Perchè abbiamo bombardato la Iugoslavia?

Riproponiamo un testo uscito durante i bombardamenti sulla Iugoslavia

che crediamo conservi ancora oggi tutta la sua attualità


Perché stiamo bombardando la Iugoslavia?

 

"Che altro si potrebbe fare?"

"Anche io sono inorridito dalle conseguenze dei bombardamenti della NATO ma che altro si potrebbe fare per fermare la pulizia etnica in Kossovo?"…. "Bisogna fermare Milosevic per impedirgli di diventare un nuovo Hitler"… "L’attacco della NATO è stata la conseguenza dell’assoluto immobilismo delle Nazioni Unite e della Comunità Europea"….

Purtroppo, sono proprio queste le affermazioni che riecheggiano nei discorsi della gente, inebetita come non mai da una martellante campagna propagandistica portata avanti da tutti i giornali (con l’eccezione de "Il Manifesto", "Liberazione" e pochissimi altri) e da tutte le televisioni. Le immagini delle atrocità, compiute sempre e soltanto dai Serbi, sono ormai entrati in tutte le nostre case e hanno finito per cementare l’immagine di un popolo (che pure, fino a qualche anno fa, era considerato il più occidentale e acculturato dell’Est europeo) geneticamente criminale e accecato dal nazionalismo.

E così, liquidato come "fanatismo" l’eroico comportamento di migliaia di Serbi che si offrono come scudi umani per salvare i loro ponti, le loro città, dalla distruzione, ci si rassegna a prendere per buone le dichiarazioni di Clinton e dei suoi servi sulla "iniziativa umanitaria" che ha comportato finora migliaia di morti e infinite distruzioni.

Questo sito Internet realizzato da compagni del Circolo Montecalvario - San Giuseppe Porto (Napoli) del Partito della Rifondazione Comunista vuole rispondere ad alcune domande che, nonostante l’impazzare di "dibattiti" televisivi, spesso condotti al limite della decenza, continuano per la maggior parte delle persone a rimanere senza risposta.

La "questione Kossovo"

Il Kossovo e' una delle regioni della Federazione Jugoslava la quale e' formata, oltre che dal Kossovo, anche dalla Serbia, dal Montenegro e dalla Vojvodina. Grazie all’elevato tasso di natalità e alla fuga della popolazione di etnia serba, la popolazione del Kossovo di etnia albanese è passata dal 70% di qualche decennio al 90% di oggi. Durante la guerra civile (fomentata - non dimentichiamolo - dalla Germania e da altre nazioni europee) che ha distaccato dalla federazione iugoslava Croazia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina, la repressione di Belgrado contro la popolazione kossovara ha subito un giro di vite annullando quella relativa autonomia garantita dalla Costituzione del 1974; e così il 23 marzo 1989 il governo di Milosevic con un emendamento alla Costituzione attribuiva alla Serbia il totale potere di controllo della polizia e della magistratura operanti in Kossovo. Le violazioni dei diritti umani e le repressioni non si sono fatte attendere. Ad esempio, secondo Amnesty International e la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel periodo da gennaio a settembre 1994 sono state convocate dalla polizia "per dialoghi informativi" 2464 persone; sono state compiute 3216 irruzioni nelle famiglie; sono state maltrattate 1721 persone, 87 imprigionate per motivi politici o per la loro attività nell'insegnamento o in campo umanitario; torturati 10 giovani tra i dodici e i sedici anni e 12 donne: tre sono morti; 10 persone sono state uccise arbitrariamente.

Questa repressione ha dato origine e alimentato vari movimenti, primo tra tutti quello diretto da Ibrahim Rugova definito dai giornali occidentali fino a ieri "il Gandhi dei Balcani" e oggi, che si è schierato per la sospensione dei bombardamenti, "un pupazzo di Milosevic".

Il movimento di Rugova mettendo al centro la questione dei diritti umani in un quadro di autonomia ed autogestione regionale ed evitando di esasperare le rivendicazioni per l'indipendenza e la secessione ben presto è divento una realtà di massa. Rugova, assieme alla Chiesa cattolica del Kossovo e alle migliori forze della società civile, ha promosso dal 1990 un processo di superamento della "vendetta del sangue", profondamente radicata nella tradizione albanese, favorendo un movimento di riconciliazione che ha consentito l'estinzione di 1275 "vendette del sangue" (il "Codice di Lek Dukagjini", "impone" di lavare nel sangue un omicidio anche a distanza di diverse generazioni) sospese con manifestazioni oceaniche, come quella vicino a Decani, nella quale erano presenti 650.000 persone che applaudirono il pubblico e reciproco perdono di 150 famiglie, mentre altre 35, senza alcuna preparazione e preavviso, spinte unicamente dalla maturata coscienza di riconciliazione, offrirono il perdono dei loro familiari. Pur con alcuni limiti, il movimento di riconciliazione di Rugova ha costituito una tappa fondamentale per la coscienza del popolo albanese kossovaro e poteva essere un fondamentale pilastro per la soluzione della "questione Kossovo".

 

"E chi se ne frega?"

Le iniziative di Rugova suscitavano in Occidente, in alcune associazioni pacifiste, campagne di solidarietà e già nel 1993 in Italia nasceva la "Campagna Kossovo" per la soluzione nonviolenta del conflitto e il sostegno a Rugova. Tutto questo nella più assoluta indifferenza dei governi e giornali occidentali. Basti pensare che il 10 ottobre 1998 ( e cioè non più di qualche mese fa) la delegazione dei manifestanti (centinaia di profughi e cittadini del Kossovo, insieme ai militanti pacifisti della "Campagna Kossovo") che aveva organizzato una manifestazione di fronte a Montecitorio fu snobbata da quasi tutti i parlamentari. È da ricordare che allora il governo italiano tendeva a mantenere una sorta di equidistanza fra i kossovari e Belgrado, affermando, per bocca del ministro Dini, che "i torti non stanno solo da una parte".

Come mai tanta indifferenza in Italia verso le violazioni dei diritti umani in Kossovo?

La verità è che non poche aziende italiane avevano in corso trattative che avrebbero dovuto portare alla stipula di lucrosi contratti commerciali. (come il rifacimento delle linee telefoniche della Jugoslavia). Ancora peggio nonostante la decennale repressione dei kossovari, veniva accordato alla Jugoslavia lo status di "zona di mercato privilegiato", accelerando così la corsa agli affari a molte nazioni tra cui l'Italia, che diventava il primo partner economico attraverso accordi stipulati con STET, FIAT e altre società.

La situazione del Kossovo, nonostante l’impegno dei pochi pacifisti e le 10.000 cartoline inviate al ministro degli Esteri Dini, sarebbe, quindi, rimasta sconosciuta ai più se, come un avvoltoio, non fosse piombato sulla scena Clinton.

 

Il nostro uomo a Belgrado

Oggi, forse, pochi ricordano che Milosevic è stato l’interlocutore privilegiato degli Americani durante la guerra civile in Iugoslavia e questo anche quando Milosevic, agli inizi di questo decennio, si era guadagnato sui mass media europei l’appellativo di "boia dei Balcani". Il perché dell’appoggio degli USA ad un simile personaggio si spiega considerando che gli Stati Uniti non vedevano di buon occhio l’espansionismo tedesco ed europeo in generale che, finanziando la guerra civile nella Federazione iugoslava e imponendo una gigantesca "pulizia etnica" (basti pensare ai 600.000 Serbi espulsi dalle loro case in Croazia), erano riusciti a far nascere staterelli nei quali indirizzare i loro investimenti sfruttando, oltre ogni limite, una mano d’opera priva di qualsiasi organizzazione sindacale e politica. Del resto, non era la prima volta che gli Stati Uniti appoggiavano un dittatore destinato, qualche anno dopo, ad essere additato come l’artefice di ogni crimine. Era già successo con Saddam Hussein largamente finanziato dagli USA per scatenare la guerra contro l’Iran e al quale l’Occidente aveva dato carta bianca nella repressione della minoranza curda.

Ma torniamo all’argomento di questo sito. Perché gli Americani, che da sempre hanno appoggiato i peggiori dittatori, decidono di intervenire in Kossovo per "ragioni umanitarie"? Una prima risposta ce la da Noam Chomsky, famoso linguista-filosofo e attento osservatore della politica estera statunitense, su di un articolo apparso su Z magazin: "Durante gli anni della presidenza Regan gli Usa assunsero una posizione di aperta sfida nei confronti del diritto internazionale e della carta dell’Onu. Le massime autorità spiegarono con brutale chiarezza che la Corte Internazionale, l’Onu e gli altri organismi ormai non contavano più nulla, dato che non ottemperavano più, come negli anni del dopo guerra, agli ordini degli Usa. Sotto la presidenza Clinton, la sfida all’ordine mondiale è divenuta così estrema da preoccupare tutti gli analisti politici." Dunque è plausibile pensare che l’intervento della Nato serva a creare un pericoloso precedente che garantisca il consenso di tutti i partners occidentali ogni qual volta gli Usa decidano di fare una guerra mascherandola con l’alibi dell’intervento umanitario; tutto ciò ovviamente al fine di affermare la propria supremazia militare, politica e il proprio ruolo di gendarmi internazionali. Una seconda risposta l’ha data Lucio Caracciolo, direttore della rivista di politica internazionale <<Limes>> "Questa guerra e' una sorta di test di fedeltà. Considero questa guerra una follia. Gli americani stanno sperimentando, con questa enorme follia, l'utilità della Nato. Vogliono vedere fino a che punto la Nato gli può servire e fino a che punto gli europei sono disposti a seguirli. Ad esempio, se la Nato diventa qualcosa di diverso, e potrebbe un giorno essere chiamata ad intervenire nel Caucaso: degli europei chi li seguirà. Questa guerra e' anche una selezione stabilita dagli americani con una logica molto cinica su chi sta nella Nato e chi non ci sta.". Entrambe le spiegazioni ci sembrano convincenti anche se non ci si può non domandare perché mai questa guerra della NATO e dell’imperialismo americano sia accettata e sostenuta da governi di sinistra e che, come quello italiano, vede la presenza di ministri che si spacciano ancora per "comunisti".

 

Il mito della "guerra lampo"

Le illusioni che si faceva il nostro governo sulla guerra sono sintetizzate in queste due interviste di Massimo Dalema. La prima (concessa al Corriere della Sera il 26/3/99) risale ai primi giorni del conflitto: "L'azione militare della Nato ha indotto, pare, i serbi a sospendere l'offensiva contro i civili in Kosovo chiedendo la riapertura delle trattative." Lo stesso D'Alema cambiava opinione due giorni dopo dicendo che le trattative non si potevano riaprire perché "i massacri dei civili inermi sono intollerabili" e ponendo come condizione per la riapertura delle trattative il ritiro delle "truppe speciali serbe" (Corriere della Sera 28/3/98). Questo in sintonia con Clinton che dichiarava: "Le truppe serbe hanno continuato i loro attacchi contro uomini disarmati, donne e bambini" presentando ciò non come il fallimento degli obiettivi "umanitari" dell'azione militare a protezione dei civili ma come la ragione della prosecuzione dei bombardamenti.

Forse, varrebbe la pena di domandarsi se l’esodo forzato di centinaia di migliaia di profughi dal Kossovo (in fuga dai bombardamenti NATO e dall’inevitabile inasprimento della repressione serba) era stato previsto dai brillanti strateghi del Pentagono e da i loro servi in Italia. Se si, questi "strateghi" sarebbero semplicemente dei criminali; se no, sarebbero degli idioti.

In ogni caso, il progressivo coinvolgimento italiano in una guerra che si riteneva "lampo" e che avrebbe dovuto permettere al nostrano imperialismo di sedersi al banchetto dei vincitori nella spartizione della Iugoslavia ha finito per annullare ogni se pur minimo "distinguo" che, all’inizio del conflitto, caratterizzava la nostrana Sinistra.

Basti l’esempio dei bombardamenti di Pasqua a Belgrado.

Massimo Dalema, il 6 aprile 1999, così si esprimeva "Noi vogliamo che non si lasci nessuna opportunità intentata, nessuna possibilità di riprendere il cammino di una soluzione politica e negoziale. Ma naturalmente occorre da parte del governo di Belgrado una chiara manifestazione di buona volontà, ponendo fine a questa aggressione contro la popolazione civile del Kosovo". Il giorno dopo il governo di Belgrado annunciava una propria tregua nelle operazioni in Kossovo per la Pasqua ortodossa. La risposta di D'Alema, giungeva tre ore dopo il "no" di Clinton e Blair. "La proposta di tregua, e' insufficiente. E' evidente che occorrono ben altre garanzie". E così il giorno della Pasqua cattolica, e una settimana dopo il giorno della Pasqua ortodossa, i bombardieri e i missili della NATO continuavano imperterriti a seminare stragi in Serbia e nel Kossovo.

Ovviamente, è possibile che dietro le proposte di Milosevic potessero celarsi manovre dilatorie per permettergli di organizzare meglio la guerra. Ma se veramente avesse voluto la pace, che altro avrebbe dovuto proporre o accettare? E qui occorre aprire una parentesi sulle condizioni imposte dagli Stati Uniti e dai suoi servi per "risolvere" la questione Kossovo: il trattato di Rambouillet.

 

I nostri alleati nei Balcani

Agli inizi del 1999 gli Americani e i loro alleati occidentali, in primo luogo la Gran Bretagna, riescono a trascinare la Serbia ad un tavolo di "trattativa" nel castello di Rambouillet in Francia, che, secondo quanto strombazzato da quasi tutti i mass media, avrebbe dovuto risolvere una volta per tutte la "questione Kossovo". A quel tavolo, invitata dagli Americani a rappresentare le popolazioni del Kossovo sedeva, a fianco all’indiscusso leader pacifista Ibrahim Rugova (che il 22 marzo 1998, nel corso di elezioni informali - ma accettate da tutta la comunità internazionale, Serbia inclusa- era stato eletto alla presidenza della "Repubblica del Kosovo" dal 90 % dei kossovari) la delegazione del cosiddetto l'Esercito di Liberazione del Kosovo o Uck.

Cosa propugnasse questa organizzazione era noto da tempo: la creazione di una "Grande Albania" (che avrebbe dovuto includere Kossovo, Albania e una estesa parte della Macedonia) e l’espulsione da questa di ogni etnia che non fosse quella albanese. In realtà, così come, - fino a qualche mese fa - veniva denunciato da numerosi mass media - più che una organizzazione politica l’UCK era una organizzazione criminale che si alimentava con sequestri di persona e con il traffico dell’eroina (che oggi dall’Afganistan, attraverso Turchia e Balcani, finisce sui mercati europei). Per di più l’UCK era stata responsabile di talmente tanti sequestri di persona, stragi (centinaia, forse migliaia, di innocenti civili serbi in Kossovo sono stati uccisi dal UCK per semplice "vendetta"), uccisioni di poliziotti (almeno 350 nel corso del 1998)… da far ritenere in un primo tempo a Rugova e a numerosi studiosi del Balcani che questa organizzazione fosse in realtà una creatura dei servizi segreti serbi dato che ad ogni azione dell'Uck corrispondeva un'analoga reazione della polizia serba e un ulteriore giro di vite nella repressione.

Già la presenza questa organizzazione terroristica, voluta dagli Americani, ad una conferenza che avrebbe dovuto decidere la sorte della popolazione del Kossovo fece raffreddare gli entusiasmi in chi si era illuso che Rambouillet potesse rappresentare un occasione per una soluzione pacifica della crisi del Kossovo. Ma la delusione si tramutò in scoramento quando venne reso noto il testo, preparato dagli Americani che il governo serbo avrebbe dovuto accettare.

 

Una conferenza per organizzare un massacro

Una convincente analisi del cosiddetto "Trattato di Rambouillet" è stata sviluppata da Luciana Castellina in un articolo del "Manifesto" che, purtroppo pochi hanno letto. Un motivo in più per riprodurlo qui interamente.

"Sospetto che coloro che con tanta convinzione si indignano con i Serbi perché hanno rifiutato tutto, "persino" l'accordo di Rambouillet, non abbiano mai letto il testo del medesimo.

Non se ne può dar loro colpa visto che a quel negoziato chi avrebbe dovuto non ha mai dato adeguata pubblicità, tanto da dare alla fine ad un testo mai fatto conoscere per intero, e firmato solo dall'Uck, la definizione di "accordo". Dopo settimane che vedo dire da tutti, anche i meglio intenzionati, che certo, per Belgrado non era facilissimo aderire alla proposta perché vi si chiedeva la presenza delle forze Nato nel Kosovo, mi è venuto in mente che forse non la malafede, ma una vera e propria censura operata in Italia abbia impedito di informare che la presenza militare dell'Alleanza atlantica non era prevista solo nella disgraziata regione teatro del conflitto ma nientemeno che in tutto il territorio della Repubblica jugoslava. E infatti nelle 82 paginette uscite da Rambouillet, ed esattamente al suo capitolo VII, dove si parla del "corpo militare di pace nel Kosovo", è allegata un'appendice B che, al suo articolo 8, recita: "il personale della Nato dovrà godere, con i suoi veicoli, vascelli, aerei e equipaggiamento libero e incondizionato transito attraverso l'intero territorio della Federazione delle Repubbliche Jugoslave, ivi compreso l'accesso al suo spazio aereo e alle sue acque territoriali. Questo dovrà includere, ma non essere a questo limitato, il diritto di bivacco, di manovra e di utilizzo di ogni area o servizio necessario al sostegno, all'addestramento e alle operazioni". Precedentemente, all'articolo 7, ci si è preoccupati di estendere alle truppe Nato operanti nella FRJ lo status di cui godono quelle che operano, per esempio, in Italia. Il famoso privilegio Cermis. Vi si dice: "Il personale Nato sarà immune da ogni forma di arresto, inquisizione e detenzione da parte delle autorità della FRJ. Personale della Nato erroneamente arrestato o detenuto dovrà essere immediatamente riconsegnato alle autorità Nato".

Agli articoli 9 e 10 ci si preoccupa invece di precisare che la Nato non sarà nemmeno tenuta a pagare tasse così come ogni altro onere, fiscale o tariffario, o subire qualsivoglia controllo doganale. Per non lasciare dubbi l'articolo 15 chiarisce che quando si parla di servizi si intende includere il pieno e libero uso delle reti di comunicazione, inclusa la tv e il diritto di usare l'intero campo elettromagnetico; e tutto ciò "free of coats", gratis.

A Rambouillet ci si è occupati comunque anche di "rapporti di lavoro", per precisare, sempre nella stessa appendice (paragrafo b) dell'articolo 20 che il personale locale eventualmente impiegato dalla Nato sarà soggetto esclusivamente alle "condizioni e ai termini stabiliti dalla Nato stessa". Ma non è finita: l'articolo 21 afferma che la Nato è autorizzata a "detenere persone e a consegnarle al più presto alle autorità appropriate".

Certo, se Belgrado avesse firmato questo così imparziale accordo non ci sarebbe stato bisogno di fare la guerra; e si potrebbe dire che così si sarebbero evitati tanti morti e tante distruzioni. Nemmeno la guerra, infatti, riuscirà - anche se pienamente vittoriosa per la Nato - ad ottenere quanto stipulato a Rambouillet: la completa occupazione militare della Serbia e del Montenegro. E non per qualche settimana, ma a tempo indeterminato, giacché nell'"accordo" si dice che fra tre anni si farà una conferenza internazionale per studiare un meccanismo teso a definire l'assetto del Kosovo in base alla volontà del suo popolo. Insomma: una prospettiva di cui è difficile vedere la conclusione. In queste condizioni non c'è da farsi molta meraviglia se Milosevic non ha firmato. E si capisce anche perché ci si sia tanto poco preoccupati dello sbocco politico del conflitto, dell'alternativa all'attuale regime di Belgrado.

Evidentemente non c'è bisogno, in questo quadro, di prevederne una, la prospettiva essendo quella della riduzione del paese ad uno stato coloniale degno del XIX secolo. E' legittimo chiedersi, di fronte a questo tipo di "compromesso", chi davvero abbia voluto a tutti i costi la guerra. Quasi più preoccupante del conflitto è però il livello di manipolazione che l'accompagna. Da tutte le parti, come sempre capita in questi casi. Ma non è una gran consolazione per la nostra democrazia."

 

La guerra continua

Mentre stiamo scrivendo questo testo, il governo D’Alema prosegue nella scellerata politica che ha trasformato l’Italia nella rampa di lancio per l’aggressione alla Jugoslavia. L’Europa, nelle mani del generale Clark, rinuncia ad ogni iniziativa diplomatica e si allinea alla Casa Bianca nel boicottare gli appelli (come quello del leader kosovaro Rugova) per fermare i bombardamenti e inviare subito in Kosovo la Croce Rossa o altri organismi civili di soccorso.

Ancora peggio, l’intervento delle forze di terra, che prima era stato escluso tassativamente, ora - per il Pentagono e i suoi servi – starebbe diventando addirittura "indispensabile" e a tal fine, già oggi, vengono finanziate e armate bande di mercenari come quelle dell’UCK. Si delinea quindi una pericolosissima escalation che potrebbe portarci in breve tempo ad un conflitto generalizzato, con conseguenze spaventose per il nostro paese e per il mondo. Ma le bombe, oltre a portare morte e distruzione dove cadono, portano miseria anche da dove partono. E migliaia di miliardi che potrebbero essere spesi per creare occupazione e servizi vengono oggi spesi per armare eserciti e bande di mercenari.

Ma perché questa guerra? Ci hanno ripetuto mille volte che questa guerra serve a "battere il dittatore Milosevic", "aiutare gli abitanti del Kosovo oppressi", "difendere il principio di autodeterminazione dei popoli"… Ma con i bombardamenti, Milosevic è riuscito ad ottenere l’appoggio di tutta la popolazione, che oggi sfida gli aerei NATO allineandosi sui ponti e si dichiara pronta ad abbracciare le armi contro un qualsiasi esercito invasore. L’attacco Nato ha portato solo morte e distruzione nella Jugoslavia (incluso il Kosovo) favorendo le aggressioni delle forze militari e paramilitari serbe al popolo del Kosovo che oggi, anche a seguito dei bombardamenti, sta abbandonando le proprie case in un esodo disperato verso l’Albania, la Macedonia, l’Italia, la stessa Serbia.

Altro che "intervento umanitario"! L’Occidente, non solo è rimasto inerte, ma appoggia il sanguinario governo turco, quello algerino, le decine di governi messi su dall’imperialismo… che ogni giorno reprimono e soffocano nel sangue interi popoli. Il vero motivo di questa guerra in Iugoslavia è, come sempre, di natura economica e politica. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno interesse a distruggere l’economia di un paese che non vuole sottostare alle leggi del neoliberismo e vuole rimanere economicamente indipendente; vogliono dimostrare alla Russia che possono fare quello che vogliono senza nessun permesso; vogliono dimostrare al mondo che l’ONU e le leggi internazionali non devono intralciare le loro scelte.

 

Non abituiamoci alla guerra

Ormai le stragi della guerra (come i quindici bambini uccisi "per errore" da un missile della NATO il 29 aprile) rischiano di non scandalizzare più nessuno. E, così, come ha scritto Luigi Pintor in un suo memorabile articolo, abbiamo oltrepassato ogni soglia e dimesso ogni ritegno mentre ci rassegniamo alle dichiarazioni del Segretario della NATO Solana, del generale Clark, di Clinton, che ci assicurano che questa guerra devastante durerà a lungo e che non farà distinzione tra obiettivi militari e civili. O mentre ascoltiamo Massimo D'Alema che ci dice che "non si può discutere ogni bersaglio". Ormai, con una Sinistra ridotta peggio del Partito Socialista che votò i crediti di guerra per la Prima Guerra Mondiale, rischiamo di restare indifferenti persino di fronte alle tracotanti dichiarazioni di chi ci promette una intensificazione della guerra con ogni mezzo fino a "spezzare le reni alla Serbia" prendendola per fame, sete e pestilenza: i cavalieri dell'apocalisse contro un paese più debole della Birmania.

C'è qualcosa di molto vile in questa guerra stellare che i paesi più ricchi del pianeta, al riparo da ogni rischio, conducono contro un popolo di otto milioni di persone. Non è una guerra ma un'esecuzione: uno sterminio tecnologico inedito, già sperimentato nella guerra del Golfo ma oggi pienamente dispiegato sul territorio europeo. Una pagina nuova nella storia dell'umanità.

Intanto, nelle retrovie un milione di profughi deportati vivono o muoiono nel fango tra le mine. La loro città capitale e la loro terra, dove dovrebbero tornare, sono squassate ogni giorno e ogni casa e ogni cosa è bruciata. Ricevono un'avara ospitalità in qualche paese ma non un dollaro, un marco, una sterlina, vanno in loro aiuto. Neppure per un istante abbiamo creduto alle finalità umanitarie di questa guerra e di nessuna guerra. Altri hanno voluto crederci. Ma chi vuol crederci ancora oggi, contro ogni evidenza, non merita rispetto.

 

 


 

 

Fermiamo la guerra (anche con Internet)

La mobilitazione per fermare la strage deve continuare, articolarsi e intensificarsi in ogni paese, città, quartiere, luogo di studio e di lavoro costituendo Comitati contro la guerra per dare voce e protagonismo al popolo della pace.

Anche Internet può fare molto per aggregare nuove energie e costituire un importante momento di aggregazione. In tal senso alcuni compagni di Napoli del Circolo Montecavario - San Giuseppe Porto del Partito della Rifondazione Comunista hanno deciso di costituire questo sito web al quale si invitano tutti i compagni e tutti i democratici a collaborare inviando contributi e comunicazione delle iniziative che, nella totale indifferenza dei mass media (in primo luogo la RAI) si stanno organizzando.