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Egr.
Direttore, ad
una settimana dai festeggiamenti del 25 Aprile occorre, a nostro parere,
una seria riflessione su cosa questa data deve oggi rappresentare per i
cittadini Italiani. Onestamente,
quest’anno, ne abbiamo viste troppe: una giornata che dovrebbe essere
dedicata alla meditazione e al ricordo, è stata trasformata dalla solita
estrema sinistra in una bagarre fatta di intolleranza e razzismo, altro
che festa della liberazione. A
Milano durante il corteo dei centri sociali sono state bruciate due
macchine dei Carabinieri, forse confusi, a causa delle loro divise nere,
con i reduci di Salò, distrutti bancomat e vetrine (Nike e Benetton) ed
in piazza Duomo al leader del CISL Savino Pezzotta è stato impedito di
parlare con lancio di oggetti ed uova al grido di “venduto” (ma la
festa della Liberazione non prevede la libertà di pensiero e parola?). All’Aquila
Rifondazione Comunista e No Global hanno posto, fasciata da una bandiera
rossa, una lapide in ricordo di Carlo Giuliani e Davide Cesare, che
riportava la scritta “25 Aprile
1945 – 25 Aprile 2003 - La resistenza continua”. La deposizione
della targa è stata seguita dalla solita contestazione al Sindaco della
Casa delle Libertà. A
Trieste, il sindaco della città viene duramente contestato quando, nella
tradizionale manifestazione alla risiera di San Saba, si permette di
commemorare gli italiani massacrati nelle Foibe dai comunisti slavi. A
Roma la manifestazione in Campidoglio, diventa l’apologia della
Palestina e dell’odio antiamericano e antiebraico, costringendo i
rappresentanti della comunità ebraica italiana a lasciare, indignati, la
piazza. Certo
è che se questa è l’Italia nata dal 25 Aprile, forse si stava meglio
quando si stava peggio. Viviamo ormai nel delirio anarchico-comunista, in
cui chiunque militi nell’estrema sinistra si sente unico portatore del
vero e autorizzato, non si capisce bene da quale divinità ultraterrena, a
fare e a dire tutto ciò che vuole. Arriviamo così a trasformare un
povero demente morto mentre con un
estintore cercava di uccidere un carabiniere, in un eroe della Resistenza,
a fischiare il ricordo di donne e uomini, vecchi e bambini massacrati dai
comunisti slavi con la complicità di quelli italiani. Addirittura
assistiamo ai vaneggiamenti di qualche sciocco giovane crotonese, che
biasima gli assassini avvenuti nel tristemente noto triangolo rosso
dell’Emilia perpetuati da bande di partigiani che con il fazzoletto
rosso al collo hanno continuato ad uccidere innocenti fino agli anni
’50. Continuiamo
ad assistere alla falsa ed ipocrita retorica antifascista, utilizzata solo
per fini politici. Siamo stufi di sentire la banalità che i morti non
sono uguali, che non si può mettere sullo stesso piano chi è morto per
difendere la libertà con chi è morto per difendere una dittatura. Ma
si può, nell’anno di grazia 2003, mentire ancora così spudoratamente?
Vogliamo dire la verità? Vogliamo
ammettere che molti degli eroi che oggi qualcuno ancora festeggia,
lottavano contro una dittatura per instaurarne un’altra? Vogliamo
raccontare ai nostri ragazzi che se non ci fossero stati gli americani,
probabilmente oggi saremmo alla stregua dell’Albania o della Romania? Vogliamo
dire che c’era chi se ne fregava della democrazia e della libertà e
combatteva sotto gli ordini di Madre Russia, con l’uomo con i baffoni (e
non parliamo di Peppone) che tira i fili dei suoi numerosi burattini? Ora
ci accuseranno di falso revisionismo storico, di essere i soliti fascisti,
che l’acqua di Fiuggi non è servita a niente e bla, bla, bla, bla…L’antifascismo,
del quale ancore vi nutrite, pensavamo fosse finito nei terribili anni
’70 ma ci sbagliavamo c’è ancora chi come voi alimenta odio e rancore
eppure quegli anni qualcosa avrebbero dovuta insegnarvela. Nel nome
dell’antifascismo militante caddero tanti ragazzi. “Uccidere
un fasciata non è reato” ricordate?, e voi avete il coraggio di
fare passare questo sentimento di odio come un “valore”.
Vergognatevi vorrei tanto che questo discorso lo faceste di fronte ad
Anita Ramelli, mamma di Sergio a cui è intitolato il nostro circolo, un
triste giorno suo figlio non tornò più a casa, nel nome
dell’antifascismo venne massacrato a colpi di chiave inglese. Sergio è
solo un esempio, il vostro odio in quei terribili anni ci strappò tanti
ragazzi, nel nome di quel valore che ancora oggi osannate. Onestamente
non sappiamo se nel ’43 avremmo scelto la macchia con i partigiani o la
Repubblica di Salò, non lo sappiamo semplicemente perché non ci siamo
mai posti la domanda, così come non ci siamo mai chiesti se saremmo stati
con i Greci o con i Troiani, fa parte della storia e storia deve rimanere.
Il
torcicollismo non è una pratica che ci appartiene, altri vivono ancora
sballottati tra i ricordi della guerra mondiale e i drammi degli anni
settanta, noi preferiamo vivere i nostri giorni affrontando le sfide che
quotidianamente la vita ci pone innanzi. Lasciate,
quindi, che il 25 Aprile sia un giorno di commemorazione, di lutto, che
diventi la data della fine di una guerra civile, che come tutte le guerre
civili, non ha vinti né vincitori, lasciate che ognuno in questo giorno
ricordi i propri morti, senza per forza dare un senso politico e
attualizzare un ricordo. Lasciate
che la civiltà, almeno per un giorno, trionfi sugli odi, tanto poi “domani
è un altro giorno”.
Gianfranco Turino
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