Quell’esile filo che ci lega ancora

di Stefano Mele

Primo firmatario appello nazionale DS "Pace ora, subito!"

articolo pubblicato su "Il Manifesto" 9 giugno

 

Stiamo vivendo con indignazione e rabbia la prosecuzione della guerra e dei bombardamenti nonostante il Parlamento Jugoslavo e Milosevic abbiano formalmente accettato da oltre una settimana non solo i principi del G8 ma anche un piano dettagliato per la sua applicazione. La prosecuzione dei bombardamenti terroristici della Nato oltre che illegittimi (lo sono sempre stati) potrebbero determinare nuovi inquietanti episodi che potrebbero mettere in serio pericolo 'obbiettivo della pace e la pretesa ella Nato di imporre ai Serbi condizioni militari unilaterali al di fuori di qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu stanno ad indicare l'altissimo ischio di fallimento degli sforzi in atto per cercare di imboccare la strada della soluzione del conflitto.

Domenica 6 giugno ho partecipato alla manifestazione di Aviano dove è riuscita l'impresa di fermare i voli dei bombardieri per alcune ore che continuano a uccidere e distruggere senza alcuna residua ragione.

Cosa sta facendo in queste ore il Governo Italiano e i partiti di governo che lo sostengono? Perché "nessuno esprime uno straccio di dissociazione aperta" contro le ultime pericolosissime manovre dei settori più oltranzisti della Nato? Che tristezza pensare a quanto sia contata o conti ancora la mozione della maggioranza di centro sinistra che era stata approvata dalla Camera dei Deputati per la sospensione dei bombardamenti, quanta delusione per le "vuote e inefficaci parole" dei leader politici della sinistra di governo e dello stesso Presidente del Consiglio che dopo gli ultimi fatti sono sbeffeggiati dagli anglo-americani sulla sospensione dei bombardamenti.

Mentre questa sporca guerra con i bombardamenti della Nato e le pulizie etniche speriamo sia al suo declino non possiamo rinunciare alla nostra iniziativa che cerca di capire perché questo sia potuto succedere, cosa ci prospetta il futuro e definire le responsabilità politiche collettive e personali dei protagonisti dell'avventurismo che ha riportato la guerra nel cuore dell'Europa e dentro ognuno di noi.

Nella sinistra di governo italiana ed europea nulla sarà più come prima della guerra nei Balcani e le non poche furbizie e ambiguità tattiche dei gruppi dirigenti che la compongono devono essere messe fortemente in discussione. Se proviamo a confrontare quello che questi gruppi dirigenti ci dicevano all'inizio della guerra a quello che ci dicono oggi non possiamo non notare le enormi contraddizioni.

Due esempi per tutti: D'Alema oggi confessa che "ogni mattina accende il televideo con l'angoscia di vedere se qualche bomba è finita fuori posto perché si sente corresponsabile", mentre dopo il bombardamento della Tv di Belgrado nei primi giorni di guerra dichiarò su tutti i Tg con un sorriso agghiacciante che "la guerra è guerra e che non si poteva fare una riunione per discutere gli obbiettivi di ogni bombardamento"; Veltroni, segretario del mio partito affermò quasi con entusiasmo che eravamo di fronte ad una "guerra etica ed umanitaria" mentre oggi dice che è "inaccettabile far pagare un prezzo così alto alla popolazione civile vittima dei bombardamenti".

È difficile dire se le ultime valutazioni siano il frutto di una sincera consapevolezza del fallimento della guerra e della pressione del dissenso che ben conoscono o se si tratta di tattica pre-elettorale.

Molti elementi che in questa sede non posso elencare per esigenze di spazio fanno pensare che la scadenza del 13 giugno sia per loro la più grande preoccupazione. Una riflessione politica la meritano anche le deboli posizioni dell'area di sinistra dei Ds che insieme ai Verdi, ai Comunisti italiani e settori dei Cattolici popolari hanno tentato di condizionare il governo senza risultati apprezzabili perché condizionati dal ricatto (accettato) della crisi di governo

O di una nuova maggioranza ancora più favorevole alla guerra. A molti appare evidente che le conclusioni a cui può approdare la guerra siano uguali a quelle che si potevano realizzare senza farla e le responsabilità di chi non ha saputo concretamente impedirla non possono essere negate.

Sull'atteggiamento del sindacato confederale infine peserà per sempre una critica severa per aver rinunciato all’affermazione della pace come diritto sociale universale contro la guerra che lo nega nelle forme più totalizzanti.

Questo quadro critico dell'insieme della sinistra italiana ed europea obbliga a ripensare le forme di partecipazione alla politica di tante donne e uomini che hanno creduto nei valori fondamentali del socialismo e della sinistra democratica.

Questa sinistra di governo europea non può essere considerata come l'approdo definitivo del travaglio che l'ha segnata per l'intero secolo, un approdo inaccettabile perché porta il sigillo della guerra.

La riconquista della sinistra ai suoi valori, la sua ricostruzione generale, dovrà essere il terreno di impegno unitario per molti di noi che militiamo in luoghi diversi cercando di costruirne uno dove poter lavorare e lottare insieme.

In attesa di questo difficilissimo obbiettivo dobbiamo provare a continuare la battaglia politica nei luoghi oggi possibili per nostra scelta.

Con questo mio intervento vorrei tentare di interpretare e socializzare l'esperienza che ho vissuto in questi due mesi e mezzo di guerra come primo firmatario dell'appello nazionale Ds "Pace ora, Subito!" sottoscritto da oltre 550 iscritti, militanti e dirigenti periferici Ds che hanno così voluto esprimere il loro profondo dissenso sulle scelte del partito e del governo attraverso un rapporto collettivo inedito tra semplici compagne e compagni e al di fuori delle tradizionali modalità del fare politica in un partito come il Ds.

La prima considerazione che possiamo esprimere è la nostra unanime delusione per non aver mai ricevuto risposte da nessuno sul merito della lettera aperta, la seconda riguarda il comune senso di impotenza e frustrazione sulla possibilità di incidere sul partito.

Probabilmente le nostre aspettative erano esagerate e non poteva essere diversamente visto che neanche le mozioni solenni della Camera dei Deputati sulla sospensione dei bombardamenti ha avuto alcuna reale efficacia.

Le compagne ed i compagni che hanno sottoscritto la lettera aperta hanno mantenuto in piedi una vera e propria rete di comunicazione e azione organizzata e tra noi si è sviluppata una discussione sul "che fare" dalla quale sono emerse a grandi linee le seguenti indicazioni:

1) L'impegno di molti firmatari è quello di proseguire il lavoro per rivendicare una linea alternativa a quella attuale del partito e nuovi spazi di democrazia per poterla proporre e organizzare nel futuro congresso senza pratiche emendatarie inefficaci.

2) Sulla scadenza elettorale del 13 giugno sono emerse posizioni favorevoli all'organizzazione del voto di preferenza per í candidati alle elezioni europee Ds che si sono espressi chiaramente contro la scelta della guerra mentre altri hanno sostenuto la necessità di non votare per i partiti della sinistra di governo alle elezioni europee e sostenere invece con forza i candidati sindaci e presidenti di provincia del centro sinistra e le liste Ds alle elezioni amministrative.

Personalmente considero politicamente legittime queste posizioni sul 13 giugno e spero che siano in molti a seguire la strada dell'esercizio di voto in piena libertà di coscienza sul tema della guerra senza penalizzare chi si è impegnato con nettezza a sinistra contro questa deriva.

L'ultimo esile filo che ci lega ad una forza di sinistra di governo per moltissimi di noi non si è ancora definitivamente rotto ed un voto di protesta in questa occasione non lo romperà, sta al partito, al suo gruppo dirigente saper prospettare la ricostruzione di un rapporto che e diventato difficilissimo e questo potrà avvenire solo attraverso la ricostruzione di una identità che ritorna a "ripudiare la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali e insieme a questo valore riaffermare quelli del lavoro, dei diritti e della solidarietà sociale, della difesa dei diritti umani e della libertà attraverso regole certe e universali".

Solo questi sono e devono rimanere i valori costitutivi dell'identità di una vera forza socialista Europea, così è stato negli ideali del nostro passato, così non lo è per buona parte del presente, così dovrà tornare ad essere pienamente per il futuro altrimenti non ha più senso definirsi di sinistra in un mondo in cui la competizione po' politica diventa in sostanza solo confronto tra gruppi di persone che gestiscono il potere senza alternative sui contenuti sociali, economici e strategico-militari.