprio in favore del nipote Enrico, allora fanciullo,
ma,come noto, fu Luigi Filippo d’Orleans a cingere la corona, per essere poi a
sua volta spodestato nel 1848. Henri, comunemente conosciuto come il Conte di
Chambord dall’omonimo castello offertogli
nel 1821, non cessò comunque mai di rivendicare
il trono, arrivando anche molto vicino ad ottenerlo, specie all’epoca della
presidenza Mac Mahon (1873-79); ma la sua indisponibilità a mantenere il
tricolore quale bandiera francese al posto del vessillo borbonico
bianco-gigliato ne compromise gli sforzi. Il conte di Chambord era in cordiali
rapporti col cognato Francesco V, che lo nominò suo esecutore testamentario.
Nel 1847 anche Maria Beatrice Anna d’Austria-Este (1824-1906) sposò un Borbone, ma
del ramo spagnolo, e cioè don Juan (1822-1887). Il
matrimonio non fu perlatro felice, e dopo alcuni anni i coniugi si separarono,
riconciliandosi solo nel 1871. Tale circostanza non impedi’ comunque
a Maria Beatrice di entrare nel Carmelo di Gratz, per condurvi vita monastica
insieme a quelle suore.
Se nel 1849 don Juan aveva tentato senza fortuna, insieme
ai fratelli, di entrare in Spagna per rovesciare la Regina Isabella II, uno dei
figli natagli da Maria Beatrice, don Carlos (1848-1909), guidò nella penisola
iberica una grande insurrezzione legittimista, sfociata nella cosiddetta 3/a
guerra carlista, che terminò alla fine del 1875 con la sconfitta del giovane
principe, che pure era giunto molto vicino al
successo. In un contrabbando d’armi a favore dei partigiani di don Carlos si
trovò coinvolto, nel corso del conflitto, un ragazzo polacco di simpatie
legittimiste, Jòzef Korzeniowski, che sarebbe poi divenuto. col nome di Joseph Conrad, uno dei più grandi scrittori di
lingua inglese.
Al matrimono delle sorelle di
Francesco V è legato l’arrivo nel Ducato di legittimisti francesi e spagnoli,
alcuni dei quali, come Pietro Santa Cruz, Eduardo Respaldiza, i fratelli
Atanasio e Urbano de Charette ecc., presero servizio
in qualità di ufficiali nell’esercito estense.
d)
Francesco V
Secondo e ultimo Duca della linea
austro-estense, Francesco V era nato a Modena nel 1819, Geminiano anche di nome
( si chiamava infatti Francesco Ferdinando Geminiano) regnò dal 1846 al 1859, morendo
poi esule a Vienna nel 1875. Qui tuttora riposa, nella cripta dei Cappuccini, in attesa che i suoi resti siano finalmente riportati a
Modena nella cappella mortuaria estense di San Vincenzo, in cui desiderava
essere sepolto. Francesco V sposò Adelgonda di Baviera, dalla quale ebbe
solamente una bambina, Anna, morta a un anno nel 1849.
Molto legato alla moglie e ai
fratelli, l’ultimo Duca di Modena fu, come il padre, uomo integerrimo e dotato
di una fede religiosa “granitica”, cui cercò informare
la propria attività di governo.
Appassionato viaggiatore, visitò
molte parti dell’Italia, della Germania, dell’Olanda,
ecc., moltiplicando le sue peregrinazioni dopo l’allontanamento da Modena. Ben
tre capitoli ed oltre cento pagine della per la verità
monumentale biografia dedicata a Francesco V da Teodoro Bayard De Volo sono in
effetti occupati dalla descrizione dei viaggi compiuti dal sovrano dopo il
1860, tra cui due in Oriente e Terrasanta.
Non minore era la passione del Duca
per lo scrivere. Come ricorda Filippo Valenti, “ quella di usare la penna fu un’abitudine
che l’accompagnò dalla prima giovinezza fino a poche ore prima della morte”, secondo
quanto ci attesta il suo medico curante. Non altrettanto nota
penso che sia però la misura di questa abitudine:tale probabilmente da porlo
nelle primissime posizioni (parlo naturalmente di quantità) tra i
sovrani-scrittori di tutti i tempi e da far pensare (…) ad un prepotente
bisogno, costitutivo del suo carattere, di fissare sulla carta pensieri ed
esperienze, fatti e idee, impressioni e sensazioni, e quasi ad una forma di grafomania.
Ciò peraltro non vuol dire che
Francesco V fosse un uomo di lettere; aveva invece
molto maggiore inclinazione per le scienze positive, ed anche per la storia e la geografia. L’ultimo
Duca di Modena non fu poi certamente neppure un giurista, sebbene avesse in
gioventù studiato giurisprudenza sotto la guida di Rinaldo Scozia e nonostante
l’introduzione da parte sua di un nuovo sistema di codici. A Francesco V,
spirito essenzialmente pratico, rimanevano infatti
sostanzialmente estranee le sottigliezze del diritto; e il sovrano si
inquietava quando ad esempio sentiva che i giudici di prima istanza avevano
potuto restare un giorno “ 5 ore in
seduta per un furto qualificato di 30 centesimi”
Il Duca vantava invece una notevole
competenza in campo militare, frutto tra l’altro di specifici studi giovanili
compiuti sotto la guida di Francesco Beckerhin, comandante dell’Artiglieria
estense fino al 1848. A ciò Francesco V,
nato e cresciuto in mezzo ai suoi
soldati, univa una profonda conoscenza dei problemi dell’esercito ducale, che
aveva anche comandato in prima persona nel triennio 1843-46, quando era
principe ereditario. Anche dopo essere salito al trono egli continuò a svolgere
un ruolo di primissimo piano nella direzione delle truppe, conservando in effetti per tutta la vita spirito e mentalità da militare.
Come uomo di governo Francesco V
mostrò forse meno personalità del padre, pur non essendogli inferiore per
energia, impegno, senso del dovere e dello Stato.
Nei tredici anni del suo regno, in
complesso alquanto più travagliato di quello del predecessore, l’ultimo Duca di
Modena affrontò con scrupolo e decisione le diverse crisi cui si trovò a dovere
fare fronte. Quanto mai risoluto nel 1847, in occasione del conflitto insorto
con la Toscana per il possesso di alcuni territori
granducali d’Oltreappennino spettanti alla Stato estense in base al trattato di
Firenze del 1844, finendo per conseguire, alla sua prima apparizione di rilievo
sulla scena italiana, un’indubbia affermazione politica. Nel 1848 cercò di organizzare, anche mediante
misure di carattere militare, la resistenza contro la
montante marea rivoluzionaria, ma il sommovimento generale travolse ben
presto anche Modena, costringendo il sovrano a partire il 21 marzo per
l’esilio. Ristabilitosi il governo estense, nel 1849, alla ripresa della lotta
tra Austria e Piemonte, Francesco V si rinserrò con l’esercito nella fortezza
di Brescello, conducendo poi, una volta cessate le ostilità, le truppe oltre il
Cerreto a recuperare l’Oltreappennino estense, che la Toscana si era annessa
nel maggio 1848. Nel 1859, infine, si adoperò perché il Ducato giungesse per
quanto possibile preparato alla guerra, mobilitando i riservisti, ponendo in
stato di difesa le fortezze, rafforzando le guarnigioni, ecc. Una volta
scoppiato, il conflitto coinvolse in effetti anche il
Duca di Modena, con cui il governo di Torino dichiarò di considerarsi in stato
di guerra. Francesco V fece quanto in suo potere per difendere gli Stati
estensi, ma dopo la sconfitta subita dagli austriaci a
Magenta fu costretto a lasciare per sempre Modena (11 giugno 1859). Lo
accompagnavano i fedeli d’Ateste soldati,
che condivisero con il loro sovrano oltre quattro anni d’esilio, mantenendosi
in armi e inquadrati sino al definitivo scioglimento della Brigata Estense,
avvenuto nel settembre del 1863.
Da uomo del suo tempo, l’ultimo Duca
di Modena non era insensibile ai temi della nazionalità e dell’integrazione
italiana, saliti cosi’ prepotentemente alla ribalta; ed aveva lucidamente
compreso che sarebbe stato opportuno non abbandonarli, come
di fatto erano, nelle mani degli avversari politici. In una lettera al
ministro degli Affari esteri conte Forni il sovrano scriveva, ad esempio, che
il sentimento nazionale era un “sentimento
nobile”, da non doversi “lasciare più
per solo strumento dei demagoghi”. Già in gioventù Francesco V aveva in effetti elaborato un progetto di cpnfederazione
italiana, che vedeva i singoli Stati indipendenti
fra loro nell’interno e formati all’esterno un sol tutto. A motivo del
Lombardo-Veneto avrebbe dovuto partecipare alla coneferazione anche l’Austria,
come avveniva del resto per la Confederazione germanica, di cui l’Impero
Austriaco faceva parte per via dei paesi tedeschi compresi negli Stati
asburgici. Soltanto la realizzazione di un tale progetto politico, ebbe a
scrivere il Duca, avrebbe potuto “rendere
possibile con qualche dignità l’esistenza degli Stati italiani”, che
diversamente non avrebbero avuto “alternativa fra il divenire antinazionali o antiaustriaci”.
Francesco V cercò anche di dare
concreta attuazione alle sue idee, avviando trattative nel 1850-51 con i vari
governi della penisola. Esse peraltro fallirono per la diffidenza dell’Austria,
l’opposizione di Napoli e più in generale per il particolarismo dei principi,
con grande disappunto e preoccupazione del sovrano
modenese.
Il
Ducato di Modena sotto gli Austro-Estensi
a)
L’aggregazione di nuovi territori
Sotto gli
Austro-Estensi il Ducato di Modena raggiunse la sua massima estensione.
Già nel 1815 furono in esso incorporati i feudi un tempo imperiali della Lunigiana,
e cioè Fosdinovo, Aulla, Podenzana, ecc. Alla morte di Maria Beatrice Ricciarda
(1829) fu poi definitivamente annesso allo Stato estense il Ducato di Massa,
peraltro già gravitante da quasi un secolo nell’orbita modenese. In tal modo venne riacquistato quello sbocco al mare che era stato
perduto nel 1598, con la devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa. Si
trattava di una dozzina di chilometri di costa
tirrenica, le cui difese furono potenziate nei primi anni trenta da Francesco
IV con la costruzione dei fortini “Maria
Beatrice”, “San Francesco” e “Speranza”, questi ultimi due ancora oggi in parte
conservati. L’ accesso al mare determinò anche la formazione, a partire dal
1841, di una piccola flotta mercantile, composta di legni di limitato
tonnellaggio ed impegnata principalmente nel trasporto del marmo da Averza a
Livorno, dove il carico veniva trasbordato su navi di
maggiori dimensioni dirette alle più svariate destinazioni. Nel 1857 la marina
mercantile estense contava una quarantina di unità,
per una stazza complessiva di 1.392 tonnellate.
Altre importanti acquisizioni
territoriali si ebbero nel 1847, a seguito dell’entrata in vigore del già
menzionato trattato di Firenze del 1844, stipulato tra
Modena, Parma e la Toscana. Oltre a tre vicarie garfagnine già lucchesi, in
tale occasione vennero infatti unite allo Stato
modenese le terre di Fivizzano, Calice, Albiano e Terrarossa in Lunigiana,
nonché il Ducato di Guastalla, in precedenza soggetto alla sovranità parmense.
Nel 1850 furono infine acquisiti Rolo e parte del
territorio di Gonzaga, ceduti dall’Austria a fronte della limitazione della
giurisdizione ducale sul tratto di Po prospicente lo Stato Estense, la quale in
precedenza si estendeva fino all’opposta sponda lombardo-veneta ostacolando i
progetti imperiali di libera navigazione sul fiume.
Nel 1855 il Ducato di Modena contava all’incirca seicentomila abitanti.
b)
La struttura amministrativa e di governo
Nel
periodo Austro-Estense il governo dello Stato era affidato al Duca, che
agiva tramite la Segreteria di gabinetto, e ai suoi ministri.
Oltre ad un Ministero degli Affari
esteri, sotto la cui giurisdizione stavano anche le
poste, v’erano inizialmente un Ministero delle Finanze e un Ministero di
Pubblica economia ed istruzione.
Quest’ultimo si occupava fra l’altro
dell’imposta censuaria, delle spese da sostenere col gettito dell’imposta
stessa, delle acque e strade e della pubblica istruzione. Dopo il
ristabilimento del governo estense nel 1848, al posto del Ministero di Pubblica economia ed istruzione fu istituito un
Ministero dell’Interno, articolato in quattro sezioni (pubblica istruzione,comuni, lavori pubblici, amministrazione generale del
ministero e del contenzioso). Faceva capo a questo ramo d’amministrazione anche l’Università di Modena, ristabilita da
Francesco IV, che nel periodo 1847-59 ebbe
una media di circa 500 iscritti,
con una punta di 607 studenti nell’anno accademico 1851-52.
Dal canto
suo, il Ministero delle finanze gesti’ dapprincipio le imposte indirette e le
spese da sostenersi col gettito delle medesime, come ad esempio quelle
militari, mentre dopo la costituzione del Ministero dell’Interno si occupò di
tutta l’amministrazione finanziaria dello Stato. Alla Finanze fu sottoposta in prosieguo di tempo anche
l’Intendenza generale dei Beni camerali, allodiali ed ecclesiastici, che aveva
il compito di amministrare i beni del demanio pubblico, quelli del patrimonio
privato della Casa reale nonché i beni della Chiesa incamerati in epoca
napoleonica ed ancora invenduti nel 1814.
Ai tre dicasteri originari furono aggiunti nel 1831
il Ministero di Buon governo, con compiti di alta e
bassa polizia, e nel 1848 il Ministero per gli Affari di giustizia, di grazia
ed ecclesiastici.
Non esisteva invece un Ministero
della Guerra, bensi’ un Supremo comando militare, il titolare del quale aveva
un rango appena inferiore a quello dei ministri, L’ esercito,
molto ben curato dopo il 1831, fu a lungo reclutato su base esclusivamente
volontaria e solo nel 1849 venne introdotta la coscrizione obbligatoria, ma
sempre come strumento sussidiario di reclutamento. Nel 1831 alle truppe
regolari fu affiancata una Milizia Volontaria ( divenuta dopo il 1849 Milizia
di Riserva), organizzata su base territoriale e formata da campagnoli chiamati
a prestare servizio quando necessario.
In periferia il governo era
rappresentato dai governatori delle varie provincie ( che fungevano anche da
organi di controllo dei comuni), ai quali in prossieguo di tempo furono
sostituiti dei Delegati provinciali, organi del <ministero dell’Interno. Nel
1856 le provincie del Ducato erano sei: quella di Modena, quella di Reggio,
quella di Massa, Carrara e Lunigiana, quella della Garfagnana, quella di
Guastalla e quella del Frignano.
Alla base della piramide
amministrativa v’erano infine i comuni, guidati da podestà o sindaci a seconda del “rango”, cioè della maggiore o minore
importanza attribuita ai comuni medesimi.
c)
La modernizzazione degli
anni ‘50
Nel decennio 1850-59 Francesco V
introdusse importanti innovazioni, le quali consentirono al Ducato di tenere il
passo coi tempi, che stavano rapidamente cambiando.
Per quanto riguarda anzitutto le comunicazioni, nel 1851 fu
stipulata una convenzione con l’Austria per la costruzione di una linea
telegrafica attraverso il territorio modenese, mentre nell’anno successivo la
Capitale ducale fu posta in collegamento telegrafico con Carrara, Massa e,
tramite quest’ultima, Lucca. Nel 1853 Modena fu collegata via telegrafo anche
con Bologna e quindi con Roma; nel 1855, infine, con l’apertura del collegamento
tra Massa e Sarzana la rete telegrafica estense fu allacciata a quella sarda.
Nel 1852 erano stati intanto introdotti nel sistema postale del Ducato i
francobolli, mentre il 30 novembre del 1858 fu solennemente inaugurato a
Rubiera il ponte ferroviario “Francesco V” sul fiume Secchia, una delle ultime
opere che mancavano per completare la tratta Modena-Reggio della “Strada
ferrata dell’Italia centrale”. Pur essendo entrata in
esercizio solo dopo la caduta del governo ducale, la ferrovia potè ugualmente
essere utilizzata da quest’ultimo intorno alla metà del 1859 per qualche
trasporto di truppe, il primo dei quali ebbe luogo il 23 maggio.
L’adozione del sistema metrico
decimale (1853) e l’aggiornamento pressochè completo della legislazione,
determinato dalla promulgazione, tra il 1851 e il 1855, di un nuovo Codice
Civile, di un nuovo Codice di procedura civile e di un nuovo Codice Penale e di
Procedura penale, segnarono altre importanti innovazioni. A tali codici avrebbe
dovuto aggiungersi un nuovo Codice di commercio, che per la verità fu in effetti anch’esso promulgato, il 3 marzo 1859, ma che
non venne neppure pubblicato per intero, in quanto all’epoca fissata per la sua
entrata in vigore (1° agosto) lo Stato estense era ormai venuto meno.
Le
popolazioni del Ducato e la Casa autro-estense
Nel 1814 il ristabilimento della
dominazione estense fu accolto con favore presochè universale dalle
popolazioni, duramente provate dai pesanti sacrifici, in termini umani ed
economici, sopportati a partire dall’invasione francese del 1796 e memori della
pace e della tranquillità godute all’epoca del Duca Ercole III. Nel solo Dipartimento del Panaro,
per non fare che un esempio, risultavano prigionieri
delle potenze alleate nell’agosto del 1814 almeno 1.200 giovani catturati nel
corso delle innumerevoli guerre combattute da Napoleone. Non pochi di loro
languivano in prigionia da parecchi anni, a volte anche lontanissimo dalla
Patria ( ancora nel dicembre 1814 giungevano a Modena convogli di ex prigionieri di ritorno dalla Russia). Se a costoro si aggiungono gli innumerevoli morti, feriti,
mutilati e invalidi causati dalle guerre napoleoniche, ben si può credere al
galvani quando descrive l’entusiasmo popolare suscitato dalla notizia del
ritorno degli Estensi, in particolare fra le madri “che serrando il figliuolino
al petto, e coprendolo di baci, esclamavano: Tu non mi sarai più strappato
dalle braccia!”.
In prosieguo
di tempo, il consenso alla dinastia austro-estense ( la quale come è
noto, segui’ sin dal principio una linea politica decisamente conservatrice)
andò progressivamente erodendosi nelle città, specie in quelle più piccole,
mentre rimase sempre assai forte nelle campagne. Di ciò fa fede tra l’altro il fatto che i governi provvisori installatisi nel 1848 e nel
1859 ebbero tra le prime preoccupazioni quella di disarmare la Milizia
Volontaria e la Milizia di Riserva, per rendere in tal modo inoffensive appunto
le popolazioni di campagna. Per contro Francesco V, una volta
ritornato al potere dopo la rivoluzione del 1848, sciolse nel giro di
pochi mesi la Guardia Nazionale Urbana di modena e in seguito (2 giugno 1849)
quella dell’intero Stato, facendo in tale ultima circostanza espressa menzione
proprio dell’avversione mostrata in ogni
occasione dalla Guardia alla popolazione
di campagna.
Nel 1859 la parte di
opinione pubblica che nel Ducato guardava con simpatia al Piemonte era
comunque ormai divenuta abbastanza consistente, tanto che, ad esempio, trail 15
gennaio e il 25 marzo di quell’anno arrivarono a Torino dagli Stati estensi,
per arruolarsi nell’armata sarda, non meno di 1974 volontari.
Per quanto riguarda la situazione
delle città il discorso va per la verità
differenziato. Carrara, prossima al confine piemontese, fu nel suo complesso,
specie negli ultimi anni della dominazione austro-estense, fortemente
ostile al governo ducale e teatro di numerosi omicidi e ferimenti in cui le
motivazioni politiche si intrecciavano ai rancori personali, sicchè quel comune
dovette essere sottoposto per due volte (nel 1854-56 e nel 1857-58) allo stato
d’assedio. Al contrario Massa, per dirla con giovanni Sforza, era “una delle
città più reazionarie del ducato, dove chi portava amore all’Italia(…) veniva segnato al dito come un cervello sconvolto”. Il
Massese continuò ad essere zeppo di
duchisti, in ispecie nella campagna, anche dopo la partenza delle autorità
estensi nel 1859. “In alcune ville, specialmente all’intorno di Massa, in
Fosdinovo, in Tendola ed in altri paesucoli” si ad esempio in una lettera di francesco Selmi
al La Farina, “può dirsi che si sopporta per timore ls dominazione piemontese,
e che ivi le disposizioni sarebbero a pigliare anche le armi contro di noi per
poco che udissero un rovescio da parte nostra, o credessero ad un aiuto del
Duca”
A Reggio il consenso alla dinastia
austro-estense era poi minore che a Modena, la quale aveva fama di città
reazionaria. Fama per la verità non immeritata, almeno a giudicare dalla
testimonianza resa nel 1848 da Carlo Lorenzini (alias Carlo Collodi, il padre
di Pinocchio),appartenente alla colonna di volontari
toscani che in quell’anno si era portata in Lombardia per partecipare alla
guerra contro l’Austria. “Per tutto e da tutti”, ebbe in
effetti a scrivere il Lorenzini in una lettera del 14 aprile 1848,
“abbiamo avuto buona accoglienza, nonché a Modena, dove ci aspettavamo molto e
avemmo poco, per non dir nulla. In codesta città, vi è un
gran partiti gesuitico e ducale e su questo proposito mi diceva il figlio
di Ciro Menotti: Credimi, se Modena esercitasse sul modenese l’influenza che
Parigi esercita sulla Francia, Francesco V tornerebbe sul trono”
Del resto, anche molto tempo dopo la
caduta del ducato, quando il Regno d’Italia era ormai consolidato
e Roma ne era divenuta la capitale, a Modena erano ancora numerosi
coloro che tenacemente avversavano il nuovo ordine di cose, continuando a
rimpiangere gli Austro-Estensi.
Dei sentimenti di una parte non
piccola di Modenesi mi pare significativa espressione
un sonetto composto in occasione della realizzazione del monumento a Ciro
menotti, per la quale fu decisivo l’intervento economico di Antonio Morandi,
che la voce pubblica indicava come coautore dell’omicidio commesso nel 1822 ai
danni dell’avv. Giulio Besini, direttore della polizia ducale. Il sonetto è il
seguente.
“Tra i molti, un di’,
cubiculi atestini,
Ove or l’armento
militar s’accoglie,
Son dati alcuni al colonel Tonini,
Il qual la Cesarina
ha preso in moglie.
Ma poiché
uscendo dalle ricche soglie
Preda ne
trasse il Dittator Farini,
A ricuoprir quelle pareti spoglie
Con cenci e carta or suda il
Picinini.
Però se dal di
fuor desio vi guida,
O Modenesi, di
sbirciar là drento
Il fasto usurpator, che vi si annida,
Provido vel divieta un paravento,
Quel, vo’ dir, che Morandi, l’omicida
Al suo
Menotti eresse in monumento”
Era il 26 novembre del 1879; l’ultimo
Duca austro-estense era morto ormai da quattro anni.
Tratto da:
“Gli
Estensi e Modena” – Ascesa e declino di una dinastia (IX-XIX secolo)
Comune
di Modena – Circoscrizione 1 Centro Storico – San Cataldo
In sottofondo possiamo ascoltare l'Inno nazionale del Ducato di Modena del quale troviamo una parte di spartito nel "Regolamento di Istruzione per la Reale Fanteria Estense" Modena 1855
La melodia é la stessa dell'Inno Imperiale Austriaco composto da Giuseppe Haydn
L'Inno Nazionale del Ducato di Modena ci è pervenuto dalla Associazione Legittimismo Estense
che ringraziamo per la collaborazione