Una guerra radioattiva

I proiettili all'uranio impoverito

(articolo di Marina Forti pubblicato su "Il Manifesto del 25/4/199)

La definizione di "armi convenzionali", in opposizione a quelle atomiche, va aggiornata.

Ormai bisognerà parlare di "armi convenzionali radioattive ": l'esercito degli Stati uniti le ha usate per la prima volta durante la guerra del Golfo nel '91, e ora nella guerra alla Jugoslavia (lo ha confermato, il 17 aprile, l'ineffabile generale Marani portavoce militare della Nato). Si tratta di proiettili ricoperti con uranio impoverito (depleted), materiale scelto per la sua estrema densità (l'uranio è il più denso degli elementi): i proiettili all'uranio sono usati in particolare per forare le pareti blindate dei tank.

Arma potente, perché aumenta la capacità distruttiva di chi la usa. Ma i proiettili all'uranio non si limitano a uccidere e distruggere l'obiettivo. Sono anche un'arma a effetto ritardato, i cui danni sulle persone -militari e civili e sull'ambiente si vedranno nel tempo.

Il termine "esaurito", o "impoverito" riferito all'uranio, non deve trarre in inganno: non significa che non sia radioattivo. Per uranio impoverito si intende uno scarto del processo con cui il minerale naturale è "arricchito", per renderlo adatto a produrre la fissione e una reazione a catena (quindi alimentare un reattore, o fare una bomba). Allo stato naturale nell'uranio prevale l'isotopo uranio-238, presente nella proporzione del 99,3% del totale. "Arricchirlo" significa aumentare la proporzione di isotopo U-235 (suscettibile di fissione). Quello scartato ("impoverito") è dunque un uranio in cui l'U-235 è ridotto (dallo 0,7 allo 0,2%). Conserva il 60% della radioattività dell'uranio allo stato naturale; ha un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni.

L'effetto "collaterale"

I proiettili all'uranio sono quel tipo di anni di cui i vertici militari, e le industrie belliche, preferiscono non parlare troppo in pubblico. I carristi iracheni, colpiti, restavano secchi all'istante. Ma poi c'è l'effetto "collaterale": l'uranio brucia assai rapidamente quando si scalda per l'impatto con l'obiettivo, o in un incendio; si ossida e forma piccolissime particelle (aerosol) trasportate dall'aria. Questo aerosol viaggia rapidamente nell'atmosfera. E' facilmente inalato, entra nell'acqua, nella catena alimentare. I primi a respirare e ingerire le particelle di uranio sono stati gli civili iracheni tornati a popolare le zone di battaglia. Sara Flounders, coordinatrice del International Action Centre (un gruppo di scienziati e attivisti contro la guerra), riferisce di aver visto nel 1994 in Iraq un gran numero di bambini con deformità genetiche, o affetti da leucemie, linfomi e malattia di Hodgkin: "A causa delle sanzioni, i medici iracheni non avevano neppure farmaci di base e non potevano far nulla". Per lo stesso motivo sarà difficile avere studi dettagliati sull'incidenza di queste malattie in quella regione.

Ma l'uranio "impoverito" è un'arma che danneggia anche chi la usa. Non era solo nei proiettili: in effetti era usato anche per "corazzare" tank, blindati, strumentazioni di navigazione, le artiglierie contraeree, etc. I militari che hanno manovrato quei proiettili sono stati esposti a radiazioni. Migliaia di fanti hanno camminato ignari attraverso invisibili nuvole di vapori di ossidi di uranio, senza sapere che quelle particelle entravano nei loro polmoni. Durante la guerra del Golfo in effetti nessuna istruzione o avvertimento era stato dato ai militari mandati a sparare.

Qualcuno ricorderà allora confuse notizie sull'aumento della radioattività registrata nell'Iraq meridionale, sui campi di battaglia - ma nessuno diceva a cosa si dovesse attribuire. Nel novembre del '91 il quotidiano londinese The Independent entrò in possesso di un rapporto segreto dell'ente atomico britannico (Ukaea), e lo pubblicò: era un rapporto preparato nell'aprile precedente (a guerra conclusa da appena un mese) e descriveva i potenziali problemi dovuti alle polveri radioattive diffuse nella zona dei combattimenti ed entrate nell'acqua e nella catena alimentare. Si parlò allora di 40 tonnellate di residui radioattivi lasciati al suolo da proiettili all'uranio, sufficienti a causare la morte di 500 mila persone; in seguito risultò che erano ben di più: oltre 300 tonnellate.

E' allora che diversi scienziati e attivisti cominciarono a indagare sui proiettili all'uranio e su quella che fu definita "la sindrome del Golfo" - i cui sintomi sono fatica cronica, emicranie e dolori alle giunture, malattie gastrointestinali, insonnia, perdita di memoria e, in seguito, un'abnorme incidenza di deformità genetiche nei figli dei veterani di quella guerra. (nella sindrome del Golfo hanno giocato probabilmente diversi elementi, tra cui, pare, tre vaccini somministrati alle truppe per proteggerli da eventuali agenti chimici). Quelle indagini, le mezze ammissioni del Pentagono, gli studi sull'effetto di basse dosi di radiazioni, e una grande massa di dati sono raccolti in un libro: Metal of Dishonor: depleted uranium. How the Pentagon Radiates Soldiers and Civilians wíth DU Weapons, edito dal International Action Centre di New York nel 1997.

Gli effetti dell'esposizione a uranio impoverito per la verità non erano sconosciuti neppure prima della guerra - quei proiettili erano usati già da anni nei poligoni di tiro, e c'erano già studi su possibili danni sulla salute umana

Certo, i vertici americani (e ora della Nato) liquidano il problema affermando che si tratta di uranio a bassa radioattività, o negando l'evidenza. Per anni l'opinione corrente tra radiologi e fisici nucleari è stata che le radiazioni a bassa intensità non hanno effetti abbastanza rilevanti da essere studiati. Ma ormai gli effetti delle basse dosi di radiazioni non sono più un mistero. Rosalie Bertell, radiologa, cofondatrice del International Institute of Concern for Publie Health, ha raccolto una bibliografia ineccepibile sul tema (lo studio delle conseguenze della catastrofe di Cernobyl ha fornito materiale abbondante), e riassume: l'esposizione continuata nel tempo a basse dosi di radiazioni, o l'accumulo nei tessuti e nelle ossa, hanno conseguenze che vanno da tumori non fatali a depressione del sistema immunitario, danni localizzati ai tessuti (specialmente nei tratti respiratori, digestivi e urinari), danni alla pelle, danni riproduttivi. Le radiazioni causano lesioni al cervello, danni alle cellule del sangue. Nel caso di isotopi radioattivi di metalli pesanti, come l'uranio, questi possono accumularsi nelle ossa e irraggiare organi e nervi.

I costi nascosti della guerra

Durante la guerra del Golfo i proiettili all'uanio sono stati sparati dai bombardieri 10 Warthog, equipaggiati con cannoni 8/A Avenger da 30 millimetri a 7 canne, capaci sparare 4,200 colpi al minuto. In totale, qualcosa come 940 mila colpi sono stati sparati. Il fisico Leonard A. Dietz, che ha partecipato alla redazione di Metal of Dishonor, stima che se solo il 2% di una quantità (sottostimata) pari a 300 tonnellate di uranio esausto sparato in Iraq avesse preso fuoco, il risultato sarebbe circa 6.000 chili di aereosol di uranio. l'Iraq meridionale ne resta inquinato. Oggi quegli stessi proiettili sono usati nella guerra jugoslava.

Quando il conflitto sarà finito, chiunque tornerà ad abitare il Kosovo troverà il terreno e l'acqua contaminati, e lo rimarranno per anni. Bonificare il Kosovo e tutta la Repubblica federale di Jugoslavia potrebbe avere costi enormi.

Dal punto di vista dell'industria degli armamenti però l'uranio esaurito ha diversi vantaggi. Intanto, è un materiale disponibile in grandi quantità e davvero economico: cinquant'anni di industria nucleare bellica hanno permesso di accumularne qualcosa come 500 mila tonnellate nei soli Stati uniti (è la stima del Bureau of National Affairs citata in Metal of Dishonor). C'è, produrlo con costa nulla. Anzi: tanto di risparmiato sulle costose misure per lo stoccaggio di scorie ad alta radioattività.

E poi: durante la guerra del Golfo le forze Usa hanno avuto 147 caduti (contro decine di migliaia di morti iracheni). Dal punto di vista dell'industria bellica questa è un'ottima pubblicità: i nostri governanti tendono a presentare guerre a "costo umano zero" per noi, la Nato. Certo, se si includessero nel conto le malattie a lungo termine, le malformazioni genetiche dei nascituri e il danno ambientale, il bilancio cambierebbe - ma se nessuno ne parla, ecco che si alimenta la favola della guerra a "costo umano zero" per chi la conduce. Ora, le guerre sono fantastiche vetrine dal punto di vista della produzione di armamenti: dopo il' 91 i proiettili all'uranio, così ben pubblicizzati, hanno trovato acquirenti.Certo, con qualche precauzione: oggi i militari Usa e tedeschi hanno l'istruzione di usare maschere speciali durante il fuoco, per non respirare gli ossidi di uranio, e guanti quando maneggiano i proiettili.

Dunque, è una guerra radioattiva quella che la Nato sta conducendo nei Balcani. Per anni, milioni di persone in tutto il mondo hanno manifestato contro la corsa agli armamenti (atomici). Movimenti di massa si sono opposti allo sfruttamento dell'energia nucleare. L'argomento di fondo è il rischio per il futuro del pianeta: l'impossibilità di "chiudere" il ciclo del combustibile nucleare e di disfarsi per sempre delle scorie, l'insicurezza insita in ogni impianto nucleare, la follia della corsa a produrre armi sempre più distruttive. La risposta dei poteri pubblici è stata giocata sulla sicurezza: in particolare all'industria civile sono stati imposti standard di sicurezza sempre più stretti, con costi sempre più alti.

Ma la produzione bellica risponde ad altre logiche. Ha una materia prima quasi gratis, ha inventato "l'arna invincibile". Si avvale del segreto militare, dell'ignoranza pubblica. Negli Stati uniti, gli attivisti del Intemational Action Center chiedono un'inchiesta indipendente, condotta da scienziati non legati all'industria nucleare, medici, epidemiologi e genetisti. Chiedono la messa al bando internazionale dei proiettili all'uranio. E in Italia? Nel paese "uscito" dal nucleare civile dopo un referendum popolare continuerà a regnare il silenzio?