Sentenze della Cassazione
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In questa parte riportiamo delle sentenze dalla Cassazione che evidenziano come il PM ed il GIP abbiano agito di contrasto alla legge.
Evidenziamo le parti più interessanti in grassetto

Cassazione - Sezione VI penale
Sentenza 14 Marzo-28 Giugno 2001

Presidente Romano - relatore de Roberto
Ricorrente Alessandra Latour

Osserva

1. Con decreto del 7 dicembre 1999 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma archiviava la notitia criminis contenuta nella denuncia presentata il 17 novembre 1998 da Alessandra Latour nei confronti di Adreina Musci.

Il giudice a quo rilevava che l’opposizione alla richiesta di archiviazione andava dichiarata inammissibile in quanto: non è stato indicato l’oggetto dell’investigazione suppletiva; l’indicazione dei nuovi elementi di prova è solo strumentale non essendo rilevanti ai fini della valutazione del fatto l’audizione del difensore che nel caso di specie è atto cui non può procedersi per l’esistenza del segreto professionale, mentre la persona indagata può avvalersi della facoltà di non rispondere. Riteneva, nel merito, che le argomentazioni del Pubblico ministero sono del tutto condivisibili e ad esse ci si può integralmente riportare.
Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione, la Latour con atto sottoscritto dagli avvocati Maria Giovanna Ruo e Anna Di Loreto, proponendo tre articolati ordini di motivi.
In primo luogo mancanza di motivazione in relazione all’oggetto dell’investigazione suppletiva; in secondo luogo, illogicità manifesta della motivazione relativamente al supplemento di indagine dedotto nell’atto di opposizione, in terzo luogo, illogicità manifesta della motivazione in ordine alla declaratoria di inammissibilità dell’opposizione per una valutazione prognostica sulla rilevanza, pertinenza e conferenza delle prove dedotte.

Il ricorso è fondato.

2. È noto come, sul tema riguardante la sindacabilità da parte della persona offesa del decreto di archiviazione, una serie di decisioni, assumendo come punto di rilevanza ermeneutica la lettera dell’articolo 409, comma 6, Cpp, ha ritenuto tale provvedimento ricorribile per cassazione nelle (sole) ipotesi di nullità previste dall’articolo 127, comma 5, dello stesso codice (Sezione I, 3 aprile 1991, Nuzzo; Sezione I, 8 aprile 1991, Ghiani; Sezione VI, 20 settembre 1991, Di Salvo; Sezione V, 12 dicembre 1991, Cittaro), oltre che, a sèguito della sentenza costituzionale numero 353 del 1991, nei casi di archiviazione disposta nonostante l’omesso avviso alla persona offesa che abbia domandato di essere avvertita dalla richiesta di archiviazione avanzata del pubblico ministero (Sezione VI, 3 giugno 1992, Barca; Sezione II, 10 giugno 1992, Ghini).

Ai detti tracciati interpretativi va ricollegata la posizione giurisprudenziale che, dopo aver ribadito il principio secondo cui, per l’espresso disposto dell’articolo 127, comma 5 (e soltanto per le ipotesi di violazione dei commi 1, 3 e 4 di detto articolo) è probabile ricorso per cassazione, escludeva la deducibilità di censure diverse da quelle previste dall’articolo 606, comma 1, lettera c, prima parte (Sezione V, 31 gennaio 1992, Palmieri).

Si era, peraltro, affermato, sempre in forza della richiamata linea interpretativa, che avverso il decreto con il quale il giudice per le indagini preliminari, dichiarava inammissibile l’opposizione proposta dalla persona offesa, abbia accolto, ai sensi dell’articolo 410, comma 2, Cpp, la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, non è esperibile alcuna forza di gravame (Sezione I, 23 marzo 1992, Tassone; Sezione I, 14 dicembre 1993, Fanni). Donde, ancora, l’inammissibilità del ricorso per cassazione per vizio di motivazione contro l’ordinanza e, a fortiori, contro il decreto di archiviazione (Sezione I, 3 dicembre 1992, Marro).

Circa, poi, il dovere del giudice di argomentare in ordine all’ammissibilità dell’opposizione, si era deciso nel senso che il provvedimento di archiviazione non esige una specifica espressa motivazione, potendo questa risultare implicitamente dal contesto del decreto in punto di manifesta infondatezza della notitia criminis (Cassazione, 19 febbraio 1993, Laise), così da istituire una sorta di complementarità tra i due requisiti richiesti per l’introduzione del rito camerale.

Sul versante, poi, della sindacabilità del provvedimento interdittivo, è significativo ricordare come talora la preclusione alla proponibilità del ricorso davanti a questa Corte per contestare il giudizio di inammissibilità dell’opposizione veniva ritenuta perché con l’impugnazione si tende a far valere un mero difetto di motivazione in una materia in cui tale ricorso è ammissibile solo per censurare le nullità previste dall’articolo 127, comma 5. (Sezione VI, 6 giugno 1994, Merlo; Sezione VI, 4 maggio 1995, Dell’Igna).

Nell’enunciare il principio che il giudizio sull’ammissibilità dell’opposizione è statuizione costituente, accanto all’accertamento della infondatezza della notitia criminis, presupposto per la pronuncia di archiviazione, una delle prime decisioni sul tema (precisamente, Sezione VI, 24 gennaio 1991, Sbordone) ne aveva tratto la conseguenza che, di fronte ad una opposizione alla richiesta di archiviazione, nel caso in cui il provvedimento venga adottato soltanto in base alla ritenuta infondatezza della notizia di reato, senza alcuna valutazione in merito all’ammissibilità dell’opposizione, l’ordinanza è ricorribile per cassazione. Una linea interpretativa che conserva una significativa continuità con quelle decisioni che hanno affermato la ricorribilità, ai sensi dell’articolo 409, comma 6, dell’ordinanza adottata a conclusione del provvedimento incidentale allorché, pur in presenza di una ammissibile opposizione, il giudice, conformemente alla richiesta del pubblico ministero, denegasse l’udienza camerale decidendo mediante decreto, in tal caso verificandosi violazione del contraddittorio per omessa fissazione dell’udienza (Sezione II, 27 gennaio 1992, Esposito, Sezione V, 1° giugno 1992, Strano).

La medesima ratio decidendi è ravvisabile in quella giurisprudenza la quale ha sostenuto che il giudice, ove ritenga inammissibile l’opposizione, deve enunciarne le ragioni con adeguata motivazione (Sezione VI, 16 dicembre 1992, Capponi) ed ha ritenuto che condizioni per l’accoglimento della richiesta del pubblico ministero con provvedimento de plano sono sia l’inammissibilità dell’opposizione per omessa indicazione dell’oggetto dell’investigazione suppletiva con i relativi elementi di prova sia l’infondatezza della notizia di reato, condizioni delle quali il giudice deve dare atto in motivazione. In difetto di tali condizioni - si è detto - il mancato esperimento della procedura camerale e la nullità del provvedimento per violazione del contraddittorio che ne deriva integrano una situazione in cui deve ritenersi impugnabile con ricorso per cassazione il provvedimento di archiviazione, secondo i principi enunciati dalla sentenza costituzionale n. 353 del 1991 (Sezione I, 7 febbraio 1994, Lecce; Sezione III, 28 settembre 1994, Perri; Sezione V, 24 ottobre 1994, Triglia; Sezione VI, 4 maggio 1995, Dall’Igna; Sezione VI, 14 novembre 1995, Caffarelli). Non mancandosi, poi, di rimarcare come pure la produzione di nuovi documenti allegati all’atto di opposizione con richiesta di un approfondito esame degli stessi è sufficiente a sorreggere l’ammissibilità dell’opposizione nonostante la mancanza di specifici suggerimenti probatori nell’atto stesso (Sezione VI, 20 giugno 1994, Migliaccio) e che la dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione può ritenersi implicitamente contenuta nella dichiarazione di infondatezza della notizia di reato (Sezione I, 8 novembre 1994, Di Leo).

Ad un’analoga tendenza si ricollega il principio che ravvisa l’azionabilità del ricorso per cassazione come unico strumento a tutela della violazione del diritto di difesa; così da superare le obiezioni - per la verità, non sempre pertinenti, considerato che la totale assenza di motivazione può avere, come si vedrà fra poco, una diretta incidenza sull’instaurazione del rito camerale e, quindi, sul rispetto del contraddittorio - avanzate in ordine alla proponibilità delle censure di cui all’articolo 606, comma 1, lettera c, Cpp (Sezione VI, 20 giugno 1994, Migliaccio; Sezione I, 17 maggio 1995, Ferretti); in tal modo dando anche conto delle perplessità che avevano determinato i conditores ad una rigorosa delimitazione (non soltanto dei mezzi, ma anche) dei casi di proponibilità del gravame avverso il provvedimento di archiviazione. Ciò tanto più considerando che la Corte costituzionale, nella ricordata sentenza n. 353 del 1991, aveva precisato che il diritto di difesa dell’offeso dal reato (ed il conseguente rispetto del principio del contraddittorio) risulta, nel sistema del nuovo codice di procedura penale, particolarmente valorizzato nella fase delle indagini preliminari, entro la quale si colloca il procedimento di archiviazione. Non tanto per la sua (solo eventuale) titolarità di pretese di danno, da far valere se ed in quanto venga esercitata l’azione penale, «ma soprattutto in funzione della sua qualifica di titolare dell’interesse protetto dalla norma penale violata: un interesse protetto dalla norma penale violata: un interesse da cui deriva la possibilità si esercizio di plurimi diritti o facoltà, in una ‘sfera di azione’ che se certamente non può in alcun modo, restare subordinata alla rilevanza di pretese di natura extra penale», tende a realizzare, mediante forme di adesione all’attività del pubblico ministero ovvero di “controllo” su di essa, una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale, secondo un principio puntualmente ricavabile dell’articolo 2, n. 2, e n. 51 della legge-delega (così la Relazione al progetto preliminare, pag. 41)”. E non appare davvero poco significante considerare che la Corte costituzionale pervenne alla statuizione relativa alla proponibilità del ricorso per cassazione ad opera della persona offesa cui, nonostante ne avesse fatta espressa richiesta, non fosse stato dato avviso della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, non attraverso una pronuncia di tipo demolitorio ma utilizzando il modulo della sentenza interpretativa di rigetto, col fare leva su un’interpretazione secundum Constitutionem (e, per giunta, costituzionalmente obbligata) della disciplina sottoposta al vaglio di legittimità, osservando conclusivamente come la detta omissione, con l’impedire all’offeso dal reato ogni possibilità di sindacare la richiesta del pubblico ministero, viene “a colpire all’origine la stessa potenziale instaurazione del contraddittorio proprio dell’udienza in camera di consiglio ed è vizio ancor più grave di quello derivante dall’omesso avviso alla persona offesa che abbia proposto opposizione, della data fissata per la stessa udienza, in ordine al quale, pure, l’articolo 409, la legittima espressamente a ricorrere per cassazione.

Diviene allora estremamente importante riflettere sul come la problematica tenda a divaricarsi a seconda che il provvedimento conclusivo della procedura sia l’ordinanza ovvero il decreto di archiviazione. E ciò perché, mentre è rimasta incontestata la linea interpretativa in base alla quale l’ordinanza di archiviazione è impugnabile nei rigorosi limiti fissati dal comma 6 dell’articolo 409, che nel fare espresso e tassativo richiamo ai casi previsti dall’articolo 127, comma 5, legittima il ricorso per cassazione soltanto laddove le parti non siano poste in grado di esercitare le facoltà ad esse riconosciute dalla legge, e cioè l’intervento in camera di consiglio, non trascurabili schemi interpretativi, nell’ambito dei rigorosi confini fissati dalla legge quanto alle rimostranze da far valere, hanno coinvolto il regime della sindacabilità, da parte della persona offesa dal reato, del decreto di archiviazione, tutte le volte in cui venga richiesta, attraverso l’opposizione, la procedura camerale (cfr. Sezione VI, 16 dicembre 1997, Sofri).

3. Proprio sul versante della sindacabilità del provvedimento di archiviazione, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito – rigorosamente incentrando la statuizione sul decreto emesso de plano - che se tale provvedimento è carente di motivazione in ordine all’ammissibilità dell’opposizione proposta dalla persona offesa dal reato ai sensi dell’articolo 410 Cpp, esso è ricorribile per cassazione. E ciò perché l’arbitraria ovvero illegittima declaratoria di inammissibilità sacrifica il diritto al contraddittorio della parte offesa in termini equivalenti o maggiormente lesivi rispetto all’ipotesi di mancato avviso per l’udienza camerale, sicché il predetto vizio del provvedimento è riconducibile ai casi di impugnabilità contemplati dall’articolo 409, comma 6. Hanno puntualizzato, però, le Sezioni unite che in tale ipotesi non si versa nella fattispecie di cui all’articolo 606, comma 1, lettera e, di controllo, cioè, sulla motivazione, ma in quella della (mancata) verifica delle condizioni legittimanti l’esercizio del potere di interdire dalla persona offesa l’accesso al procedimento di archiviazione con le forme proprie della garanzia della camera di consiglio. Così da evidenziare come all’onere della persona offesa di proporre un’opposizione che contenga quegli elementi di concretezza e di specificità previsti tassativamente dall’articolo 410, comma 1, fa da riscontro la modificazione del procedimento, nel senso che, mediante l’opposizione, la persona offesa, intervenendo nel procedimento stesso, determina la sostituzione automatica della forma procedimentale di verificazione dell’infondatezza della notizia di reato in quella prevista, per il procedimento davanti al Tribunale, dell’articolo 127 Cpp. Tanto da concludere che l’inammissibilità dell’opposizione può conseguire solo in assenza delle condizioni tassativamente previste dall’articolo 410 in termini di inidoneità dell’atto, nel suo sviluppo procedimentale, a rappresentare l’interesse della persona offesa nello sbocco obbligatorio del rito camerale e, dunque, nell’obbligatoria instaurazione del contraddittorio (Sezione unite, 14 febbraio 1996, Testa).
Rilievi, ancora una volta, in grado di comprovare come la problematica concernente il ruolo della persona offesa dal reato resti fondamentalmente incentrata, considerata l’opera (di adesione e) di controllo sull’attività di indagine del pubblico ministero, al rispetto del principio del contraddittorio, da ritenere vulnerato tutte le volte in cui, nonostante la presenza nell’atto di opposizione dei requisiti della rilevanza e della pertinenza, che definiscono la portata delle condizioni richieste a pena di inammissibilità, venga inibita la procedura camerale e, conseguentemente, pronunciato decreto di archiviazione.

4. La silloge giurisprudenziale sopra riportata e le statuizioni delle Sezioni unite che costituiscono, almeno in parte, l’approdo delle soluzioni ermeneutiche già tracciate da questa Corte hanno ricevuto ampie conferme nelle linee interpretative seguite dalla giurisprudenza successiva, talora con significative chiarificazioni quanto alla legittimità dell’esercizio del potere “interdittivo”, peraltro nella quasi totalità dei casi incentrata sulla verifica di censure aventi ad oggetto la “completezza delle indagini”, secondo una regola canonizzata dalla sentenza costituzionale n. 88 del 1991.
Si è precisato così che l’opposizione alla richiesta di archiviazione deve contenere un preciso tipo di investigazione, suppletiva intendendosi per tale quella che si pone in rapporto di strumentalità dialettica rispetto ai risultati conseguiti dalle investigazioni del pubblico ministero secondo i giudizi della pertinenza e della rilevanza, intendendosi per pertinenza l’inerire dell’investigazione al reato e per rilevanza l’idoneità ad incidere sulle risultanze dell’attività d’indagine compiuta dal titolare dell’azione penale; con in più i requisiti della concretezza e della specificità, costituiti dall’indicazione dei mezzi di prova (Sezione VI, 2 dicembre 1996, Manenti); requisiti la cui presenza viene elusa anche quando l’indicazione - pur formalmente presente - si risolva nella proposizione di temi di indagine e di mezzi di prova chiaramente superflui non pertinenti o irrilevanti (Sezione VI, 16 maggio 1997, Vitale). L’esercizio del potere “interdittivo” deve, perciò, chiarire i motivi della inidoneità dell’opposizione, senza, però, che al giudice sia consentita una valutazione prognostica dell’esito della investigazione suppletiva e degli elementi di prova (Sezione VI, 2 dicembre 1996, Ferretti). Il giudice che non ritenga sussistenti le condizioni che legittimano l’instaurazione del contraddittorio è tenuto a motivare compiutamente circa le ragioni della ritenuta inammissibilità (Sezione I, 11 febbraio 1997, Panci); fermo restando che non può ritenersi idonea a promuovere il contraddittorio e ad instaurare la fase dell’udienza camerale la proposta di temi di indagine estranei al fondamento della richiesta di archiviazione, il cui esperimento risulterebbe perciò superfluo e indifferente ai fini della decisione; infatti non qualsiasi indicazione di indagini suppletive rende ammissibile l’opposizione ed obbligatorio il confronto tra le parti nell’udienza a ciò destinata, ma soltanto l’indicazione di indagini idonee a porre in discussione i presupposti della richiesta del pubblico ministero e a determinarne eventualmente il rigetto (Sezione VI, 16 novembre 1998, Schiavon).
L’intreccio delle varie posizioni giurisprudenziali sembra, dunque, convergere nella statuizione – peraltro già ricavabile dal più volte ricordato decisum delle Sezioni unite - in forza della quale, ove sia stata proposta opposizione alla richiesta di archiviazione, il Gip può provvedere de plano esclusivamente se ricorrono le condizioni, da un lato, dell’inammissibilità dell’opposizione (nei termini sopra precisati) e, dall’altro lato, della infondatezza della notizia di reato, condizioni che devono essere esternate entrambe nella motivazione (Sezione V, 14 dicembre 1998, Massone; Sezione I, 27 gennaio 1999, Orioli).

5. In tale panorama giurisprudenziale si è inserita, la sentenza costituzionale n. 95 del 1997, con la quale - senza neppure utilizzare il modello della sentenza interpretativa di rigetto - è stata dichiarata non fondata, in riferimento agli articoli 3 e 76 della Costituzione, la questione di legittimità dell’articolo 410, comma 1, Cpp, nella parte in cui prescrive che nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione la persona offesa indichi a pena di inammissibilità l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, mentre la direttiva n. 51 dell’articolo 2, comma 1, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81 (cioè la norma interposta), si limita a stabilire che la persona offesa deve formulare istanza motivata di fissazione dell’udienza preliminare.
Ha, più in particolare, osservato la Corte che un’opposizione che non contenga l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova non preclude al giudice che non ravvisi, ad un primo esame, l’infondatezza della notizia di reato, di fissare l’udienza in camera di consiglio a norma dell’articolo 409, comma 2, Cpp, così da assicurare alla persona offesa il medesimo regime protettivo prescritto dall’articolo 2, n. 51, della legge-delega. Puntualizzando come, anzi, in tale ipotesi, il codice garantisce maggiormente la persona offesa, in quanto l’articolo 410, comma 2, Cpp indica espressamente i due presupposti (inammissibilità dell’opposizione e infondatezza della notizia di reato) che legittimano la pronuncia del decreto di archiviazione de plano, mentre, alla stregua della direttiva n. 51 della legge-delega l’obbligo di fissare l’udienza viene meno in ogni caso in cui il giudice non ritenga di dover disporre direttamente l’archiviaizone.
Secondo la Corte, dunque, la disciplina dettata dall’articolo 410, commi 1 e 2, Cpp ha introdotto un meccanismo idoneo a contrastare istanze di prosecuzione delle indagini meramente pretestuose o dilatorie, offrendo in tali ipotesi al giudice lo strumento per adottare direttamente il decreto di archiviazione. Il comma 1 dell’articolo 410 Cpp disciplina l’opposizione solo con riferimento alla situazione - più frequente – in cui la persona offesa si duole per l’insufficienza e l’incompletezza delle indagini (sentenza n. 88 del 1991). Ma, nelle situazioni in cui le indagini siano state esaurientemente espletate, ovvero il titolo del reato o le concrete modalità di realizzazione del fatto rendano non necessaria alcuna indagine, la persona offesa può egualmente presentare atto di opposizione, indicando motivi volti a dimostrare la non infondatezza della notizia di reato. Cosicché, se le argomentazioni della persona offesa siano convincenti, il giudice è tenuto fissare l’udienza in camera di consiglio a norma dell’articolo 409, comma 2 (espressamente richiamato dall’articolo 410, comma 3, Cpp), tanto da garantire alla persona offesa la medesima tutela prevista in caso di opposizione volta a ottenere la prosecuzione delle indagini preliminari.
Dal sistema del codice emerge, perciò, che in sede di opposizione la persona offesa, nei casi in cui si trovi nella impossibilità di chiedere la prosecuzione delle indagini preliminari, può comunque far valere le ragioni volte a contrastare la richiesta di archiviazione, in accordo, del reato, con la facoltà, riconosciutale in via generale dall’articolo 90 Cpp, di presentare memorie al giudice: ove le argomentazioni della persona offesa siano fondate e convincenti, il giudice non accoglierà la richiesta di archiviazione, ma fisserà, a norma dell’articolo 409, comma 2, Cpp, l’udienza in camera di consiglio, così pervenendo ad un risultato analogo a quello previsto dalla specifica disciplina apprestata dai primi tre commi dell’articolo 410 Cpp.

6. Non sembra, peraltro, che la motivazione della sentenza costituzionale sopra riportata divarichi dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema. La decisione rappresenta, anzi, una significativa presa d’atto del diritto vivente in materia, anche per i perspicui rilievi circa le già avvertite ragioni della frequenza del rapporto tra esercizio del potere interdittivo e indicazione delle indagini suppletive.
Il rilievo, cioè, che l’indicazione dell’investigazione suppletiva non è richiesta a pena di inammissibilità, non preclude, infatti, l’uso del potere interdittivo nei casi in cui il giudice verifichi l’infondatezza della notizia di reato.
Ciò comporta, d’altro canto, che l’opera di controllo demandata a questa Corte Suprema dall’articolo 409, comma 6, deve arrestarsi a tale verifica (oltre che a quella, di carattere altrettanto formale, derivante dalla sentenza costituzionale n. 353 del 1991). Senza trascurare il “rimedio” previsto dall’articolo 414 Cpp, del quale non è esclusa l’attivazione pure ad iniziativa della persona offesa, sempre operando per il Pubblico ministero richiedente la riapertura delle indagini l’invalicabile limite preclusivo derivante dalla “esigenza di nuove investigazioni”. Un profilo che, per quanto non adeguatamente approfondito, non pare comporti per la persona offesa dal reato alcun ulteriore effetto interdittivo, oltre quello derivante dal precetto dell’articolo 410 Cpp.
Ma, a parte tale rilievo - che meriterebbe più attente riflessioni esulanti dal thema decidendi - il rischio insito nel richiamo a modelli estranei alla natura non giurisdizionale del provvedimento di archiviazione, è agevolmente identificabile della surrettizia introduzione di quel sindacato sul vizio della motivazione che il legislatore ha inteso categoricamente escludere.

7. Nel caso di specie appare evidente dallo stesso lessico del provvedimento denunciato come il Giudice per le indagini preliminari abbia esercitato in modo palesemente eccedente l’ambito della sua cognizione de plano il potere iterdittivo concessogli dalla legge, per giunta, formulando - sulla base delle indagini suppletive richieste - una non consentita prognosi sul futuro sviluppo delle indagini, preclusagli anche alla stregua delle statuizioni contenute nella sentenza costituzionale n. 95 del 1997. Il tutto a prescindere dal non corretto richiamo contenuto nel ricorso all’articolo 606, lettera c, Cpp.

8. Il decreto impugnato deve, dunque, essere annullato, con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame alla stregua dei principi di diritto sopra enunciati.

PQM

Annulla il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Roma per nuovo esame.








 



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