Samia Chaar è docente presso la Facoltà di Diritto e di Scienze amministrative e politiche del Libano, è giurata esperta presso diversi tribunali, è fra i fondatori dell'associazione per i diritti dell'uomo in Libano.
Aderisce alla Women's International League for Peace and Freedom e infatti la pace è al centro di alcune delle sue pubblicazioni come:
La spiritualité pour une politique de paix,
1986, Tunis, Publications C.E.R.E.S.;
L'enjeu de la guerre dans la formation d'une culture,
1987, Tunis, Publications C.E.R.E.S.;
Guerres intestines, Holding Hégémonie,
1990, Tunis, C.E.R.E.S. Série d'études Islamiques N°12, p.260;
Rapports sociaux, Rapports Familiaux,
1993, Beyrouth, Publication du Bureau pédagogique des Saints-Coeurs, série la génération de la relève, N° 13, p.280.
È autrice di numerosi articoli e libri sul diritto musulmano, in particolare (in francese):
Les Sources de droit musulman. Essai de systématisation;
Les fondements de la liberté de la femme en droit musulman;
La Loi Divine et la Coexistence religieuse.
Vision Coranique.
Lei ha fatto uno studio sull'Islam concentrandosi sugli aspetti giuridici per proporre una nuova interpretazione.
Mi può illustrare la sua ricerca?
In effetti si tende a dire che a partire dal quattordicesimo secolo il diritto musulmano abbia iniziato a stagnare.
In realtà ha perso un po' del suo slancio, della sua dinamica, e oggi si cerca di farlo rivivere in modi diversi, purtroppo se ne prendono dei frammenti, cioè si prendono dei versetti e li si applica, si cerca di ampliarli per mettervi qualcosa di nuovo.
Gli antichi giuristi musulmani non facevano questo.
Comincerei col delimitare precisamente il problema:
l'Islam e i suoi differenti aspetti.
Vi sono in particolare dei dogmi, delle credenze, delle pratiche ecc. ovviamente si tratta di opere di specialisti di religione, per quanto non separino molto questo da quello diversamente da come facevano gli antichi giuristi.
E sul piano, direi, profondamente giuridico c'è quella che viene chiamata l'applicazione del Corano alla relazione tra gli uomini e le interpretazioni che sono state fatte dai giuristi per fare evolvere questo diritto perché, in effetti, l'Islam agli occhi dei credenti non è solo una pratica religiosa ma è anche una pratica di vita civica.
Per dare un'idea relativamente a questo filone del diritto, molto brevemente, si può dire che storicamente questo ha cessato di evolvere a partire dal quattordicesimo secolo.
Oh, vi sono diversi commenti in proposito, alcuni dicono:
«No, vi sono alcune sette musulmane che hanno proseguito...».
Ma in realtà, se si guarda a tutti questi termini e si cerca di vedere ciò che sono realmente nella pratica, si può dire che dal quattordicesimo secolo i giuristi, vale a dire le persone specializzate in diritto musulmano, abbiano perso non solo la logica di questo diritto, ma la stessa metodologia.
La si ripete, si dice:«Le fonti di diritto musulmano sono il Corano, la
sunna
1
,
la igma‘
2
e poi il qiyas
3
ecc.» ma in effetti, quando si arriva al livello dell'applicazione, si sente che manca qualcosa.
Se vogliamo la dinamica di questo diritto si è un po' persa e questo mi ha
spinto a ricercare: ma come facevano gli antichi?
Perché in effetti hanno elaborato un diritto estremamente adeguato al loro contesto, se uno lo esamina, lo mette nel suo ambito, si dice che in quel momento fosse anche promozionale e si è mantenuto applicabile fino alla fine del diciannovesimo secolo, dunque questo diritto è stato efficace per ancora quattordici secoli!
Ecco ciò che mi ha spinto a ricercare per vedere come effettivamente operavano per far evolvere questo diritto e invece di utilizzare le fonti in modo gerarchico ho tentato di studiarle nella loro componente interna.
Ossia quando si dice
qiyas e quando si dice
igma‘ cosa vi è dietro e ancora cosa vi è dietro quando si dice
sunna, Corano.
In effetti se si cerca di vedere quanto o cosa voglia dire si tratta di pochi versetti, perché non vi sono molti versetti né molti principi nel Corano, così oggi si prendono i versetti e si cerca di applicarli, di ampliarli, di estenderli per farvi rientrare un elemento nuovo e poi questo non funziona, si intoppa e i pareri cominciano a divergere fortemente.
A partire da ciò ho cercato di riprendere tutti gli elementi giuridici del Corano e invece di studiarli in modo lineare ho cercato di vedere cosa apportano come costruzione giuridica, come struttura.
In effetti ho scoperto che vi è un'architettura, una struttura giuridica che può essere del tutto desunta da ciò che oggi viene chiamata una carta, proprio una carta.
Riunendo gli elementi giuridici presenti nel Corano si realizza che vi sono innanzitutto dei versetti: sono come dei piccoli comandamenti e se si riuniscono questi versetti tutti insieme si possono distinguere due categorie.
Ma ogni categoria ha anche molte funzioni, non una sola, e accanto a questi versetti si scoprono anche alla base dei principi tricomposti, che poi voglio riprendere, i quali si armonizzano per costituire il principio generale di equilibrio che corona realmente tutto il Corano e che si ripete continuamente al suo interno.
Se si va più nei dettagli si trova che i versetti sono di due categorie:
la prima si presenta come delle regole molto ferme, imposte, un po' imperative e là se si ricerca quel che vogliono dire andando al di là della terminologia e se ci si addentra nella visione coranica, si trova che queste regole assumono significato a partire da una visione dualista del Corano rispetto al mondo, che lo stesso è in procinto di delimitare in una società primaria e in una società civica.
La società primaria che veniva chiamata nell'opera
jahiliyyah
4
è un simbolo, di fatto si dice che la jahiliyyah sia terminata.
Ma non si tratta di
jahiliyyah, sì questa è finita, ma gli elementi di una società primaria sono gli stessi, questa non può essere nuovamente reinventata, nello stesso modo pone i fondamenti di una società civica.
E a partire da un dualismo molto crescente nel Corano si sente che queste regole non si limitano solo a mettere un limite tra una società civica e una società primaria, ma la prima sta per distruggere le componenti della società primaria per istituire le componenti civiche.
La terza funzione, attraverso delle sanzioni molto molto severe, fonda la società civica nella collaborazione contro lo sfruttamento, nella distribuzione contro l'accumulazione, nell'uguaglianza contro la discriminazione.
Ma da lì veramente fonda la base di questi principi i quali, secondo il Corano, devono funzionare in un modo armonioso, altrimenti se si sfrutta un principio, ovvero si esaspera un principio trascurando gli altri, la società si rovescia e ridiventa una società primaria.
Bisogna farli funzionare armoniosamente, d'altronde noi lo vediamo oggi e spesso nel contesto della guerra: si inizia con l'infondere la diffidenza, si cessa di collaborare fra gruppi, successivamente tocca alla giustizia e si finisce con l'essere discriminati fra chi combatte e chi no ed alla fine i più innocenti finiscono per pagare.
La conclusione è una guerra civile, economica, la società si tramuta da società civica in società primaria nella quale i gruppi si ammazzano l'un l'altro, si uccidono, non danno più valore alle cose.
Questa è una prima categoria che corrisponde, secondo me, ai versetti fondanti la società civica, naturalmente vi sono molti dettagli, non c'è modo qui di andare oltre.
Mentre noi vediamo un'altra categoria di versetti che sono molto flessibili, molto cadenzati, molto dolci e si percepisce veramente che danno un orientamento e al di sotto di questi versetti si sente che c'è tutta una gamma di valori che non si possono fissare ma che sono da valutare.
Nella struttura di questi versetti vi è un orientamento dell'asse dei principi verso degli obiettivi. L'obiettivo è la protezione della vita, la protezione della religione o della credenza, della proprietà, protezione della ragione umana e protezione del legame familiare e lì vorrei insistere che non solo l'Islam ma tutte le religioni hanno insistito sulla nozione di famiglia.
E realmente c'è qualcosa da pensare e da valutare a partire dalla famiglia, perché le società che non hanno dei legami familiari vanno effettivamente verso una degradazione e lì si vede come la società si sia rovesciata, ma non possiamo dilungarci su ciò.
Vale a dire: con queste regole limite la relazione assume un altro senso, cioè: nessuno può arrogarsi dei diritti sulla vita di un'altra persona.
La vita è un diritto e dunque la relazione cambia: la relazione verticale che piomba dal governante al governato, in cui il primo ha diritto di vita o di morte sulla persona governata, diviene una relazione orizzontale e reciproca e là comincia l'evoluzione perché c'è la discussione, il prendere e il dare, mentre questo elemento nella società primaria era un elemento soffocante: la persona non poteva neanche dare un'opinione, doveva sottostare all'ordine.
Altrettanto vale per la seconda nozione: l'uguaglianza, che è il fondamento.
L'uguaglianza alla nascita è molto ricercata nell'Islam e questo è
uno dei significati della poligamia.
Non si può dire di essere favorevoli alla poligamia ma l'Islam non vede la poligamia attraverso il diritto di fedeltà tra la donna e l'uomo, la vede attraverso la trilogia: uomo, donna e bambino.
L'Islam attraverso la poligamia, data la società di un tempo, ha voluto allargare, se vogliamo, il campo della legalità dei bambini per includerli; chiaramente qui il problema che si pone all'uomo non è lo stesso che si pone alla donna: per la donna se il bambino è del proprio letto rimane tale, ma rispetto all'uomo bisogna aprire la possibilità di riconoscere il bambino concepito insieme ad un'altra donna.
Insomma, chiaramente è una storia complessa che non si può risolvere in questo modo, questo per dire che l'Islam non vede nella poligamia una questione di fedeltà fra l'uomo e la donna, la poligamia serve molto di più a preservare l'uguaglianza alla nascita, d'altronde il problema è molto più importante.
Io vorrei sottolineare solo che la relazione tra uomo e donna con la fedeltà si pone aldilà dello stadio giuridico su un livello di valore morale.
Secondo la visione dell'Islam nessuno può forzare un altro ad essere fedele a qualcuno se realmente non vi è una relazione di intesa e di volontà per essere fedeli.
È una questione di educazione alla base, un'etica professata nell'Islam che è stata un po' gestita a favore dell'uomo ma ciò non vuol dire che questo possa durare all'infinito.
Dunque in questa strutturazione, vale a dire il quadro giuridico composto di regole strette e di regole orientatrici verso degli obiettivi che abbiamo già definito, i
fuqaha‘ o gli uomini religiosi nel corso del tempo, facevano funzionare i principi. Cosa significa far funzionare un principio? Farlo passare dal livello soggettivo al livello applicabile e per renderlo efficace bisogna restituirlo o meglio renderlo oggettivo, applicabile, adeguato rispetto ai dati sociali.
Dunque, quando si fanno funzionare i principi, da questi si trattengono dei dati storici.
Era la mia idea e tale resta, d'altronde l'ho applicata allo statuto personale musulmano senza dare, chiaramente, dei risultati ma decomponendolo: vale a dire questi principi che hanno funzionato nel tempo hanno trattenuto, nella loro concretizzazione, degli elementi storici.
Quello che io ho fatto, quello che ho cercato di spiegare, è di separare ciò che è storico, un dato storico, da tutto ciò che è principio coranico: si liberano i principi dalla loro storicità, o applicazione storica, per riapplicarli.
Penso che così concepita sia una nuova lettura dell'aspetto giuridico-coranico che ci porta a comprendere il Corano come una legge, per i musulmani credenti come una legge divina, e a comprendere, riguardo tutte le grandi religioni, che la religione è arrivata come una legge che eleva l'essere umano dallo stato primario allo stato civico, dallo stato istintivo allo stato della ragione, perché esso creda e si avvicini a Dio nella sua pratica e nel suo credo.
D'altronde è un credo profondamente musulmano perché il Corano dice a Mohammed che è la legge che è stata rivelata a Mosè e a Gesù che «adesso viene rivelata a voi».
Intervista e traduzione dal francese a cura di
Patrizia Sterpetti
(antropologa culturale, esponente della sezione italiana della Women's International League for Peace and Freedom)
Samia Abdel Mawla Chaar
E-mail: samsuma_2000@yahoo.com
1
La seconda delle principali fonti della teologia e del diritto islamici dopo il Corano:«l'insieme del “contegno del Profeta” espresso con detti e fatti (
hadit ) tramandati dalla tradizione» (A.Bausani, 1980, Milano, Garzanti, p.14).
2
La terza delle principali fonti della teologia e del diritto islamici dopo il Corano e la
sunna«:
“consenso” dei teologi o, per legge, dei giurisperiti, intesi come rappresentanti della comunità musulmana», (A.Bausani, 1980, Milano, Garzanti, p.14).
3
Una delle principali fonti della teologia e del diritto islamici: “il ragionamento analogico”.
4
L'ignoranza, l'era buia della storia degli Arabi, il periodo precedente l'avvento di Mohammad.