Viaggio di Telemaco alla ricerca del Centauro
o
Trattazione del Bello e del
Buono nell’Arte
PREMESSA
Scrivere
di Filosofia Estetica, oggi come oggi, più che pretenzioso può sembrare
inutile; le storie dell'arte non si pongono sempre meno problemi interpretativi
ma si limitano a spiegare le opere collocandole nel loro ambito culturale e
connettendole alla psiche dei loro autori ma sempre evitando di dover
determinare in cosa consista una specificità dell'arte.
La
de-ideologizzazione dell'arte contemporanea corrisponde all'attuale società
occidentale priva di teleologia o, almeno, di un progetto culturale globale; è
naturale che anche il passato finisca per essere considerato alla stessa
stregua. Attualmente la maggior parte delle forme di espressione artistica non
hanno origine né da una richiesta di committenza né da un'esigenza di mercato
ma quasi esclusivamente ex interiore
homine dell'artista.
Oggi
non è più così, quello che non si comprende[1]
non è più ammesso; senza persecuzioni, ma con un continuo svilimento,
mescolando e confondendo, agli occhi della gente, buono e cattivo. Ci sembra
anche che siano senza significato i disperati tentativi della Scienza di
arrivare a comprendere qualcosa dell’Universo, visto che non si pongono mai un
perché del perché dell’esistenza[2]
(si perdoni il bisticcio), così come sembrano senza senso le teorie economiche
che teorizzano comportamenti finalizzati esclusivamente alla produzione di beni
di consumo ed al profitto senza dare un motivo che giustifichi un impegno dell’individuo; un po’ come per l’arte
che, comportamento senza motivazione per molti, muove consumo senza che si
sappia perché. Tutto ciò può anche essere chiamato Postmoderno, ma un nome non
implica l’esistenza di una teoria.
L’arte
e la Scienza sono i mezzi principali attraverso i quali la nostra esistenza,
che singolarmente possiamo recepire come limitata nello spazio e nel tempo, si
può estendere oltre i suoi limiti obiettivi e divenire universale. Per questo
la memoria del passato e la coscienza del futuro, come atti di volontà,
dovrebbero essere parte indispensabile della formazione dell’uomo, della sua humanitas interiore, comprendendo anche
i modi e i tempi in cui questa memoria viene conservata.
INTRODUZIONE
L’arte e le categorie
Il
problema che si intende affrontare è se sia possibile costruire una storia
delle arti figurative come storia delle categorie del giudizio estetico; il
presupposto è che le categorie del giudizio estetico e le categorie della
conoscenza siano le stesse, o almeno in parte reciprocamente coincidenti.
L'opera d'arte, di conseguenza, sarebbe solamente un mezzo di trasmissione del
pensiero uniformantesi a queste categorie. Scopo finale della ricerca è
dimostrare se quest’ultima affermazione sia o no proponibile. È bene anche
chiarire che non si intende affrontare il problema di cosa siano il pensiero e
l’autocoscienza, ma ci limitiamo a notare che le più recenti ricerche
psicologiche e fisiologiche affermano l’esistenza di un pensiero cosciente e
razionale fatto anche di sole immagini o soli suoni. Punti nodali,
arbitrariamente istituiti allo scopo di questa costruzione, saranno l'arte di
Giotto e la pittura post-impressionista, momenti in cui si adotta e
successivamente si abbandona l'uso della prospettiva. L'arte contemporanea, in
quanto oggetto di critica ed essendo relazionata al passato, deve anch'essa
essere considerata “storia”.
Un'opera
d'arte di solo pensiero artistico, per assurdo, può anche esistere, ma è tale
solo se e' comunicabile; ciò che non è comunicabile esula dalla coscienza
dell'arte, in quanto la sua esistenza è indifferente al fruitore dell'opera.
Per tale ragione la trasmissibilità nel tempo[3]
e nello spazio è un elemento assolutamente indispensabile perché si possa
parlare di arte anzi, perché ci si debba solo interessare di arte. Questa
stessa trasmissibilità, in quanto va da soggetto cosciente a soggetto cosciente
la definiremo comunicazione.
Ancora
un chiarimento: il contenuto trasmesso, qualunque esso sia, una volta accettato
come tale da colui che abbiamo chiamato fruitore, non è più dell'opera o
dell'autore di questa ma del fruitore stesso. della sua coscienza e parte del
suo pensiero e del suo io[4].
Così si effettua e si realizza il processo proprio dell'opera d'arte: è il
fruitore che recepisce, sente, pensa; l'autore dell'opera e il suo committente
concepiscono, progettano, operano proprio perché qualcuno recepisca, senta,
pensi, compresi se stessi. La comunicabilità è la prima caratteristica
dell'opera d'arte che, tanto più è efficace, tanto più viene percepita
rapidamente e facilmente[5].
Anche le scienze fisiche, nei riguardi dei fenomeni, sono del resto orientate a
dare valore di fenomeno a ciò che è osservabile e di esperimento al fenomeno
razionalmente ripetibile, la cui conoscenza sia divenuta trasmissibile come
legge naturale.
Questa
caratteristica della comunicabilità ha generato una serie di equivoci
relativamente ad una presupposta intuitività della conoscenza artistica senza
che, in effetti, questa categoria dell'intuizione sia mai stata definita
realmente. Si sostituisce alla conoscibilità l'intuibilità dell'oggetto;
l'intuizione partecipa di tutte le caratteristiche della conoscenza (di ciò che
è intuito) ma è il processo che porta a questa conoscenza cosciente che rimane
incontrollato logicamente e incosciente.[6]
L’opera d’arte deve trovare, nel fruitore, una sorta di accoglienza spontanea
la cui origine e motivazione è riscontrabile nell’Io interiore di questi e non
assume le forme logiche necessarie alla conoscenza del fuori-da-se. Questo perché
la coscienza dell’essere di se o autocoscienza non si riordina se non fingendo
di essere essa stessa un fenomeno, per cui o non ha bisogno di categorie o usa
quelle a lei usuali per la realtà esterna.
L'equivoco
nasce dalla confusione tra categorie della conoscenza,[7]
e processi logici che portano alla conoscenza, ai quali l'esistenza di
categorie (interne o esterne al soggetto conoscente che siano) è di ausilio
indispensabile ma non costituisce la conoscenza. In questo caso noi siamo
interessati più alle prime che ai secondi ma è bene chiarire che non si intende
assolutamente negare valore all’intuizione nei processi della conscenza artistica, tenendo anche conto che
questa è spesso cercata di proposito dallo stesso artista per superare quelle
barriere che la cultura (o la mancanza di questa) e le convenzioni porrebbero
tra la sua opera ed il fruitore. Nell'opera d'arte il problema, è complicato
dal fatto che queste categorie possono essere proprie dell'opera in se. Esse
sono generate dall'artista ma devono essere possedute anche dal fruitore se non
sono portate dall'opera; questo è il caso di tutta l'arte sino al XIX secolo e
non solo per quanto riguarda le arti visive, dove la categoria principale della
conoscenza è la prospettiva, ma per tutte le forme di espressione
trasmissibili.
Nell’opera
d’arte la Forma costituisce un uno
inscindibile con i propri contenuti[8] per poter essere riconosciuta come tale e
acquista, perciò, un valore assoluto e preminente. Si tratta di una forma di
conoscenza superiore a tutte le altre che hanno origine dalla possibilità di
acquisire fenomeni esterni, cioé a tutte quelle che hanno origine dai sensi,
perché investe, in qualche modo, direttamente la coscienza. La forma esteriore,
anche fisica nelle arti figurative, diviene mezzo primario di trasmissione del
pensiero perché forma del pensiero stesso in quanto espressione esterna di
questo. E se il fruitore non ha le stesse categorie logiche dell'artista,
queste devono potergli essere trasmesse dall'opera.
Per
chi si ponga il problema della possibilità di un'arte informale, cioé non
rappresentativa, una soluzione possibile è proprio in questa direzione: l'opera
d'arte contemporanea porta in se le categorie della propria conoscenza che, in
quanto esclusive, sono a tutti gli effetti le categorie dell'arte. Non bisogna
confondere queste categorie con gli eventuali altri contenuti che l'opera
d'arte deve comunicare e che possono essere di natura e genere del tutto
diversi.[9]
Non contano le tradizionali categorie
della conoscenza per leggere o capire un’opera d’arte, ed è per questo cha
abbiamo parlato di categorie di lettura dell’opera d’arte, andando a cercarle
anche in epoche nelle quali, obiettivamente, nessuno le avrebbe citate; e
tuttora quando si parla di categorie si tende sempre a parlare di categorie
logiche della conoscenza e di categorie morali o del giudizio, non di
“categorie di lettura”. Ma se l’opera “non vuole” raccontare o spiegare, non si
può neppure parlare di logica, ma solo, eventualmente, di struttura. Ci sembra,
ora, più chiara la necessità espressa di parlare di categorie di lettura
dell’opera d’arte piuttosto che di categorie della conoscenza, che sarebbero
necessariamente riferite a quella che l’opera d’arte dovrebbe rappresentare.
Prima
di proseguire precisiamo subito che il termine “schema” implica il concetto di
“struttura”, il termine “criterio il concetto di “giudizio” ed il termine
“lettura” il concetto di “linguaggio”; il tutto riferito, in questo nostro
discorso, alle arti figurative.
La Natura e la storia
Esaminando
il rapporto tra artista e Natura,[10]
si possono distinguere due grandi periodi:
-
nel primo l'arte è essenzialmente mimesi, quindi espressione della natura, sia
pure nei modi esclusivi, liberi e personali dell'artista;
-
nel secondo essa è per lo più espressione dell'io interiore dell'artista, anche
se questo viene assunto a riferimento universale ed espresso nella forma di
rapporto con la natura.
Convenzionalmente
questa rivoluzione, dall'esterno naturale all'interno dell'io, viene fissata con
la nascita dell'Impressionismo, ma inizia alla fine del Settecento con la
polemica tra Neoclassicismo e Romanticismo in arte e in letteratura e con le
teorie di Kant in filosofia.
Se
si considera l'opera d'arte come mezzo di comunicazione, oltre che come pura
espressione estetica,[11],
si possono distinguere tre periodi, l'ultimo dei quali coincide con il secondo
dei due sopracitati:
-
nel primo, sino al xiv secolo, le
categorie logiche di lettura di un'opera d'arte sono quelle dei contenuti che
l'opera doveva trasmettere;
-
nel secondo queste categorie sono relative all'opera in se e possedute a priori
sia dall'artista che dal fruitore, che nell'opera, rispettivamente, le
inserivano e le ritrovano; la comunicazione che l'opera d'arte effettua come medium[12]
tra artista e fruitore deve corrispondere a caratteristiche predeterminate, tra
le quali, prima in ordine di importanza, la prospettiva. Perciò, per poter
capire l'opera d'arte, sia l'artista che il fruitore devono essere in possesso
della conoscenza delle regole di queste speciali caratteristiche o categorie
della comunicazione visiva e non hanno bisogno di intermediari.
-
nel terzo periodo, dalla metà del xix
secolo, il fruitore ricava o riceve, secondo i casi e secondo quanta iniziativa
gli conceda l'autore, le categorie di lettura dell'opera dall'opera stessa e se
non ci riesce ricorre ad un elemento attivo esterno ed intermedio, il critico,
la cui funzione cominciava a rendersi necessaria già a partire dal xviii secolo.
Questa
seconda divisione corrisponde a quella costruzione di una storia dell’arte come
storia delle categorie estetiche che avevamo ipotizzato.
Fondendo
i criteri di storicizzazione dell’Arte come rapporto con la Natura, in cui
l’Arte ha una funzione rappresentativa, con quelli che vedono l’Arte come mezzo
di comunicazione si può tentare di raggiungere una visione il più chiara
possibile.
A
questo punto ci sembra utile un chiarimento relativo al piano dell’opera.
Questa è divisa, in quanto opera storica, nei tre periodi citati sopra divisi,
a loro volta, in tre sottoperiodi di due parti ciascuno. Questo è voluto solo
perché la simmetria facilita l’organizzazione del discorso e la sua
comprensione ma non ha nulla a che vedere con il reale svolgersi della storia
dell’arte che è un continuuum senza
fratture reali. Dapprima si è evidenziata quella ricerca di verità che,
coincidendo con l’opera d’arte, ne determina la comprensione; poi si è
esaminata la ricerca che porterà l’uomo moderno a trovare una struttura
dell’arte ed a determinare la reciproca posizione di artista e fruitore nei
confronti di questa; infine si è esaminato in cosa si siano concretizzate,
negli ultimi due secoli, queste ricerche.
I
titoli dei vari capitoli da un certo punto si riferiscono ai nomi tradizionali
delle principali correnti artistiche, e precisamente da quando nasce la Storia
dell’Arte come disciplina autonoma mentre giudizio estetico e razionale si
separano.
L’estetica e il giudizio
Sappiamo
bene che è difficile, dopo millenni, abbandonare l'idea che la conoscenza
cosciente di se possa essere generata in forme diverse dalla parola, ma
riteniamo che ormai l'emancipazione dell'immagine dal linguaggio della parola
sia matura e totale; il che non toglie, ovviamente, che l'uomo completo non
abbia bisogno di entrambe le due dimensioni.
Che
la normatività, generalmente attribuita all'opera d'arte in quanto tale, derivi
dall'esistenza di categorie interne ad
essa e non tanto dalla corrispondenza ad altre esterne può essere facilmente
dedotto, tanto più che non si deve cercare una norma di riferimento che non sia
nell'arte stessa. Se le categorie cui l'opera d'arte si riferisce fossero del
soggetto fruente si potrebbe avere un'opera d'arte brutta o non valida
artisticamente ma perfettamente rispondente a queste categorie nel cui ambito
si svolgesse il contenuto dell'opera, inteso come ciò che andava comunicato.[13]
Restringendo
il campo di interesse all'estetica ed alle sue categorie,[14]
l'opera d'arte acquista una dimensione logica autonoma che ne giustifica
l'ideazione e la messa in atto e, in definitiva, l'esistenza; tutto ciò senza
inficiare la coesistenza e la validità di altri parametri di conoscenza e di
giudizio, solo separandoli.[15]
Se contenuti logici e categorie conoscitive coincidono, si raggiunge una
conoscenza che si può identificare con la coscienza e non ha bisogno di altri
punti di riferimento divenendo, per ciò stesso, normativa. È una conoscenza
criterio di se stessa e di giudizio di se, senza bisogno di categorie del
giudizio e di forme intuitive non altrimenti determinate.
É
stato notato[16] che
l'enorme libertà creativa ottenuta dagli artisti ha generato anche, spesso, una
mancanza di contenuti, venendo mancare quella capacità delle arti figurative di
mediare tra vedere e sapere o, in termini filosofici, tra sensazione e
conoscenza.[17] Per inciso,
è notevole come il rapporto tra questi due termini, propri della ricerca
filosofica prima di Kant, non sia ancora stato risolto, per cui l'artista, o
l'operatore artistico che dir si voglia, passa indifferentemente dall'azione
sull'una o sull'altra di queste facoltà dell'intelletto quasi sempre senza
saperlo. È questa l'intuizione che, in qualunque sua forma, rimane il
raggiungimento di uno stato logico di conoscenza e di coscienza (e
autocoscienza) attraverso un processo non formato e sezionato nelle sue fasi ma
essenzialmente unitario, senza ripensamenti o revisioni e può essere
identificata con questo stesso processo; ma si tratta sempre di un modo di
procedere, non dei risultati raggiunti, che sono ciò che conta nell'arte.
Apprezzare,
capire, penetrare un'opera d'arte con lentezza, meditando e riflettendo[18]
è altrettanto valido che intuirne i valori e, fondamentalmente, porta agli
stessi risultati. Tanto più deve essere applicato questo ragionamento al
comporre; sembra assurdo ritenere che gli artisti abbiano sempre creato quando
erano incoscienti del proprio agire o, almeno, quando abbiano agito con totale
spontaneità. Eppure è così che la maggior parte del pubblico crede che sia. La
struttura di un'opera d'arte può essere studiata per comprendere meglio questi
processi (logici), ma non ne costituisce fruizione, al modo che l'analisi
logica di tutto un romanzo non può assolutamente darci il piacere della
lettura.
Così,
se siamo profondamente convinti che l'arte sia trasmissione di pensiero con
modalità sue proprie, ma sempre, fondamentalmente, trasmissione di pensiero,
siamo anche convinti che ogni forma di espressione artistica debba poter essere
spiegata e trasmessa, sia cioé, significante. Anzi, si potrebbe andare oltre sostenendo
che la qualità del pensiero espresso attraverso le opere d’arte figurative è
diversa e inegualiabile da altre forme espressive; non superiore, ma spesso
capace di risultati non ottenibili in altro modo. Per approfondire le
conseguenze di queste ultime due affermazioni ci riserviamo di parlarne meglio
e più distesamente oltre, arrivando ad esse attraverso un breve excursus storico.
Le
conclusioni che trarremo alla fine di questo, in pratica, sono già state
enunciate ma vorremmo aggiungerne una: l’arte è stata sempre trasposizione di
pensiero dal piano del reale a quello dell’ideale o, in altri termini, da
quello dell’uomo a quello dello spirito e comunque dal relativo all’assoluto;
piani di pensiero in cui, sempre si superano le dimensioni limitate della
natura e della conoscenza che di questa si può raggiungere per arrivare
all’immutabile e l’eterno, o almeno, a sfiorarlo, fuori dello spazio e del
tempo. Abbiamo, forse, recuperato un poco della vecchia Metafisica, non si
dimentichi che i problemi che questa ha posto in questi ultimi secoli non hanno
mai avuto una risposta. In altri termini non si vede né una fine né una
finalità del pensiero e, con esso, della necessità di comunicarlo anche con
l’arte e se questa non è definibile razionalmente non per questo non è
razionale, siamo noi a non essere capaci di farlo.
Di
certo alla creazione artistica, intesa come conoscenza e pensiero, oltre alla
forma si deve unire il concetto di una indispensabile volontà creatrice, che
che tale volontà si senta libera e, visto che la libertà esiste nel momento che
si autoproclama, si eviti anche di confonderla con la necessità.
Si
vorrà scusare l’autore se, d’ora in poi, farà ricorso a quelle opere ed a
quegli artisti che conosce meglio, quasi tutti in Italia; sono sempre e solo
esempi; la trattazione è, nelle intenzioni, generale. Riteniamo giusto che il
lettore straniero sostituisca mentalmente agli italiani degli artisti del
proprio paese.
[1] Usando il termine sia nel senso di contenere che nel senso di capire intellettualmente.
[2] Triste eredità del positivismo!
[3] Alcuni parlano di trasmissibilità attraverso il tempo, come superamento di questa dimensione e raggiungimento dell'eterno, almeno virtualmente, ma comunque, sempre di trasmissibilità si tratta.
[4] Se io voglio trasmettere una sensazione di dolore, ad esempio, il dolore sarà percepito come tale, anche se solo in potenza e non in atto (per fortuna!) dal soggetto cui l'ho voluta trasmettere: la sensazione, in quanto tale e per sua natura, è di chi la sente dentro di se e non di chi l'ha generata.
[5] Esempio: un'opera d'arte può comunicare l'idea di bellezza ideale; l'opera è comunicativa, può, cioè, comunicare (la bellezza ideale, appunto); la bellezza ideale è ciò che è comunicabile.
[6] Il termine
comunicatività indica la capacità attiva di trasmettere un contenuto, mentre il
termine, quasi simile, comunicabilità indica la capacità passiva di essere
comunicati Distingueremo anche
l'intuitività dall’intuibilità: è intuitivo ciò che può suscitare intuizione, è
intuibile ciò che può essere intuito. Istituiamo, per chiarezza, queste
relazioni:
a) Comunicabilità =
Intuitività;
b) Comunicatività = Intuibilità.
Nel caso a) l'opera d'arte può essere comunicata con facilità con i suoi contenuti perché trova, nel fruitore, una spontanea capacità di recepirla comprendendo questi contenuti senza sforzi logici; nel caso b) l'opera d'arte può essere comunicata perché essa stessa suscita nel fruitore la capacità di capirla. Si potrebbero scambiare i primi o i secondi termini delle relazioni tra loro ma non i primi con i secondi. Comunicabilità e intuibilità coincidenti presupporrebbero una passività totale del fruitore, mentre comunicatività e intuitivita indicherebbero un'arte usufruibile solo in particolari condizioni.
[7] Sia che siano intese nell'accezione kantiana che in quella aristotelica del termine.
[8] A parte si dovrà cercare di definirli.
[9] Si pensi, per fare un esempio, a Guernica di Picasso, il cui messaggio socio-politico contro la guerra è evidente ma che nega sia le categorie del tempo e dello spazio kantiane sia la concatenazione logico-connettiva aristotelica delle immagini proposte.
[10] Per Natura si intende tutto ciò che l'artista può osservare, compreso l'uomo e i suoi sentimenti. “Natura” è scritto qui con l'iniziale maiuscola perché considerato nome proprio di un oggetto d'osservazione e per rispetto della tradizione degli antichi che lo personificavano.
[11] Per il momento rinunciamo alla definizione di questo termine che andrebbe cercata nel rapporto tra operare artistico e pensiero cosciente.
[12] I media della comunicazione sono prima di tutto concettuali, operatori di mediazione, e non solo mezzi tecnici come molti credono, quali stampa, cinema, radio, televisione e anche pittura, scultura, architettura, incisioni ecc. ma non, ad esempio, il telegrafo.
[13] Ad esempio un'opera che ispiri all'amor patrio quale se ne produssero tante nel xix secolo, potrebbe corrispondere perfettamente, nei contenuti, alle categorie del nazionalismo, ma essere ben mediocre nella rispondenza alle categorie del gusto estetico
[14] Chiediamo perdono, ora e per il futuro, di tutte le ripetizioni.
[15] Ancora, la critica iconologica esamina l'opera d'arte cercando la corrispondenza con un discorso logico spesso preesistente o che, comunque, avrebbe potuto essere espresso anche in altre maniere; ma ignora spesso la specificità della comunicazione visiva.
[16] Da Berenson, certamente il maggior critico del xx secolo.
[17] Oppure tra fenomeno e noumeno nella terminologia kantiana.
[18] Come spesso può accadere, ad esempio, a teatro, in un romanzo o seguendo e leggendo con gli occhi un lungo ciclo di affreschi o passeggiando per una città dal tessuto urbanistico coerente.