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NOTIZIE EST #235 - JUGOSLAVIA/KOSOVO

28 maggio 1999

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TRA INCRIMINAZIONI E INTERVENTI DI TERRA

a cura di Andrea Ferrario

L'incriminazione di Milosevic, resa ufficiale ieri, 27 maggio, ha decisamente alterato il quadro delle trattative in corso per il Kosovo, con una scelta dei tempi che, per usare un eufemismo, e' sospetta. La stampa italiana, che, come abbiamo gia' notato nei giorni scorsi, quando si tratta di Kosovo si ritrova il piu' delle volte compatta, dal "Corriere della Sera" al "Manifesto", su posizioni analoghe, anche se su basi e con finalita' diverse, ha univocamente attribuito la decisione del Tribunale dell'Aia a una manovra degli Stati Uniti, mettendola in relazione diretta con l'annuncio, dato qualche giorno fa, del probabile invio di altri soldati NATO in Macedonia e Albania. In realta', sia l'incriminazione che, soprattutto, l'invio di altri soldati possono essere letti in maniera ben diversa e lasciano intravvedere un ruolo di primo piano dei paesi europei (Italia esclusa). Parallelamente al presente "Notizie Est" pubblichiamo l'articolo di un esperto militare britannico che prevede un ruolo di punta per l'Europa, e in particolare per Gran Bretagna e Francia, in un eventuale intervento di terra. Qui sotto riportiamo un breve panorama di alcune notizie dalla stampa internazionale degli ultimi giorni, insieme a qualche nostra considerazione.

Secondo il "Washington Post" di oggi i governi dei paesi membri del Consiglio di sicurezza dell'ONU erano stati preavvisati gia' da martedi' 25 maggio dell'incriminazione di Milosevic, cosa che spiegherebbe l'altalenarsi delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni dal mediatore americano Talbott e da quello russo Cernomyrdin, riguardo all'andamento delle trattative, definite a sole poche ora di distanza positivo e negativo. Negli stessi giorni, piu' precisamente il 24 maggio la NATO aveva deciso l'invio di altri 20.000 soldati in Macedonia e Albania [non 50.000, come hanno riportato molti giornali italiani] in modo tale da portare l'attuale presenza dell'alleanza da 25.000 a circa 45.000 soldati. Si tratta di un'operazione le cui modalita' devono ancora essere precisate la settimana prossima dalla NATO, ma che vedrebbe in prima fila la Gran Bretagna, pronta a inviare 6.000 soldati immediatamente e altri 6.000 in breve tempo, e la Francia, mentre gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione se aumentare il loro contingente in Albania (in Macedonia la presenza USA e' praticamente nulla), attualmente di 4.500 uomini, aggiungendo altre 2.500 unita', ma nessuna decisione e' stata presa (Reuters, 16 maggio). Il 26 maggio il "Times" di Londra, quindi una testata britannica, pubblicava un articolo nel quale si sosteneva che Clinton sarebbe stato convinto dal gen. Wesley Clark dell'opportunita' di un intervento di terra e avrebbe quindi deciso l'invio di 90.000 soldati statunitensi nei Balcani, una notizia seccamente smentita ieri dal Pentagono, che la ha definita "infondata in tutti i suoi elementi" e ha specificato che "di tanto in tanto i piani per un intervento di terra vengono rispolverati", ma che con tutto quello che e' successo sarebbe comunque necessaria comunque una lunga e radicale revisione. Parallelamente a questi sviluppi e' giunta la notizia dell'incriminazione di Milosevic a opera del Tribunale dell'Aia. Il "Washington Post", una fonte che riprende di norma i vari punti di vista all'interno dell'amministrazione americana, ha sottolineato il ruolo preminente che avrebbero avuto gli europei e i britannici in particolare nel fornire le "prove" (comunque non rese pubbliche) a sostegno dell'incriminazione: "Ancora tre settimane fa alcuni alti funzionari dell'amministrazione Clinton erano divisi sull'opportunita' o meno che il Tribunale per l'ex Jugoslavia attendesse fino a dopo il conflitto per incriminare Milosevic. Alcuni sostenevano che sarebbe stato meglio aspettare fino a dopo avere assicurato un accordo con Belgrado per una forza militare internazionale in Kosovo, sperando poi che l'opinione popolare serba costringesse Milosevic ad abbandonare il suo posto. Ma molti alleati europei sono stati di gran lunga piu' ansiosi di vedere un'incriminazione contro Milosevic. Il ministro degli esteri Robin Cook ha detto la settimana scorsa che la Gran Bretagna ha condiviso a tal fine informazioni segrete di straordinaria rilevanza con il Tribunale". Nel suo numero di oggi, il "Washington Post" ribadisce il ruolo britannico nel fornire prove, ma mette in luce anche un ruolo statunitense, seppure ambiguo: " In risposta alle insistenti richieste di Arbour, e dopo avere superato una certa riluttanza da parte dei servizi segreti USA, il governo ha nelle settimane scorse fornito materiali segreti che sono stati d'aiuto nel documentare i massacri citati nell'incriminazione. [...] La consegna all'ultimo minuto e' venuta dopo una lunga e accanita guerra sulle prove segrete, che ha causato frequenti scontri tra Washington e il tribunale, portando inoltre alla luce una lotta tra interessi contrastanti all'interno del governo statunitense". La notizia dell'incriminazione e' stata accolta naturalmente con favore dai maggiori paesi della NATO, anche se con sfumature diverse. Funzionari dell'amministrazione USA hanno subito precisato che "l'incriminazione non complichera' la ricerca di una soluzione politica, ne' impedira' future trattative con Belgrado. [...] Milosevic puo' ancora fare sapere che accetta i termini della NATO senza alcun incontro diretto con funzionari NATO, visto che il russo Cernomyrdin sta facendo da intermediario", anche se e' ben difficile credere che l'incriminazione a Milosevic non costituisca un serio ostacolo alle trattative in corso. Tuttavia, anche il "falco" britannico Cook si e' sentito in dovere di affermare che "rovesciare Milosevic e' desiderabile, ma non e' uno degli obiettivi di guerra della NATO. Come ministro degli esteri non si puo' essere troppo schizzinosi sulle persone con cui si parla. E una condizione fondamentale del mestiere" ("Washington Post", 27 maggio). Per completare il quadro del "caso Milosevic/intervento di terra" bisogna ancora citare la categorica affermazione rilasciata questa mattina dal portavoce del Pentagono, Ken Bacon: "La nostra politica non e' cambiata. Non abbiamo alcuna intenzione, ne' alcun piano di dispiegare una forza di terra di invasione in Kosovo" (Reuters, 28 maggio).

Jane Perlez, un giornalista che segue da anni per il "New York Times" le politiche statunitensi nell'Europa Orientale e nei Balcani in particolare, commenta come segue gli sviluppi degli ultimi giorni: "Pubblicamente, l'amministrazione Clinton ha applaudito all'incriminazione di Milosevic, una mossa che sembra cambiare la posizione del presidente jugoslavo da quella di potenziale parte di un accordo a quella di un paria. Ma in privato, funzionari dell'Amministrazione affermano che l'incriminazione con ogni probabilita' paralizzera' i loro sforzi per trovare una soluzione diplomatica attraverso gli attuali canali - cioe' per il tramite dell'inviato russo Cernomyrdin e del presidente finlandese Ahtisaari. L'incriminazione ha decisamente diminuito le speranze di potere usare Ahtisaari come pendolare che potrebbe ottenere l'accordo di Milosevic per una soluzione. Visto nelle ultime settimane come il probabile candidato all'individuazione di un accordo finale, Athisaari sara' molto riluttante, ora, a recarsi a Belgrado per trattare con una persona incriminata di crimini di guerra, ha detto un collega. E un altro funzionario ha descritto l'incriminazione come un colpo al canale aperto con Cernomyrdin, che veniva gia' considerato come "notevolmente traballante" da alcuni membri dell'amministrazione, i quali facevano notare come egli fosse sempre piu' oggetto di critiche nel suo paese. [...] Ma la cosa forse piu' preoccupante per la Casa Bianca, e' che l'incriminazione rende piu' incisive le argomentazioni per l'uso da parte della NATO di truppe di terra. Washington ha sempre cercato di evitare questa opzione, facendo affidamento su una guerra aerea che si sta ormai trascinando. [...] Funzionari britannici hanno subito sottolineato che l'incriminazione rende improbabile che quello da loro definito come un accordo che tenta di salvare le apparenze possa essere firmato con Milosevic. 'Pensiamo che [l'incriminazione] possa essere utile a dare loro maggior polso', ha detto un funzionario britannico parlando dell'effetto dell'incriminazione sull'Amministrazione Clinton. [...] Di fronte all'alternativa tra l'inviare truppe di terra in un ambiente pericoloso e "non permissivo" nel Kosovo, da una parte, o trattare con Milosevic gli aspetti finali di un compromesso, dall'altra, l'amministrazione USA con ogni probabilita' stava scegliendo l'accordo -  una scelta pratica, anche se non facile da digerire. [...] Il governo britannico, che fin dall'inizio della campagna aerea e' stato molto piu' energico nel dipingere Milosevic come un uomo con il quale non si deve trattare, e' sembrato molto contento della decisione del giudice Arbour. Il canale diplomatico con Cernomyrdin era una promessa senza attrattive, ha spiegato un funzionario britannico, perche' Cernomyrdin sembrava incerto nel suo approccio. [...] L'Amministrazione USA e' stata presa di sorpresa dalla contemporanea incriminazione del braccio destro di Milosevic, Milan Milutinovic, il presidente della Serbia. Da un punto di vista negoziale, si tratta di un particolare che complica di molto il quadro generale, hanno detto fonti diplomatiche. L'incriminazione di Milutinovic significa che l'amministrazione USA e la NATO non hanno alcun sostitutivo dotato di effettivo potere con cui stipolare un accordo. Uno dei fattori preso attualmente in considerazione da alcuni funzionari dell'amminsitrazione e' l'effetto che l'incriminazione potrebbe avere sulla ricca cerchia delle persone legate a Milosevic. Tra coloro che hanno criticato pubblicamente Milosevic vi e' Bogoljub Karic, che possiede svariate televisioni e una banca. Ci potrebbe essere qualche modo per persuadere gente come Karic che non potrebbe trarre alcun vantaggio dal continuare ad aderire al regime, ha detto un funzionario".

Tra gli altri elementi in gioco in questi giorni c'e' stato il ruolo della Russia. Praticamente tutte le principali fonti di informazioni statunitensi e inglesi hanno riferito che nelle proposte d'accordo allo studio si prevedeva la presenza in Kosovo di circa 10.000 soldati russi in Kosovo, con poteri decisionali particolari nelle zone a loro affidate, con ogni probabilita' il nord del Kosovo, un'ampia presenza che avrebbe sminuito la leadership europea prevista per le "forze di pace" (il piano della KFOR prevede un comando britannico, nutrite truppe francesi, tedesche e italiane, e una presenza solo marginale degli USA). Riguardo all'elemento Russia in eventuali soluzioni di pace per il Kosovo faceva alcune considerazioni interessanti il giornalista Michale Karadjis nel numero della rivista australiana "Green Left Review" del 19 maggio: "mentre vogliono dimostrare di avere in mano le redini della situazione, gli Stati Uniti puntano anche ad avere la Russia come proprio partner subordinato in Europa, in considerazione del suo enorme peso diplomatico e militare. Se l'ignorare la Russia e l'ONU nel lanciare l'attacco NATO mirava da una parte a dimostrare questo ruolo subordinato, dall'altro non era una mossa aggressiva contro la Russia. La Russia e' piu' una colonia del FMI che un rivale economico. Uno degli obiettivi degli USA e' stato quello di evitare la pericolosa possibilita' di un accordo regionale tra l'imperialismo franco-tedesco e la Russia, che potrebbe lasciare gli USA fuori dall'Europa. Gli USA vogliono dare alla Russia un ruolo politico nelle aree vicine alle sue frontiere. Quando Boris Eltsin ha reso pubblica una versione rusa della "Dottrina Monroe" nel 1994 Washington ha avuto poco da obiettare; e quando Mosca ha dimostrato con i fatti quello che intendeva con il circolo vizioso della guerra in Cecenia, ha ottenuto l'acquiscenza occidentale. L'inclusione di truppe russe nella forza guidata dalla NATO in Bosnia in seguito agli accordi di Dayton nel 1995 ha cementato questa 'partnership con subordinazione'. E' per questo che gli USA spingono ora fortemente per un ruolo della Russia come intermediario con la Serbia. E il 7 maggio Clinton ha descritto l'operazione in Bosnia come un modello per il Kosova - un particolare interessante, visto che in Bosnia la NATO provvede all'applicazione di una spartizione etnica..."

Tra gli altri particolari che lasciavano pensare a un imminente accordo ci sono state le dichiarazioni rese all'inizio di questa settimana dal leader dell'UCK, Thaci, molto piu' moderate di quelle precedenti e con le quali si accetta una situazione "temporanea", senza limiti temporali specifici, di autonomia, stante una presenza NATO (AFP, 26 maggio). Il solo fatto che Thaci abbia deciso di uscire dal Kosovo e di tornare sulla scena politica internazionale con il suo viaggio a Tirana (e con quello imminente a Washington) e' eloquente, tanto piu' che viene dato quasi per sicuro un incontro tra Thaci e Rugova a Tirana o comunque la firma di un accordo per la formazione di un Consiglio di sicurezza nazionale delle forze albanesi, comprendente sia l'UCK che la LDK di Rugova (AIM, 26 maggio). Meno importanti, ma altrettanto indicative del clima, sono state le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni a Belgrado da Vuk Draskovic, secondo cui la fine della guerra e' imminente, e a Skopje dal premier macedone Georgievski, secondo cui entro due settimane ci sara' la firma di un accordo, affermazione ripetuta ancora oggi in una conferenza stampa (Georgievski, tra l'altro, e' stato alcuni giorni fa in visita ufficiale a Roma, ma ne' i giornali macedoni ne' quelli italiani hanno riferito particolari riguardo ai suoi incontri). Anche se il quadro diplomatico degli ultimi giorni e' confuso, molti sono i particolari che lasciano pensare come gli sviluppi non siano proprio quelli desiderati dalla Casa Bianca e che il ruolo di alcuni paesi europei, e quello di lobby statunitensi in dissidio con Clinton, sia stato piu' che rilevante.

 

INTERVENTO DI TERRA?

Anche lo stesso annuncio dell'invio di altre forze di terra in Macedonia poteva fare pensare all'imminenza di una soluzione, visto che l'eventuale firma di un accordo richiederebbe necessariamente il dispiegamento a breve termine di una forza "di pace". 50.000 soldati e' il numero citato da pressoche' tutte le fonti, giornalistiche e diplomatiche, per una forza destinata a entrare in Kosovo dopo un accordo. In realta', se si dovesse arrivare a questo numero totale, non ci sarebbero ancora i numeri necessari, visto che la massiccia presenza di profughi e l'instabilita' di Macedonia e Albania richiederebbero comunque che in questi paesi rimanga un'ampia presenza militare, senz'altro non inferiore a quella attuale (circa 25.000 uomini in totale). L'arrivo di altri soldati ancora e' quindi inevitabile, nella logica di una "forza di pace" NATO. Ma un'invasione da terra sarebbe poi di cosi' facile realizzazione? Ancora una volta, tutte le fonti concordano nell'affermare che ogni ipotesi (dall'invasione del solo Kosovo, a quella dell'intera Jugoslavia) richiederebbe un'enorme quantita' di soldati (da quella piu' "ottimistica" di 75.000 uomini per un solo Kosovo "relativamente non permissivo", a quella piu' "pessimistica" di almeno 250.000 uomini per l'invasione dell'intera Jugoslavia) e un periodo compreso tra due mesi e due mesi e mezzo per il loro trasferimento e insediamento nei paesi vicini, particolarmente carenti di infrastrutture. Dall'Albania sarebbero possibili solo incursioni temporanee, o piccoli afflussi di truppe, vista la scarsa transitabilita' delle strade e l'assoluta mancanza di infrastrutture adeguate, oltre al territorio impervio. Dalla Macedonia un intervento massiccio sarebbe difficilissimo, visto che vi e' solo una stretta via di accesso tra montagne molto alte, tra l'altro ampiamente minata dalle forze jugoslave (lo stesso vale per il confine tra Kosovo e Albania). Sia l'Albania che la Macedonia sono poi estremamente fragili politicamente e non offrono alcuna garanzia di stabilita' e sicurezza alle truppe NATO, che avrebbero gia' un compito difficilissimo sul fronte e non si potrebbero certo permettere il "lusso" di retrovie insicure. Inoltre, mentre l'Albania ha gia' espresso il suo assenso a ogni operazione NATO dal suo terreno, la Macedonia ha ufficialmente anticipato che non dara' alcun assenso a un intervento contro la Jugoslavia dal suo territorio (e anche se dovesse rimangiarsi la parola, il governo provocherebbe comunque un terremoto politico che minerebbe la gia' fragile stabilita' del paese, questo tra l'altro mentre per l'autunno prossimo sono previste delle delicatissime elezioni presidenziali). Un attacco contro l'intera Jugoslavia esporrebbe le truppe NATO a un compito molto arduo, a un numero molto alto di vittime e alla necessita' di occupare poi per chissa' quanti anni l'intera federazione tra l'ostilita' generale. Anche qui, l'unica base di partenza sicura sarebbe l'Ungheria, che tuttavia si e' gia' impegnata in Parlamento a negare l'autorizzazione a un'invasione della Jugoslavia dal suo territorio. Romania e Bulgaria hanno strutture troppo arretrate e sono molto fragili politicamente. Non ultimo, c'e' anche il problema del consenso interno nei paesi NATO, in Germania e in Italia soprattutto, ma anche negli USA, sempre piu' prossimi alla campagna per le presidenziali. La decisione di un attacco da terra sarebbe quindi una decisione disperata di un'alleanza ormai disposta ad assumersi rischi militari e politici spropositati solo per cercare di evitare di "perdere".

"NOI, LAMBERTO DINI... NOI, IBRAHIM RUGOVA"

Chi ha dato vita alla societa' parallela in Kosovo? Le centinaia di migliaia di albanesi impegnatisi per mandare avanti un proprio sistema sanitario, scolastico e altro ancora? Se la pensavate cosi', vi siete sbagliati: sono stati Lamberto Dini e Ibrahim Rugova. Nel suo "Diario di guerra" pubblicato oggi dalla rivista "Panorama" (non perdetevelo: http://www.mondadori.com/panorama) il ministro degli esteri Dini, spiegando il ruolo italiano nell'"educare" serbi e albanesi, scrive testualmente: "Ci siamo dati da fare, con Vincenzo Paglia della Comunita' di Sant'Egidio, per organizzare le scuole kosovare", che evidentemente, prima dell'arrivo di Lamberto & Co. non esistevano nemmeno.

Ma Ibrahim Rugova arriva persino a rivendicare una paternita' assoluta sull'intera societa' parallela. In un'intervista rilasciata ieri alla televisione francese "Antenne 2", al leader kosovaro e' stato chiesto cosa risponde a chi lo critica per le sue politiche passive. La sua riposta e' stata: "Non e' vero che le mie politiche sono state passive. IO ho creato la societa' parallela, con il suo sistema scolastico e sanitario". IO? Davvero non c'era nessun altro?  Si tratta probabilmente di un lapsus, ma decisamente rivelatore dei metodi del leader "pacifista". Ma da quando ha deciso di abbandonare il suo piu' esperto braccio destro, Fehmi Agani, alle bande paramilitari serbe, Rugova deve forzatamente pagare lo scotto di qualche gaffe.

LOUISE ARBOUR E' AMERICANA?

Il quotidiano "Il Manifesto" ha scelto di impostare il suo numero di oggi attribuendo esclusivamente all'amministrazione USA la "manovra" dell'incriminazione di Milosevic (con l'unica eccezione di un articolo di Guido Moltedo). Una visione che viene argomentata in svariati articoli ("Il Manifesto" si trova a http://www.ilmanifesto.it). In due di questi, rispettivamente di Tommaso Di Francesco e di Maurizio Matteuzzi, si scrive che la decisione dell'incriminazione e' stata presa dal "giudice americano Louise Arbour", un particolare che conferma ulteriormente la regia USA dell'operazione, tanto piu' che in un altro articoli si parla dell'imminente dispiegamento di altri soldati "americani". Ma Louise Arbour e' davvero americana? Non c'e' nessun dubbio, Louse Arbour e' assolutamente americana e piu' precisamente... canadese, di nascita, di carriera (giudice nell'Ontario) e con ogni probabilita' anche di pensione, visto che tra poco lascera' l'incarico. Peccato che "Il Manifesto" sia stato l'unico organo di stampa a preferire la definizione di "americana" invece che di "canadese", in un eccesso di slancio che dara' si' tono agli articoli, ma non aiuta certo i lettori nella lettura dei fatti.

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