THE - BLACK CAT
Mafia e
Fascismo nascosti
dentro la
massoneria deviata:
“The Black Cat”
Prima edizione: febbraio 2010
Primo rilascio alle autorità: aprile 2010
Prima versione pubblica –Maggio 2014
«Finché la mafia esiste
bisogna parlarne, discuterne, reagire.
Il silenzio è l’ossigeno grazie ai quali i sistemi
criminali si riorganizzano e la pericolosissima simbiosi di mafia, economia e
potere si rafforza.
I silenzi di oggi siamo destinati a pagarli
duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno
liberi».
Pietro Grasso.
(Capo della
SuperProcura nazionale antimafia[1])
Mafia e Fascismo
nascosti
dentro la massoneria
deviata:
“The Black Cat”
Introduzione
In questi anni sono venuti alla luce in Italia numerose
pagine che trattano di affari di stato, di coinvolgimenti dei servizi segreti
in stragi, della strategia della tensione, del terrorismo nero, dei tentativi
di colpi di stato, di Gladio, delle trattative tra la mafia e lo Stato…
D’altra parte si parla molto di Fascismo come situazione
del passato, di Cosa Nostra come affare siciliano, di Ndrangheta come affare
calabrese, di Camorra come affare napoletano,
ben poco si parla però del
Nord-Italia e del posto dove siamo nati, dove gli affari della Mafia e
del Fascismo Internazionale si intrecciano, e
sono portati avanti attraverso la massoneria deviata.
Queste manifestazioni
sembrano godere di una specie di immunità e di una sorta di
invisibilità, invisibilità che proviene dall’aversi rivestito con panni nuovi, eleganti e filantropici: quelli
di una certa parte della massoneria.
La nostra storia
racconta come il Fascismo e la
Mafia hanno agito e continuano ad agire
oggi nella nostra vicenda all’interno delle istituzioni, della magistratura e
delle forze dell’ordine. Questo documento tenta di spiegare la realtà dei posti
ove siamo nati che è poi la sintesi della situazione italiana. Ovvero guardare
meglio la nostra vicenda aiuta a capire
la situazione italiana, spagnola, europea, sud-americana e internazionale.
Avvertenze
e schema di lettura
The Black-Cat fa ampio riferimento a materiale
bibliografico di intelligence in lingua
inglese. Per i dettagli vedere la bibliografia.
Un approfondimento della nostra
storia personale è contenuto nel documento esterno “SCR-Screening”, al
quale si rimanda per completare il quadro della situazione.
L’ambiente veneto ove siamo nati è un ambiente ricco
d'intrighi sconosciuto agli italiani e a volte anche agli stessi veneti.
La realtà veneta è la sintesi della situazione italiana.
Ovvero guardare meglio il Veneto e il fascismo universale che ha le radici a
Venezia aiuta a capire la situazione italiana, spagnola, europea,
sudamericana, e internazionale e in ultima anche quella di
chi vi scrive.
Presentiamo subito una classificazione “grossolana” della criminalità veneta per renderci conto, da subito, del radicamento di intrighi internazionali in terra veneta.
Affronteremo poi un viaggio, del quale siamo stati protagonisti, che partendo dal Veneto percorrerà i maggiori uffici giudiziari italiani, le forze di Polizia, l’ambiente militare e la Chiesa.
Facciamo una prima classificazione dei fenomeni criminali e ideologici che si trovano in Veneto: mafia, Terrorismo, Guerra Civile non ortodossa, persone implicate in tentativi di Colpi di Stato, Massoneria “deviata”, Fascismo universale, esoterismo e satanismo.
Uno dei principali movimenti sovversivi alla base del terrorismo nero, delle stragi di stato e della strategia della tensione è stato Ordine Nuovo. Ordine nuovo aveva il suo centro a Padova con a capo il neo-nazista Franco Freda. La strategia cruciale dei gruppi terroristici nazi-fascisti fu decisa in un meeting a Padova nell’aprile del 1969. Nel 2000 Freda tentò di rifare il partito nazista.
Il più grande esponente della guerra civile “non ortodossa” propagata all’interno degli stati del Patto Atlantico, è stato per circa quarant’anni, in Italia, il generale Giulio Cesare Magi Braschi. Generale della NATO in forza al comando FTASE di Verona, Braschi ha organizzato la guerra psicologica e non ortodossa in special modo in Veneto, istruendo alla guerra civile i gruppi paramilitari d’Ordine Nuovo e i gruppi paramilitari che facevano capo a Delle Chiaie.
La terra veneta ha visto a Padova lo svolgersi del processo denominato“Rosa dei Venti” incentrato sul tentativo di golpe che ha avuto il centro in Veneto. Coinvolti pure, accanto a civili e importanti istituzioni militari, il principe nero Junio Valerio Borghese, il principe Giovanni Alliata di Montereale…
Il maggiore esponente del Fascismo Universale è attualmente Michael Ledeen. Ledeen è uno dei protagonisti dei maggiori episodi di intelligence degli ultimi anni, inclusa la guerra con l’Iran, la strategia della tensione in Italia, l’assassinio di Aldo Moro e la strage di Bologna. Ledeen fu finanziato fin dai suoi primi studi degli anni sessanta dai circoli veneziani. Ledeen fu affidato a Vittorio Cini, primo ministro delle comunicazioni del governo Mussolini, e De Felice che lo assistettero nei suoi primi studi, aprendogli le porte dei segreti degli archivi della massoneria a Venezia e a Roma.. Il fascista principe Giovanni Alliata di Montereale aveva trasferito le sue idee d’indipendenza dalla Sicilia al Veneto, Il fascista Junio Valerio Borghese, implicato in vari colpi di stato era a capo dello squadrone XMAS, diretto dagli oligarchi della Serenissima. Vedremo come Borghese, Alliata e Cini avessero le loro roccaforti in Veneto. E qual è la situazione attuale.
In Veneto è presente Ndrangheta e Cosa Nostra. Ma al di là delle infiltrazioni mafiose “esterne”, il Veneto vanta una mafia del tutto particolare che opera in maniera invisibile attraverso la copertura della massoneria deviata. Oltre alle numerose aziende del Nord-Est che sono servite a riciclare denaro sporco, o a contatti economici e bancari dubbi tra Sicilia e Veneto, vi è una mafia d’alto lignaggio definibile di “Stato” che ha un potere trasversale, su tutto quel che tocca, vale a dire: partiti politici, organi di giustizia, forze dell’ordine, ambienti militari...
Il Veneto è una terra ricca di rituali esoterici e satanismo. Non si tratta di fenomeni estemporanei, ma di realtà con profonde radici storiche che si fondono in taluni casi con il fascismo occulto, e riti di iniziazione particolari provenienti da Sicilia e Calabria. All’inizio del 1900 nel nostro paese era nata un’importante satanista; in un rapporto del governo italiano sui nuovi movimenti religiosi del 1998 l'indicazione del triangolo satanico era: «... Queste organizzazioni sono numerose a Torino, Roma e nelle città del Veneto»[2].
La massoneria illegale o deviata in Veneto ha un ruolo di primaria importanza. I maggiori protagonisti della storia che raccontiamo sono tutti legati a logge coperte o più o meno coperte, dal Conte Volpi di Misurata, a Vittorio Cini, al Principe Junio Valerio Borghese,al principe Giovanni Alliata di Montereale,…Molte di queste persone discendono da famiglie nobili e legate alla monarchia e al partito fascista. Molti fascisti furono fondatori di logge massoniche, come ad esempio Licio Gelli per la P-2. I centri maggiori a Venezia e Padova.
Al di là dei singoli fenomeni criminali, vi è in Veneto una particolare struttura che è al di sopra di queste parti e le dirige, questa struttura la chiamiamo Black Cat o “Gatto Nero”. La testa della struttura, ossia il nucleo centrale che la comanda, è invisibile, come un fantasma, e questa invisibilità gli è data dalla copertura della massoneria illegale o deviata.
Simbolicamente diremo che la testa del gatto nero è avvolta nelle bende egiziane[3], ed è questo che le dona l’invisibilità. Non si stupisca il lettore del simbolismo e dei riferimenti all’esoterismo: mafia, massoneria e nazismo sono come una religione ed hanno tutti un nucleo esoterico. Per capire in profondità il fenomeno occorre capire anche ciò che anima questi movimenti, e per questo introdurremo anche alcuni elementi in proposito. Ciò che è invisibile è comunque determinabile dalle azioni che compie intorno ad esso, e questo sarà il tema dominante a proposito degli eventi accaduteci personalmente, attraverso i quali tenteremo di mostrare la consistenza dell’organizzazione criminale che ci ha distrutto la vita e che ha le basi in Veneto, dove siamo nati.
Questo dossier ha l’obiettivo di introdurre i fenomeni elencati e di portare alla luce e alla discussione la particolare situazione veneta, dimostrando come la nostra storia personale non sia un mero caso sfortunato, ma il risultato di una precisa azione condotta da quel potere che ha interesse che nulla trapeli. Questo potere è ben radicato all’interno degli apparati dello Stato, si trova all’interno delle forze di Polizia, della magistratura, della stampa…
Noi siamo nati in terra “veneziana”, non proprio a Venezia, ma in una terra che è stata e continua a essere a tutti gli effetti una “colonia” della Serenissima dal lontano 1497, una terra posseduta da patrizi veneziani. In un comune che sembrava pacifico, in aperta campagna. Quando eravamo bambini abbiamo visto rituali esoterici: questi fatti gli manterremo nascosti per anni, fino a quando nel 1992 cominciammo a studiare il fenomeno. Inizialmente pensammo che alcune persone, da noi frequentate, fossero state introdotte in sette, ma subito dopo capimmo che il fenomeno aveva profonde radici storiche, con coinvolgimento pure di persone importanti del luogo, o di persone introdotte in circoli nazionali e internazionali[4].
Tutto questo fu sufficiente per decidere di allontanarsi da quei luoghi e rifarsi una vita altrove. Tagliammo tutti i rapporti con il paese di origine inclusi i parenti. Ma quella scelta radicale ci fu fatta pagare e non fummo mai lasciati in pace. Lontano dal paese riuscimmo a mettere insieme vari fatti e capire che esisteva mafia e massoneria ben radicata. Dare un nome a quei fenomeni fu per noi un processo lungo e meditato perché in testa nostra, come per molti altri, la mafia era un aspetto del Sud, e rendersene conto fu un lavoro impegnativo; inoltre serviva tempo per liberarsi dalla programmazione del cervello che ci era stata fatta fin da bambini.
Ci eravamo resi conto che quel paese in cui eravamo nati era fermamente mafioso e le reti di amicizie di quel posto non ci avrebbero mai lasciato in pace. Imparammo che da certi ambienti non si poteva uscire se non come ci si era entrati. Come si diceva nell’organizzazione, si entra con il sangue e se ne esce solamente alla stessa maniera. Ma noi non avevamo fatto nessun patto, come era possibile dunque trovarci in quelle condizioni? Con il tempo capimmo che bastava essere nati lì, in quell’ambiente, per farne parte e sapevamo che lì girava tutto in funzione di poche persone, incluse le istituzioni e parte delle forze dell’ordine, che scodinzolavano ai piedi di queste.
Nel 2004 una persona che denominiamo stalker per antonomasia, forse mandato apposta per rovinarci, distrusse la nostra azienda e continuò poi con le nostre vite. Allora non vi era ancora la legge sullo Stalking che fu promulgata solo nel 2009. Ci fu impossibile difenderci. D’altra parte l’ambiente dove eravamo nati continuava a darci fastidio e di lì a poco ci avrebbe ripreso, perché rimasti poveri a causa dell’azione dello “stalker” avevamo solo la possibilità di ritornare nelle famiglie di origine, o di chiedere aiuti agli enti assistenziali, al comune o alla Chiesa, tutti posti controllati dalla rete di amicizie del paese da dove provenivamo .
Per tutelarci fummo costretti a chiedere una mano ai Carabinieri e lo facemmo attraverso delle pagine scritte, presentandole lontano dal luogo ove eravamo nati: in quelle pagine riportavamo dei fatti accaduteci allo scopo di far capire l’intricata situazione, con l’obiettivo di chiedere una forma di tutela della nostra persona e del patrimonio, tutela che purtroppo non esisteva e bisognava inventarsela[5]!
Quelle pagine ci fecero cadere dalla padella alla brace, perché sperimentammo successivamente come la rete di amicizie avesse intrighi anche all’interno delle forze dell’ordine e della magistratura fuori provincia e regione, e addirittura nella capitale. Non servì presentare la situazione lontano come avevamo fatto, le nostre carte e le relative testimonianze ascritte scomparvero all’interno di un Palazzo di Giustizia fuori regione[6].
Non intervenne nessuno a darci una mano e dovemmo emigrare in altra regione, per salvarci la pelle. Dal 2005 al 2009 ci spostammo in sei regioni italiane. Non riuscimmo mai a lasciarci alle spalle la povertà, perché il male veneto ci inseguì spesso attraverso le sue azioni “invisibili” e si premurava di renderci la vita impossibile in ogni luogo attraverso i suoi uomini, inseriti nelle istituzioni e nella chiesa.
Per quanto avessimo capito che il fenomeno mafioso fosse ben
radicato nelle terre d’origine, non riuscivamo a realizzare come quella gente dell’ambiente di nascita
riuscissero ad avere un ampio potere sulle istituzioni dello Stato. Riuscivano
a localizzarci, a sapere dove ci spostavamo, sfruttando le stesse reti
informative, in uso per mantenere l’ordine pubblico e le leggi antiterrorismo.
E riuscivano a utilizzare anche le reti all’interno della Chiesa di
Roma.
Nel 2004 avevamo cominciato a intendere in maniera pratica i nostri problemi di mafia, nel 2005 cominciammo a studiare i fenomeni della mafia Siciliana attraverso dei libri e delle interviste al giudice Giovanni Falcone[7]. Capimmo che la spiritualità veneta era molto simile a quella siciliana, come pure l’omertà dei nostri posti. Molti modi di pensare e atteggiamenti erano identici. Falcone ci insegnò a studiare i minimi particolari, i modi di dire, i comportamenti. Individuammo due mali comuni al Veneto ed alla Sicilia: l’ignoranza e la Miseria. Nello stesso tempo insieme alla mafia tentammo di capire il fenomeno della massoneria molto radicato a Padova, Treviso, Venezia.
I nostri studi poi si interruppero per le questioni della vita e ripresero nel 2007, includendo anche il fenomeno della ‘Ndrangheta e della Camorra.
Il punto di svolta avvenne nel 2007 quando ci capitarono in mano alcuni documenti di EIR, ossia Executive Intelligence Review. In quei documenti che qui proponiamo, trovammo una chiave di lettura di molti fatti accaduteci: iniziammo a definire le reti di appoggio dei nostri “nemici”. Fino a quel momento eravamo completamente all’oscuro sui fenomeni del terrorismo nero, e sul fascismo universale seppur ben radicato in Veneto. All’emergere delle connessioni di tali personaggi nell’ambito militare, delle forze dell’ordine, della magistratura, delle banche e cosi via, realizzammo come fino a quel momento avessimo vissuto in mezzo a tanti mali senza nemmeno rendercene conto.
Ma quei documenti di EIR[8] fecero chiarezza anche sui rituali esoterici che avevamo visto quando eravamo giovani.
Quando tentammo di portare alla luce la nostra vicenda ancora nel 2004, ci fu fatto terreno bruciato su tutti i fronti. Prima i nostri esposti sparirono, poi furono sottratti, poi finalmente quando riuscimmo a far pervenire qualcosa in Procura, tutta la vicenda fu chiusa senza fare indagini. Poi si volle chiudere le nostre denunce facendoci crepare, facendo passare tutto per un incidente, burocrazia e caso sfortunato. Fummo letteralmente isolati da quel potere che aveva interesse che nulla trapelasse. Per fare questo misero in scena un piano ben fatto, al quale parteciparono istituzioni pubbliche e forze dell’ordine colluse. Si mise in atto un diffamazione profonda sulle nostre persone e una serie di menzogne al fine che non ottenessimo aiuto o consenso. Fu messo un muro tra noi e i magistrati[9]. Noi finimmo per vivere tra gli ultimi. Per sei mesi vivemmo in una piccola tendina da campeggio e poi all’interno di varie case di accoglienza per immigrati stranieri. Soffrimmo il freddo e la fame e il peso dell’ingiustizia. Non ci arrendemmo, e continuammo a scrivere e a gridare alla giustizia perché intervenisse.
Ancora nel settembre del 2005 tentammo di interessare la TV e la carta stampata senza esito. Allora cambiammo strategia e pubblicammo personalmente una denuncia pubblica dei fatti su un sito internet mostrando anche delle prove. Le pagine furono censurate dai motori di ricerca in internet e questo successe dal 2005 a fine 2006. Analoga censura fu fatta dalla televisione e dai giornali che non vollero mai pubblicare nulla su quanto accaduto[10].
[Della censura ne parliamo nella parte di approfondimento Titolo .2 “La censura” pagina 2.]
Era diventato evidente che a chiudere tutte le nostre vie non poteva
essere una persona qualunque, ma una organizzazione che aveva radici profonde
all’interno dello stato italiano, uno stato nello stato come si suol dire.
Nella parte di approfondimento a pagina 2 trattiamo in dettaglio della censura che è stata apposta sulla nostra vicenda dei nostri esposti spariti in Procura nei giornali, TV e internet.
Prima ancora di questi fatti e dei nostri studi sulla mafia, avevamo sperimentato ancora nel 2004 come in Veneto la cultura era sottoposta a un controllo da parte di un gruppo che stabiliva quello che si doveva sapere e quello che no. Nel 2004 avevamo fatto una scoperta storica importante.
Tale scoperta è un punto fondamentale per capire la realtà veneta e
come siamo giunti nel corso del tempo a definire altri fenomeni collegati.
Nel caso specifico l’emergere di alcuni aspetti storici rilevanti, su un territorio adibito allo sfruttamento di cave e di impianti radiotelevisivi, poteva interferire con il giro di soldi e di interessi che vi era a riguardo, e taluni signori decretarono che tali argomenti non dovevano emergere.
Dunque tali verità storiche rimasero nascoste, o meglio rimasero nelle mani di pochi eletti.
Cercando materiale per le
nostre scoperte storiche ci imbattemmo ancora nel 2004 nella Fondazione Giorgio
Cini di Venezia e in ambienti di Ferrara, dove Vittorio Cini era nato, e nel
padovano, dove Vittorio Cini aveva ereditato cave e campi, oltre al titolo di
conte di Monselice[11].
Inevitabilmente venimmo a contatto anche con altri aspetti. Avevamo notato che
all’interno dell’organico della Fondazione Cini vi era anche tal Principe
Giovanni Alliata di Montereale. Cercando informazioni su di questo, risultava
che un tal Principe era stato implicato in varie vicende poco chiare, parte del
testo trovato narrava: “Il principe Alliata di Montereale, Gran Maestro
della potente loggia massonica degli Alam, leader del partito monarchico, è uno
dei mandante della strage di Portella delle Ginestre, come afferma Gaspare
Pisciotta, poco prima di essere assassinato in carcere. Nel 1946 spendeva 2
milioni di allora il mese per sostenere
ogni tipo di attività separatista in Sicilia.”[12].
Ci chiedevamo cosa faceva tale famiglia Alliata di Montereale all’interno della fondazione di Venezia. Facemmo delle “ricerchine”. Non era passato tanto tempo dallo scandalo delle valvole cardiache difettose impiantate all’ospedale di Padova, provenienti dal Brasile, e ci fece impressione che il Principe sopra nominato fosse di famiglia siciliana, nato a Rio de Janeiro in Brasile, piduista e considerato l’uomo di collegamento tra Cosa Nostra e Borghese per l’attentato allo Stato del 1970, denominato appunto “Golpe Borghese”[13].
Quella fondazione e la famiglia Alliata la trovavamo in moltissime associazioni culturali venete e non. Basti guardare la “Fondazione Giorgio Cini-Venezia” a pagina 2 e seguenti, in particolare i membri legati alla famiglia, i centri legati alla fondazione e gli amici della fondazione per capire l’ampio potere di tale fondazione.
D’altra parte in Veneto Vittorio Cini era un’entità ben vista e intoccabile, una specie di eroe. Nelle zone interessate dalla nostra ricerca storica non si trovavano informazioni sulla sua natura più profonda; al contrario su EIR[14] apprendemmo molte notizie, e per nulla eroiche.
Nel 2005 dovemmo emigrare dal Veneto e fino al 2007 lasciammo il discorso in sospeso. Fino a quel momento avevamo intuito che attualmente quei posti storici collegati alle nostre scoperte erano gestiti da un circolo massonico che utilizzava i luoghi non solo per attività economiche, legate allo sfruttamento di cave e di siti di antenne, ma anche per fare feste e cerimonie a proprio piacimento, proprio nei luoghi ove erano nate persone sante.
La nostra scoperta urtò la sensibilità anche dello storico ufficiale di quelle zone, un fascista che detestava quella parte di santità nata in quei luoghi. Tale storico conosceva l’entità della nostra scoperta, ma la sua fazione aveva tutta l’intenzione di tenere nascosti quegli aspetti!
Questo personaggio luciferino ci aveva apostrofati come dei terroristi, per il solo fatto che volevamo far conoscere alla gente l’esito delle nostre ricerche e scoperte. Pensiamo che per tale storico si debba applicare la storiella del topo di dispensa[15].
Persone che erano arrivate alle nostre stesse conclusioni storiche, anni prima, erano state coinvolte eventi degni di un copione come “Il nome della Rosa”. Un monaco che pubblicò per primo tali informazioni, fu trovato morto all’interno della biblioteca del monastero. Era giovane e non ci si aspettava la sua morte. Un sacerdote che anni dopo riprese la tesi del monaco, morì subito dopo la pubblicazione del libro. Noi invece, come testimoniato in taluni esposti inviati alla magistratura, ci fu consigliato di non procedere, di lasciar stare le nostre scoperte perché c’era gente che non gradiva il nostro lavoro. Il comune natio di Cini rispose, in una nostra lettera incentrata sulle nostre scoperte, che tali aspetti storici erano fatti loro e chiusero lì la comunicazione; infine come citato prima, lo storico del paese ci accusò di voler fare un colpo di stato, con tali informazioni. Noi pensiamo che di malattia mentale ce ne sia tanta in Veneto, ma anche molto materiale d’ispirazione cinematografica!
In realtà le cose si rivelarono peggiori d’ogni previsione, perché effettivamente sotto i tanti interessi vi erano le stesse persone implicate nei colpi di stato, nel terrorismo, nel fascismo universale e nella massoneria illegale, come vedremo nel seguito.
Nel 2005 leggemmo su l’Espresso che un noto imprenditore veneto era denominato “il siculo” per la sua amicizia con il siciliano Totò Cuffaro. L’imprenditore era presidente di una nota banca veneta, abitava non lontano, aveva alcune terre e vigneti, era cavaliere del lavoro e aveva vari titoli. Il vicepresidente della banca era invece proprio dei nostri posti, uno che faceva industria a livello internazionale, insignito di diversi titoli, cavaliere del lavoro, Cavaliere di Malta[16], si legge: “Legato al partito di Forza Italia al quale aveva dato forza ed energia…” Persona molto importante per il paese dove abitavano meno di 10000 abitanti. Nel 2005 vedemmo in Sicilia come questa banca veneta avesse aperto numerosi sportelli in tutto il territorio. La banca operava solamente in Veneto, in Sicilia e in una città della Toscana nota per l’insediamento cospicuo di cinesi. Il primo imprenditore lo chiamavamo “il cinese” e il secondo “il giapponese”.
Queste relazioni ci fecero pensare che di sotto a tali persone insigni poteva essersi infiltrata gente con ben altri scopi, tali da giustificare l’aria che si respirava in quei luoghi. Noi stessi durante la nostra attività aziendale avevamo sentito molte voci su come nel territorio vi erano molte aziende che operavano al di fuori dei canoni del mercato, e ci fu pure consigliato di non entrare in affari con queste, perché era pericoloso e ci avrebbero tirato dentro. Fummo avvertiti in tempo: notammo poi come queste cose si verificarono veramente. Accennammo a questi argomenti nel secondo esposto, sparito in Procura insieme ai successivi sei (vedere pag. 2 “La questione degli esposti spariti nel Palazzo di Giustizia”): solo negli anni successivi ci rendemmo della maggiore estensione del fenomeno in Veneto, e di come alcune aziende sane furono ingoiate dalla mafia, in maniera invisibile.
I nostri primi veri studi sulla mafia li facemmo nel 2005, quando ormai fummo costretti a vivere in condizioni di povertà in tenda da campeggio da 30 euro. Per scaldarci andavamo in biblioteca e abbiamo letto e visto vario materiale in proposito[17]. Questo ci permise di capire alcune similitudini tra il Veneto e la Sicilia, cose che avevamo già intuito precedentemente in un viaggio in Sicilia, e dalla visione del film “Alla luce del Sole”, incentrato sulla figura di don Puglisi, film molto interessante che riportava la questione quotidiana della mafia. Durante l’estate del 2005 fino all’inizio del 2006 ci documentammo su vario materiale incentrato sul maxi processo di Palermo, sul giudice Falcone, su Borsellino, sul generale Dalla Chiesa…
Cercando una spiegazione dei riti occulti visti durante l’infanzia ci capitarono dei documenti che parlavano di antichi culti in Sicilia legati alla divinità del dio Baal[18] e ci documentammo in proposito. Interessante era per noi anche il fatto che per entrare nella mafia, un tempo, si faceva un rito[19] d’iniziazione particolare e che la patrona di Cosa Nostra era la Madonna dell’Annunciazione che si festeggia il 25 marzo[20].
Ci chiedemmo se era possibile che i riti visti nelle colline venete fossero collegabili a quelli antichi riti siciliani, provenienti dall’arcaica zona del mediterraneo ove la Sicilia era immersa.
Ci capitò di trovare la figura di Giuseppe Balsamo detto Conte di Cagliostro, zingaro, di Palermo che “studiò” massoneria a Londra e che fu accolto con tutti gli onori a Venezia.
Nel comune di San Leo, dove Balsamo è stato sepolto, lo si considera una specie di vittima del tempo. Oggi sulla sua figura si fa commercio, ma in realtà, come si legge nei documenti di intelligence americani, era una spia al servizio della Repubblica di Venezia, riuscito a infiltrarsi nella stabile monarchia francese, ed a farla saltare con l’affare denominato della Collana[21].
Al di là di tutto Balsamo, nel 2005, fu per noi una chiave di lettura per capire le similitudini tra il Veneto e la Sicilia, ed anche una chiave per capire l’origine della spiritualità mafiosa in Veneto, dei culti del Serpente e del dio Baal, ancora oggi sopravvissuti dentro e dietro il cristianesimo.
Per la figura di Balsamo e dei culti egiziani vedere pagina 2, “Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro”. Inoltre abbiamo visto che alcuni culti veneti possono rappresentare fasi di iniziazioni descritte nella Ndrangheta, culti provenienti sempre dal mediterraneo.
Sicuramente in Giuseppe Balsamo la mafia e la massoneria hanno assunto la massima espressione e fusione. Balsamo, di origine siciliana, probabilmente zingaro, ha studiato massoneria a Londra, ha poi sparso lo spirito della massoneria e della magia egiziana per tutta Europa fino ad essere imprigionato a Roma e successivamente a San Leo dove morì.
Da considerare che San Leo e San Marino oltre a essere due cittadine poco distanti, sono i nomi di due santi, famosi tagliapietre, trasferitisi in Italia dalla Dalmazia ancora nei primi secoli: spiritualmente i luoghi fondati da tali santi, di cui le cittadine portano i nomi; sono chiaramente appetibili per i sostenitori "dell'architetto del mondo".
[Approfondimenti a pagina 2, “Giuseppe
Balsamo Conte di Cagliostro”.]
Su EIR si legge che Balsamo
era un agente spia di Venezia: “An agent of Venice's ruling Council
of Ten, Count Cagliostro (Joseph Balsamo) organized the 1785 "Affair of
the Queen's Necklace," the scandal which, as Napoleon observed, was the
opening act of the French Revolution, an event financed and run out of Britain.”[22]
Il territorio ove siamo nati era di proprietà di patrizi veneziani e la
cultura relativa, inclusa la massoneria e la mafia di Balsamo penetrarono nel
territorio insieme con i suoi culti esoterici egizi[23]..
Lì ad inizio del 1900 nacque un’importante satanista, lì nelle colline vedemmo
dei riti esoterici ai quali partecipavano varie persone, lì ancora oggi si
mantengono ancora contatti con i filoni esoterici egizi della zona di Torino[24]
e con l’asse della massoneria londinese.
Durante i nostri studi ci accorgemmo che invertire il bene con il male e viceversa è una caratteristica di base della Mafia, tanto in Sicilia tanto nel nostro paese. Si chiama Bene il Male e Male il Bene. Leonardo Vitale, considerato il primo pentito di mafia scriveva: “Io sono stato preso in giro dalla vita, dal male che mi è piovuto sin da bambino. Poi è venuta la mafia, con le sue falsi leggi, con i suoi falsi ideali: combattere i ladri, aiutare i deboli e, …però, uccidere; pazzi!”. La mafia stessa quando è nata si è proposta di buoni propositi ma usava metodi alquanto duri in genere in contrasto con i buoni propositi. Ma invertire il bene con il male è una delle fondamenta della mente malata della mafia.
Uccidere le persone nel giorno del loro compleanno è un esempio, come è successo per don Puglisi.
Il giorno del compleanno di Bernardo Provenzano, nel carcere di Terni, gli fu presentata una tortina “avariata”. Provenzano, probabilmente edotto dei rischi che si corrono in tale data, si rifiutò di mangiarla. Appena emersa e verificata la questione fu poi trasferito in altro carcere[25]. La strage di Capaci e la morte di Falcone fu un regalo di matrimonio ad un boss di mafia.
Accanto a questa fatidica data del compleanno, alla mafia piace colpire i giorni di festa o la vigilia, e rovesciare le feste in lutto e in generale il bene in male. Per entrare nell'Ndrangheta ad esempio si fa un rito di "iniziazione" bruciando la testa del santino di San Michele Arcangelo[26], il massacro di Duisburg del 2007 è stato fatto il 15 di Agosto, festa dell'Assunzione; la stessa faida cominciò nel 1991 nel giorno di Lourdes e proseguì con altri morti il giorno di San Valentino e il Natale 2006. Insomma tutto questo interesse per santi, santini e date religiose non sono una cosa casuale[27].
Non si tratta di una semplice questione. I motivi ci sono. La mafia è una specie di religione e non solo una organizzazione criminale. Alcuni mafiosi andavano a pregare sulle tombe della gente che assassinavano. Una religione che è disposta a sacrificare anche i suoi componenti per la causa. Il pentito Giuffré, in un processo divulgato a fine 2009, ha riportato come Provenzano fosse in confidenza con i carabinieri. E che Provenzano stesso diceva che alcune parti mafiose dovevano essere sacrificate alla “divinità”, riferendosi che per la causa comune, alcuni mafiosi sarebbero stati sacrificati. In pratica Provenzano fornì le indicazioni ai Carabinieri per arrestare alcune famiglie e addirittura lo stesso Totò Riina. Questa divinità nominata da Giuffré è un’entità esoterica, il fulcro della religione mafiosa. Per un approfondimento di questi aspetti vedere pagina 2 “La cultura della morte”.
Avevamo capito come il fenomeno mafioso fosse ben radicato nelle
terre d’origine, non riuscivamo a capire come quelle persone dell’ambiente di
nascita riuscissero ad avere un ampio potere sulle istituzioni dello Stato.
Riuscivano a capire dove ci spostavamo, utilizzando le stesse reti informative
in uso per mantenere l’ordine pubblico e le leggi antiterrorismo. E riuscivano
a utilizzare anche le reti all’interno della Chiesa di Roma.
Nel 2007 ritornammo sull’argomento lasciato nel 2004, trattato nel punto (B) a pagina 2. Fa chiarezza un articolo pubblicato su EIR, descrivente un Vittorio Cini completamente diverso rispetto ai toni eroici appresi da fonte veneta. Emerge un Cini, Primo Ministro nel governo Mussolini, finanziatore del pupillo Michael Ledeen negli studi sul fascismo universale. Apprendemmo che Cini faceva parte del gruppo veneziano del conte Volpi di Misurata, e che quest’ultimo era diretto dal principe del Galles Edward VII[28], fondatore di varie logge massoniche e finanziatore di importanti satanisti, nonché l’ideatore della prima guerra mondiale e del regime fascista. Trovammo che la figlia di Cini si era sposata con il Principe Fabrizio Alliata di Montereale, il fratello del principe Giovanni.
Abbiamo frequentato l’università a Padova e sapevamo che vi era terreno fertile per la massoneria. Avevamo intuito che le nostre scoperte storiche del 2004 erano state censurate da questi potenti famiglie, perché in contrasto con i loro interessi. Essi sfruttavano quei posti storici a proprio uso e consumo, per le loro riunioni. Alcuni posti venivano usati per celebrare matrimoni di gente importante, di partiti importanti legati alla P-2. Poi vi era l’affare delle cave ancora aperte e la questione delle antenne radio-televisive fuorilegge. Cominciammo a studiare un po’ di storia italiana e veneta, e scoprimmo un mondo del tutto diverso da quello che immaginavamo.
La logica di questi signori ha determinato la costruzione di reti per gestire interessi economici e la vita degli esseri umani a proprio vantaggio e piacimento.
Come a dire che lo spirito di Edward VII, Alliata, Cini, Ledeen….continua ad operare nel tempo, sempre con la stessa finalità, con modalità simile, e l’impronta veneta, nella storia, appare ben visibile. Ledeen è americano ed ancora attivo, molto coinvolto nella storia italiana[29]….
Nel 2004 avevamo cominciato a cercare delle spiegazioni al fenomeno fuori Veneto, ma in ultima ci accorgemmo che molti problemi venivano proprio da lì, da quella regione ove eravamo nati. Fu una cosa sorprendente.
Nel 2008 cominciammo a studiare il fenomeno del Nazismo e in particolar modo come il Nazional-Socialismo è andato al potere, le leggi razziali, le leggi promulgate contro gli Ebrei, i campi di concentramento, la “soluzione finale” e il nucleo del nazismo esoterico. Questi studi sul nazismo ci hanno permesso di capire cose particolarmente importanti che riguardano il presente, non solo della nostra storia personale, ma anche il particolare “Revival” di questo fenomeno che si sta avendo in questi ultimi anni, sotto mentite spoglie, nella situazione internazionale e italiana. Questo argomento sarà affrontato più avanti nel CAP (Capitolo VI) “Prima trattazione su Gladio e Guerra Civile” e nel CAP (Capitolo IX) “Mafia e Fascismo nelle istituzioni: «Il Gatto Nero»”.
A grandi linee queste sono le sorprese che ci ha riservato il primo decennio del 2000.
(2004)Scoperta storicaàCasa Cini àFondazione CiniàGiovanni AlliataàMafia
(2004)StalkeràASL
(2005)Culti Esoterici, paeseà Giuseppe Balsamo àMafia e Massoneria
(2007)Executive Intelligence ReviewàVittorio CiniàJunio Valerio Borghese àRosa dei Venti àGolpe Borghese->Strategia delle tensioneàTerrorismoàFascismo UniversaleàVenezia.
(2007)Parenti à Doppia rete à Mafia e Massoneria
(2008)Nazismo
La parte successiva comincia a trattare fatti concreti capitateci direttamente..
Se gli studi rappresentano la formula teorica e storica della situazione veneta e italiana, la nostra storia rappresenta, per così dire, il dato empirico che conferma la regola.
Il percorso di ricerca della verità per i fatti accaduteci, parte dal Veneto, tocca circa dieci regioni italiane, e finisce in Veneto. L’inizio e la fine dell’esplorazione coincidono.
Questa parte tratta di come agiscano oggi le reti del veneto, lo
facciamo introducendo ilnostro caso concreto. Mostriamo come non vi sia
problemi per tali reti far sparire esposti dagli uffici delle Procure della
Repubblica, far chiudere indagini, attivare censure, e rendere la vita
impossibile alle persone non gradite.
Questa parte tratta di situazioni concrete e gravi accadute alla parte scrivente e concernente gli organi di giustizia, le forze dell’ordine, gli enti umanitari della Chiesa Cattolica dal 2004 ad oggi.
La parte che ci riguarda completa in qualche maniera dal lato pratico quello che è in teoria la situazione italiana, ossia, dice come si sono evolute le situazioni dagli anni della strategia della tensione e del terrorismo, e come operano oggi nel caso concreto tali reti per controllare le persone e lo Stato.
Per la storia completa della parte scrivente riferirsi invece al documento esterno SCR* “Screening” che riporta in i fatti accaduteci passo dopo passo dal 2004 ad oggi, o per chi ne ha le possibilità le circa mille pagine depositate alla giustizia dal 2004 al 2009.
Questo documento non mira a dare delle responsabilità precise o atti d’accusa a singole persone per quanto ci è accaduto, per questo motivo non sono riportati i nomi di persone e/o enti coinvolti con la nostra vicenda. Non è nostro scopo delineare qui dei colpevoli: lo abbiamo già fatto per la via ufficiale in esposti e/o denunce. In questo documento si vuole invece sottolineare la situazione generale, che non cambia spostandoci da regione a regione, da Procura a Procura, da comune a comune. Questo sta a significare che il problema da noi rilevato è ben più grave di un atto di abuso d’ufficio di un magistrato, dall’occultamento e soppressione di atti, o dall’omissione di un dovere da parte di componenti delle forze dell’ordine, o dall’incompetenza, o da alcune forme di repressione organizzate dai carabinieri dei nostri luoghi. Noi stiamo parlando in termini più generici, ossia di una criminalità organizzata che ha un controllo sulle istituzioni, tanto che siano in Veneto o in Calabria, tanto che siano rosse o nere. Di uno Stato nello Stato insomma.
In Ottobre 2004 fu presentato un esposto ai Carabinieri contenente alcune testimonianze relative alle nostre persone e all’ambiente dal quale provenivamo, allo scopo di ottenere una tutela.
Da Novembre 2004 fino a Maggio 2005 furono da noi inviati ad una nota Procura italiana, da noi denominata Procura-Uno, fuori Veneto, sette lettere raccomandate contenenti esposti e/o denunce, e furono depositati due atti a mano all’ufficio apposito di tale Procura, denominato “ufficio primi atti”. Mentre chiedevamo un aiuto alla giustizia, ci capitarono diversi fatti gravi: tali fatti furono descritti e inviati come aggiornamenti, cosicché i documenti inviati si trasformarono in una specie di grosso fascicolo che conteneva nuovi esposti e aggiornamenti a quanto già descritto.
In marzo ’05 andammo agli uffici della Procura in oggetto per constatare il nome del magistrato assegnatoci, ma scoprimmo che solo un esposto era pervenuto, protocollato, e rimandato per competenza alla nostra Procura in Veneto. Gli altri esposti a detta dell’impiegato non erano mai arrivati[30]!
Tornati a casa rimandammo tutti i documenti precedenti attraverso un’altra raccomandata descrivendo quanto appurato[31]in Procura. Capitarono altri fatti gravi e in Aprile ’05 ritornammo in Procura con le ricevute in mano delle nuove lettere raccomandate, a chiedere il nominativo del magistrato che ci era stato assegnato. Ci risposero nuovamente che le nostre raccomandate non erano pervenute. Di conseguenza andammo nell’ufficio primi atti e depositammo, questa volta a mano, nuovamente tutto l’incartamento.
La Procura non si fece sentire. All’inizio di Maggio ‘05 inviammo una nuova lettera raccomandata di aggiornamento con nuovi fatti gravi, tale lettera conteneva anche al suo interno l’indicazione delle lettere precedenti, da noi inviate, che non risultavano oltremodo pervenute. Questa lettera, da noi denominata R7, fu da noi inviata, a titolo di prova[32], senza indicare i nostri nomi sulla raccomandata, per vedere se in questa maniera si riusciva a farla pervenire[33]. Pervenne e fu assegnata ad un magistrato. Il magistrato visto il contenuto aprì un’indagine per ”sottrazione e/o smarrimento di documentazione” in base all’articolo 616 del codice penale. Tale reato lo ipotizzavamo manifestatosi relativamente alle lettere elencate nell’esposto, da noi inviate e mai pervenute, cioè cinque lettere raccomandate (R2,R3,R4,R5,R6) e per i due atti da noi depositati a mano in Aprile ’05, in Procura, ma smarriti nella stessa Procura[34].
Il magistrato aprì il nostro fascicolo R7 a fine settembre ‘05, e dopo pochi giorni chiese l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari (G.I.P.), motivando la richiesta di chiusura dell’indagine in oggetto poiché “non vi erano elementi per stabilire se si trattava di sottrazione o smarrimento e nel primo caso chi fosse l’autore del reato”. In pratica le nostre lettere erano si sparite ma il magistrato non avendo elementi sufficienti per continuare a fare le indagini, e chiedeva al GIP di archiviare il procedimento[35].
La statistica non è
un’opinione
Dunque ricapitoliamo, ad inizio di ottobre 2006 risultavano non essere pervenute, e dunque essere state smarrite e/o sottratte, cinque lettere raccomandate (R2,R3,R4,R5,R6), e due atti depositati a mano. Risultava invece essere pervenute la prima e la settima raccomandata. Su circa centotrenta pagine ne arrivarono ventiquattro. Facendo quattro conti, in ottobre risultava pervenuto il 22,2% degli atti da noi spediti. Se la Procura lavorasse di norma con queste percentuali vorrebbe dire che quattro quinti del materiale depositato e/o inviato non giunge nemmeno ad essere visto dai magistrati, perché scompare prima. Con queste percentuali è ovvio che non si tratta di uno smarrimento, ma di una sottrazione ovvero di un furto, cioè la percentuale di atti spariti è di per sé indice di un furto e non di uno smarrimento: una situazione ben più grave perché implica che qualcuno ha volutamente fatto sparire quella documentazione.
La cosa fu eclatante perché il magistrato, prima di chiudere le
indagini, non si pose nemmeno il problema di entrare in possesso del materiale non
pervenuto, che continuava a rimanere non pervenuto! O almeno così poteva
sembrare dalle dichiarazioni del magistrato.
Ovviamente noi avevamo tentato in tutte le maniere di far pervenire
la nostra documentazione in procura. Siccome la presentazione di un esposto e
L’invio di integrazioni durante il procedimento, era un nostro diritto e
rappresentava pure una forma di difesa contro il potere che ci stava
distruggendo, l’impossibilità di fornire documentazione alla procura fu una
vera e propria censura dei fatti
ascritti, fu una lesione del diritto, riconosciuto a livello internazionale,
della difesa.
DUNQUE VI FU LESIONE DEL DIRITTO DELLA DIFESA.
Ad aggravare la situazione vi era il fatto che di alcune raccomandate avevamo l’avviso di ricevimento, ritornatoci timbrato dalla Procura, e che i due atti erano stati depositati presso gli uffici appositi e non spediti. Dunque almeno per questi si era certi che i documenti furono sottratti all’interno degli uffici della Procura della Repubblica.
IN PRATICA LE PROVE[36] INDICANO CHE ALMENO QUATTRO DOCUMENTI SUI SETTE SCOMPARSI FURONO SOTTRATTI PROPRIO ALL’INTERNO DEGLI UFFICI DELLA PROCURA.
Tempo prima, ancora in giugno 2005 vedendo che in Procura Ordinaria non si riusciva a far passare i nostri esposti, ne inviammo una copia alla Procura Militare indicando il problema. La Procura Militare inviò in luglio ’05 tutto il pacco alla Procura Ordinaria. Inizialmente tale documentazione capitò probabilmente ad uno dei tanti magistrati in servizio, ma successivamente confluì nel fascicolo del magistrato che aveva ricevuto la R7, che chiameremo il magistrato “fannullone”.
Capitando noi in Procura un giorno di Marzo[37], in cui il magistrato fannullone era in ferie, ci capitò di parlare con un impiegato della sua segreteria, il quale ci fece vedere sul monitor che, seppur le nostre lettere raccomandate fossero sparite, la documentazione mancante, contenuta in tali lettere, era stata sostituita da quella proveniente dalla Procura Militare. Tutto però era stato già archiviato ancora all’inizio di gennaio.
Giorni dopo, a fine marzo, chiedemmo spiegazioni sull’archiviazione al magistrato tramite un fax, senza comunicargli che eravamo stati nel suo ufficio. Questi continuò a dichiarare, anche per fax, che la nostra documentazione continuava a rimanere non pervenuta e non in suo possesso. Capimmo che c’era qualcosa che non andava nell’operato del magistrato fannullone.
Non solo continuava a dichiarare che il materiale non era pervenuto, ma non aveva nemmeno aperto dei procedimenti che si dovevano aprire d’ufficio per alcuni fatti contenuti nella R7 ricevuta! Tali fatti riguardavano comportamenti fuorilegge di alcuni elementi dei nostri carabinieri di residenza.
Precisazioni
In premessa di questa parte abbiamo spiegato come non sia nostra intenzione dare delle responsabilità a poche persone, ma che la situazione è più grave e generalizzata, ed interessa vari soggetti, che probabilmente appartengono a una rete con sede in Veneto. Per questo motivo in questo documento non facciamo nomi e cognomi. Tuttavia qualche punto fermo e qualche elemento lo dobbiamo pur presentare: presentiamo i dati relativi all’esposto inviato alla Procura Militare.
Il 22 marzo 2006 recandoci presso gli uffici della Procura militare ci è stato segnalato quanto segue:
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L'esposto pervenutoci via raccomandata nr.12378383341-8 da voi trasmessa il 18/06/05 da Sirmione (BS) è stato catalogato come fascicolo n. 160/c/05 iscritto modello 45. I fatti ascritti non costituiscono reati militari[38] e dunque con provvedimento di trasmissione atti, vengono inoltrati alla Procura ordinaria competente in data 30/06/05. Il fascicolo è stato trasmesso a tale Procura in data 04/07/05 tramite assicurata NR 160/c/0545.
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A pagina 2, Cap. Capitolo XII, segue foto della ricevuta della lettera raccomandata e foglio di trasmissione del fascicolo dalla Procura militare a quella ordinaria (rif. rigo 21).
Notare che le scritte in alto nella foto della ricevuta “4-7-05” e “160/c/05” e “30.06.05” sono state apposte di proprio pugno dall’ufficiale della Procura Militare, che ci ha dato l’indicazione il 22 marzo ’06 ed il foglio di trasmissione relativo.
L’esposto che avevamo mandato alla Procura Militare conteneva tutti i documenti inoltrati e smarriti dalla Procura Ordinaria. Tale fascicolo non venne perso e/o sottratto ma fu assegnato ad un magistrato, e confluì poi nel fascicolo del magistrato fannullone.
In marzo ’06 diventò evidente che i due soggetti fannulloni della Procura ordinaria,un magistrato ed un giudice, gestori del nostro fascicolo, avevano commesso degli errori eclatanti.
Segnalare il loro comportamento non era cosa da poco, soprattutto se non si hanno soldi, un avvocato o un partito politico che ti sostenga, e magari una casa all’estero.
Ma non vi era altra possibilità, era l’unica strada che potevamo percorrere.
Ma di che cosa erano colpevoli i due soggetti fannulloni?
Prima di tutto il magistrato che aveva ricevuto in carico l’esposto R7 aveva dichiarato di non essere in possesso del materiale da noi spedito. In pratica continuava a dichiarare che i nostri esposti non erano pervenuti, e che continuavano a rimanere non pervenuti. Facendo in questo modo si era tolto di dosso il macigno di fare indagini in proposito. In realtà quello che lui dichiarava non pervenuto, era stato rimpiazzato successivamente attraverso la Procura militare, che aveva girato gli esposti alla Procura Ordinaria! Il magistrato fannullone non aveva voglia di gestire un caso così complesso e preferì chiuderlo. Si accordò con il GIP per chiudere tutto, magari un giorno vicino alle feste, quando c’è poco movimento in giro: il caso fu chiuso sotto le feste di capodanno, all’inizio di gennaio.
Abbiamo appurato che le cose scomode si chiudono in agosto o durante le feste di Natale e capodanno, proprio come esige la tecnica dei colpi di Stato e la tecnica del far passare le leggi scomode.
Archiviarono tutto, sostenendo che il 22 giugno non era avvenuto alcun reato. A cosa corrisponda questo 22 giugno, non lo sappiamo. Certamente non è una data da noi dichiarata, poiché la R7 fu spedita ad inizio maggio, quindi circa un mese e mezzo prima.
Non è una data relativa nemmeno alle 5 raccomandate procedenti, né ai due fascicoli depositati a mano in aprile.
Non centra nemmeno con la documentazione confluita dalla Procura militare, poiché questa la inoltrò tramite assicurata successivamente, il 30 giugno.
Cos’è il 22 giugno? Una data partorita dalle loro menti, che non hanno avuto nemmeno la bontà di spiegarcela, dopo che via fax avevamo fatto richiesta di delucidazioni, visto che il magistrato fannullone era in ferie….
Come fare per archiviare il materiale proveniente dalla Procura Militare, confluito successivamente al magistrato fannullone della R7?
Fu trovata un escamotage: chiudere il fascicolo militare dentro la R7, chiamandolo con lo stesso codice, seguito da un bis, tipo 5788 e 5788-bis. Chiuso il 5788, per il mancato reato del 22 giugno, e chiuso automaticamente il 5788-bis.
Al di là di tutti i giri burocratici, giri di parole e grossolani errori è importante sottolineare alcuni aspetti.
Ovviamente se il furto/smarrimento (art. 616 c.p.) non era avvenuto, come decretato dal giudice, era lecito chiedersi:
§ Perché le lettere raccomandate non risultavano protocollate[39]?
§ Perché tali esposti e/o denunce non furono inviati alle sedi competenti?
§ Perché non erano stati aperti dei procedimenti per i reati iscritti in quelle pagine?
§ Perché, alla nostra richiesta di delucidazioni, scritte via fax, il magistrato fannullone non volle chiarire il significato del 22 giugno? Perché ci rispose, come unica strada, il ricorso in cassazione, sapendo che non potevamo ricorrere, per lo stato nostro di povertà?
Il decreto, documento ufficiale, coprì l’intera vicenda. Solo la riapertura di tutti i documenti avrebbe portato alla luce i madornali errori compiuti in capo alla Procura. Ma ovviamente, esternamente, verso il mondo pubblico e verso le forze dell’ordine quello che faceva testo era il decreto di archiviazione e quanto stabilito dal GIP, e non le centinaia di pagine di documenti da noi inviati.
Questo fu quello che combinò una delle più note procure italiane. Piuttosto di fare le indagini i lavoratori fannulloni nascosero tutto.
Segnalammo la poca voglia di fare dei due soggetti in una Procura del Sud Italia: ritenevamo che le indagini si potessero agganciare ad un filone di un altro procedimento già in corso.
Approfondimento
Intanto noi da giugno 2005, per salvarci la pelle, avevamo lasciato il Veneto e vivevamo in una tenda da campeggio: da quel momento non sapevamo più nulla di quanto era successo in Procura e non sapevamo che fine avessero fatto gli ultimi nostri esposti, non sapevamo nemmeno che la R7 e l’esposto militare fosse pervenuto. La prima comunicazione che ci arrivò fu quella del magistrato fannullone, che ci scrisse in novembre 2005:ci diede modo di sapere che La R7 era arrivata.
In novembre vivevamo in condizioni di povertà ancora sulla nostra tendina aspettando che qualcuno intervenisse. Eravamo rimasti completamente senza soldi e con l’impossibilità di muoverci da quel luogo. La comunicazione ci arrivò tramite posta elettronica che noi controllavamo spesso grazie ad un collegamento internet nella biblioteca. La comunicazione ci fece ben sperare, perché pensavamo che finalmente un magistrato si sarebbe interessato a quello che ci era successo. Ma non fu così. Ci lascio crepare in tenda. Dell’ iter dell’esposto militare lo venimmo a sapere il 22 marzo 2006, quando riuscimmo a “fuggire” dalla zona del lago e andare in Procura Militare per informarci.
[Rif. SCR* Parte VII, punti A,B,C,D, Parte XV punto 01.A, Parte IX.A.(i)]
[Vedere anche il capitolo “La vicenda umana: la fame, il freddo e la paura.” Punto (C).]
Segnalammo la poca voglia di fare dei due giudici fannulloni in una Procura del Sud Italia: ritenevamo che le indagini si potessero agganciare ad un filone di un altro procedimento già in corso.
Se andavamo a raccontare quanto successo, ci avrebbero presi per matti. Cosa che avevano già tentato di inscenare come già raccontatovi a pagina 2 “I Medici psichiatri: una buona arma per nascondere i fatti”. Ma La Polizia, come narrato nei punti successivi, ci disse che era informata su casi simili al nostro, capitati proprio in quella Procura e ci fece coraggio.
L’esposto di settembre contro i due fannulloni fu valutata dalla Polizia e dal magistrato di turno, ed acquisito d’urgenza, assegnato immediatamente ad un magistrato dell’Antimafia. La Polizia si assicurò che fossimo reperibili nel caso ce ne fosse stato bisogno, perché in questi casi, ci disse, si interviene organizzando un blitz con forze dell’ordine esterne alla Procura incriminata. La Polizia ci fece nuovamente coraggio.
***Data la gravità della situazione sembrava che saremmo stati ricontattati urgentemente, ma passarono due settimane nel silenzio. La terza ritornammo a chiedere informazioni in Procura. Nel salire nell’ascensore per andare a parlare con il magistrato, un individuo disse che “L’acqua della laguna era arrivata fino a là” intendendo dire fino negli uffici della Procura. Subito non ci facemmo caso, ma dopo scoprimmo che l’indagine era stata trasferita e ancora prima di essere attivata. Interpretammo dunque che il potere di Venezia era arrivato in questa Procura e aveva determinato in qualche maniera il trasferimento con relativa morte della pratica.
Il procedimento fu trasferito dalla Procura del Sud alla Procura che per legge se ne doveva occupare, in altre parole la Procura controllante. In Italia quando vi sono dei problemi relativi a magistrati o giudici occorre segnalare il problema alla Procura controllante. Ogni Procura ha il suo controllore, che è a sua volta un’altra Procura. L’ordine delle Procure controllanti è stabilito per legge, ed è fisso. Ad esempio la Procura di Brescia controlla quella di Milano, la Procura di Genova controlla quella di Firenze, la Procura di Torino controlla quella di Genova. Il caso “Giulio Andreotti” fu aperto nella Procura di Perugia, perché conteneva tra gli accusati un magistrato di Roma.
Una volta trasferita, l’indagine il magistrato del Sud ci invitò a chiedere un colloquio d’urgenza con il nuovo magistrato e ci consigliò di far mettere tutto a verbale. La Procura controllante non si attivò come quella del Sud. Il procedimento fu trasferito ad un magistrato ordinario che si rifiutò di darci colloquio. Il procedimento non fu gestito come un caso di mafia, ma si andò a informare la parte accusata, cosa che non si deve fare nelle ipotesi di criminalità organizzata. Si lasciarono le indagini in “gestione” della Polizia giudiziaria della Procura incriminata, e non ad una esterna come ci aveva spiegato la Procura del Sud.
Non ci fu mai permesso di parlare con il magistrato, nemmeno entrare in Procura negli uffici della segreteria del magistrato. Trascorremmo varie giornate in questi tentativi: telefonavamo dal Piazzale davanti alla Procura.
[Rif. “SCR*” Parte IX.01.A, punti (v)..(xi)]
In novembre, il capo delle segreterie non riuscendo a capire l’atteggiamento del magistrato nei nostri confronti, suppose che era dovuto al fatto che l’uomo di legge avesse già passato tutto l’incartamento alla Polizia Giudiziaria, e non avendo più nulla in mano non potesse affrontare un colloquio, perché ovviamente non avrebbe saputo cosa risponderci. Adducendo ciò, il capo delle segreterie ci fece ridepositare tutto il “malloppo”, e congiuntamente ci fece apporre una nuova lettera di richiesta di colloquio. L’operazione non diede risultati perché il magistrato ugualmente non volle incontrarci.
A dicembre ce la vedemmo veramente brutta, volevamo mettere a verbale molte situazioni accadute e consegnare altre prove. Impossibilitati a fare ciò dal magistrato, andammo dai carabinieri. L’operazione durò circa dodici ore, fu fatto un verbale con la trascrizione di molti fatti, e fu consegnato parecchio materiale che fu vagliato attentamente. Fu consegnato anche un CD-ROM, acquisito per prudenza con la formula del sequestro. Il materiale fu consegnato dopo alcuni giorni in Procura. Il nuovo magistrato si attivò immediatamente per darci notifica della convalida del sequestro, che ci fu fatta attraverso i carabinieri stessi. Poi non si seppe più nulla delle indagini. Scoprimmo solo molto tempo più tardi, —esattamente il 23 maggio, quando un ispettore calabrese ci fece la notifica— che il nuovo procedimento di dicembre era stato sottratto al nuovo magistrato. Il fascicolo andò come integrazione dentro al primo fascicolo, assegnato al magistrato che non ci voleva dare colloquio.
Quello che capitò nella Procura controllante fu la fotocopia di quello accaduto nella Procura-Uno. Ricordiamo che nella Procura-Uno il fascicolo molto corposo proveniente dalla Procura Militare fu incluso nel primo di 11 pagine. Chiuso il primo, chiusi tutti!
Stessa cosa nella Procura controllante: CHIUSO IL PRIMO FASCICOLO,
CHIUSO ANCHE IL VERBALE DEI CARABINIERI E TUTTE LE PROVE ALLEGATE.
La Procura controllante che doveva giudicare i magistrati colpevoli d’abuso d’ufficio (323 c.p.) e di occultamento di atti veri (490 c.p.), e di essere dei “fannulloni”, non ci permise mai di avere un colloquio con il magistrato, che aveva assunto in carica il procedimento proveniente dal Sud. Per noi questa fu una lesione al diritto fondamentale della difesa.
Era fondamentale per noi parlare direttamente con il magistrato per vari motivi:
1. verificare se era in possesso dell’intera nostra documentazione. Dopo le sparizioni capitate nell’altra Procura era d’obbligo una nostra verifica diretta.
2. parlare direttamente in modo che il magistrato ci vedesse in faccia e si facesse un’idea diretta sulle nostre persone. Cosa d’obbligo dopo tutte le diffamazioni sorte intorno alla nostra persona anche all’interno delle forze dell’ordine, diffamazioni e chiacchiere che potevano influire negativamente sull’operato del magistrato.
3. Fornire elementi e dettagli che non potevano essere forniti per iscritto o forniti tramite terze parti.
4. Chiarire eventuali dubbi o incomprensioni rilevate dalla lettura dei nostri esposti.
5. Chiedere che cosa stava succedendo e ottenere dei consigli.
Non ci fu possibile fare nulla di tutto ciò.
DUNQUE CI FU LESIONE DEL DIRITTO DELLA DIFESA ANCHE IN QUESTA PROCURA.
Recentemente abbiamo saputo che il magistrato Paolo Borsellino chiedeva di essere ascoltato dalla Procura di Catania in merito ad alcuni fatti, e non gli fu mai concesso. Morì prima. Ci consoliamo, non siamo stati gli unici ad avere problemi a parlare con i magistrati, a volte sono i magistrati stessi ad avere problemi all’interno della magistratura. Se non ti vogliono parlare non ti parlano, e basta, e scaricando la responsabilità sulla nostra ignoranza, sull’incapacità di formulare le richieste con tutti “i convenevoli giuridici”.
E’ abbastanza banale pensare che in Italia il sistema delle Procura che ne controlla un’altra sia inefficace. Occorrerebbe che la Procura controllante non fosse fissa. Ci viene in mente un’analisi del giudice Falcone: aveva scoperto che molti condannati per mafia venivano assolti in Cassazione. Scoprì che tutti quei processi che assolvevano i mafiosi venivano assegnati sempre allo stesso giudice. Scoperto l’inghippo, si fece in modo che i processi venissero assegnati attraverso la rotazione del giudice. In tal maniera si cominciò ad avere risultati diversi!
Le Procure, controllata e controllante, alla fine per quieto vivere si mettono d’accordo e decidono di non farsi guerra.
Se noi analizziamo il nostro caso troviamo che solo una Procura del Sud ci permise di parlare con dei magistrati. Tale procura non era nella linea prefissata delle procure a cui dovevamo affidarci per legge. Avevamo fatto per così dire un blitz con i nostri esposti su una Procura che non era prevista, e questo ci diede dei risultati. Stessa cosa capitò con le forze dell’ordine. Questo significa che chi ha interesse a controllare per fini illeciti una Procura, in genere provvede a controllare pure la controllante e così via. Ovviamente non stiamo parlando di fatti semplici, qui stiamo parlando di aspetti gravi riguardanti affari di stato, mafia, massoneria illecita.
Dal 2004 al 2009 i fascicoli relativi alla vicenda passarono principalmente per sei procure italiane, ben assortite: cioè del nord, del centro e del sud, senza che mai nessuno avesse il coraggio di mettere seriamente mano a quelle carte e contrastare quello che era successo nelle maggiori procure italiane. L’affare si espanse a macchia d’olio perché coinvolse all’interno degli organi della giustizia magistrati, polizia, carabinieri. Noi, che fino al 2004,conducevamo una vita tipica di molte famiglie, alle prese con il lavoro, le bollette da pagare alla fine del mese, ed a uscire qualche volta per mangiare la pizza… finimmo con inimicarci metà Italia, cioè tutti coloro che si erano sporcati le mani servendo quel potere che ci voleva morti.
Le persone serie, e vi assicuriamo che ci sono, che trovammo all’interno della giustizia furono inevitabilmente bloccate da loro colleghi, da poteri superiori, da clientelismo, da burocrazia, in poche parole dal “Gatto Nero”.
Nessun magistrato, o forze dell’ordine si prese il carico di valutare quanto ci fosse successo e quanto descritto negli esposti. Fu fatta in generale una censura dei fatti accaduteci. Non si intervenne nemmeno a darci una mano per tirarci fuori dall’inferno in cui eravamo capitati a seguito dei fatti descritti negli esposti. In altre parole fummo lasciati completamente da soli da chi aveva il dovere di aiutarci o intervenire, mentre le belve venete ci scavavano la fossa, preoccupandosi di far passare il nostro caso come una situazione di tutt’altra natura: i cosiddetti “casi sfortunati”. Non più farci sciogliere nell’acido o un colpo di pistola, sarebbe stata una conferma indiretta del fantasma della criminalità veneta. Meglio un incidente automobilistico, una coltellata per motivi futili dentro una casa di accoglienza, …
Oltre alle sparizioni eclatanti delle quali ne abbiamo già parlato in questo capitolo, ve ne sono state delle altre.
Nel marzo del 2005 ci era stato detto che alcune nostre carte erano state ridirette in prefettura[40]. Nel maggio del 2005, recandoci in prefettura le nostre carte non risultavano.
Nel 2006, nella Procura del Sud, i nostri atti furono sigillati e portati dalla Polizia direttamente sul tavolo del magistrato, questo per paura che venissero sottratti.
Nel 2006, nella seconda regione, durante il rideposito di alcuni atti in Procura, alcune pagine sparirono durante la fotocopiatura. Una volta che ci siamo accorti, la responsabile delle cancellerie si attivò personalmente, facendo eseguire l’operazione fuori dall’ufficio, facendosi portare i timbri, e controllando personalmente tutta l’operazione fino a portare direttamente le carte al magistrato.
Nel 2007, mentre vivevamo nella “seconda regione”[41], avevamo chiesto l’intervento della Polizia per alcune questioni che stavano accadendo in quel luogo. Avevamo inviato alcuni fax alla Questura da luglio 2007 a gennaio 2008; a fine anno avevamo consegnato un dossier più corposo sulla nostra vicenda. In gennaio 2008 fummo contattati dalla Questura e avemmo modo di constatare che mancava il dossier consegnato in dicembre. Abbiamo chiesto informazioni in proposito ma il commissario non ha saputo esattamente cosa risponderci, divenne solo nervoso.
Nel 2008, nella “terza regione”[42] anche qui ci prodigammo a mantenere contatti con la Questura. Spedimmo un fax a metà aprile. Vari giorni dopo, recandoci in Questura per chiedere di parlare con chi aveva ricevuto il fax, scoprimmo che tale fax non si trovava. Uscì in quel momento il capo di gabinetto che, incuriosito si mise a leggere le pagine, e confermò che tale fax non l’aveva visto, mentre noi esibivamo la ricevuta di corretto invio. Non spiegammo che a noi tali cose “eravamo abituati”, era troppo caricare un rapporto con questi presupposti fin dall’inizio, anche perché il responsabile di gabinetto era veramente preoccupato.
La sparizione delle carte è un aspetto ricorrente nella nostra vita, non sparirono solo esposti, anni prima sparirono pratiche burocratiche all’interno degli uffici pubblici, documenti all’interno delle banche…
Non si volle mai prendere la responsabilità di valutare tutte queste cose unitariamente.
Le forze dell’ordine, fin che si tratta di gestire un omicidio, un furto, un fatto singolo e preciso riescono in genere a ragionare, ma quando hanno a che fare con molti eventi, con la burocrazia, vanno letteralmente in tilt. Difficile per loro pensare che dei loro colleghi potevano aver fatto sparire delle carte o prodotto delle prove false.
Difficile per un singolo magistrato gestire tutte queste cose, per queste cose ci vorrebbe un pool di magistrati come si fa nelle questioni di mafia e come si dovrebbe fare con il nostro caso.
Oggi l’Italia si trova in un regime senza libertà di stampa e d’informazione. Per dimostrarlo riportiamo tre casi concreti di censura:
1. La censura sulla notizia degli esposti scomparsi in Procura
2. La censura su aspetti storico culturali
3. Manipolazione di notizie a proposito di un incidente.
In settembre 2005, visto che non riuscivamo a concludere nulla con i magistrati perché i nostri esposti sparivano sistematicamente, decidemmo di informare i giornalisti della vicenda. A tale scopo spedimmo centinaia di lettere, a giornali, tv, radio tramite lettere postali e lettere elettroniche. In alcuni casi fornimmo documenti e prove[43]. Non vi fu nessun giornalista che decise di pubblicare tale storia.
Con il tempo scoprimmo che i giornalisti ragionavano in maniera molto diversa dalla nostra, non interessava pubblicare una notizia perché vera o per puro spirito di cronaca. Tutti gli articoli erano dettati da altri interessi e da un gioco di equilibrio tra le parti.Era come se ogni giornale fosse stato lottizzato, e che tali parti venivano gestite dai rispettivi acquirenti.
Noi non facevamo parte di nessun partito politico e non avevamo amicizie che ci aprissero la strada per avere uno spazio. Questo ci fece impressione perché pensavamo che una notizia un po’ originale come la nostra avesse, di per sé, il diritto di essere pubblicata per dovere di cronaca.
Il fatto in pratica che andavamo descrivendo fu censurato dalla stampa e tv! Probabilmente non era conveniente pubblicare qualcosa contro una delle più note Procure italiane!
Nel 2007 trovammo un amico facente parte delle forze dell’ordine che ci aprì la strada per un giornale. Fu pubblicato un piccolo articolo sulla nostra vicenda. Fu l’unico episodio in proposito, apparso su un quotidiano regionale.
Nel 2004 ci furono censurati alcuni studi su aspetti storico culturali veneti. Ne parliamo ampiamente a pagina 2 in “La censura” Capitolo XI..2
Avevamo sperimentato ancora nel 2004 come in Veneto la cultura fosse sottoposta ad un controllo da parte di un gruppo, che stabiliva quello che si doveva sapere e quello che no. Nel 2004 avevamo fatto una scoperta storica importante: è un punto fondamentale per capire la realtà veneta e come siamo giunti nel corso del tempo a definire altri fenomeni collegati.
Nel caso specifico l’emergere di alcuni aspetti storici rilevanti, su un territorio adibito allo sfruttamento di cave e di impianti radiotelevisivi, poteva interferire con il giro di soldi e di interessi che vi era a riguardo, e taluni signori decretarono che tali cose non dovevano emergere. Dunque tali verità storiche rimasero nascoste, o meglio rimasero nelle mani di pochi eletti.
Vedere pagina 2 “I primi incontri con le figure del Conte Cini e del Principe Alliata: la censura della scoperta storica.”
La censura fu operata in questa maniera:
1. Il comune interessato alle scoperte storiche inerenti il proprio patrimonio storico, da noi informato tramite scritti e prove, evitò di dare informazioni in proposito ai propri cittadini ed ai comuni gemellati.
2. Venne messa in giro la chiacchiera che vi erano persone che raccontavano novelle su santi, inventate a puro scopo politico e eversivo. Senza mai specificare di quali informazioni si trattassero.
3. I giornali veneti da noi contattati non pubblicarono mai nessuna notizia in merito.
4. Un sacerdote ci disse chiaro e tondo di lasciar stare tali scoperte perché vi erano famiglie del luogo che non le gradivano.
5. Il comune ove nacque Cini, implicato nella vicenda, ci disse in breve che quei santi erano gestiti da loro, e non se ne parlava di pubblicare ricerche fatte da altri.
6. Alcune fondazioni culturali legate al territorio e alle banche lasciarono correre il discorso.
7. Le nostre pagine pubblicate in internet furono censurate dai motori di ricerca fino alla fine del 2006.
Nel 2005 ci capitò un incidente che venne strumentalizzato al fine di rovinare la nostra reputazione. Di questo ne abbiamo parlato ampiamente nel documento SCR* in PARTE V punto (viii) “Gli organi di stampa locali”. Riportiamo qualche parte:
“…Mentre eravamo fuori
zona, il maresciallo influenzò la stampa facendo passare due articoletti su due
quotidiniani sulla falsa riga del
verbale da lui concepito. I due articoli di giornale, oltre a riportare dei dati
sbagliati, non riportavano minimamente il problema della scossa elettrica,
degli esposti spariti in procura, dello Stalking…
Gli articoli venivano
dettati dai carabinieri i quali mostravano ai giornalisti i verbali. I
giornalisti avevano acquisito le informazioni direttamente dai carabinieri
senza fare un’intervista o un sopralluogo sul posto. Quest’aspetto era emerso
il 18 maggio, quando ci recammo alla sede del Giornale per chiedere spiegazioni
in merito a chi avesse dato loro le informazioni pubblicate. Il responsabile ci
disse grosso modo che “-Le informazioni provengono dai carabinieri, ed è ovvio,
visto che l’articolo è scritto con lo stile di un verbale. Noi non scriveremo
così”. Poi proseguì:-“Ufficialmente i carabinieri smentiscono di dare loro stessi
le informazioni, ma tanto lo fanno sempre-”. Un altro quotidiano invece è più
legato al comune.
Fu inutile per noi ogni
tentativo di cancellare la cattiva reputazione creata dai giornali. Invitammo i
giornali attraverso due raccomandate ove descrivevamo come erano andati
veramente i fatti:-“Una rettifica a quel brutto articolo si sarebbe fatta solo
su richiesta dei carabinieri o del comune, non nostra”, ci risposero.
In Veneto non vi era
nessuna libertà di stampa: si
scrive “sotto dettatura”, infischiandosene del dovere di cronaca e della
verità, e non vi fu modo per noi di cambiare le sorti.
La stampa in Veneto, centro importante per la cultura e l’università, censurava anche qualunque altra informazione culturale, da noi presentata, che non conteneva alcuna polemica o questione politica, ma solo fatti storici. “
La manipolazione delle informazioni riguardava fatti più gravi dell’incidente stesso. Si mirava a distruggere la nostra immagine per farci tacere sugli aspetti che potevano interferire sugli affari economici del territorio, e sulla gestione ad uso personale di alcune ville venete e patrimonio storico culturale. Si voleva anche buttare fango sulla nostra figura in modo che qualsiasi nostra denuncia e le sparizioni accadute in Procura non fossero nemmeno considerate.
Interessante notare che uno storico ufficiale di quelle zone, a noi noto come un idealista fascista, ci apostrofava come persone eversive.
Tracciamo in questa parte un
estratto della nostra vicenda umana.
Alcuni tratti sono stati delineati a inizio di questo documento . Un dettaglio delle vicende accorse dal 2004 al 2009 è altresì contenuto nel documento esterno “SCR*- Screening sul caso Daniele e Francesca” preparato nel 2009 per le autorità per chiarire la nostra posizione. Un documento asciutto con pochi fronzoli umani. Qui invece volevamo sottolineare alcune vicende legate più alla sfera umana che legale, cioè:
la fame, la sete, il
freddo, le minacce, La paura, la solitudine
Finché vivevamo nel paese natale dovevamo osservare delle regole. Ci si doveva sposare con la persona giusta, frequentare le persone corrette, e stare molto attaccati alla famiglia che doveva essere amata e rispettata sopra ogni cosa, nello stile profondamente siciliano. Un paese molto di chiesa, che però non mancava di esercitare culti esoterici e forme di iniziazione particolari. Avevamo anche potuto constatare che persone che uscivano un po’ troppo fuori dagli schemi venivano sistemate in vario modo. All’inizio del 1900 in quell’ambiente era nata e cresciuta una famosa satanista, cosa che confermava che quell’ambiente era profondamente nero non da nostri tempi, ma da molto prima.
All’inizio degli anni duemila avevamo scoperto cose delicate. Ci trasferimmo in altra provincia cominciando una nuova vita. Per necessità tagliammo tutti i rapporti con il luogo natio, inclusi i parenti. Vivevamo una vita come quella di tante altre famiglie. Ma l’ambiente di nascita ce la fece pagare la nostra indipendenza.In qualche maniera muovendo i fili dietro le quinte ci fecero perdere l’azienda, il lavoro, l’auto, la casa… fino a farci pentire di essere nati…
Uscire da quell’ambiente era come uscire da un clan, non era cosa perdonabile, e noi eravamo pericolosi per le informazioni che avevamo appreso vivendo in quell’ambiente.
Fu l’inizio della povertà e dell’emarginazione creata tutto intorno a noi.
Nel 2004 l’atto di denigrazione portato avanti dal nemico aveva raggiunto molti obiettivi. Uno stalker, che era anche nostro fornitore, ci aveva affossato l’azienda tramite alcune truffe e raggiri, altri si erano messi d’accordo per ricomprare il tutto a un basso prezzo, per raggiungere i loro scopi ci avevano rovinato il mercato. Non riuscivamo più a vendere il nostro prodotto e sopraggiunse un’azienda a farci causa su motivi inesistenti, in un momento nel quale non potevamo difenderci. In agosto arrivarono nel luogo di lavoro a darci fastidio pure i parenti. Di queste cose e degli intrighi ne abbiamo parlato ampiamente nel secondo esposto inviato alla magistratura, e fu proprio da tale esposto che le nostre carte cominciarono a sparire, come descritto nella parte “La questione degli esposti spariti nel Palazzo di Giustizia”. Nel complesso fu un’azione portata avanti da più persone, e in questo si poteva già ravvedere gli estremi dell’organizzazione che stava al di sotto. La scomparsa degli esposti nel palazzo di giustizia fu la conferma indiretta dell’organizzazione e della sua potenza.
Da settembre 2004 la nostra vita si fece magra di soldi. Per tirare avanti vendemmo anche la televisione per quaranta euro. In novembre fu un nostro cliente, che impietosito ci diede qualche pezzo da 50 euro di propria tasca. In dicembre riuscimmo a cibarsi grazie a dei buoni spesa[44] e alla carta di credito aziendale che durò fino a Natale, e che ci permetteva di fare benzina. Di tale periodo ricordiamo anche il tremendo tsunami che investì l’oceano Pacifico e Indiano.
Aspettavamo in tal periodo un contributo che ci avrebbe risollevato le sorti e che ci doveva essere dato da tempo. Da gennaio a marzo 2005 riuscimmo a vivere grazie a un anticipo fornitoci dalla banca, dando come pegno il contributo che vantavamo. La pratica del contributo fu persa all’interno degli uffici del Veneto varie volte. Fu una battaglia avere quei soldi, avevamo sperimentato come le altre persone in lista come noi, avessero già avuto i soldi, e invece la nostra pratica continuava a sparire, in fondo ai cassetti o essere dimenticata[45]. Dopo essere stata recuperata, ebbe un altro stop. Facemmo allora un blitz negli uffici pubblici e vedemmo tale pratica posta insieme con un piccolo gruppetto con scritto sopra “mancanza di liquidità”: erano le pratiche tenute da una parte. In realtà non vi era nessuna mancanza di liquidità, erano solo pratiche non gradite che avevano subito un iter particolare. Di quelle controversie rimangono numerosi fax, descrizione dei fatti e richieste di intervento, ed il ricordo di tante sedute alla toilette, ……sì perché il contatto con quegli ambienti creava molto mal di pancia e vomito.
Tutti i nostri tentativi di trovare lavoro attraverso gli uffici del lavoro diedero esito negativo ma non fu una cosa casuale. Altri contratti si interruppero improvvisamente senza spiegazioni.
A fine febbraio ’05 era scaduta l’assicurazione dell’auto. Non avevamo i soldi per rinnovarla. Cominciammo a doverci spostare a piedi o con i mezzi pubblici. Vivevamo lontani cinque chilometri dalla prima stazione dei bus e/o treni e non avevamo bicicletta o moto. Anche portare a casa la spesa fu un’impresa, perché dovevamo fare quattro o cinque chilometri per il primo supermercato. Ci munimmo di zaini e di tanta buona volontà, aspettando per il resto l’arrivo del tanto sospirato contributo, che ci avrebbe permesso di acquistare qualche mezzo di trasposto, e dato il necessario per vivere fino all’attesa di trovare nuova occupazione.
Avevamo paura e speravamo che l’autorità invocata attraverso gli esposti mandati in Procura in novembre ’04, dicembre, febbraio intervenisse. In marzo ’05 recandoci in Procura per capire lo status di avanzamento delle nostre denunce scoprimmo che il materiale non era addirittura pervenuto. Questo ci fece temere per il peggio. Lo Stalker e alcuni malfattori collegati riuscirono a trovare la nostra abitazione e a darci fastidio sotto casa. Ancora prima che ci arrivassero i soldi, e poco dopo essere stati stanati dallo Stalker, proprio sotto casa ci capitò un incidente e fu strumentalizzato per farci guerra. La sera stessa, in occasione dell’incidente, furono chiamati i Carabinieri e arrivò una pattuglia composta da un vice brigadiere e da un appuntato scopertosi poi essere, purtroppo, del nostro paese di nascita.
I carabinieri inscenarono una questione inesistente. Utilizzarono le loro conoscenze per far passare sui giornali locali delle notizie infamanti[46]. Il nostro avvocato ci consiglio di denunciare i carabinieri e di cambiare aria. I giornali non riportarono nessuna notizia a riguardo dei nostri esposti spariti in Procura perché era già attiva una censura in proposito. Era chiaro che carabinieri e comune si erano messi d’accordo per farcela pagare, ed usarono tutti i mezzi per rovinarci, con l’appoggio dei giornali, anche in virtù del fatto che in tal maniera le nostre testimonianze sarebbero state invalidate, o al limite valutate come testimonianze di gente non a posto con le rotelle[47].
Noi denunciammo tali fatti, inclusi i carabinieri coinvolti, ma non se ne fece nulla perché anche tali denunce non pervennero, come abbiamo già chiarito nella parte (Capitolo III..2).
In queste condizioni non ci restò, a malincuore, che lasciare la nostra abitazione in Veneto.
Pensavamo che saremmo tornati, avevamo lasciato sul c/c i soldi che coprivano alcuni mesi di mutuo.
Passammo l’estate a vivere in tenda di campeggio. Non ci fermammo con le richieste alla giustizia, continuammo a spedire altra documentazione. Speravamo che qualcuno intervenisse e speravamo di tornare presto a casa, in ben altre condizioni. Non sapevamo più che fare, le forze dell’ordine ci avevano lasciati completamente da soli a dover gestire una storia più grande di noi. In settembre, al finire dei nostri soldi, pensando che la magistratura non sarebbe mai intervenuta, cominciammo a segnalare la vicenda ai giornali fuori Veneto. Non vi fu risultato, i giornali pur informati non intervennero.Fu un’ulteriore delusione indescrivibile e una prova del tremendo potere veneto sui mezzi d’informazione.
Da ottobre a fine dicembre ’05 vivemmo in una piccola tenda da campeggio in riva ad un lago di una regione del Nord denominata “Prima regione” perché fu la prima nella quale tentammo di rifarci una vita fuori dal Veneto. Avevamo in dotazione le cose che ci erano rimaste dall’estate: due sacchi a pelo, un fornello da campeggio, due pentole e un po’ di vestiti e il telefono della TRE che registrava filmati . Siamo rimasti sconvolti dall’ignoranza e dall’indifferenza che c’erano quando eravamo in tenda, sotto la neve, non interessava a nessuno se morivamo, né ai carabinieri né agli assistenti sociali, né a chi faceva la colletta per i bambini poveri dell’Africa che non ci ha mai dato un piatto di minestra, né ai magistrati.
La vita sul lago ci diede l’idea per la prima volta di come funzionava la rete di collegamento tra le forze dell’ordine inserite nel territorio (nello specifico i carabinieri) e i servizi sociali dei comuni, e le chiese. In condizioni normali tali reti informative sono create con il senso di mantenere l’ordine e la giustizia, ma nel caso nostro tali reti produssero l’effetto contrario: di disordine e ingiustizia. Il problema nel nostro caso nasceva dalle reti di collegamento messe in atto nel nostro comune e nei carabinieri di residenza, da parte di chi voleva farci pentire di essere nati. Le diffamazioni costruite ad hoc sulla nostra persone furono poi propagate a macchia d’olio su altri enti, che entravano inevitabilmente in contatto con questi per ottenere informazioni. Tale fenomeno l’abbiamo denominato “La reazione a Catena”[48] ed è tutt’ora attivo.
Semplicemente se una persona veniva delineata in un certo modo in capo alle autorità ove essa proveniva, veniva trattata in tal maniera in qualsiasi altro luogo, senza possibilità di riscatto. Il sostegno dei comuni del lago diventò come quello del comune di residenza, ed il comportamento dei carabinieri del lago divenne lo stesso dei carabinieri di residenza. La chiesa si allineò a questi, ad eccezione di pochi casi.
—Questo fenomeno si propagò su tutti i luoghi ove tentammo di rifarci una vita, come descritto nel seguito di queste pagine. Ovviamente sotto c’era il vento veneto che alimentava il fuoco della maldicenza, e che aveva interesse che crepassimo: in questa maniera ufficiosamente saremmo stati anche d’esempio a tutti quelli che osavano opporsi a quel potere.—
In pratica le autorità locali del lago avevano ricevuto l’ordine da quelle venete di non darci nessun aiuto. Non dovevamo ottenere nessun aiuto così saremmo ritornati in Veneto, presso i parenti, dove ci avrebbero sistemati per dovere. Ai sindaci della zona del lago furono propinate storie inconsistenti di persone giovani e in buona salute che avevano litigato con le famiglie d’origine, e che non avevano voglia di lavorare. Non fu mai raccontata la verità, ed ovviamente non furono mai raccontati i fatti della censura e della sottrazione dei nostri esposti in Procura. Non vi fu nessun rispetto della nostra persona, anche se erano evidenti le condizioni di bisogno in cui versavamo. Nessuno si preoccupò di essere perseguito a titolo di legge per il suo comportamento o per la mancata attivazione nei nostri confronti degli aiuti necessari, i preti ed i “bravi cristiani” in aggiunta senza timore di Dio.
Resistemmo a vivere in tenda, a discapito dei tentativi di farci smammare: piuttosto di tornare in Veneto ci saremmo buttati sotto il treno. Provvidenziale fu l’aiuto di una famiglia, che non si allineò con le autorità di paese, che ci lasciava usare il suo bagno esterno dotato di acqua calda. Così anche durante la notte ci recavamo a prendere acqua calda per riempire bottiglie, che le utilizzavamo come borse calde, e che tenevamo dentro il sacco a pelo: tre a testa, una sui piedi una sulle gambe e una sulle mani. Faceva molto freddo, alcuni notti aveva ghiacciato. La stessa famiglia ci diede delle coperte. Per procurarci il cibo dovemmo spostarci fuori zona, facendo anche 20 km a piedi, dove le reti non avevano ancora completamente devastato il territorio e dove ancora qualcuno per misericordia ci dava del latte, del formaggio, delle scatolette di tonno, e tanto riso, tanto da tirare avanti. In pochi mesi i vestiti ci erano diventati grandi. Abbiamo visto la morte in faccia più di qualche volta.
L’esperienza in tenda ci segnò profondamente perché non pensavamo che si poteva morire in quel modo tra l’indifferenza delle persone. Non ci salvarono la vita i carabinieri, la polizia, i magistrati, i servizi sociali, gli ammortizzatori sociali, internet, i preti o chissà chi: ci salvarono la vita le nostre gambe e la forza di volontà di andare avanti nonostante tutto. Nostra compagnia erano gli animali del luogo, un cane, un gatto, le anatre e i gabbiani che erano venuti a svernare. Eravamo immersi in un paesaggio molto bello, a mezzo metro dall’acqua del lago, tra le montagne innevate, un posto che chiamavamo “Nepal”.. La bellezza della natura ci protesse anche dagli istinti di mettere fine alla nostra vita e dall’amarezza di vedere tanta gente ignorante[49]e misera.
A due giorni da Natale, poco prima di una bufera di neve, una persona ci diede una stanza utilizzata a sgabuzzino. Fu provvidenziale, tornammo dopo alcuni giorni a prenderci tutte le nostre cose e la tenda, questa era collassata sotto la neve. La persona ci ospitò per due mesi abbondanti fino ad inizio di marzo, ma eravamo tenuti in condizioni di fame e senza soldi e lavoro.
A fine febbraio 2006 i carabinieri, i servizi sociali e i comuni del lago del Nord erano pronti a darci il ben servito. Avevano fatto pressioni perché fossimo spediti via dalla persona che ci ospitava. Così accadde. Ci volevano far andare al dormitorio del capoluogo, poi di lì sarebbe stato facile rimandarci in Veneto con qualche scusa. Avevamo sentito il prete dire “:-Quei due vogliono fare i furbetti, devi mandargli via, al dormitorio. Là li sistemeranno a dovere!”. La persona nel darci l’ultimatum ci disse che aveva avuto l’ordine dai carabinieri. Noi rifugiammo in un altro luogo per alcuni giorni. Quando tornammo a prendere le ultime borse, le trovammo in strada[50]. I carabinieri, tanto propensi a difendere le tesi di chi ci dava la caccia, non c’erano: la persona istruita a darci fastidio, era stata chiamata essa stessa a casa sua, nelle terre del Sud, per l’improvvisa morte del padre, morte che fu in quel caso a noi tanto provvidenziale.
Chi ci aveva ospitati, dopo essere stati rimessi in strada, svolgeva anche un’attività legata all’ASL. Dopo il nostro arrivo, tali persone ricevettero una telefonata dall’ASL che li avvertiva di un controllo imminente: essi rimasero impressionate perché i controlli precedenti, fatti negli anni scorsi, non erano mai stati presegnalati. E giustamente un controllo non va presegnalato. Con la nostra presenza potevamo interferire negativamente sui controlli dell’ASL, perciò quelle persone di spedirono via. Forse quel controllo non era casuale, o meglio, l’avvertimento del controllo era un eccezione, che aveva dato i suoi risultati: dovevamo andarcene. Chissà se questi signori avranno capito…..
In marzo 2006 riuscimmo a scappare da quella che poteva essere la nostra tomba: la “Prima regione” o meglio potremmo chiamarlo il “Regno Esterno-Veneto”.
Facemmo finta di andare al dormitorio, ma emigrammo molto più lontano, fuori regione, facendo perdere le nostre tracce, non tornammo più su quei luoghi tanto belli quanto miseri.
L’avevamo fatta in barba a quelle persone del lago, che avevano compiuto atti non tanto leciti nei nostri confronti. Questi preferirono nascondere l’amara verità di quanto accaduto, e nascondere come si erano comportati, vigliaccamente preferirono gettare fango sulla nostra persona. Ma per quanto abbiano detto e fatto, le prove erano così evidenti e palpabili, che chi le ha accettate come vere ne è stato fatalmente coinvolto diventando complice. Si diventa complici anche omettendo di fare il proprio dovere. Dunque la “Prima Regione” divenne come il Veneto, Polizia inclusa[51].
Dopo tanta fame e freddo patita nella “Prima Regione” riuscimmo a trovare una casa di accoglienza fuori regione e a rimetterci in forze. La nuova cittadina era molto bella e speravamo di iniziare qui una nuova vita. Speravamo che la denuncia presentata alla Polizia di Stato avrebbe avuto dei risultati. Nella denuncia vi erano inclusi tutti i documenti sottratti nella Procura e speravamo che anche questi finalmente avrebbero avuto il loro corso, quello che non hanno avuto per essere stati rubati e occultati. In aprile ’06 cercammo di trovare un avvocato. Ma la mancanza di soldi e di conoscenze ci impedì di trovarne uno[52].
Dopo un po’ di tempo di permanenza in casa di accoglienza, il direttore chiamò le nostre famiglie di origine a nostra insaputa, probabilmente proponendo a queste la possibilità di ospitarci nella struttura per più tempo con il pagamento di una retta. Lo avevano fatto anche per altre persone.
I contatti con le famiglie d’origine si svolsero a nostra insaputa. Rimanemmo sbigottiti perché avevamo riferito, a tale responsabile, dei gravi problemi avuti con tali famiglie. Il contatto con il Veneto non ebbe un buon esito, di lì a poco, in Agosto 2006, fummo rimessi in strada grosso modo con le parole: - “Tornatevene in Veneto, là avete soldi e casa”. Da lì, da quel contatto, con l’”abisso” arrivarono nel circuito delle case di accoglienza , varie diffamazioni sul nostro conto, provenienti da quell’ambiente malsano. Qualcuno ci appellava come “quelli che si fanno le ferie con i soldi della Chiesa[53]”. In pochi giorni bruciammo quei pochi soldi messi da parte nel lavoro, per dormire in qualche alberghetto, in agosto qualsiasi buco costa caro. Dal primo di settembre trovammo un’altra soluzione da altre parti, che ci permise di rimanere fino a fine novembre ‘06. Ormai però di lavoro ve ne era poco, si facevano poche ore e i soldi bastarono appena per comprarsi da mangiare. Il vescovo ci diede una mano, ma dopo, quando vide che le cose erano delicate diede forfait.
Il primo dicembre ’06 tornammo ad essere senza un tetto e con pochi soldi in tasca come quando arrivammo in marzo in questa seconda regione. I giorni prima tentammo invano di parlare con il magistrato che aveva preso in carico il procedimento arrivato dalla Procura del Sud[54], anche in virtù del fatto che non sapevamo dove saremo finiti ed in che condizioni. Nella Procura del Sud, terra conosciuta come un centro della mafia, eravamo riusciti a parlare con dei magistrati anche senza appuntamento, invece qui, centro conosciuto per la massoneria e dove insegnò pure guerra psicologica il generale Magi Braschi, e dove purtroppo furono trasferite le indagini, non si degnarono di parlarci nemmeno attraverso una richiesta formale e scritta.
Il magistrato fu una delusione incredibile.
Per circa quindici giorni vagammo per vari paesi cercando un sostegno e un tetto. Due giorni dai frati al freddo dormendo in un posto senza riscaldamento e con una finestra rotta. Una notte da una megera, alcune notti in alberghi pagati tramite l’interessamento di alcuni privati e così via. Quindici giorni passati in dicembre senza una precisa meta, con l’obiettivo principale di sopravvivere, svegliandosi alla mattina senza sapere dove si sarebbe andati, e se si sarebbe trovato da mangiare e da dormire. Con la nostra storia interamente sulle nostre spalle.
Dopo circa quindici giorni passati in questa maniera, tra vari pensieri di farla finita, finimmo sfiancati in un’altra casa di accoglienza,in un altro paese ma nella medesima regione. Qui incontrammo dei carabinieri diversi da quelli visti fino ad ora. Con il loro aiuto riscrivemmo tutti i fatti accaduteci e depositammo molti documenti e prove (rif. pagina 2 “Il verbale dei carabinieri di dicembre”). Rimanemmo in casa di accoglienza fino al 27 di dicembre. Anche lì la vita fu dura. Senza un soldo, tutto il giorno fuori al freddo, perché la struttura permetteva di entrare solo dalla tarda serata fino alla mattina alle otto. Durante le feste la casa chiudeva e, in extremis ci fu trovato posto in un’altra casa di accoglienza, in un'altra città più grande, sempre nella stessa regione.
Non potevamo parlare a nessuno delle nostre vicende e questa forma di incomunicabilità necessaria per la nostra tutela fu un peso insopportabile.
Nella nuova città ci misero separati su una casa femminile e una maschile. Nella casa femminile vi erano prostitute e badanti per lo più romene, in quella maschile molti immigrati stranieri, e molti agli arresti domiciliari. In città vi era molto bisogno di manodopera in nero, e alcune persone venivano reclutate a giornata in posti precisi della città. Ma prendevano solo gente giovane e straniera per i lavori nei campi o come muratori. Molti settori lavorativi erano gestiti da giri di stranieri. Alcune donne venivano in Italia in città del Nord, poi le andavano a prendere dei calabresi e le collocavano in diversi settori a seconda delle attitudini e dell’aspetto fisico. Impossibile gareggiare per i lavori con queste persone, che offrivano talvolta servizi completi legati anche alla sfera sessuale[55]. Era una vita da negrieri.
In casa di accoglienza non vi era la possibilità di tenere le proprie cose in armadietti chiusi a chiave, così ogni tanto qualcosa spariva. Occorreva stare attenti ad andare anche in bagno. Nonostante tutto tirammo avanti non senza difficoltà. Ma i gestori di queste case erano amici di quelli che ci avevano fatto guerra nel primo centro ove eravamo sbarcati. Ci fecero guerra anche qui!
Riuscimmo a salvarci grazie all’interessamento di una persona della Polizia che fece far uscire la nostra vicenda sul giornale. Dal giornale andammo in Televisione, su RAI DUE, ma ci fu impedito di parlare di quanto era accaduto in Procura, di magistrati. Potemmo parlare solo della nostra azienda e della vita che avevamo fatto in tenda nel 2005. Il resto, l’abbiamo chiuso dentro la parola “burocrazia”. Totò Cuffaro[56] diceva che in Sicilia non c’erano problemi di mafia ma solo di burocrazia: prendemmo a prestito questa nuova parola più corretta per i tempi moderni, lasciando immaginare ai più avveduti di che cosa si trattasse..
Dopo la Televisione pensammo che la nostra vita sarebbe cambiata, che saremmo usciti da quell’incubo. Ma non fu così. Sperimentammo ancora una volta la forza del vento veneto che tutto spostava anche all’interno delle istituzioni, della Polizia e delle case di accoglienza.Con l’interesse mediatico di giornali e TV riuscimmo solo a rallentare l’avanzata veneta, ma un anno dopo dovemmo filarcela.
Alla maniera veneta, ci spedirono persone a minacciarci, a seguirci, a passarci sopra con l’auto. Avevamo preso l’abitudine di viaggiare e spostarci sempre insieme. Una sera, mentre uno di noi era ricoverato in ospedale, l’altro fu aspettato in una strada deserta, inseguito e tentato di essere messo sotto con l’auto.
Il “tornado veneto” ormai aveva devastato anche questa città.
Vi era stato un calo di richieste nel lavoro, perciò ci lasciarono a casa nel giro di un paio di giorni: non riuscimmo più a trovare nulla.
In marzo lasciammo la regione, senza soldi, come eravamo arrivati due anni prima.
In questa terza regione ci rimanemmo circa un mese e mezzo. Nuovamente senza soldi chiedemmo aiuto alla chiesa. La chiesa ci aiutò, ma dopo qualche settimana si informò tramite la sua rete. Ci spedirono da una città ad un’altra, in cui ci promisero un posto per dormire, aiuto per lavoro ed inserimento sociale. Non trovammo nulla di tutto ciò, anzi ci trovammo in un vero e proprio lager, ma intanto il bravo economo si era sbarazzato di noi e di eventuali spese. Poi anche nel lager si sbarazzarono di noi: ci dissero che vi erano cose poco chiare sul nostro conto, dunque non si attivarono per cercarci lavoro come avrebbero dovuto, e ci dissero pure che non se la sentivano di tenerci per altro tempo, e non interessava nemmeno conoscere le nostre ragioni, o discutere quelle informazioni che dicevano di avere in loro possesso. Le informazioni arrivavano dai centri ove eravamo già stati che erano in contatto con gli ambienti veneti. Nello stesso tempo la stessa casa di accoglienza teneva gente di tutte le risme, dalle prostitute agli zingari, dagli spacciatori ai ladri senza farsi problemi. Si vede che noi eravamo ancora peggio.
Alle 20.00 facciamo la fila per entrare nel dormitorio. C'e' un portone grande, con accanto una porta più piccola. La staccionata è alta e non lascia trapelare nulla di quello che vi è all'interno, e viceversa. Dentro vi sono delle casette di legno, e la fila dei container numerati con un numero e una matricola. Si trova tutto all'interno di una vecchia fabbrica fallita. Il dormitorio è del comune ma è dato in gestione alla chiesa.
Il primo giorno occorre consegnare il foglietto di entrata, che viene prelevato e distrutto onde evitare che venga usato per altro scopo (chiedere l'elemosina). Si firma la propria presenza, ogni sera, in una lista ove sono riportati nomi e cognomi di tutti, senza dunque privacy. Noi ci troviamo su due container vicini. Ogni container ospita una persona. Dentro il container vi è il cesso, il lavandino, il letto e un climatizzatore molto grande attaccato alla parete. La casa è un parallelepipedo di 2,20 metri di lunghezza, due metri di altezza, meno in larghezza. Insomma ci sta a malapena il letto, lavandino e cesso.
Scopriamo che i singoli container si assegnano in genere ai matti o persone con malattie particolari: poiché non abbiamo malattie particolari…..
Occorre farsi la doccia ogni sera prima di andare a dormire. La doccia è obbligatoria, ma se non sei tra i primi ti tocca lavarti con l'acqua fredda. Entro le 11 tutti devono aversi fatto la doccia.. Appoggiamo le valigie: uno di noi entra nel container dell’altro per prendere l’unico pezzetto di sapone rimasto e scoppia il finimondo. –“Ei signora, dove credi di andare? Qua non si può scopare. Noi dobbiamo controllare tutto, perché una volta c’erano due che facevano i furbi, e quella è rimasta incinta qua dentro. Non importa che quello fosse suo marito. Qua non si può”.
Mostro miseramente il sapone. Da quella sera anche gli altri ospiti “controllavano”, seduti di fronte ai container, che nessuno rimanesse incinta.
Poco dopo uno di noi si sente collassare per il caldo eccessivo nel container: il climatizzatore si accende ogni 5 minuti, e sembra voglia bruciare. Ci parliamo dalle finestrelle. Sfidando le belve schierate, a controllarci, entro nel container: fa troppo caldo e chiamo uno dei volontari, cercando di essere gentile. Dopo varie rimostranze, perché “tutti i climatizzatori devono essere impostati uguali, tutto deve essere uguale”, si accorge che quel climatizzatore ha veramente la temperatura troppo alta. Gli chiediamo di abbassare entrambi a 20 gradi, anche se la mattino fa più freddo. Infatti fuori ci saranno 5 gradi, ed è impossibile stare con 25 gradi dentro uno scatolone di plastica, con pareti sottilissime, senza beccarsi qualche malanno. Almeno per quella sera ci accontenta.
Nel container per tutta la notte il climatizzatore si accende, sparandoti addosso un'aria fetida, scaricando tremori alla struttura all'accensione, che inevitabilmente ti fanno svegliare. Si accende ogni quindici minuti, e mentre alla sera è molto caldo, alla mattina non riesce a scaldare, crea solo umidità.
Dopo le 11 di sera parte il coprifuoco, e non uscire più fino alla sveglia alle sette. Per questo nei minicontainer c’è il cesso. Il letto è fatto con lenzuola di plastica-resina, nel materasso vi è un anti-pipì per anziani, fino ad una certa altezza il materasso è coperto dal nylon. Sembra di dormire dentro un preservativo. Si ha una coperta molto corta, di tipo quelle che vi erano a militare, vi è la possibilità di avere una seconda coperta. Neanche nei giorni festivi si può stare in dormitorio in giornata, non vi è una cucina o possibilità di avere qualche cosa di caldo, o qualche banale analgesico se qualcuno sta male.
Alle 7 del mattino passano i volontari per svegliarci, spesso incuranti di bussare: con la sciarpa blocco la porta del container. Anche se rispondi che sei sveglia entrano lo stesso: troppa intimità…
Alla mattina, si fa la fila,
in piedi per un bicchiere di caffè o di latte, a volte con qualche biscotto
misero. Qualche operatore non si preoccupa di scaldare altro latte se non
basta. Se non arrivi tra i primi si beve solo caffè e niente biscotti oppure
proprio niente. Per questioni organizzative si esce in qualsiasi condizioni
atmosferica entro le 8.00. Una mattina diluviava, tutta la strada
era allagata, c’era stata una tromba d’aria. L'uscita fu sempre alle 8.00
precise. Per fortuna un lavoratore ci caricò sulla sua auto, altrimenti saremmo
stati con i piedi bagnati fino a sera, al rientro alle 20.00. La strada infatti
era allagata per km in quella zona.
Dopo una settimana siamo stati "analizzati" e abbiamo la fortuna di passare dai container alle casette di legno. Io finisco in una stanzetta, ho un armadietto senza chiave, come tutti. Non c'e' più il climatizzatore infernale che in una settimana mi aveva già procurato tremendi mal di gola, raffreddore, bronchite e mal di testa. Ora sono con due anziani. Uno dei quali ama spogliarsi in camera, farsi vedere il sedere, ed ha pure il vizio di masturbarsi per ore durante la notte. L'armadietto è senza chiave, ci dicono perché così il personale può ispezionarlo liberamente. Dunque non si ha nessuno spazio personale o sicuro dove lasciare le proprie cose personali, e tutti possono mettere cose su quelli degli altri. Il luogo è pericoloso e mi porto la borsa anche in bagno. Soldi non ne ho, ma ho il telefono, vari documenti, e l'incartamento relativo a denunce e esposti presentati nelle varie Procure e la macchina fotografica.
Sempre nel lager non vi devono essere differenze tra le persone. Non si possono usare proprie coperte o proprie lenzuola per separarsi dal nylon e da correlate allergie, lo si può fare solo di nascosto, sempre che non vi fossero spie. Uno di noi aveva vistose infiammazioni alle orecchie proprio per il nylon, ed una zingara fece la spia: non potevo dormire sulla mia coperta di pile. Così aspettavo che quella zingara si addormentasse, poi mettevo la coperta sopra le lenzuola di plastica, e la mattina mi alzavo presto. Magari qualcuno dormiva con le pulci, ma quelle non si vedevano.
Poi la zingara si è addolcita: il suo uomo, sempre nel dormitorio, le aveva comperato delle lunghe unghie finte, color rosa, come premio per il suo lavoro, cioè era molto svelta nel rubare (sue testuali parole). E passava la serata a rimirarsi le unghie.
Non si può entrare nelle camere degli altri, vi è solo una camera ove si può stare tutti assieme.
Quando piove, la folta comunità di zingari del dormitorio si riunisce proprio in questa camera, con tutto il cibo comprato in rosticceria, e la zona diventa loro territorio.
Sempre nella sala ad uso pubblico c’era il posto per la TV, ma la TV non c'e' più perché qualcuno deve aver creato problemi e così è stata tolta per tutti. E' tipico in questi ambienti: le punizioni sono "globali".
La TV comunque la si può spiare dai balconi della casetta degli operatori, i quali mangiano, sbevazzano, si fanno portare la pizza, si fanno il caffè, alla faccia nostra.. Se si trasgredisce si viene puniti, generalmente con l'uscita immediata dalla struttura alla strada. Chi litiga viene posto subito fuori. Se qualcuno compie una stronzata viene punita tutta la camerata.
Qualche operatore sembra pure latrare, tanta è la rabbia che ha in corpo: è un ex ospite che ha ricevuto anche lui tale trattamento, ed è divenuto poi esso stesso da vittima a stronzo, stessa psicologia da caserma di un certo tipo. E poi via tutta la giornata in giro. La psicologia, i modi di trattamento del dormitorio, sono molto simili a quelli utilizzati nei lager, e ce ne siamo resi conto ancor di più dopo aver letto alcune testimonianze in proposito. Probabilmente in questi ambienti, senza nessun controllo, si creano delle situazioni malsane, tra chi è operatore e chi è ospite e quello che succede capita dentro quei muri, al di là degli occhi delle persone, cose che evidentemente non vengono fuori o a galla come si suole dire...
Dopo un breve periodo, siamo stati
messi fuori, perché non avevamo trovato lavoro. Senza destinazione oltre la
strada. Il masturbatore era ancora là, dunque per lui e per qualche altro
non vale la stessa legge[57].
Il lavoro non ce l’hanno trovato, anzi, ce l’hanno fregato. Come si dice “sono cavoli nostri”. Qualche
giorno prima, la famiglia che doveva prenderci come badanti/custodi aveva
cambiato idea, optando per una coppia di stranieri per quali erano riusciti ad
accordarsi per 100 euro in meno (500 euro al mese invece di 600). Non ce lo
dissero nemmeno direttamente questa famiglia, magari per 100 euro in meno
poteva andare bene lo stesso, piuttosto che finire in strada. Ce lo dicono i
frati ai quali ci eravamo rivolti per il lavoro, ma non sanno chi abbiano
preso.
Intanto scopriamo che la coppia di stranieri che ci ha soffiato il
lavoro per 100 euro in meno, era stata ospitata in albergo per varie settimane,
a spese della chiesa. Ecco perché si sono premurati a trovare casa e lavoro a
questi: dovevano sborsare soldi agli alberghi, mentre per noi bastava una
pedata nel culo. Sappiamo che altre persone furono tenute in albergo per vari
mesi. Ma lo fanno solo con chi vogliono loro. Avranno le loro ragioni…..
Il lager fu veramente un brutto posto, ma la bruttezza non stava nel
container o nelle lenzuola di plastica o negli orari ma proprio in chi gestiva
quei luoghi, nei volontari e soprattutto nei dirigenti.
Era un posto veramente senza Dio, Dio nel senso più vasto del termine,
cioè senza speranza, senza alcun senso logico, senza umanità. Le leggi venivano
applicate al contrario, le persone erano come automi, esseri glaciali
programmati a spot televisivi, senza cervello e senza umanità.
Una volta ad esempio la sera ci regalarono una merendina, un budino a
testa, sottolineando che era una vera bontà, con lo 0,01% di colesterolo, ed un
sacco di smancerie. Bisognava ringraziare felici. Cosa ce ne importava dello
0,01% di colesterolo con la fame che avevamo, e soprattutto di un budino
freddo, magari un tè caldo, o anche acqua calda e zucchero andava meglio. Tutte
cose che non si potevano avere. Non lo abbiamo mangiato per evitare un blocco
allo stomaco, ma non si poteva rifiutare.
Eppure la gente comune in quelle zone era buona, aveva un cuore grande,
più che in altre zone d’Italia: fu la gente comune ed un prete, non allineatosi
con la maggioranza a salvarci quando fummo mandati via, dopo che ci avevano
pure fregato quell’unico lavoro.
E' difficile
descrivere quelle giornate, il male che abbiamo subito è così grande ed
illogico che verrebbe di scrivere nomi e cognomi di tutte le persone e cosa
hanno combinato. Ma servirebbe?...
La diffamazione veneta era entrata definitivamente nella rete della chiesa, e l’organismo privato che di fatto si occupa di aiutare i più bisognosi divenne a tutti gli effetti una specie di circolo privato con entrata solo per i personaggi graditi. Era impossibile per noi ottenere ancora un aiuto da questi ambienti. Perché non appena in possesso dei dati personali spedivano email agli altri centri per chiedere informazioni[58] sulle persone. Solo un prete non si allineò, tentò di trovarci un lavoro, ma non riuscendo, ci spedì a Roma, convinto che un suo amico prete ci avrebbe aiutato.
A Roma fummo spediti via la sera stessa.
Così da Roma, a maggio ’08, tornammo nella precedente regione, presso il primo centro d’accoglienza, per arginare le conseguenze della reazione a catena delle chiacchiere, partite proprio da lì, in cui eravamo entrati nel marzo del 2006 .
Fatalmente, mentre eravamo nel lager, ci aveva proprio scritto via posta elettronica proprio il direttore di tale primo centro, dicendoci, grosso modo, di tornarcene dai parenti.
Ci recammo dal direttore ma non lo trovammo; il giorno dopo ci recammo al commissariato chiedendo alla polizia un ruolo di intermediazione con l’organismo della chiesa, presentando anche uno scritto di tre pagine. La polizia non trattenne il documento ma telefonò al direttore: questi che era stato informato la sera prima del nostro arrivo in città, si era già prodigato nel contattare la Questura veneta ove eravamo nati, presso la quale lo assicurarono che non correvamo alcun pericolo nel tornare in Veneto. Aveva poi contattato la chiesa veneta, in cui si dicevano disposti ad accoglierci e ci attendeva dunque per farci il biglietto del treno per il capoluogo di nascita, in pasto ai parenti.
La polizia lodò il direttore, per le “premure” nei nostri confronti, apostrofandoci con vari termini: se non fossimo tornati eravamo veramente scellerati ed in malafede. Fu disgustoso, a nostro avviso, vedere la Polizia inginocchiarsi di fronte alle parole del direttore che propinava la sua indagine alla stesse forze dell’ordine.
Inoltre la Polizia di quei luoghi era molto scettica sul fatto che fossimo ricorsi più volte alla magistratura e alle forze dell’ordine. Più che altro la Polizia era dell’opinione che andassimo a presentare dei foglietti, qua e là in giro per l’Italia, che chiamavamo esposti, e che con tali foglietti tentavamo di giustificare la nostra condotta. Infatti la Polizia stessa ci invitò a depositare tutto il materiale presso la loro sede, così avrebbero visto finalmente se questi esposti e/o denunce esistevano davvero, e se le nostre affermazioni, fatte anche al direttore, fossero consistenti[59].
Non avevamo per niente l’intenzione di depositare il materiale da loro, non ci sembrava opportuno svelare quelle carte. Mostrammo però un documento che ci era stato spedito da un magistrato e un articolo di giornale sulla nostra vicenda.
Rimasero completamente stupiti, ma non cambiarono la loro opinione. A loro sembrava impossibile che un magistrato ci avesse scritto, tanto che al solo accenno del fatto, diventarono irascibili, pensando che li prendessimo in giro. Nemmeno dopo aver visto il documento si calmarono del tutto: sembrava loro così impossibile da indurli a chiamare subito il magistrato, probabilmente per verificare la veridicità del fax[60].
Anche l’articolo di giornale che parlava del nostro caso destò stupore, e la Polizia ci apostrofò nuovamente:-“Ecco un articolo che riguarda la vostra scomparsa, abbiamo ragione noi”. Ma noi non eravamo mai scomparsi, e mostrammo come esempio lo stesso articolo, attestante dove ci trovavamo, oltre ad una richiesta d’interessamento. Anche questo denotava come la Polizia avesse idee già definite sulla nostra vicenda. Non riuscimmo a trovare dialogo costruttivo, probabilmente perché le comunicazioni ricevute dalla Polizia dalla chiesa avevano creato pregiudizi che minavano qualsiasi altro ragionamento.
Ma da dove arrivavano quelle idee della Polizia? Perché la Polizia si inginocchiava davanti a preti ed associazioni umanitarie?
La situazione qui delineata ci fece capire con rammarico che in quel luogo non saremmo mai stati tutelati dalle forze dell’ordine.
Non siamo ritornati in Veneto: tra l’altro non eravamo nemmeno più residenti nel luogo di nascita. Il direttore aveva deciso che dovevamo tornare a in Veneto ancora nel 2006 quando ci sbatté in strada, e così doveva essere ancora due anni dopo nel 2008. Inutile sottolineare che la nostra volontà e le nostre richieste non contavano nulla. E’ chiaro perché nonostante l’interesse mediatico di stampa e TV non si mosse nulla in questa seconda regione a nostro favore: era già stato tutto deciso dagli ambienti veneti.
Ma chi aveva dato quelle direttive per noi? La Polizia di quel luogo ci disse che molto probabilmente il direttore aveva avuto disposizioni dall’alto, e si comportava di conseguenza. Noi scherzammo dicendo :-“Da chi? Dal Papa?”. La Polizia comunque in quel frangente aveva molto probabilmente ragione. Qualcuno più in alto doveva dare delle disposizioni.
Dopo i tentativi descritti nella parte precedente, provammo con un’altra regione restando fuori dagli organismi diretti dalla chiesa. Una famiglia borghese si interessò al nostro caso. Ci mise a disposizione un appartamento. Subito dopo trovammo lavoro. Il lavoro estivo finì a metà settembre, ma i soldi presi e qualche lavoretto ci permisero di vivere fino in primavera del 2009, in attesa di nuovi lavori e della nuova stagione. Poi alcuni parenti della famiglia borghese pensarono di contattare gli organismi della chiesa per farci aiutare. Inevitabilmente poco dopo, in marzo ci trovammo delle persone a darci fastidio. Ormai ci avevano trovato.
Fuori stagione molti luoghi adibiti a residenze estive rimangono completamente vuoti, e vi sono molti lavori di mantenimento e ristrutturazione. Molti individui che lavorano nel campo edile hanno le chiavi per entrare dappertutto. Accanto ai lavori normali ci è sembrato di notare che si utilizza tali appartamenti anche per altri scopi. Pur facendoci gli affari nostri abbiamo dato fastidio involontariamente, a queste attività, che mal digerivano la nostra presenza.
Avevamo tentato di trovare altri lavori, anche attraverso le conoscenze della famiglia borghese, ma non ne era uscito nulla. Lì eravamo isolati, l’ultimo bus passava verso le otto di sera. La città era troppo lontana per raggiungerla a piedi o in bicicletta e molti lavori serali in bar o ristoranti diventavano così impossibili da fare. Ci spostavamo in treno, ma dalla stazione all’appartamento vi era più di un’ora di cammino in una strada a tratti poco illuminata. Per vario tempo andammo a scrivere documenti in biblioteca con gli zaini in spalla.
Le forze dell’ordine ci
fermano per un controllo.
A forza di vederci per la
strada ci fermarono anche le forze dell’ordine, chiedendo spiegazioni del fatto
che ci vedevano girare sempre a piedi, che lavoro facevamo e dove risiedevamo.
Ci hanno fatto svuotare anche le tasche, ma non hanno trovato nulla di
particolare. Avevamo spiegato che avevamo fatto il lavoro estivo e stavamo
vivendo con quei soldi, e se troviamo con qualche lavoro di pulizie, ma non ci
credevano tanto, visto che ci apostrofarono a dei loro colleghi come persone
che “vivono di aria”. Noi non avevamo assolutamente voglia di dire dove
risiedevamo e nemmeno spiegare dove avevamo lavorato. Li avevamo pregati di
lasciarci stare: questi non ci volevano mollare, avevamo anche dato i
riferimenti dei carabinieri che ci avevano aiutato nel dicembre del 2006, se
volevano informazioni su di noi. Quelle forze dell’ordine però qualcuno ce li aveva mandati,
inventando chissà quale storia nei nostri confronti, per alcune dichiarazioni
lasciatesi sfuggire da uno di loro. Uno di loro ci voleva accompagnare a tutti
i costi a casa per vedere dove abitavamo, ed in particolare voleva conoscere
aspetti della nostra ultima denuncia[61].
Cosa gli importava l’ultima nostra denuncia? Non riguardava alcun fatto né
persona della regione in cui eravamo. Questo signore fu fatto desistere dai
suoi colleghi che lo invitarono a lasciar stare. Ci eravamo resi disponibili ad
andare da loro il giorno dopo se l’agente voleva approfondire la nostra storia,
ma niente da fare…I colleghi lo dissuasero ricordandogli, tra l’altro, che egli
non doveva essere in quella zona dove ci ha fermati, e si misero a litigare tra
loro. A noi sembrò di rivivere quanto era accaduto nella “Prima Regione” nel
2006 dove ci furono spediti dietro i carabinieri da un prete[62]
. Dopo il controllo delle forze dell’ordine e relativi comportamenti non ci sentimmo
più sicuri nemmeno in questa regione. Infatti alcuni giorni dopo fummo
inseguiti da alcune persone che ci aspettavano sotto casa. Ci inseguirono varie
volte con l’auto: ci salvammo buttandoci per terra in mezzo alle siepi ed ai
giochi. Avevamo paura, e partimmo in fretta e furia per una nuova regione senza
dare spiegazioni. Peccato veramente: stava iniziando la nuova stagione, ed
avevamo riperso contatti di lavoro.
L’esperienza con la famiglia borghese ci insegnò che molte di queste famiglie hanno un concetto alquanto particolare dei poveri. Essi si sentono di una classe sociale diversa, buoni per averci dato un aiuto, ma non si rendono pienamente conto di avere davanti delle persone. Credono che il povero sia uno status-vivendi, che uno deve mantenerselo addosso a vita natural durante.
La classe sociale dei poveri, per questi borghesotti, doveva vivere senza riscaldamento, come abbiamo dovuto fare, ma vi è poi anche l’idea che il povero possa limitarsi nel mangiare, cioè tirare avanti anche saltando i pasti, o dormendo su una panchina di notte.
Alle volte le idee che girano sui poveri sono da malati di mente, ma molti poveri non hanno la possibilità di contrastare tali idee; altri, finti poveri, stanno al gioco recitando la parte al meglio, così prendono di più. Comunque chi non sta al gioco non gli restano nemmeno le briciole.
Arrivati nella sesta regione passammo un periodo di sette giorni terribili, senza soldi, senza un posto dove dormire. Poi per una settimana trovammo una stanza dei boy-scout accomodata per l’occasione con un materasso. Dopo riuscimmo ad avere una stanzetta nostra, rimasta assolutamente inutilizzata. I patti erano che dovevamo arrangiarci. Potevamo dunque sperare di trovare un lavoro in zona, ma versavamo in condizioni preoccupanti: senza soldi, senza telefonino perché rotto in quei giorni, senza cibo, senza un fornello e con neppure una mensa dei poveri nelle vicinanze.
Cominciò una battaglia come di quelle già viste nella nostra vicenda.
La stanzetta faceva gola a altre persone che avevano altre mire e obiettivi, di lì nacque una disputa portata avanti in maniera “invisibile” per farci sloggiare quanto prima.
Non ci fu fornito un aiuto di base per trovare un lavoro, ovvero un aiuto a trovare un telefonino anche usato per darlo come riferimento e essere reperibili, un fornello anche elettrico per farsi qualcosa di caldo, uno start-up per ripartire fino al conseguimento dei primi guadagni. In queste condizioni passammo i giorni a cercare da mangiare in quel che poteva essere rimasto nei ristoranti e alberghi dopo cena, in quei posti ovviamente ove non si ricicla il cibo rimasto ma lo si butta.
A questi problemi si aggiunsero le maldicenze di gente di paese, aizzateci contro da chi voleva che ce ne andassimo quanto prima da quella stanzetta. Sorsero “paladini” della giustizia che volevano conoscere assolutamente i nostri nomi e cognomi, per fare dei controlli sulle nostre persone. Noi che avevamo assolutamente bisogno di privacy negammo tali informazioni[63] e questo alimentò ancora di più la tesi che eravamo gente pericolosa che si nascondeva. Il nostro zaino poi, portatoci costantemente appresso con le cose importanti[64], perché molti parrocchiani avevano le chiavi della stanzetta per entrare, fece scandalo, come fossimo corrieri di chissà che merce. Si fecero pressioni sul prete perché ci mandasse via. Ce lo disse lo stesso prete che voleva farci sloggiare in fretta. Noi per calmare il prete, e per fargli capire che non eravamo dei delinquenti, gli dicemmo che avevamo avvertito già di nostra volontà le forze dell’ordine e messi al corrente dell’intera situazione[65]. Il prete ci diede la possibilità, nonostante il parere contrario di alcuni parrocchiani, di rimanere ancora.
Nonostante tutto continuammo a vivere isolati: la gente che ci doveva introdurre e presentare ai vicini e a chi potenzialmente ci poteva aiutare non lo fece. Ci rimase l’aiuto di gente fuori dal paese dove, non sempre con successo, riuscivamo a ottenere del cibo per sopravvivere. Il fatto che continuavamo a rimanere nella stanza, a vivere e mangiare seppur loro non ci fornissero cibo, —dichiarando tra l’altro a loro di non avere soldi—, risultò ancora più improbabile a quella cerchia di persone che voleva farci sloggiare. Nelle loro menti noi eravamo dei delinquenti, e noi il più possibile tentavamo di tenerci lontani da tali persone. Ci tenevamo lontani soprattutto quando taluni di questi facevano le riunioni nella stanza adiacente. Entravamo ed uscivamo discretamente. Qualche volta qualcuno tentò di entrare da noi, senza bussare, senza dire nulla né prima né dopo. Non ci riuscì semplicemente perché noi eravamo dentro con la chiave infilata nella serratura. Quando non c’eravamo ovviamente potevano entrare liberamente.
Una sera di febbraio, mentre passeggiavamo per il freddo, aspettando per entrare che tali persone lasciassero i locali adiacenti, chiamarono le forze dell’ordine, che intervennero immediatamente con una pattuglia, molto cariche ed arrabbiate nei nostri confronti e con grande nostra agitazione. Spiegammo alla pattuglia del perché passeggiavamo avanti e indietro, del perché portavamo sempre con noi lo zaino, dei nostri continui viaggi a piedi duranti i quali ci avranno certamente notato, della stanza dataci dal prete e fornimmo un nome all’interno della forze di Polizia che potesse spiegare loro la nostra delicata situazione. Così le autorità una volta contattato tale referente, ci portarono il saluto di tale persona, si calmarono e ci lasciammo in buoni rapporti: ci dissero che forse anche loro potevano aiutarci, e ci consigliarono di continuare a rimanere lì. Si accorsero indirettamente, e da soli, di quello che era stato fatto trapelare sulle nostre persone in giro per il paese, e che aveva in qualche maniera coinvolto pure loro e chi li aveva chiamati[66].
Accadde dunque qualcosa di
simile a quanto già successo in marzo 2009 quando le forze dell’ordine ci
furono spedite dietro, come narrato a pagina 2 in”Giugno 2008-Marzo
2009:la quarta regione” – “Le
forze dell’ordine ci fermano per un controllo”.
Anche dopo di questo evento le cose non si calmarono: le forze contrarie sorte in questo paese non hanno smesso di remarci contro, cercando di trovare qualcosa o qualcuno che ci sistemi o che ci porti allo scoperto di quel potere veneto, con l’obiettivo di farci sloggiare nel classica maniera “invisibile”, tramite terze parti, opportunamente giostrate a dovere[67].
Questo sunto lo sviluppiamo in dettaglio nel prossimo punto.
In questo luogo ci hanno già rovinato la reputazione tanto da rendere difficile un reinserimento in questa zona. La situazione è palpabile e per ora per ovviare a questo inconveniente dobbiamo necessariamente spostarci fuori paese.
In tutti questi mesi non siamo riusciti ad avere neanche un lavoro di pulizie ad ore e tutti i nostri sforzi di ottenere un telefonino sono stati vani. Siamo solo riusciti a sopravvivere ma non a tirarci fuori da questo tipo di vita che ci sta logorando.
In questa parta esprimiamo in dettaglio quanto già detto nella forma breve.
Arrivati in Agosto 2009 nella sesta regione cercammo anche qua interessamento in alcune città.Ormai era parecchio tempo che non entravamo in un organismo della chiesa a chiedere aiuto. Le strutture per i poveri non ci accolsero, erano piene già in Agosto. Non si attivò nessuna procedura di aiuto nei nostri confronti e fummo lasciati in strada. Passammo otto, nove giorni a girare per la città. Il giorno zero, quello di arrivo, avevamo i soldi per una stanza. Il primo giorno riuscimmo a trovare da dormire con quindici euro, soldi che ci aveva dato un prete. Il giorno dopo un albergatore ci offri una stanza gratis, il terzo giorno con venti euro raccolti riusciamo ad avere una stanza su un hotel tre stelle, il quarto non fummo fortunati e passammo tutta la notte per strada, il quinto un privato ci diede una stanza per una notte, il sesto eravamo entrati in possesso di sufficienti soldi per pernottare una camera singola ….
Fu una situazione da non augurare a nessuno, perché per trovare le soluzioni abbiamo girato tutto il giorno sotto il sole, nei giorni più caldi dell’estate, e alcune soluzioni sono venute fuori grazie alle doti di marketing di uno di noi che faceva tale lavoro in capo alla nostra azienda, abituato al contatto con i clienti e avere tanta pazienza, faccia tosta e adrenalina.. Alcune notti le passammo a girare per la città, non avevamo trovato nessuna soluzione per dormire e fermarsi nelle panchine era pericoloso in una città considerata tra le più alte a rischio criminalità in Italia[68].
Alla fine di quei giorni avevamo i piedi gonfi e eravamo ormai rintontiti dal sonno e dalla stanchezza fisica. Finalmente trovammo da dormire per due giorni consecutivi che poi si allungarono a una settimana. Il posto non era tranquillo e a causa dell’uso promiscuo della stanza si poteva riposare dalla mezzanotte alle sei di mattina, ma almeno si sapeva alla sera di avere un posto dove dormire.
Alla mattina ci si offriva la colazione e qualche panino da mangiare per mezzogiorno, e alla sera qualcosa si trovava, ma non tanto. In quelle condizioni non riuscivamo a riprenderci dalla stanchezza accumulata i giorni precedenti, passammo una settimana a tentare di risollevarci. Dopo quella settimana la cosa andò in meglio, perché riuscimmo ad ottenere una piccola stanza privata dove i primi giorni consumammo tutto il sonno arretrato. Ora stiamo vivendo in un piccolo ufficio. L'ufficio era vuoto, non utilizzato, con un piccolo bagno senza vasca o doccia. I materassi e le coperte sono stati forniti da una famiglia e così ci siamo fatti un piccolo luogo dove stare. Con il tempo siamo riusciti a recuperare nel territorio le reti da letto, qualche asciugamano, un lenzuolo, uno stendibiancheria, una valigia, dei piatti, delle posate, un bicchiere, delle mollette, un orologio, uno specchio, delle asciugamani, degli altri vestiti adatti alla stagione …
Seppur il posto sia nuovo con tutti gli impianti, purtroppo la caldaia non ci è stata attivata: non c’è dunque acqua calda e nemmeno il riscaldamento. Non vi è nemmeno un fornello per scaldarsi qualcosa e neanche un frigo o una tavola. Siccome in zona non c’è una mensa per poveri, per procurarci il cibo ovviamente cotto siamo passati di giorno in giorno per ristoranti e bar a chiedere se era rimasto qualcosa in cucina. Il tragitto di ricerca comporta dai quattro ai 15 km a piedi al giorno. Ogni giorno o quasi abbiamo dovuto ripartire e fare la stessa trafila. Non siamo riusciti a trovare un lavoro e nemmeno a racimolare soldi, a parte con molto difficoltà qualche euro. Questa è una vita che consuma e non può durare molto, si sopravvive per cosi dire nella speranza di tempi migliori.
poi si è rotto pure il nostro telefonino e questo ci sta causando
altri numerosi problemi, ed è incredibile nessuno ci ha aiutato a ricomprarlo,
neanche a darci uno di vecchio e usato! Vivere in queste condizioni è alquanto
impossibile e tanto più trovare un lavoro.
A dicembre è un freddo bestiale ed è veramente difficile stare senza acqua calda, riscaldamento, e qualche bevanda o cibo caldi, e senza la possibilità di andarsi a prendere un caffè al bar[69]. L’acqua è così fredda da bere che la mettiamo nel letto per scaldarla. Lavandosi alla mattina quando l’acqua tocca la pelle fa salire una specie di fumo. Lavarsi i capelli è un’impresa eroica. Prima di Natale c’è stata un’ondata di freddo eccezionale, in zona il freddo ha procurato la rottura di molti contatori dell’acqua, e noi anche in queste condizioni abbiamo dovuto accontentarci di rimanere senza riscaldamento e via sotto pioggia o neve a macinare km.
Anche la gente qua intorno è alquanto fredda e distaccata, un po’ di suo e un po’ per le azioni diffamatorie messe in giro perché andassimo via. Così non ci è rimasto che evitarla.
In questa zona come già detto non ci sono mense per i poveri, e non abbiamo soldi per prendere i mezzi pubblici per recarvisi. In questa zona domandare i soldi di un caffè —un vero portento per chi soffre di determinati disturbi legati alla pressione— è diventata un’azione eversiva. Si viene guardati con tremendo disprezzo, qualcuno arriva a dire, a proposito dei soldi, che raccontiamo balle. Noi non siamo vestiti male e nemmeno puzziamo, non siamo nemmeno alcolizzati e non abbiamo nemmeno i soldi per comprarci vino! Non siamo nemmeno tossicodipendenti. Eppure quando si va a chiedere un caffè tante volte si viene trattati come tali categorie.
Cuore di Ghiaccio
Chi ci ha dato il posto, ci aveva detto all’epoca che aveva molto da fare, e ci aveva invitati ad arrangiarci. Venne a trovarci più avanti, e ci invitò a chiedere se avevamo bisogno di qualche cosa. Noi abbiamo chiesto di procurarci un telefono, che non è mai arrivato. Per il resto era evidente che avevamo bisogno di tutto, visto che quando ci aveva ospitato in casa ci dava pure i panini per mezzogiorno, avevamo raccontato la nostra situazione e come andavamo a chiedere il mangiare in giro.
E’ tornato recentemente a dirci che dobbiamo andare via, perché alcune persone che vivono nello stesso condominio si sono lamentate: i suoi parrocchiani vogliono adeguate informazioni su di noi. Chissà chi siamo e chi portiamo. Il paese è piccolo e alcune donne di paese si sono prodigate a raccontare ai quattro venti che vivevamo nel bagno. Tali persone avevano un’idea negativa sulla nostra persona, cosa che ci avevano detto indirettamente. Una pubblicità del tutto negativa che ci ha creato danni. Nessuno dei vicini è mai venuto a chiedere se abbiamo bisogno di qualcosa, pur sapendo da queste signore la nostra condizione. In realtà ultimamente abbiamo scoperto che le persone che si sono prodigate a crearci una cattiva fama ,vogliono dal prete la nostra stanza per i loro affari. Per questo i bravi parrocchiani non ci vogliono: hanno i loro interessi, che nulla centra con la carità, anche se vogliono sembrare caritatevoli e far apparire noi dei mostri.
Noi purtroppo non possiamo raccontare troppo della nostra vicenda, ma a cosa servirebbe?
Il pensiero fondamentale di molte famiglie bene della società è questo: “Gli Italiani messi nelle nostre condizioni non esistono, perché l’Italia è un paese ricco con i diritti civili a posto, chiunque ha voglia di fare può lavorare”. Quindi se noi viviamo in questa particolare condizione deve essere necessariamente colpa nostra. Questo pensiero dunque si tramuta in “Gli Italiani in queste condizioni, se esistono, è perché lo vogliono loro, cioè sono poco seri, legati a giri criminali e dalla vita certamente disordinata, non inserita nel sociale, persone dunque pericolose e da allontanare”.
Purtroppo chi dovrebbe fare da scudo a queste maledizioni e presentarci nella maniera appropriata non lo fa. Non tutti sono così ignoranti e senza cuore: in genere chi ragiona così è principalmente ignorante, a volte anche in malafede..
Una delle donne di paese ci ha dipinti come persone senza educazione. Ci ha anche delineato come persone che non vogliono essere aiutate, ma noi avevamo chiesto delle cose, come ad esempio il telefono e queste non sono arrivate.In questo periodo abbiamo mangiato quello che abbiamo trovato e quando lo abbiamo trovato, non secondo le nostre necessità. Sono mesi che uno si rade con la stessa lametta da barba. L’acqua del rubinetto è talmente fredda che per scaldarla la mettiamo in mezze le coperte, giusto per non berla ghiacciata.
Non hanno capito che abbiamo fatto tutto il possibile per tornare ad una vita normale,o forse non interessa a nessuno. Il prete spinto dalle comari del paese vuole informarsi sul nostro conto. Egli non ha tutti i nostri dati e vorrebbe averli. Noi sappiamo, per esperienza, che appena in possesso di tali dati chiamerà nel paese di nascita o di residenza e questo farà arrivare il “potere veneto” anche qua, facendoci perdere ogni possibilità di alloggio. E’ inutile qualsiasi nostra spiegazione, cosa dovremmo parlargli della mafia veneta?. Molti incompetenti, dopo essere stati informati sulla situazione, sono andati a chiamare la parte incriminata veneta per chiedere se era vero quanto andavamo dicendo!
Siamo pieni d’acciacchi e di dolori ed è evidente che qui non ci vogliono, altrimenti ci avrebbero messo poco a procurarci un fornello usato o darci almeno l’acqua calda, e aiutato a trovare qualche lavoretto per iniziare. Non aiutandoci, speravano che ce ne fossimo andati via con le nostre gambe. La durezza di cuore di queste persone è ancora più pesante della mancanza di cibo, perché ci rende tremendamente soli in questa vicenda. Le cose si sopportano meglio con il conforto di anime gentili e noi, con tutto quello che abbiamo passato, avremmo veramente bisogno di qualche conforto. Invece ci troviamo per l’ennesima volta ad aver a che fare con gente senza pietà e carità.
Una sera prima di Natale, siamo arrivati tardi. Siamo entrati senza far rumore e abbiamo inavvertitamente ascoltato i discorsi di gente che era riunita nella stanza accanto. Non si sono accorti del nostro arrivo, poiché vi è un muro interposto e due entrate separate. Sentimmo che ci volevano mandare via, e all’uopo una signora disse di farci recapitare una letterina ben fatta. Nessuno si accorse della nostra presenza: andarono via pensando che non ci fossimo. Il giorno dopo ci inseguì un vicino di casa per consegnarci una lettera. Scansatolo, poco dopo si presentò un albanese con un’altra copia della lettera. Scansato anche questo, entrando nella stanza, ne trovammo un’altra posata sulla sedia. Con che coraggio il prete aveva mandato l’albanese a consegnarci la lettera per andare via? L’albanese e la sua compagna vivevano su un vero appartamento di proprietà della Parrocchia, dato a loro per necessità, noi in uno sgabuzzino. Loro, stranieri, che ci avevano preceduto e soffiato molte possibilità, venivano ancora una volta prima di noi[70], ed ancora loro venivano con una lettera per spedirci via. Questo comportamento del prete è una vera e propria leggerezza, fino a rasentare, se ci si pensa bene, un’istigazione all’odio razziale e alla xenofobia. Poi si aggiunge quanto a noi accaduto nella “seconda regione” e in particolare le disavventure del 2007, con un altro albanese che si era reso protagonista di fatti gravi, si vede quanto inopportuna fu questa azione del prete[71].Noi non conoscevamo questo straniero, e non avevamo nessun risentimento verso di questi, ma gli chiedemmo di rimanere fuori da questa storia.
Le chiavi della nostra piccola stanza le hanno molte persone, così se volevano farci recapitare una lettera o controllare la situazione basta che entrino. Entrarono varie volte anche quando non eravamo presenti. Questa situazione, di avere le nostre cose per cosi dire esposte al vento, non ci rese tranquilli. Abbiamo effetti personali e documenti importanti[72]. Ancora una volta siamo stati costretti a portarci appresso ogni giorno, nello zaino, le cose più importanti. Il portare sempre lo zaino ci faceva notare ancora di più, in un paese in cui sarebbe stato meglio passare inosservati.
Nonostante la nostra stanza fosse per cosi dire accessibile, trovammo al suo interno solo le lettere suddette, mai il tanto sospirato telefono richiesto o un cesto di Natale, o un panettone o bottiglia di spumante… Anche questo fu il segno indiretto di questa squallida situazione.
Il segno che non ci vogliono in questo paese e fanno di tutto per allontanarci, fino a chiamare per i loro sospetti le forze dell’ordine, come narrato all’inizio nella parte “in breve”.
Le cose narrate in questo capitolo non sono accadute a caso, sotto la fame, il freddo e la solitudine da noi patita vi è sempre stato lo zampino veneto. Il Veneto si è impegnato con zelo per impedirci di rifarci una vita nelle sei regioni ove siamo stati dal 2005 al 2009. Non si tratta ovviamente solo di un’azione della criminalità veneta, ma anche di uno particolare status italiano di ingiustizia generale, dettato dalle persone che ricoprono incarichi di responsabilità, che non manifestarono mai la precisa volontà di fare chiarezza sulla vicenda, e di mettere freno al comportamento criminale veneto. Ad esempio la Polizia non volle mai indagare i carabinieri di residenza: preferirono cioè non pestarsi i piedi tra colleghi, cosa che fecero anche i magistrati di Procura controllante e controllata. Adottarono un comportamento di vita tra istituzioni del tipo “vivi e lascia vivere”, che applicato a noi si trasformava in “vivi e lascia morire”.
Alle persone che, loro malgrado, furono coinvolte nei fatti che ci riguardano, dedichiamo il versetto “anche se vi siete assolti siete per sempre coinvolti”[73] .Del nostro caso in Veneto si direbbe “schei e amicissia orba la giustissia”[74].
Da una parte il comportamento di ufficiali pubblici e forze dell’ordine era comprensibile, essi partivano dal presupposto che se avessero fatto qualcosa per noi si sarebbero trovati contro il potere che ci dava fastidio. Perdere il lavoro, venire declassati o subire delle burocrazie non è certo desiderabile. Se non avessero compiuto il loro lavoro era ininfluente ai fini dello stipendio mensile. Questo spirito generale di fare solo il minimo indispensabile è una grave epidemia scoppiata nello stato Italiano: Vedere queste cose negli uffici pubblici era alquanto desolante e quanto di più insensato per una nazione.
Contemporaneamente noi siamo costretti a fare questa dura vita in giro per le regioni italiane: occorre saper interpretare e valutare congiuntamente, i fatti accaduti all’interno degli organi di giustizia, come la sparizione dei nostri esposti, l’impossibilità di poter parlare con il magistrato, la mancata attivazione di procedure di legge, la mancata iscrizione di procedimenti che dovevano aprirsi d’ufficio, il comportamento di alcune forze dell’ordine. Cioè tutto quello che ci accadeva era in funzione del fatto che nulla di quanto visto doveva trapelare; se poi non ne fossimo usciti vivi, tanto meglio. Morti i testimoni, cadute le querele, risolta la questione, un sospiro di sollievo per tutti!
Ovviamente la vita che fummo costretti a condurre ci impedì di poter esercitare i nostri diritti, perché in molti periodi avevamo mezzi appena sufficienti per sopravvivere, e certo non potevamo pensare alla burocrazia, ai viaggi in procura, ai cavilli delle leggi utilizzati contro la sensatezza della legge stessa...
Quello che abbiamo subito, dimostrabile nei fatti che ci sono accaduti, può essere considerato una vera e propria lesione dei diritti umani e civili, fino a rasentare, in termini “civili”, forme di tortura. Tortura operata dalla parte che ci vuole rendere inoffensivi, utilizzando i mezzi stessi atti a mantenere l’ordine pubblico, cioè la giustizia, ossia attraverso il controllo sugli apparati dello stato. Per questo la definiamo una specie di “Tortura di Stato”, simile in questo a quella presente nei regimi totalitari, e applicata a chi non si conforma al potere. Cosa che colpisce in genere giornalisti, politici e personalità della scienza e cultura che non si allineano al regime. Noi siamo stati offesi nei diritti fondamentali in primo luogo nella legittima difesa e in secondo nella libertà di espressione[75], poi con ogni sorta di violenza morale e infine con minacce di morte, messe poi in atto, alle quale più di una volta siamo scampati per puro miracolo.
Quello che ci è accaduto e che ci sta accadendo è un grave campanello d’allarme riguardante l’intera situazione italiana, e mostra come in Italia si sia addivenuti ad un regime totalitario, simile a quello che doveva essere implementato attraverso i colpi di stato del ’64, 70, ’73, senza di fatto aver compiuto nessun colpo militare, ma attraverso il controllo della giustizia, dell’informazione, delle persone. Questo verrà spiegato bene nel capitolo successivo e nei capitoli finali.
La povertà, la vita in tenda, le minacce, gli esposti persi in procura, i rallentamenti delle pratiche, la diffamazione, il mancato intervento del comune di residenza e le altre cose narrate in queste pagine non furono una situazione casuale, ma il frutto di un preciso comportamento portato avanti dalla parte che ci vuole finiti, logorati, pronti a gettare la spugna, fino ad inginocchiarci alla loro volontà.
E la tortura continua: chi si è comportato in malo modo con noi ci metterebbe un attimo a risolvere la questione, dopo tutto quello che abbiamo passato, potrebbe fornirci i mezzi per ricominciare una vita decente. Non abbiamo mai chiesto di essere mantenuti, ma di vivere del nostro lavoro, e basta. Ma anche se fossimo “mantenuti” sarebbe ben poca cosa rispetto all’indennizzo che dovremmo avere per quello che ci è stato fatto.
Questo è il motivo per cui in tutte le regioni ove siamo passati, nessun comune[76] si è mai preoccupato di aiutarci a trovare un lavoro e un’abitazione, dove stare consoni alla nostra situazione, nessun organismo della chiesa si è preoccupato di fare altrettanto. Al contrario abbiamo visto dare lavoro e abitazione a gente straniera e gente italiana poco raccomandabile. Non ci si è solo preoccupati a non darci un vero aiuto, molte volte con tanto zelo ci si è occupati di farci perdere anche quello che avevamo trovato con le nostre mani, incluso il lavoro.
Oppure a dover sentire la solita musica: “qui dovete essere tutti uguali”. Ma uguali a cosa?
Non siamo nemmeno rifugiati politici, ai quali dopo un mese di permanenza è stato assegnato un appartamento, a noi ci hanno detto di andarcene e di arrangiarci.
Non siamo rumeni o stranieri venuti apposta in Italia per fare i badanti.
Un’altra tortura grande è quella di spaccare l’unica cosa rimasta, la nostra famiglia: oltre a mandarti in case d’accoglienza separate, ci offrivano lavori come badante donna, e l’altro si doveva arrangiare, da solo, in giro non si sa dove, in mezzo a posti pericolosi.
La tortura più grande è che in queste condizioni non possiamo avere nessun futuro, non possiamo avere sogni, fare progetti. Lavoro, casa, anche l’auto in queste condizioni è impossibile da ottenere e mantenere. Chi ci vuole morti ha un palinsesto enorme di uomini e tecnologie da sfoderare per trovare dove siamo andati a finire e darci tormento. Come le azioni di alcune forze dell’ordine aizzateci contro in varie zone o le diffamazioni che non ci hanno dato pace in nessuna parte d’Italia e che provengono sempre dalla stessa origine. Poi qualcuna di queste forze dell’ordine, quelle che hanno un po’ di cervello, e non sono ciechi leccapiedi o in malafede, discutendo, hanno compreso di essere state, a loro volta, utilizzate da queste reti e male informati…….
Siamo costretti a vivere in una condizione nascosta, come fossimo dei mafiosi, sempre pronti a fuggire di posto in posto quando le cose precipitano. Non possiamo spiegare alla gente che abbiamo intorno la nostra condizione, il senso di tanti nostri comportamenti. E la colpa principale della nostra condizione è lo Stato, uno Stato che ha sempre voluto nascondere certi problemi italiani, uno Stato che non ha una legge che ci protegga, una legge che possa darci un’identità nuova, che risolva tutti questi problemi. Con un nome nuovo non avremmo più tanti problemi, un’identità nuova che cancelli il luogo di nascita, cancelli la nostra data di nascita e ci renda liberi di registrarci in qualunque base dati, dalla banca, ai telefoni, all’ufficio delle entrate senza preoccupazioni.
Lo fanno coi pentiti, perché non lo possono fare con la gente che si trova nelle nostre condizioni?
Una risposta semplice la forniamo noi: perché lo Stato non sembra ragionare con la sensatezza del diritto e della legge, ragiona piuttosto con la ragione del potere e dei soldi. Un pentito è qualcuno che dà allo stato informazioni che non riuscirebbe ad avere altrimenti, e va dunque pagato, non si tratta di una questione di puro diritto, ma una questione di controllo sulla mafia, che ha anche i suoi risvolti economici. Al contrario noi cosa possiamo dare allo stato di potere e soldi? Lo Stato occorre che cambi termini, che pensi più alto, deve saper imparare che senza giustizia, uno dei valori più alti, è destinato a soccombere, a scavarsi la fossa con le proprie mani. Lo Stato deve imparare a aiutare le persone che come noi hanno cercato la giustizia, il vero motore della libertà e del progresso in tutti i campi.
A questo si aggiunge la durezza di cuore di tanta gente, che si arrampica su ragionamenti e discorsi e chiacchiere e finge di non capire l’essenziale, sono ugualmente colpevoli.
Tra il 2005 e il 2009 girammo l’Italia, come descritto in questo capitolo, con il nostro nuovo zaino, tra gli zaini degli immigrati. Si trattava di uno zaino diverso di quello degli immigrati, con i quali condividevamo in pieno la vita nelle case di accoglienza e dei poveri. Uno zaino confezionatoci dai magistrati, pieno di esposti e carte della Procura. Uno zaino pesante, fatto di un pacco di ingiustizia e di una nuova condizione di vita, che dovevamo subire per averci permesso di segnalare alcuni nomi alla giustizia, e per aver osato metterci contro qualche toga inserita nei circoli degli amici veneti.
Lo zaino che immancabilmente ci portavamo addosso fu l’emblema della nostra condizione. Una figura nuova tra le figure di chi gira per i centri dei poveri. Il peso che ci portavamo addosso pesava interamente sulle nostre spalle, non potevamo lasciarlo in giro o di fidarci di lasciare i documenti in procura, perché là erano facili a sparire. Lo zaino che ci aveva “regalato” l’agire dei magistrati era uno zaino di solitudine e paura. Uno zaino che aveva attirato l’attenzione di molti. Noi in giro sempre con quello zaino. L’avevamo a Natale, a Capodanno, in treno, in ospedale, in procura, in Questura e al mare.
L’evacuazione della prima regione fu un’operazione veloce, partimmo con lo zaino lasciando le valigie senza più tornare. Dalla seconda regione partimmo con due zaini pieni di carte e un borsone nero come quelli dei “vu’ cumprà”…
Nel 2009,a forza di vederci per la strada con lo zaino ci fermarono anche le forze dell’ordine, chiedendo che lavoro facevamo e dove risiedevamo. Ci hanno fatto svuotare anche le tasche, ma non hanno trovato nulla di particolare. Avevamo spiegato che avevamo fatto il lavoro estivo e stavamo vivendo con quei soldi, e se troviamo con qualche lavoro di pulizie, ma non ci credevano tanto, visto che ci apostrofarono a dei loro colleghi come persone che “vivono di aria”. Li avevamo pregati di lasciarci stare: questi non ci volevano mollare, ad un certo punto tirammo fuori dallo zaino un verbale dei carabinieri e con quello riuscimmo a convincerli di lasciarci in pace...
Noi sempre con quelle carte
addosso…
Questo capitolo introduce i primi aspetti su Gladio e sulla Guerra Civile. Questi argomenti verranno ripresi con più decisione con dati storici nel capitolo finale “Mafia e Fascismo nelle istituzioni: «Il Gatto Nero»”
L’esistenza ufficiale di Gladio fu dichiarata da Giulio Andreotti, dopo la caduta del muro di Berlino. Solamente ora vengono fuori alcuni aspetti della storia italiana nascosti per tanto tempo. Durante il periodo di guerra fredda a Padova si nascondevano le armi nelle parrocchie, e questo accadeva anche in altre parti d’Italia. Ci si era organizzati per far fronte a un’invasione del nemico comunista, si faceva guerra a colpi di propaganda. Le strutture paramilitari e di civili poi cambiarono aspetto e talune di queste vennero utilizzate nei tentativi di colpi di Stato del ‘64, del ’70, del ’73 e cosi via... come narrato nei documenti d’intelligence contenuti in bibliografia.
Anche se il terrorismo fu fatto risalire alle parti estreme della sinistra e della destra, il fenomeno era ben radicato nel territorio e nei civili. Una guerra civile insomma perché tali strutture erano di fatto cittadino contro cittadino. Ad orchestrare questa guerra civile vi erano alcune persone con l’interesse di dividere il popolo italiano, per meglio gestire l’affare Italia e internazionale.
Il generale Giulio
Cesare Magi Braschi, insegnante di guerra psicologica e non ortodossa, in forza
del comando FTASE nel centro di Verona, era anche il dirigente per la sezione
italiana della lega mondiale anticomunista[77].
In Veneto un po’ tutti erano immersi in questi ruoli, dal parroco, al frate, al bidello della scuola per ciechi (Pozzan), all’industriale (Delfo Zorzi), al commerciante di frigoriferi, all’avvocato (Franco Freda), all’universitario, al militare, al carabiniere, al poliziotto, al cognato …
E oggi è ancora così. Parte delle forze dell’ordine, più che proteggere il diritto, si trovano a proteggere il potere “costituito” o la propria fazione, attività che non sempre coincide con la democrazia, la giustizia e il diritto.
Quando Aldo Moro fece il passo di avvicinarsi alla sinistra fu ucciso. Lo stesso capitò anni prima a Enrico Mattei. La strategia della tensione serviva per creare un regime di terrore e impedire che la sinistra andasse al governo. Queste sono solo alcune cose che emergono dopo tanti anni, sull’intricata storia italiana (Rif. “Strategy of Tension: the case of Italy” pagina 2.
Passiamo a cose più recenti, nel 2006 si leggeva:
«Prodi dovrà scegliere un ministro degli Esteri approvato e apprezzato
dagli Stati Uniti. E questa dovrà essere la prima decisione di mister Prodi,
prima di ogni altra nomina di governo»: così ingiunge Michael Ledeen, in un
articolo sul Wall Street Journal del 13 aprile 2006 dal titolo «Vincerò!».
Ma chi è questo Ledeen che dà dei consigli a Romano Prodi?
E’ Il maggiore esponente del Fascismo Universale. Ledeen è uno dei protagonisti dei maggiori episodi di intelligence degli ultimi anni, inclusa la guerra con l’Iran, la strategia della tensione in Italia, l’assassinio di Aldo Moro e la strage di Bologna. Ledeen fu finanziato fino dai suoi primi studi degli anni sessanta dai circoli veneziani. Ledeen fu affidato a Vittorio Cini, primo ministro delle comunicazione del governo Mussolini, e De Felice che lo assistettero nei suoi primi studi aprendogli le porte dei segreti degli archivi della massoneria a Venezia e a Roma[78].
Dunque i consigli di Ledeen non erano da sottovalutare, una specie di avvertimento al nuovo governo appena insidiatosi che fu poi tolto di mezzo con l’affare “Mastella”.
Nel 2006 sussistono in Italia ancora i problemi che hanno segnato il dopoguerra, il periodo dei tentativi di colpo di stato e il periodo della tensione e la lotta anticomunista. Ben poco sembra essere cambiato. Ricordiamo che immediatamente dopo che la sinistra vinse le elezioni del 2006, fu preso il boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano[79]. In quei giorni c’era molta tensione in Italia, la destra perdente aveva paventato l’idea di sbagli nei conteggi elettorali, e si andò avanti parecchi giorni prima che si procedesse al ricontrollo delle schede e i risultati venissero confermati. Venne eletto come Presidente della Repubblica Napolitano, una persona anziana e con esperienza, che poteva dare un minimo di stabilità tra le parti. Le tensioni erano molto forti, e l’Italia si stava spaccando anche a causa delle idee di autonomia portate avanti dal partito della Lega.
Quello che unì l’Italia e la salvò da quel particolare stato negativo fu la vincita da parte del nostro paese del Campionato Mondiale di calcio. La nazionale di calcio diede in quel periodo un senso di unione tra italiani più forte rispetto a qualunque altra cosa. La squadra che aveva vinto i mondiali era composta da giocatori del Nord, del Centro e del Sud.
Tornando al discorso iniziale, quello che cambia oggi, rispetto ai tempi passati è la metodologia della guerra. La guerra è cosa attuale, non si farà con le bombe in Italia come lo si è fatto durante la strategia della tensione, ma si fa in altra maniera, con il controllo delle persone, dei mezzi di comunicazione, delle banche, delle forze dell’ordine, della magistratura, della cultura, della Chiesa. Non si fa più attraverso un partito ma attraverso le logge massoniche che sono trasversali ai partiti e attraverso la criminalità organizzata nascosta all’interno di logge “illegali”.Come ad esempio il caso della Santa[80], un’organizzazione particolare che connette la Santa Ndrangheta con la massoneria..
Romano Prodi fu tirato giù dal governo tramite lo scandalo “Mastella” attraverso un’azione di magistratura, lo stesso accadeva anni prima con “Mani Pulite”, dove un’intera classe politica fu cancellata dalle indagini legate ai magistrati di Milano.
La tecnica di far saltare le persone al potere attraverso le azioni di magistratura sono semplici da pianificare e applicare e difficilmente contestabili. Spieghiamo meglio: siccome al giorno d’oggi vi è una profonda crisi politica, ideologica, spirituale e morale tutto viene sostituito dalla certezza del denaro. Questo comporta un alto grado di corruzione e di ingiustizia punibile attraverso azioni giudiziarie. Partendo con questi presupposti, in linea di principio, è possibile far saltare qualsiasi poltrona tramite atti giudiziari, rimane solo il problema di far saltare le bombe giudiziarie nei posti giusti, senza dar adito di azioni premeditate ma di semplici scandali venuti alla luce per spirito di verità e giustizia, e dunque ottenendo anche l’approvazione pubblica.
La guerra dunque si è trasferita dalle bombe in piazza alle bombe all’interno degli organi di giustizia, ossia alle bombe giudiziarie. Resta poi il fatto di pilotare l’opinione pubblica attraverso il piazzamento di opportune notizie nei mass media.
Diremo di più, in genere la tecnica è di coinvolgere volutamente ogni persona importante in fatti poco chiari, fin dalla giovinezza o comunque dall’inizio della sua azione, in modo da poter avere la in mano l’arma per di poterla togliere di mezzo nel caso ce ne fosse di bisogno. Questa tecnica si attua in genere con calcolato anticipo.
Lo status vivendi dell’italiano che ricopre qualsiasi carica sociale e politica comporta la necessità di dover ossequiare un determinato potere e un giro di amicizie, ponendo in secondo piano qualsiasi altro comportamento morale o etico, è quasi automatico che tutti gli appartenenti alle classi di potere siano coinvolti direttamente o indirettamente in qualche intrigo, e dunque sono suscettibili di essere tolti di mezzo attraverso un’azione di giustizia.
D’altra parte invece quel potere che è in grado di far scoppiare le bombe giudiziarie nei palazzi di giustizia è altrettanto bravo a bloccare ogni indagine sgradita. La nostra personale esperienza è una prova, e mostra che i fascicoli sui quali non si vogliono fare indagini vengono sistematicamente persi, e questo accade anche dentro gli uffici delle Procure italiane[81].
Questo potere controlla l’economia, la politica, le finanze, le forze dell’ordine, gli ambienti militari, la carta stampata, le televisioni… E’ un potere più grande della politica stessa, perché la comanda attraverso le logge trasversali ai partiti. In pratica i famosi colpi di stato pianificati all’inizio degli anni settanta, non sono stati più necessari, perché il paese si riesce a controllarlo lo stesso in una maniera meno evidente, invisibile.
Di fatto siamo già dentro un vero e proprio “colpo di stato” perché non è democratico far sparire gli esposti dagli uffici giudiziari, non è democratico applicare una censura su tali fatti, non è civile torturare chi è contrario a tale regime. Ci stiamo riferendo a quanto a noi accaduto.
Se l’ambiente veneto dal quale proveniamo è riuscito a far sparire fascicoli e fascicoli da una Procura, e a bloccare tutte le indagini su altre quattro Procure italiane, applicare una censura su internet e non far trapelare nulla sui giornali, è lecito pensare che la friendship veneta è in grado di controllare tutto il paese. Di Venezia e del suo tremendo potere se ne parla negli articoli BP* e UF*.
Non è un problema di destra o di sinistra o di centro, è un problema di stato!
Le leggi antiterrorismo varate dopo la “strategia della tensione” e le necessità di controlli a scopo fiscale, hanno incrementato nel corso degli anni una serie di disposizioni, di leggi, di controllo delle persone e del territorio, realizzando una vera e propria schedatura. Il controllo delle persone era una necessità stabilita anche dalla militarizzazione della Repubblica italiana, previsto dal piano di rinascita democratica di Licio Gelli della P-2.
Per collegarsi ad internet da un posto pubblico oggi occorre presentare un documento d’identità. I propri dati sono registrati e associati alla sessione internet. In questa maniera si riesce a risalire a quanto fatto su quel computer , quali pagine si è visitato, quali messaggi si sono spediti e così via. In internet vi è un controllo radicale su tutto ciò che si spedisce e si pubblica. Questo è dimostrato anche dalla censura che ci è stata operata della quale abbiamo già parlato (vedere pagina 2 titolo “La censura”).
Quando si invia una lettera raccomandata, gli estremi di tale lettera, incluso il mittente e il destinatario sono registrati in una particolare scheda e inviati all’autorità. Noi ce ne siamo accorti per caso, nell’ufficio di Sirmione quando abbiamo spedito una raccomandata alla Procura Militare. Abbiamo visto un foglio con i dati di tutte le raccomandate inviate in giornata spedito ai Carabinieri[82]. In un altro paese abbiamo sentito una dipendente delle poste che si lamentava che alcune forze dell’ordine venivano a controllare le lettere, pur non avendo i requisiti necessari[83]. Se le autorità volessero bloccare tutte le lettere raccomandate, inviate in un certo luogo, hanno sicuramente il modo per farlo. A noi sono sparite le lettere raccomandate inviate alla Procura!
Quando si entra in un albergo si deve essere registrati per legge, tali dati vanno normalmente alla Questura. Se si ospita delle persone si deve fare dichiarazione dai vigili e una copia va in Questura. Appena si entra al pronto soccorso si è registrati. Ogni soggetto sottoposto a radiografie è codificato. La tessera sanitaria oltre ad avere i propri dati riporta anche il codice fiscale.
Ogni telefono e telefonino sono associati ad una persona. Tutte le telefonate e gli SMS che partono da un telefono sono registrati. Tramite dei servizi offerti dai gestori telefonici e gestiti dalle forze dell’ordine, è possibile, con precisione, risalire al punto ove si trova il telefono, ed è dunque possibile conoscere in linea teorica la posizione corrente del telefono e i tragitti fatti, e sapere in che zona una persona si trova, questo vale tanto per telefoni che per telefonini. Se si ha il navigatore satellitare o il GPS si è individuabili ancora meglio.
La maggior parte delle biblioteche prevede per l’accesso una schedatura. In genere le biblioteche mantengono la storia degli accessi come pure il nome dei testi presi a prestito.. L’acquisto di molte medicine prevede la ricetta, quest’ultima è intestata a una persona. I dentisti e i medici e i psicologi rilasciano in genere la ricevuta e questa è intestata alla persona.
La richiesta di vaccini per le allergie è generalmente centralizzata a poche case farmaceutiche internazionali, le quali a causa della pericolosità della somministrazione di vaccini errati, mantengono un database dei pazienti. Pensate che mole di dati gestiscono.
Ora questi sono solo alcuni esempi, ormai non vi è operazione che non preveda la registrazione o la creazione e mantenimento di informazioni sulla persona. Le società di luce, acqua, gas hanno tutti i nostri dati. Con i contatori moderni dell’Enel è possibile in tempo reale sapere i consumi in uso dal cliente, ed è possibile chiudere la fornitura in ogni momento tramite il controllo remoto: sono dotati infatti di modem che legge automaticamente i consumi.
Anche all’interno delle mense dei poveri occorre presentare un documento, in alcune mense occorre una tessera, e si viene registrati ogni volta che si accede al servizio. Se ci si presenta a chiedere una mano nei centri di ascolto per i poveri, l’operatore aprirà una scheda, si fotocopierà i documenti, e in genere si informerà presso il comune di residenza o presso la famiglia di provenienza, o presso dei contatti che hanno all’interno delle forze dell’ordine per verificare la veridicità delle informazioni[84]. Questi operatori del sociale operano come una specie di estensione delle forze di polizia, con le quali mantengono uno stretto collegamento per questioni di ordine pubblico, visto l’alto grado di criminalità presente in questi ambienti.
Anche se esistono delle precise leggi sul mantenimento dei dati e sulla privacy, queste in genere possono essere sorpassate tramite artifizi. Si può procedere ad avere informazioni attraverso le reti di amicizie inserite all’interno delle varie istituzioni, banche, uffici. Le organizzazioni criminali come la Mafia, la Santa o i terroristi non hanno problemi in genere ad accedere ai dati grazie alla compiacenza di persone inserite nel contesto, ma anche uno Stalker con i collegamenti giusti potrebbe avere accesso a informazioni riservate, ed utilizzarle a proprio scopo.
Chi sfugge da una rete mafiosa come quella impiantata in Veneto, Calabria o in Sicilia ha oggi vita difficile. Tutti i sistemi previsti dallo Stato per il controllo del territorio e delle persone a scopo di ordine pubblico possono essere usati dall’alta criminalità con finalità contrarie. Ad esempio per controllare le persone scomode, bastano poche persone colluse inserite nei posti giusti e persone ignoranti facilmente maneggiabili.
In uno Stato come l’Italia dove vi è stata impiantata da parte della NATO una guerra civile fin subito il dopoguerra, per scongiurare “il pericolo rosso”, tutti gli strumenti di raccolta informazioni possono essere usati a favore di tale guerra da una o l’altra parte. Se si considera che i servizi segreti dello Stato sono venuti a patti con la mafia in varie occasioni, o che sono stati loro stessi l’ispirazione di molte forme di terrorismo, non si può negare che tali informazioni possano essere gestite in qualsivoglia maniera, anche dalla mafia stessa, che rappresenta una parte di Stato nella realtà italiana, o un vero e proprio stato nello stato.
Durante la guerra fredda fu impiantata dalla NATO una rete in tutta Europa per combattere il comunismo ed il rischio di invasione russa. All’inizio tale rete poteva avere un senso, ma nel corso degli anni lo stesso strumento è diventato una potente arma in mano a poche persone, che permette il controllo della situazione. Ora chi favorisce quest’arma? Favorisce una stretta cerchia di uomini potenti, industriali… in un perfetto stile antidemocratico e caratteristico dei regimi totalitari.
Chi non si adegua viene distrutto in tutti i modi possibili e immaginabili, utilizzando le stesse strutture che servono per mantenere l’ordine e la giustizia. Oggi tale regime è aiutato dalla tecnologia e dal progresso scientifico.
La censura ed il controllo di “regime” che è stato applicato su alcune situazioni venete, inclusa la rete di amici coinvolti nella sparizione degli esposti negli uffici della Procura, è l’esempio di quanto potente sia la rete che stiamo esaminando, che ha i propri infiltrati in Veneto, nella capitale e in altre regioni.
La mafia e la ’ndrangheta, nascoste dentro la massoneria, riescono ad arrivare in tutti i luoghi del potere (dentro i carabinieri, dentro la polizia, dentro la magistratura, dentro la politica, dentro l’industria, dentro la cultura, dentro lo sport… e ovviamente dentro i dati dei contratti del telefono, luce, acqua, gas…) e sono la massima espressione di potere oggi in Italia.
La nostra storia ne è la prova.
Proteggersi da chi ti dovrebbe proteggere è una delle situazioni più
tragiche che possano accadere nella vita di una persona. si deve stare attenti
a tutto, alla stessa maniera in cui vive un terrorista, si viene trattato come
tale, ci si deve difendere nella stessa maniera.
ma non si hanno gli appoggi del terrorista.
Per le persone comuni tutti questi problemi non sorgono, ma chi si trova inserito in un particolare ruolo politico o pubblico in genere o, semplicemente chi come noi, gente comune, che ha fatto nomi altisonanti su degli esposti, deve fare i conti con quanto abbiamo detto in questa parte.
Per finire, per mostrarvi che quanto vi raccontiamo non sono cose da prendere alla leggera vi elenchiamo quattro esempi:
1. quando andammo a depositare la denuncia alla Procura del Sud, la Polizia evitava accuratamente di fornire qualsiasi informazione per telefono sia a noi, sia agli uffici della Procura;
2. quando una persona delle forze dell’ordine ci mandò da un giornalista, telefonicamente non diede i nostri nomi, per farci riconoscere diede l’indicazione di come eravamo vestiti;
3. quando descrivemmo alcuni fatti ai carabinieri, il comandante diede l’indicazione di dare il nostro domicilio a uno solo di loro; il comandante, stesso per questioni di sicurezza non lo volle sapere.
4. La strategia utilizzata per la cattura del boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano non fece uso in particolar modo delle intercettazioni telefoniche, perché in passato questa procedura aveva portato immancabilmente alla fuga di notizie[85]e al fallimento dell’operazione.
Questi sono solo alcuni esempi per rendersi conto che le forze dell’ordine stesse attivano particolari procedure e la prudenza non è mai troppa.
Merita un accenno la situazione più grave che abbiamo mai visto. E’ grave perché quanto visto è paragonabile a situazioni accadute in contesti nazisti, ai tempi dell’imbarbarimento dell’uomo della seconda guerra mondiale.
Tempo fa avevamo letto che nel caso Aldo Moro non fosse stato ucciso, sarebbe subentrata una seconda fase nella quale, dopo il sequestro il politico, sarebbe stato preso in cura da medici che l’avrebbero decretato non più sano di mente. Il tutto sarebbe stato spiegato all’opinione pubblica come conseguenza al trauma del sequestro: così Moro, se avesse voluto dire qualche cosa di troppo, sarebbe stato messo a tacere, in particolare sulla questione Gladio. La cosa è alquanto inquietante ma non impossibile, se pensiamo ad esempio che più di qualche colpo di stato italiano prevedeva il prelevamento di politici e personalità importanti, e l’internamento in un campo di prigionia in Sardegna, ove vi era la base principale di Gladio.
Nell’articolo BP* “The Black Prince” titolo “Series of Coups” si legge:
«De Lorenzo
prepared "Plan Solo," which included a list of 731 individuals to be
interned at the Gladio camp in Sardinia»
Questi eventi non possono non far venir in mente le vicende del fascismo, dei campi di concentramento ove venivano internati gli avversari politici e chiunque non fosse gradito dal regime, in particolar modo gli ebrei per i quali era stata prevista la cosiddetta “soluzione finale[86]”.
Nei regimi di tutto il mondo, persone sane, di tendenze di pensiero
opposte al potere, sono state internate in campi di concentramento o manicomi
criminali.
Questo tema è il più delicato in assoluto, perché tratta della sfera mentale dei soggetti ed è strettamente correlata alla libertà dell’individuo, alla libertà di pensiero, alla libertà di parola, alla libertà politica, religiosa…
Il primo mafioso pentito, Leonardo Vitale, spiegò il suo pentitismo a causa di una conversione religiosa, uno dei motivi dichiarati attualmente anche dal pentito Gaspare Spatuzza[87]. Vitale non fu creduto: parlò, fece nomi e cognomi, anche politici, raccontò i rituali e l'atmosfera del mondo mafioso. Non fu creduto: fu condannato per i delitti di cui si era accusato, definito come malato di seminfermità mentale: scontò alcuni anni di galera presso un manicomio criminale, per essere assassinato qualche mese dopo la sua scarcerazione. Le dichiarazioni del Vitale troveranno conferma nei riscontri dei pentiti negli anni successivi e nelle stesse indagini.
Ripartiamo dal caso Moro citato prima: per Aldo Moro, se fosse sopravissuto al sequestro, sarebbe subentrata una seconda fase nella quale, preso in cura da medici questi l’avrebbero decretato non più sano di mente e messo a tacere sulla questione Gladio.
Giovanni Ventura, terrorista, per un certo periodo,a causa delle insinuazioni createsi nella Polizia di Treviso, fu considerato un mitomane: in realtà tale diagnosi psicologica serviva solo a far perdere tempo e sviare le indagini. Ventura era realmente un terrorista.
In questi tre casi si è cercato o ipotizzato di nascondere la verità, utilizzando i metodi della sanità mentale per mettere fuori uso le persone, i testimoni e i fatti.
Accanto ai fatti più gravi di gente in camice bianco, che si presentano a sedare i presunti casi pericolosi con il punturone, ve ne sono altri più labili ma non meno pericolosi.
Ad esempio il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu trattato come un visionario quando indicò la presenza della mafia a Catania. Oggi la cosa è nota e risaputa, ma allora non era così e il comportamento pionieristico del militare si era scontrato con il potere forte di chi nascondeva tali fatti. Prima del Maxi-Processo di Palermo chi parlava di mafia veniva trattato da visionario e subiva una profonda guerra psicologica. I processi di mafia furono operazioni tartassate da problemi a non finire, compresa la fatalmente, tanto a noi cara, sparizione di documenti.
Oggi sappiamo che il pizzo esiste tanto in Piemonte che in Sicilia, e che la mafia controlla aziende e interi settori. Edilizia, sanità, turismo, aziende di smaltimento rifiuti sono solo alcuni dei settori ove la mafia lavora, e lo fa tanto al Nord quanto al Sud che all’estero.
Quando però si viene a sapere che vi sono state delle trattative tra mafia e stato, si viene a sapere di Gladio, delle stragi di stato, del terrorismo di stato, dei servizi deviati, delle forze di polizia colluse ci si deve rendere conto che tutto quello che è controllato dallo Stato può essere controllato virtualmente anche da questi poteri.
Qui stiamo parlando del controllo dei medici al fine di ottenere dei servizi.
Ma andiamo ora alla nostra vicenda vissuta in prima persona.
Come raccontato in “La questione degli esposti spariti nel Palazzo di Giustizia” pagina 2 Cap. Capitolo III, da novembre 2004 a maggio 2005 i nostri esposti sparirono sistematicamente dagli uffici della Procura della Repubblica, eccetto il primo che fu inviato per competenza alla Procura di residenza. Il comandante dei carabinieri di residenza divenne un tizio che proveniva dalle terre natie di Vittorio Cini e fu mandato probabilmente non a caso e con l’intento di sistemare la nostra questione e metterla a tacere nel caso avessimo continuato a mandare tali esposti e che avessimo trovato qualche coraggioso magistrato. Si trovava molto probabilmente in possesso del nostro primo esposto “R1” per le indagini .
L’incidente
Nel 2005, nel bel mezzo dei nostri tentativi di attivare la giustizia, ci capitò un incidente. Intervennero due carabinieri uno dei quali sapremo più tardi disgraziatamente del nostro paese di nascita. L’incidente venne strumentalizzato al fine di rovinare la nostra reputazione e indirettamente le nostre testimonianze contenute negli esposti e mettere a tacere l’intera questione[88]. La prima azione fu di utilizzare la stampa locale per insinuare che eravamo dei mitomani e malati di mente. Di questo ne abbiamo già parlato in CAP. Capitolo IV(C) “Manipolazione di notizie a proposito di un incidente” a pagina 2. La nostra vicenda e del fatto di come sparivano sistematicamente i documenti in Procura, invece fu totalmente tutto censurato.
Il maresciallo attivò la guerra “psicologica” utilizzando i mezzi a sua disposizione.
Il maresciallo mi dichiarò una persona paranoica e pericolosa, senza nemmeno una ricognizione sul luogo dell’incidente e senza nemmeno vedermi di persona, un’operazione cosiddetta a tavolino[89].
Ovviamente senza la minima competenza in campo medico. Così la mattina successiva, arrivarono due carabinieri, per farci firmare un verbale. Il verbale scritto dal maresciallo riportava che eravamo depressi e esasperati e tali cose avevano scatenato l’incidente. Nel verbale non vi era nessun riferimento alla dinamica vera dell’incidente. L’obiettivo del maresciallo era di utilizzare l’incidente per chiudere il nostro caso. Il maresciallo voleva far passare l’incidente come “un dramma familiare di gente con le rotelle non a posto”. L’unico senso che ci trovavamo era che quel verbale serviva a dichiararci insani di mente, e chiudere così anche tutte le nostre testimonianze scritte negli esposti, in particolare l’unico allora pervenuto. Quindi secondo questo maresciallo, il fatto che gli esposti R2,R3,R4,R5 erano spariti doveva risultare come il frutto di menti allucinate, più bisognose di un psichiatra che di un magistrato. Del fatto effettivo che eravamo stati dichiarati matti lo sapremo solo verso fine aprile.
Diciannove giorni dopo l’incidente, recandoci in caserma per avere le notizie relative all’incidente, pensammo di approfittarne per chiedere al maresciallo di acquisire una denuncia. Il maresciallo si rifiutò di acquisire la nostra denuncia di sottrazione e/o smarrimento di documentazione (art 616 c.p.) riguardante i documenti spariti presso la procura. In tale occasione si limitò a dire che era impossibile che i nostri esposti fossero spariti, e quanto da noi dichiarato non poteva essere vero. Si rifiutò pure di acquisire tale materiale e di re-inoltrarlo, dunque continuando a trattarci da persone senza rotelle. In pratica, al di là di tutto, si rifiutò di accettare la nostra denuncia e in questo si ravvisa la linea di tendenza che nessun esposto e/o denuncia doveva pervenire in Procura. All’epoca non avevamo ancora nessuna prova in mano da poter mostrare, solo le nostre parole. Le prove le avremo tempo più tardi.
Nessun nostro esposto e/o denuncia doveva pervenire in Procura.
Il maresciallo, non contento, ci invitò a fare una visita psichiatrica. La visita fu decisa unilateralmente dal maresciallo, che fece spedire una lettera dal centro di salute mentale (CSM) con indicato il giorno e l’ora in cui ci si doveva presentare.
Di tutta risposta andammo dall’avvocato: L’avvocato ci disse che l’agire del carabiniere non era legale. L’avvocato ci spiegò che per obbligarci a fare la visita contro la nostra volontà il maresciallo doveva ottenere l’autorizzazione di un T.S.O[90];.
C’era poco da capire: il maresciallo aveva tracciato una strada per sistemarci e senza chiedersi se fosse legale o sensato o semplicemente umano comportarsi così.
Noi per tutta risposta e in accordo con il legale denunciammo quei carabinieri che si erano organizzati per sistemarci, ma quelle indagini non furono mai fatte perché gran parte di quelle carte sparirono, e il magistrato fannullone in possesso dell’esposto R7 stranamente non vide quelle pagine, pur molti fatti essendo inseriti direttamente nell’esposto da lui ricevuto[91] .
I carabinieri coscienti del loro potere, ci dissero:-“Mandate pure i vostri esposti, tanto poi saremo noi a fare le indagini e vedrete che indagini faremo!”.
Tali carabinieri poi si resero protagonisti delle maggiori azioni accaduteci negli ultimi quattro anni. Fecero in modo che non ricevessimo aiuto dal comune di residenza e nemmeno in altri comuni, compiendo un’azione diffamatoria a 360 gradi sulle istituzioni e sulle persone che venivano in contatto con essi per chiedere informazioni sul nostro conto.
Essendo i carabinieri di residenza, potevano gestire a proprio piacimento tutte le informazioni che ci riguardavano, e noi non riuscimmo mai a scrollarci di dosso quelle persone, nemmeno cambiando per sei volte regione. Chi chiedeva informazioni sul nostro conto si rivolgeva inevitabilmente al comune di residenza o ai carabinieri. In ogni caso si trovava di fronte alle disposizioni di quest’ultimi, che avevano influenzato in primis il comune di residenza sui comportamenti che doveva prendere nei nostri confronti. Dunque fummo trattati in gran parte d’Italia nel medesimo modo che in Veneto.
Paradossale fu l’azione compiuta dalla Procura che ricevette in carico il fascicolo dalla Procura del Sud. Prima ci spinse a formulare una richiesta di protezione e poi la invio a tali carabinieri di residenza, che per fortuna si dichiararono non competenti. La Procura aveva compiuto anche in quel caso un grossolano errore, dato che si non poteva assegnare la protezione alle persone che avevamo incriminato. Quell’errore fece sapere, nel caso non se ne fossero ancora accorti, il luogo ove eravamo. Non mancarono infatti dopo i problemi.
Sperimentammo come il
regime è in grado di muovere medici e CSM[92] per
far dichiarare malati di mente e visionari chi scrive esposti non graditi. Al
di sotto di questa vicenda vi era il carabiniere che abitava nel luogo di
nascita e il comandante della stazione che proveniva dal luogo di nascita di
vittorio cini, cioè da quel comune che ci aveva intimato l’alt sulla
divulgazione di aspetti che andavano a ledere gli interessi radio-televisivi e
speculativi sulla gestione delle cave, … sul potere veneto insomma in oggetto
in questo documento.
Come abbiamo già accennato nelle prime pagine, nel 2004 una persona che denominiamo stalker per antonomasia, distrusse la nostra azienda e le nostre vite. Allora non vi era ancora la legge sullo Stalking che fu promulgata solo nel 2009.
Lo Stalker sposato con prole e già separato, conviveva con una nuova compagna, dalla quale aveva avuto altri figli. Tale compagna aveva lavorato con grosse industrie farmaceutiche ed era all’epoca procuratore di un’azienda internazionale farmaceutica. Tramite la compagna lo Stalker aveva avuto degli appalti e poteva godere certamente di favori da parte della sanità, dell’ASL e dei medici.
Per questioni lavorative avevamo constatato che tanti dati relativi a certe categorie di medicinali passavano per le mani di tale compagna, inclusi i nomi dei pazienti e relativi dati di domicilio e residenza. Queste ricette arrivavano da tutta Italia e venivano inserite nel database.
Questo fatto ci fece impressione per la facilità con la quale si poteva avere determinati dati, noi per questioni di lavoro, ma altri potevano averli per questioni di amicizia.
Per questi ed altri motivi rimanemmo sempre attenti e guardinghi nei confronti dei dati rilasciati ai medici, e fu anche uno dei motivi per cui non volevamo avere a che fare con le ASL e la sanità pubblica.
Forse lo Stalker non centra con la Mafia, ma centra sicuramente con la malattia mentale: chi è stalker ha qualche cosa che non va nel cervello, perché spende energie smisurate, anche in termini di denaro, per tormentare le sue vittime, e per vendicarsi di chissà che torti. Perciò questi è un matto, con i soldi e le conoscenze giuste, ed ha possibilità smisurate di creare danni, ovunque, tramite la sanità, e la sanità non lo ferma in alcun modo, né con la legge sulla privacy né con la psichiatria.
Lo stato ha bisogno di soldi e l’imposizione delle tasse è un modo per ottenerli. La lotta all’evasione fiscale è diventata sempre più forte, questo grazie soprattutto ai nuovi strumenti tecnologici e ad un’insieme di leggi varate per sconfiggere l’evasione.
La necessità assoluta di soldi ha fatto cadere muri importanti, come quello di San Marino, un’oasi ritenuta una volta felice per molti italiani, e si sta tentando ora l’assalto ai conti svizzeri.
Le indagini e i controlli sui contribuenti sono tra le indagini più tremende. Anche alcuni mafiosi sono riusciti a nascondersi da Carabinieri e Polizia, ma non sono riusciti a sfuggire ai controlli sui soldi e sulle tasse. Molti criminali sorridono davanti alle forze dell’ordine, ma tremano davanti all’ufficio delle entrate.
Un cittadino è obbligato a dichiarare importanti dati all’agenzia delle entrate. Alle entrate vanno i dati della residenza, i dati sulle proprietà, i dati sul proprio lavoro, e tutte quelle informazioni che servono per ridurre il reddito imponibile, comprese le spese dei medicinali! E oggi sulla tessera sanitaria c’è pure il codice fiscale per controllare meglio. L’agenzia delle entrate ha un profilo delle persone a 360 gradi.
Nel nostro caso la questione tasse è diventata una questione paradossalmente ingiusta, priva di senso logico, e lesiva dei diritti fondamentali civili e umani: in poche parole le tasse sembrano avere la preminenza anche sulla tutela della propria personale vita.
Si deve stanare chi non fa le dichiarazioni, si deve stanare il mondo sommerso, si deve stanare il lavoro nero… poco importa che a volte questo "stanamento" porta a mettere in pericolo la vita delle persone, magari per pochi euro o per scoprire che è lo Stato che dovrebbe pagare!
Il problema nasce non dalle tasse da pagare, ma dai dati che si devono rilasciare all’ufficio delle entrate e che possono essere usati malamente. Grazie a qualche compiacenza è possibile conoscere un po’ tutto della vita di una persona. Chi si trova a fuggire da un potere che tutto controlla, si trova a dover fare i conti anche con questi aspetti. Purtroppo il mondo delle finanze è un mondo altamente corruttibile, e profondamente inserito in logge deviate. Un potenziale vero nemico insomma, che per legge, per questione di soldi, può passare, per le sue pretese, davanti ai diritti dei cittadini. La vita di una persona dovrebbe essere più importante di qualche euro di tassa. Ma nel mondo, per i soldi si uccide, e lo Stato non dimostra di essere da meno, almeno nel nostro caso: dà l’arma per farlo.
Noi saremmo contenti di poter dare tutti i dati all’agenzia delle entrate, a patto che ci cambino il cognome e il luogo di nascita. Per il resto fino ad ora penso che potremmo essere solo a credito. La nostra condizione non ci ha mai permesso di domandare neanche quanto ci spettava per legge. Sia per la privacy sui dati, sia perché le nostre pratiche usano perdersi negli uffici pubblici.
Ci si deve dare una regolata: occorre capire che le leggi sono state fatte per l’uomo e non l’uomo per la legge. Le leggi sono state sviluppate secondo determinati principi generali, principi giusti.
Si deve essere in grado di valutare caso per caso e saper prendere delle decisioni.
Questo capitolo parla della battaglia che abbiamo condotto all’interno della Polizia di Stato per ottenere giustizia. Ci siamo inevitabilmente scontrati, anche all’interno della Polizia con le reti dell’ambiente veneto, che hanno fatto di tutto per insabbiare indagini e nascondere la verità.
Nel primo capitolo abbiamo inquadrato a grandi linee la criminalità veneta, nel secondo capitolo abbiamo parlato della nostra storia, degli intrecci con l’ambiente veneto e del percorso di conoscenza intrapreso fino a trovare le cause principali dei fatti accaduteci. In “Una Questione di Giustizia” abbiamo riportato quanto accaduto alle nostre carte all’interno dei palazzi di giustizia. Nei capitoli successivi abbiamo trattato la vicenda personale della fame patita, e successivamente un poco di teoria sul sistema italiano: dalla guerra civile, al controllo delle informazioni, alla schedatura delle persone e all’utilizzo dei metodi “medici” per mettere a tacere le persone scomode.
Questo è un’altro capitolo pratico, di come tutti gli aspetti già citati interagiscono o hanno interagito nel nostro caso specifico.
La guerra che l’ambiente veneto ci aveva mosso contro, dal momento in cui decidemmo di chiedere aiuto alle autorità, si spostò anche all’interno delle forze dell’ordine. La guerra coinvolse carabinieri, polizia, guardia di finanza e altri ambienti militari. Questure e caserme dei carabinieri divennero centri di battaglia di questa guerra. Punto fondamentale della questione è che l’ambiente veneto convogliò un’ondata spaventosa di diffamazione nelle forze dell’ordine, al fine di rovinarci la reputazione e di non ottenere interessamento e aiuto.
Contemporaneamente utilizzò alcune pedine all’interno di tali forze, per sistemarci a dovere, nel modo che la nostra battaglia per la richiesta di giustizia si trasformasse in una lezione “pubblica”, per tutti quelli che si opponevano al potere che ci contrastava. La nostra battaglia fu vista, da alcuni della Polizia, come un’azione senza senso, una battaglia contro i mulini a vento, o il tentare di buttare giù un muro di cemento a mani nude. Questo modo di pensare non era casuale, o semplice pensiero soggettivo, ma derivava da una precisa strategia dell’ambiente veneto, il cui obiettivo costituiva nel dipingerci come testardi guerrafondai, litigiosi oltre ogni limite. Queste persone nella Polizia non si rendevano conto della reale situazione e di come il nemico veneto continuasse ad agire sullo sfondo, e di come noi agivamo in qualche maniera per legittima difesa[93].
Abbiamo già parlato a pagina 2, in “La Pratica: l’incidente” di come il maresciallo dei carabinieri di residenza strumentalizzò un incidente, per farci passare come persone insane di mente e pericolose, o meglio, per essere precisi e lungimiranti, come qualcuno o qualcosa aveva utilizzato tale maresciallo dei carabinieri per sistemarci a dovere. Ebbene, mentre vivevamo in tenda nella “prima regione” fuori Veneto dove emigrammo, la piccola stazione dei carabinieri dove avevamo domicilio diventò l’ombra del suddetto maresciallo. Cosa analoga capitò in altro paese di altra regione, nel 2009. Diversi furono invece i carabinieri che incontrammo nel dicembre del 2006, che fecero, secondo noi, il loro dovere.
Il primo vero impatto con la Polizia di Stato avvenne fuori Veneto nella cosiddetta “prima regione”, ma il terreno ove la guerra prese particolare vigore fu la “seconda regione” nella Questura della città ove abitammo dagli ultimi giorni del 2006, e dove ci recammo fino a marzo del 2009. Era la seconda regione ove ci eravamo spostati per tentarci di rifarci una vita, dopo la vita in tenda in riva al lago, ed era la seconda Questura alla quale ci eravamo rivolti per chiedere una mano.
In quello scenario si svolse una tremenda battaglia che mise a nudo in qualche maniera l’agire veneto e le parti coinvolte, e venne a galla la frattura all’interno della Polizia di Stato. Come era stato per i Carabinieri, anche nella PS vi erano forze contrapposte, ovvero persone che ci davano una mano e persone che tentavano di “sistemarci”, e in mezzo a queste, persone neutre utilizzate dalle parti in conflitto.
Di queste battaglie parliamo qui di seguito.
In fondo al capitolo, a pagina 2 nel punto intitolato “Schema” riportiamo il sommario, utile per inquadrare la situazione dal punto di vista cronologico.
La Polizia locale della Procura-Uno è stata da noi indirettamente interessata per l’invio di esposti, di fax e posta elettronica a tale Procura a partire da Novembre 2004.
Non abbiamo mai avuto contatti diretti con questa Polizia, la citiamo solo per il ruolo che ha avuto in eventuali indagini organizzate in capo alla Procura-Uno, in qualità di Polizia Giudiziaria[94].
Citiamo un aneddoto in proposito: un poliziotto-piantone, all’uscita dalla Procura, dopo la sparizione degli esposti, viste le nostre facce arrabbiate, chiese come fosse andata. Al nostro commento e narrazione, rispose:-“Purtroppo è vero, non c’è più giustizia…. E chi la fa? Quelli bravi li ammazzano…e gli altri stanno qui dentro..”.
Nel febbraio del 2006 ci recammo per la prima volta in un Commissariato a chiedere aiuto alla Polizia di Stato. Il commissario, dopo un colloquio durante il quale gli facemmo visionare vari incartamenti, ci consigliò di presentare urgentemente una denuncia. Tale denuncia doveva essere composta di poche pagine ove si riassumevano i fatti, rimandando per i dettagli agli allegati, da fornire congiuntamente al testo della denuncia stessa. Soggiunse che quello era un piccolo commissariato, e non poteva risolvere casi come il nostro, lì ci si occupava di cose più semplici come furti, omicidi… ma non di queste cose. Suggerì di rivolgersi alle sedi competenti in Veneto.
Preparata in pochi giorni la denuncia, ci presentammo in Questura, ma non in Veneto perché eravamo fuori regione e non avevamo i soldi per recarvisi.
Nel febbraio del 2006 ci recammo per la prima volta in una Questura a chiedere una mano. Eravamo allora in una regione del Nord[95] fuori Veneto. Trovammo di piantone un poliziotto delle nostre parti che, preoccupato di quanto gli avevamo fatto vedere, ci fece parlare subito con i quartieri alti. Lì nacque la prima disputa tra due agenti di grado elevato. Non si sapeva esattamente cosa fare, si erano trovati in mano una carta di una delle Procure più importanti d’Italia, la quale dichiarava che i nostri esposti risultavano sottratti[96]. Avevano potuto leggere qualche esposto, vedere le ricevute, gli avvisi di ricevimento delle lettere raccomandate, e constatare che quanto successo era molto grave. Insomma consegnammo nelle loro mani i documenti che, a detta del magistrato, non erano mai pervenuti e le prove del deposito e/o spedizione di tali documenti, ovvero le prove della sottrazione dei nostri esposti in capo alla Procura-Uno[97]!
Consegnammo anche i fax che avevamo spedito al magistrato in novembre e dicembre.
febbraio del 2006 fu la prima volta in cui consegnammo le prove dei
reati compiuti all’interno della Procura[98], mostrando, alla Polizia di stato, la gravità
della situazione nella quale eravamo immersi[99].
Gli agenti si erano accordati per farci fare un nuovo deposito di una copia di tutti gli atti, compresi quelli che erano stati sottratti. Il più alto in carica, individuando un problema di base alla vicenda molto grosso, non voleva esserne implicato: diede disposizioni che tale denuncia non fosse scritta in quell’ufficio. L’altro agente si decise di scriverla egli stesso, nonostante il parere contrario del collega.
Chiedemmo agli agenti che intervenissero in nostro aiuto anche per gli aspetti correlati alla vicenda, e che non ci lasciassero da soli. Nel paese in riva al lago eravamo immersi in un clima di completa ostilità. I carabinieri del luogo avevano già informato i sindaci della zona della nostra situazione, dipingendoci in maniera assolutamente negativa, oscurando i reali problemi accadutici[100].
I carabinieri seguivano le indicazioni dei loro colleghi del paese di nostra residenza, che avevano compiuto fatti gravi nei nostri confronti e per i quali avevamo già chiesto delle indagini, ugualmente scomparse[101].
LA POLIZIA DI QUESTA PRIMA QUESTURA AVEVA DUNQUE TUTTI GLI ELEMENTI PER POTER STABILIRE CON CERTEZZA CHE, IMPLICATE NELLA VICENDA, VI POTEVANO ESSERE DEI POTERI FORTI ED IN PARTE LE STESSE FORZE DELL’ORDINE.
Di là di ogni indagine, a noi bastava anche molto meno: potevano
portarci in qualche posto d’accoglienza ove non ci conoscevano, senza che noi
dovessimo raccontare la storia della nostra vita, e da lì provare a ripartire,
a trovare un lavoro… avendo loro come referenti ….nel caso capitasse qualche
cosa.
Dopo pochi giorni dalla denuncia fummo rimessi in strada, con tanto di borse poste al di fuori del cancello! Quindi chiedemmo informazioni alla Questura di nostra iniziativa, tramite posta elettronica, e per informarli che ci avevano messo in strada. L’agente di grado maggiore era convinto che il prete qualche lavoretto ce l’avrebbe trovato, e ci aveva consigliato di rimanere lì, sul lago. Invece, ora non ci restava neanche il posto da dormire, sorgevano due problemi:
1. dove saremmo andati a finire;
2. come farci contattare dalla Polizia per le indagini assegnatole.
La Questura rispose che gli allegati depositati insieme alla denuncia, registrati nel CDROM[102], non erano leggibili. Inoltrammo una copia per posta elettronica insieme con altri fatti, ma dopo ci fu solo silenzio da parte della Questura. Ed emigrammo in un'altra regione più lontana, sperando di fuggire una volta per tutte al potere veneto che continuava a interferire nella nostra vita.
Non sappiamo che fine abbia fatto quella denuncia di febbraio, e dove sia stata mandata. Noi non siamo mai stati contattati dalla Polizia di Stato per chiedere spiegazioni, e nemmeno abbiamo ricevuto comunicazione da un magistrato.Intuimmo però che quelle carte non ebbero l’iter che dovevano avere, semplicemente perché non ci fu nessun risultato, e non ci risultarono pervenute dove avrebbero dovuto.
La Polizia non si era scontrata solo con i problemi avvenuti nella nota procura e antecedenti, ma si trovò ad affrontare anche un problema nato in casa sua, nel territorio di sua giurisdizione, dove più di un’istituzione non si era comportata come era lecito aspettarsi. Blocchi composti da carabinieri, sindaci ed alcuni pezzi importanti del potere locale, blocchi che non si spaccarono né si sciolsero…, e la Polizia, già frammentata al suo interno, possedeva una determinazione o volontà non sufficienti per smontare questi blocchi. Era preferibile tralasciare la nostra pratica[103].
Le prime azioni, o meglio, le NON AZIONI della Polizia di Stato influirono su quelle successive della Polizia di altri luoghi. Se il poliziotto che ci aveva condotto ai piani alti ci era sembrato una persona integra e con piena fiducia nei suoi superiori, i suoi superiori non ci diedero molta fiducia, sia per il dissidio manifestato in nostra presenza, sia per le onorificenze attaccate al muro, molte delle quali provenivano dal Veneto. Di là delle impressioni, speravamo veramente che la Polizia di Stato intervenisse allora con un’ indagine seria per ristabilire la verità di quanto accaduto. Questa speranza la mantenemmo fino a settembre 2006, quando accantonatala, ci immettemmo in una nuova strada e ci rivolgemmo alla Polizia della Procura del Sud, come narrato nel punto successivo.
La “colpa” dell’agente della Polizia che prese in carico la nostra
denuncia di febbraio è di non avere fatto quello che poteva fare. Questa
omissione è altrettanto grave quanto un reato.
Inoltre:
1. ci lasciò in pericolo di vita;
2. fece passare del tempo che permise a chi aveva sottratto la documentazione in procura di continuare su quella strada, incluso il mancato ricorso in cassazione.
3. non stroncò sul nascere tutti quei reati di cui potevamo essere accusati, come l’auto della società, le implicazioni relative all’abbandono forzato della nostra casa e della nostra azienda…….
4. non attivando una inchiesta seria automaticamente fece passare la nostra denuncia per baggianata e inconsistente.
5. introdusse nella rete della polizia informazioni a nostro riguardo che determinarono l’insuccesso delle indagini successive.
È come se la Polizia avesse trovato delle persone ferite per la strada, per un incidente, e fosse passata oltre: è omissione di soccorso. Se poi le ferite sono gravi possono condurre a conseguenze non risolvibili.
In Veneto fummo costretti ad abbandonare TUTTO[104] ancora in giugno 2005, speravamo di tornare presto grazie all’intervento di qualche autorità, che avesse preso in mano la situazione nel frattempo. In febbraio 2006, recatici dalla Polizia, avevamo ancora la piccola speranza che questa intervenisse, e che potesse far da intermediaria con il comune e le autorità locali per poter tornare a casa[105], con le spalle coperte. [106]. Avevamo chiesto alla Questura di verificare il comportamento del Comune di residenza per le omissioni di aiuto, fornendo a corredo il carteggio delle comunicazioni avvenuto con questo. Il comune non intendeva aiutarci: aveva già deciso in tal senso, e sosteneva di essere ben informato sul nostro conto; forse per prenderci in giro, o prendere tempo, il comune ci chiese di fornire il calcolo dell’ISEE, senza il quale era impossibile qualunque aiuto[107]. Vivevamo ancora in tenda, sul lago, non avevamo i soldi per l’ISEE, ma grazie all’intervento di un sindacalista trovammo un centro abilitato in cui spiegammo la situazione e non ci fecero pagare nulla. Viste le condizioni il sindacalista ci offrì il pranzo a casa sua, poi ci riaccompagnò alla tenda. Spedimmo un fax con la richiesta d’intervento e l’ISEE, ma non ottenemmo alcuna risposta, neanche scritta.Poi facemmo scrivere al Comune tramite un Sindaco di un paese sul lago, senza buoni risultati.
Dal Sindaco di un altro paese, in modo informale, apprendemmo che il nostro comune considerava troppo basso e falsato quel valore ISEE, perciò, oltre a non aiutarci, aveva inoltrato il tutto alla Guardia di Finanza[108].
Detto questo
speravamo che la prima Questura intervenisse presso il Comune per spiegare la nostra situazione, ed in qualche modo richiamarli al loro dovere, per aiutarci a trovare un lavoro e tenerci l’abitazione: con l’appoggio della Polizia potevamo anche tornare a casa. Se a noi il Comune non credeva, non poteva ignorare anche la Polizia di Stato.
Invece non fecero nulla: perdemmo anche la casa e non ci fu possibile in nessuna maniera intervenire nelle situazione pendenti!!
La prima Questura aveva le maggiori possibilità per stroncare questa catena di eventi delittuosi, di scomparsa di carte e di minacce, di accuse e di povertà: non lo fece. Anzi, la sua non azione influenzò altre istituzioni, comuni, la Chiesa Cattolica ed ovviamente parte della Polizia intervenuta dopo, che tentò di coprire gli errori e le omissioni di questa “Prima Questura”, scaricando tutte le colpe sulle nostre persone.
In qualche maniera dunque questa “prima” Polizia divenne come i carabinieri di residenza e quelli del lago. Favorirono cioè il potere veneto[109] .
In settembre 2006, vista la mancata attivazione della Polizia a seguito della denuncia di febbraio, andammo in una Procura del Sud Italia per consegnare una nuova denuncia, ritenendo che le indagini qui si potessero agganciare ad un filone di un altro procedimento già in corso, del quale eravamo venuti a conoscenza tramite i giornali.
La Polizia presente all’ufficio denunce, una volta analizzato il nostro materiale, lo fece vedere subito al magistrato di turno. La Polizia ci disse che era informata su casi simili al nostro, capitati proprio in quella Procura e ci fece coraggio. La nuova denuncia in accordo con il magistrato fu acquisita d’urgenza, assegnata immediatamente ad un procuratore dell’Antimafia. La Polizia si assicurò che fossimo reperibili nel caso ce ne fosse stato bisogno, perché in questi casi, ci disse, si interviene organizzando un blitz con forze dell’ordine esterne alla Procura incriminata. La Polizia ci fece nuovamente coraggio.
Data la gravità della situazione sembrava che saremmo stati ricontattati urgentemente, ma passarono due o tre settimane nel silenzio. La terza ritornammo a chiedere informazioni nella lontana Procura. Nel salire nell’ascensore per andare a parlare con il magistrato, un individuo che non conoscevamo affatto ci disse che “l’acqua della laguna era arrivata fino a là” intendendo dire fino negli uffici della Procura. Subito non ci facemmo caso, ma dopo scoprimmo che l’indagine era stata trasferita ancora prima di essere attivata. Interpretammo la frase: il potere di Venezia era arrivato in questa Procura e ne aveva determinato in qualche maniera il trasferimento, con relativa morte della pratica. L’egregio lavoro fatto inizialmente da magistrato di turno e Polizia fu rovinato da quelli che la presero in carico.
Come descritto nel punto precedente, il procedimento fu trasferito ancora prima di iniziare l’indagine.
Il procedimento fu trasferito dalla Procura del Sud alla Procura che per legge se ne doveva occupare, in altre parole la Procura controllante, da noi denominata “Seconda Procura” o “Procura-Due”. In Italia quando vi sono dei problemi relativi a magistrati o giudici occorre segnalare il problema alla Procura controllante. Ogni Procura ha il suo controllore, che è a sua volta un’altra Procura.
Una volta trasferita, l’indagine il magistrato del Sud ci invitò a chiedere un colloquio d’urgenza con il nuovo magistrato e ci consigliò di far mettere tutto a verbale. La Procura controllante non si attivò come quella del Sud. Il procedimento fu trasferito ad un magistrato ordinario che si rifiutò, per iscritto, di darci colloquio. Il magistrato lasciò le indagini in “gestione” alla Polizia Giudiziaria locale, indicataci dallo stesso come Polizia di Stato, e ci invitò a rivolgerci ad essa.
Noi insistemmo a parlare direttamente con il magistrato, ma ci fu mai permesso e non ci fu nemmeno permesso di entrare in Procura negli uffici della segreteria del magistrato. In novembre, il capo delle segreterie non riuscendo a capire l’atteggiamento del magistrato nei nostri confronti, suppose che era dovuto al fatto che l’uomo di legge avesse già passato tutto l’incartamento alla Polizia Giudiziaria (PS), e non avendo più nulla in mano non potesse affrontare un colloquio, perché ovviamente non avrebbe saputo cosa risponderci. Adducendo ciò, il capo delle segreterie ci fece depositare nuovamente tutto l’incartamento, e congiuntamente ci fece apporre una nuova lettera di richiesta di colloquio. L’operazione non diede risultati perché il magistrato ugualmente non volle incontrarci e fissarci colloquio.
Scopriremo per telefono, dall’impiegata della segreteria del magistrato, che le indagini relative furono affidate alla Polizia Giudiziaria della Procura Controllata, ovvero furono affidate alla PG di quella Procura che risultava sotto inchiesta. L’impiegata ci disse che stavano aspettando i risultati dell’indagine da tale PG. Noi rimanemmo sbigottiti perché la Polizia della Procura del Sud ci aveva informato che in casi come il nostro le indagini dovevano essere eseguite da PG esterna, una sorta di blitz, per evitare collusioni. Pur non essendo di mestiere, ci lasciava molto perplessi la serietà di un’indagine eseguita internamente, per due motivi:
1. prima di tutto perché tali forze erano già state sollecitate a intervenire e le loro indagini a loro tempo non avevano dato nessun risultato (il 22 giugno in cui non si era verificato reato)
2. una cosa tal siffatta ci sembrava così inopportuna tanto quanto lasciar eseguire le indagini da un imputato o dai suoi parenti…
Questa informazione ci rese molto perplessi sull’agire di questa Polizia: avevamo qualche altro brutto presentimento che fu confermato da un altro fatto successivo: in novembre 2006 la stessa impiegata della segreteria del magistrato ci invitò a formulare domanda di protezione. Inoltrammo la domanda il giorno stesso tramite fax. Solo il 23 di maggio dell’anno dopo sapremo, tramite un’altra comunicazione, l’iter compiuto da tale domanda. Il nostro fax ricevuto dal magistrato fu inoltrato alla Polizia di Stato (locale) la quale la inviò ai carabinieri di residenza i quali la delegarono alla Polizia competente. La Polizia locale, nell’inviare la delega ai carabinieri di residenza aveva commesso una grave incongruenza perché questi carabinieri erano parte indagata nel procedimento.
La leggerezza di quest’operazione confermò le nostre perplessità sull’agire di questa Polizia. Sorgeva una domanda lecita: avevano letto il nostro incartamento o si erano basati per le indagini a quanto già era stato decretato sul nostro conto dalle reti venete?
Noi non entrammo mai in contatto di persona o telefonicamente con questa Polizia della Procura controllante per vari motivi:
1. Volevamo avere un colloquio con il magistrato in modo che le informazioni acquisite dallo stesso avvenissero direttamente e non tramite intermediari.
2. Temevamo che il comportamento della Polizia di Stato della Questura-Uno potesse compromettere dialogo e indagini anche di questa.
3. Rimanemmo senza un tetto e dovemmo spostarci dalla zona, e di conseguenza ci rivolgemmo ad altre autorità.
Il problema della povertà ci portò a lasciare quei luoghi senza mai che entrassimo in contatto con questa Polizia: ci rivolgemmo alla Polizia della Questura della città ove trovammo ospitalità in casa di accoglienza, tema dell’articolato prossimo punto.
La “battaglia” nella seconda Questura coinvolse giornali, TV, comune, l’organismo della Chiesa che si occupa di aiutare i bisognosi e la “Seconda” e “Terza” Procura. La battaglia ebbe il centro in Questura. L’importanza di quanto accaduto merita un racconto dettagliato dei fatti in modo da poter delineare gli errori manifestatasi all’interno della Polizia di Stato.
Entrammo per la prima volta in questa “Seconda Questura” un anno dopo della “Prima”.
I fatti narrati in questa parte si svolsero nel periodo che va dal 27 dicembre 2006 al 17 marzo 2008. Durante tale periodo vivevamo nella cosiddetta “seconda regione” della quale abbiamo già parlato in “Marzo 2006-Marzo 2008: la seconda regione” a pagina 2.Gli effetti di quello che accadde in quel periodo sono ancora attivi nella Polizia.
Siamo arrivati in città, alcuni giorni dopo Natale, spediti da un’altra casa di accoglienza dove eravamo alloggiati, mentre avevamo incontrato i carabinieri che nel dicembre 2006 ci aiutarono a riscrivere molti fatti che ci riguardavano[110].I nostri esposti principali avevano già girato tre Procure della Repubblica e toccato altre due. Ora l’intero procedimento si trovava nel capoluogo di questa regione, a circa un’ora di treno da questa città, nella Procura denominata “seconda”[111]. Il procedimento era alquanto complesso e delicato, si era allargato e riguardava tra le altre cose, come parti indagate, i carabinieri di residenza, quelli del lago ed alcuni magistrati.
In questa città vivevamo separati su una casa d’accoglienza femminile e una maschile. Nella casa femminile vi erano prostitute e badanti per lo più romene, in quella maschile molti immigrati stranieri, e molti agli arresti domiciliari. La casa femminile era gestita da una coppia italiana dichiaratesi marito e moglie, che chiameremo signori Pisello, quella maschile da due uomini. Entrambe le case dipendevano da un responsabile che chiameremo “Alfa”, e facevano capo ad una associazione della Chiesa con particolari contratti anche con il Comune: le strutture erano dunque una casa di accoglienza a disposizione dei bisogni della Chiesa e del Comune.
Presidente di tale associazione era una persona già con precedenti incarichi di gestione dei beni del Clero. Direttore dell’organismo della Chiesa divenne, dopo il nostro arrivo, un veneto. Le decisioni più importanti venivano prese dunque dal Direttore e dal Presidente degli organismi suddetti, quest’ultimo ricopriva anche la carica di vice-direttore della struttura ecclesiale.
La casa maschile, utilizzabile nei giorni feriali dalle 16.00 alle 8.00 e nei giorni festivi senza limite di orario, era dotata di alcune stanze da letto, di una sala comune con la tv e di una cucina. Alle donne invece era assegnata un chiave, e potevano usufruire della struttura anche durante il giorno, con il limite di entrata serale entro una determinata ora.Oltre a queste due case esistevano nelle adiacenze della casa femminile alcuni appartamenti dati a famiglie bisognose che abitavano lì da alcuni anni: erano i posti adibiti per le famiglie.
Ci dissero che la casa accoglieva i “casi più disperati”. Ci fu detto che la casa ospitava anche donne sotto protezione e prostitute. Speravamo di uscire il prima possibile da lì, l’ambiente era molto degradante, ma non vi erano altre soluzioni. Avevamo ancora qualche speranza: chi ci aveva inviato qui non si era allineato con le idee diffamatorie entrate nel circuito della Chiesa di questa regione[112], diffamazione promossa dal potere veneto con l’obiettivo di stroncare qualsiasi azione di solidarietà nei nostri confronti..
Purtroppo gli operatori della casa di accoglienza femminile, i Pisello, si erano dichiarati fin dal nostro arrivo tanti amici di una persona che ci aveva già fatto guerra. Il direttore divenne dopo il nostro arrivo un veneto, dichiaratosi tanto amico dello stesso prete veneto che ci aveva dato battaglia negli altri luoghi della medesima regione,… Il resto viene da sé………
La situazione era alquanto delicata, vivevamo in territorio prevalentemente ostile ma avevamo dalla nostra parte il buon lavoro fatto dai carabinieri pochi giorni prima, riassunto in un verbale che denotava ampiamente i problemi di fondo e il deposito di elementi e prove che confermavano quanto vi era ivi scritto.
A pochi giorni dall’arrivo fummo coinvolti in un fatto che segnò tutta l’epoca successiva della nostra permanenza. Un’ospite della casa femminile tornò di notte, nuda e piena di lividi. Il giorno dopo era l’ultimo dell’anno, gli operatori partirono per un giorno di ferie e ci lasciarono da soli. La donna, ubriacatasi con del liquore fornitole sotto banco da degli ospiti, raccontò un po’ del suo fare la prostituta, di come anni prima frequentava gente importante con molti soldi, che molti dei suoi uomini erano spacciatori …
Noi fummo così coinvolti in questa triste vicenda, pur non venendo a sapere nulla di nuovo, ossia nulla che non si potesse immaginare. Notammo che il compagno di tale prostituta, i giorni seguenti, tentava di capire chi fosse presente all’interno della casa e chi dunque potesse aver visto e sentito. In teoria quel luogo doveva rimanere segreto e quell’uomo non doveva nemmeno avvicinarsi lì, ma la prostituta evidentemente gli aveva segnalato dove poterla trovare.
In questa maniera, senza volere, finimmo coinvolti in una storia brutta. Noi eravamo diventati dei testimoni di quanto era accaduto, e del fatto che gli operatori del centro non pensarono nemmeno di chiamare un medico. Per le botte poi questa donna, incinta, perderà il figlio.
Ricordiamo che i Pisello erano responsabili della casa, sopra di loro vi era il responsabile “Alfa” il quale aveva come superiori il Presidente e il Direttore.
Sebbene coinvolti nel fatto pericoloso menzionato nel punto precedente, speravamo di uscire il prima possibile da quell’ambiente. Nutrivamo la speranza in una pratica aperta in un comune a metà dicembre, che si era interessato al nostro caso. L’assistente sociale ci aveva rassicurati che anche per i non residenti era possibile intervenire, e così si era interessata a istruire una pratica, con un iter più complesso. Questo comune lavorava in accordo con la Chiesa: quest’ultima trovava una sistemazione e il comune pagava le spese. Si doveva sentire dunque anche la controparte. All’inizio di gennaio andammo a parlare direttamente con la responsabile dell’organismo della Chiesa, per capire lo stato di avanzamento della pratica, ma venimmo trattati molto male. La responsabile ci trattò da criminali, esattamente per dirlo a suo modo, da persone che non volevano tornare in Veneto perché “perseguiti a norma di legge, attendevamo che i reati, dei quali eravamo stati incriminati, cadessero in prescrizione e a tal scopo cercavamo di vivere fuori regione, a spese della Chiesa e dello Stato”. Avendo in mano il verbale dei carabinieri di dicembre, per smentire quella tesi, lo mostrammo, per far capire che si trattava di una questione di altra natura. La responsabile, di tutta risposta, guardandolo con aria di sufficienza, non lo prese nemmeno in considerazione e ci disse le testuali parole:- “Tanto archivieranno anche questo”. Il verbale era un documento “nuovo di zecca”, due o tre settimane prima: non lo lesse nemmeno, come se fosse argomento vecchio, noto, o scontato; eppure era laureata in giurisprudenza.
Era evidente che quelle informazioni, proferite dalla giovane signorina, non erano farina del suo sacco.
Qui in questo comune militava il prete veneto che ci aveva etichettato come “quelli che si fanno le ferie a spese della Chiesa” ed era facile immaginare che la “signorina” avesse attinto tanta conoscenza da questa fontana. La Chiesa dimostrò in quella occasione di saperne più di noi, di quel procedimento, difatti accadde proprio quello da essa dichiarato. Così la strada che ci era stata aperta da quel piccolo comune fu chiusa dalla controparte, la Chiesa, ed ogni speranza in merito svanì.
Torniamo ora alla questione principale.
Quando arrivammo nella casa di accoglienza, ci fu detto, dall’operatore responsabile che per noi non valeva il termine di permanenza di massimo due mesi. Dopo circa un mese e mezzo dal nostro arrivo, verso metà febbraio, i patti improvvisamente cambiarono: ci venne indicato che a fine mese dovevamo necessariamente lasciare le case di accoglienza. Scriviamo allora un fax al direttore, con l’obiettivo di chiedere un incontro per discutere di una proroga. Non riusciamo ad avere l’incontro. Il direttore viene cambiato e eletto un “veneto”[113]. Il direttore è inaccessibile, tentiamo allora di parlare con qualche altra persona, ma dalle parole del presidente dell’Associazione, capiamo che il nostro caso non gli è mai stato presentato correttamente dai nostri referenti, e notiamo, per telefono, nella stessa persona del presidente, una certa ostilità[114].
Capiamo che ci vogliono far sloggiare. Per questo ci impedivano di poter parlare con i dirigenti: ci avevano già presentato a questi in tono negativo, in modo da non ottenere proroghe o da poter raccontare direttamente cosa era accaduto nelle case.
A fine febbraio ’07, vista l’inaccessibilità della Chiesa, prendiamo la
decisione di informare della nostra situazione la Questura. Proviamo ad esporre
la situazione generale mostrando anche i vecchi esposti ed i documenti in
nostro possesso. Qui troviamo un poliziotto che ci dice sostanzialmente che con
i nostri esposti avevamo fatto il passo più lungo della gamba. Il poliziotto
con tono negativo intendeva dire che noi quella situazione ce l’avevamo voluta,
e che dunque erano problemi nostri[115]! Dunque il discorso finisce lì, senza
possibilità. Ma durante il colloquio, un suo superiore incuriosito, che passava
di lì ci chiede se possiamo tornare e ci fissa un appuntamento. L’ispettore, la
settimana dopo, preso atto che abbiamo già fatto tutti i passi di legge, ci
consiglia di provare a smuovere le acque con un articolo di giornale. Questi ci
manda da un giornalista.
Nasce un articolo sulla nostra storia che viene pubblicato sulla prima
pagina della città, all’inizio di marzo. Poliziotto e giornalista sperano in
una attivazione nei nostri confronti da parte del comune. Ma questo non
succede. Comune e Chiesa rimangono in silenzio davanti all’articolo di
giornale. La nostra storia interessa la TV, e veniamo chiamati in trasmissione
a raccontare la vicenda in diretta su RAI DUE. Il presentatore della TV fa un
appello alla regione affinché ci aiutino a risolvere i problemi di alloggio, e
soprattutto a trovare un lavoro dignitoso; tale appello viene ripetuto per due
volte. In TV ci dicono che siamo andati molto bene[116]. In trasmissione arrivano sei o sette
telefonate, ma nessuna delle offerte arrivata sarà applicabile[117]. In particolare è da far notare che non
arriverà nessuna telefonata dalla regione e dalla città ove risiedevamo, ed
interessata direttamente dall’appello del presentatore. Cosa alquanto deludente
visto che in città nove giorni prima era comparso il nostro articolo di
giornale; il giorno stesso era stato pubblicato un trafiletto sulla
partecipazione in TV[118].
Ora a questo punto abbiamo comunque dalla nostra un interesse mediatico
non indifferente, e qualcuno nella Polizia di Stato su cui contare, deterrente
che non avevamo mai avuto prima. Questo convince le strutture alte della casa
di accoglienza e della Chiesa a concederci finalmente un colloquio. Prima
dell’appuntamento però, vi è l’ennesimo problema. Si piazza davanti alla porta
il sig. Alfa, facendo una gran scenata e impedendoci di salire nell’ufficio del
direttore. Si riesce a passare solamente dopo un’ora. Cominciamo a stare
lontani dal sig. Alfa, che lo troveremo però protagonista di altre azioni.
Alla fine del colloquio Il direttore e il presidente ci concedono di
stare ancora nelle case di accoglienza. Noi speriamo di uscire il prima
possibile e che qualcuno, compreso il comune dove abitavamo, raccogliesse
l’appello lanciato in TV. Ma non sarà così, perché né il comune né la Chiesa ci
aiuteranno a trovare un lavoro e nemmeno ci metteranno nelle condizioni per
uscire da quel tipo di vita, anzi smentiranno successivamente alcune promesse.
I “coniugi” Pisello, gestori della casa femminile, nonostante le
aperture del direttore continuano a essere ostili, ed ignoreranno completamente
quanto su di noi detto da stampa e TV. Faranno finta di nulla, nessuna parola
da loro proferita sulla questione giornale e TV, eppure erano informati[119]. Loro procederanno nella loro strada,
insieme ad altri, convinti che “l’articolo di giornale ce lo siamo scritti noi”
e che abbiamo ammagliato i giornalisti della TV.
I Pisello circa venti
giorni dall’ avventura TV, vanno giù con discorsi molto pesanti. Una sorta di
violenza psicologica e morale nei nostri confronti. Ci viene raccontato che la donna che avevamo
visto arrivare pieno di lividi, a fine anno, era incinta all’epoca, e che
quelle botte le avevano fatto perdere il bambino. L’operatore ci pressava con
questa storia, raccontandoci particolari che era meglio non sapessimo; noi
avevamo già abbastanza problemi nostri per sentire pure quelli degli altri.
Avevamo pure paura di essere messi in mezzo a storie di droga e prostituzione
ed altro. Al limite della sopportazione, andammo a raccontare la sera stessa la
cosa in Questura, anche per portare quelle informazioni, che ci erano state
scaricate addosso, a chi è preposto per legge a gestirle. Un poliziotto ci disse di tornare il giorno
dopo, visto che poteva essere una cosa seria, addirittura da fare denuncia. Ma
il giorno dopo, passammo per vari uffici. Alla fine ci dissero di lasciar
perdere: era troppo pericoloso fare una denuncia. Un poliziotto ci disse di
andare via dalle case di accoglienza il prima possibile.
Torniamo in questura i giorni successivi, veniamo rimbalzati da un ufficio all’altro, fino a che troviamo qualcuno disposto ad ascoltarci. Un ispettore dell’Anticrimine capisce i termini del problema, sa che i Pisello si credono degli illuminati. L’ispettore, che li conosce di persona, definisce l’uomo un “maresciallo”, una specie di “capetto” che si presenta spesso in Questura a riferire sugli ospiti della casa di accoglienza e non mancava in tali situazioni di esprimere le sue teorie da persona laureata.
L’ispettore si propone come intermediario e ci promette di fare una telefonata per spiegare la nostra situazione ai superiori dei Pisello. Nei giorni successivi il Pisello mantiene una faccia cupa, fugge lo sguardo, ma ha un’espressione da vigliacco. Ci aspettiamo qualche nuova azione delle sue. La scopriremo alcuni giorni, dopo recandoci dai carabinieri per altre questioni. Scopriamo che l’operatore aveva deliberatamente raccontato a questi che non avevamo voglia di lavorare, e che ci rifiutavamo di fare i lavori da loro proposti[120]. Il carabiniere venuto a conoscere la nostra reale situazione, e che i fatti erano completamente diversi da quanto riferito, si prodigò con urgenza a telefonare ai superiori del Pisello. Anche questa telefonata non pose termine ai comportamenti dei signori Pisello.
Le azioni dei Pisello, definibili in varie occasioni come vera e propria diffamazione, sono alla base di quanto accaduto in questa città, in particolare della mancata attivazione di aiuti sociali consoni, e del diniego di aiuto per un’abitazione e per un lavoro. Si misero in mezzo anche a rapporti che avevamo allacciato con famiglie importanti, che potevano inserirci in una condizione di vita migliore.
Per un buon periodo riuscii a nascondere la sede del lavoro, per evitare che me lo facessero perdere: il Pisello mi seguiva con l’auto, ma scendevo prima dall’autobus, fingevo di prendere un treno, e mi arrangiavo con l’autostop o con l’aiuto di qualche conoscente. Quindi arrivarono alla conclusione che non lavoravo, e se avevo dei soldi ……beh ovvio….prostituzione no?
Il ventitre di maggio, ci venne notificato dalla Questura, tramite fax, un “qualcosa” proveniente dalla Procura che aveva in carico l’esposto proveniente dalla Procura del Sud[121]. La notifica conteneva anche copia del nostro articolo comparso nel giornale in marzo. Un ispettore ci inviò la notifica tramite due pagine di fax. Alla nostra richiesta di spiegazioni ci disse che lui stesso non riusciva a capire precisamente quella comunicazione, anche perché mancante di alcuni allegati. Probabilmente era la notifica di chiusura delle indagini, ma non ne aveva mai vista una scritta in quella maniera. Egli doveva semplicemente fare quella notifica e basta.
Noi che avessero posto un ispettore calabrese a notificarci una comunicazione quel ventitre di maggio non ci piaceva: primo per i nostri problemi con la Calabria, secondo perché, spiritualmente amici di Giovanni Falcone, avevamo imparato da questi a valutare il minimo particolare. Nel qual caso nostro, l’arrivo di una comunicazione della Procura il giorno della strage di Capaci ci sembrava più che un brutto segno[122].
Quella notifica, lo sapevamo in cuore nostro, serviva solo a stabilire il luogo ove eravamo domiciliati, infatti il magistrato precedentemente ci aveva scritto tramite fax. Ora invece sembrava aver perso il nostro numero, tanto da spedire quella notifica a mezzo mondo, compresa la Questura del posto indicato sull’articolo di giornale[123].
Il calabrese era molto interessato a conoscere aspetti particolari della nostra vicenda, ma noi li raccontammo solo a grandi linee. Il suo parere era che nessuno aveva voluto fare indagini serie sul nostro caso: un’indagine seria è fatta da intercettazioni, anche ambientali, verifiche, interrogatori…perché la gente va osservata di nascosto. Quel fax, secondo il calabrese, era una delle più squallide chiusura d’indagini che avesse mai visto nella sua carriera.
Dal fax si desumevano anche altre informazioni. Vi era scritto il giro che aveva subito la nostra richiesta di tutela formulata ancora in novembre dell’anno precedente. Gli chiedemmo come procedere per la richiesta di tutela: questa, dopo tanti giri di deleghe e subdeleghe, era finita “alla polizia competente”. Chi è la polizia competente? Il calabrese non seppe risponderci, ma ci consigliò di rivolgerci ad altri colleghi più adatti, esempio alcune persone della Criminalpool di Roma (pronunciò la sigla di alcuni organismi che non conosciamo, tipo la sco).
Dopo poco tempo ritrovammo il calabrese per pura fatalità: nei nostri confronti aveva cambiato atteggiamento, era ostile. Lo incontrammo ancora verso dicembre, mentre tentavamo di parlare con una donna poliziotto che si faceva negare. Ce lo mandarono al posto di questa, con nostra sorpresa: ma con lui non potevamo parlare, non sapeva nulla di quanto da noi scritto in Questura nei mesi precedenti. Si veda in questo stesso capitolo “La Questura come la Procura-Due” a pagina 2.
Fino a luglio ’07 i rapporti con la Questura da parte nostra furono solamente verbali. In seguito mandammo degli esposti. L’evento scatenante delle richiesta di aiuto alla Questura in forma scritta stava nello sfratto[124] impostoci dalla casa di accoglienza, unita alle minacce in luglio del loro buttafuori Alfa, che a detta sua, per lo scopo si sarebbe avvalso della Polizia.
Tornando al mese di marzo, allora per evitare lo sfratto eravamo ricorsi al giornale, e poi in televisione: solo dopo l’associazione ci permise un colloquio. Durante quel colloquio il direttore era quasi offeso: la Chiesa non aveva mai sfrattato nessuno, perché mai eravamo andati dai giornali a scrivere questo? Spiegammo che la nostra era solo una richiesta d’aiuto: allora ci promise che ci avrebbe aiutato a trovare un appartamento in affitto, a versare una caparra, poi con il tempo avremo restituito tutto. Circa un mese dopo il direttore non solo non manterrà alcuna promessa ma invierà una raccomandata contenete uno sfratto vero e proprio, per farci lasciare il letto che avevamo in uso nelle rispettive case d’accoglienza. Forse non voleva fare brutta figura con i media, ed aspettava che si smorzasse il tutto. Non avevamo ancora ritirato la raccomandata, chiedendoci chi diavolo ci cercasse a quell’indirizzo.
Tuttavia la Chiesa era convinta che fossimo in possesso della comunicazione. E ci mandò il loro responsabile “buttafuori” albanese, il signor Alfa. Il signor Alfa —che era già stato protagonista dell’episodio in cui ci bloccò l’accesso alla porta del direttore negando che avevamo un appuntamento e inveendo anche contro un suo collega— ci rincorse per la strada: se non fossimo usciti dalla casa entro pochi giorni, ci avrebbe fatto sbattere fuori dalla Polizia, e la minaccia non era per nulla campata in aria.
Dopo l’invio dell’esposto le cose si calmarono per qualche tempo per poi degenerare completamente.
Dopo il primo esposto di luglio, ne inviammo uno il 27 settembre ’07, nel quale tenteremo di spiegare la nostra situazione e i motivi per i quali insistiamo a chiedere aiuto alla Polizia. Seguirà un altro fax in ottobre. La Polizia non dà alcun segnale di voler entrare in contatto con noi. È vero che la Chiesa non ci ha fatto sbattere fuori dalla Polizia, ma sono sempre lì pronti ad attaccarsi al minimo pretesto. La Chiesa non aspetta altro che mandarci via, i nostri problemi[125].non la riguardano Noi siamo sfiniti e logorati e insistiamo a chiedere un aiuto alla Polizia perché si faccia da intermediario con la Chiesa, faccia comprendere loro la nostra situazione. Era impossibile per noi ragionare con il direttore perché la diffamazione nei nostri confronti che aveva raggiunto tale ente, proveniente dal Veneto, minava qualsiasi presupposto di dialogo. La Polizia però potevano ascoltarla. Va detto che la Polizia doveva anche prendersi carico della nostra situazione in generale, che non era una semplice mancanza di soldi e di casa, ma una situazione più complessa dettata da azioni criminali, che agivano nello sfondo e ci impedivano di svolgere un’esistenza normale.
Uno di noi è sfinito al punto che le difese immunitarie non riescono a bloccare più niente: febbre sopra i 38 gradi, in giro per le strade, perché la casa di accoglienza è chiusa di giorno. Ma appunto i nostri problemi non interessano a nessuno.
Fino al giorno in cui un’infezione esplode ed andiamo dalla Polizia, per dire che così non possiamo più andare avanti e chiedere che fine abbiamo fatto quei fax spediti da luglio ad ottobre.
In Questura ci dicono che i fax sono stati assegnati ad una donna, che al momento è fuori per un esame: dobbiamo tornare tra una settimana. Una settimana è un eternità con quella brutta infezione..
Allora ci parla il signor Beta, un collega della poliziotta, che sostiene di aver letto i fax.
Ci parla, o meglio ci sfotte:-“Ah, questi sono quelli che hanno paura dei carabinieri….paura dei carabinieri, che ridere, ahh ahha …”.
Parliamo dei fax, del ruolo di intermediazione richiesto loro nei confronti degli enti caritativi.
Il poliziotto Beta si arrabbia:-“Cosa volete ancora dalla Chiesa? Vi hanno offerto casa e lavoro ed ancora non vi va bene. ” Spieghiamo che non ci è stato offerto alcuna casa o lavoro.
“-Ah no?”, continua sempre più arrabbiato, “-E l’appartamento in cui vivete chi ve l’ha dato?”.
Spieghiamo che non viviamo in un appartamento, abbiamo un letto, uno nella casa d’accoglienza per le donne e l’altro dagli uomini. Ci ascolta sprezzante, ma senza tanto crederci.
Cerchiamo di spiegare che la situazione di salute grave. Uno di noi gli fa vedere i segni dell’infezione che stanno comparendo sul corpo. Non li considera e ci insulta:-“Voi non avete voglia di lavorare. Cosa fate qua, invece di essere a lavorare? Voi non fate niente dalla mattina alla sera”. Gli chiediamo coma faccia ad essere tanto sicuro di questo, visto che se ne sta chiuso in ufficio. Poi gli mostro le mani rovinate, piene di taglietti, dovute ad un acido[126]: gli chiedo di guardarle bene, perché queste sono mani rovinate dal lavoro. Le guarda, ha un attimo di ripensamento, ma poi continua per la sua strada. Comprendiamo, per sua ammissione, che queste informazioni le ha ricevute direttamente dalla Chiesa: quindi ha parlato con la Chiesa riguardo ai nostri fax, ed ha deciso che non valgono nulla[127].
L’atteggiamento dell’ispettore fu una provocazione continua ed insensata: non si fermò nemmeno di fronte all’evidenza, come la malattia: voleva solo litigare e farci arrestare, ce lo promise pure. Godeva nel torturare chi, afflitto, chiedeva aiuto a lui. O forse aveva altre mire.
Ce ne andiamo sconvolti e con il cuore a pezzi.
Passiamo prima presso un altro ufficio, dal poliziotto che ci aveva mandato dal giornalista, per dirgli che uno di noi sta molto male, non abbiamo la tessera sanitaria, e con il sistema di rintracciarti su tutto territorio nazionale in campo medico abbiamo paura di qualche brutto scherzo.
Questi ci fa coraggio, e ci manda di corsa all’ospedale, spaventato.
Nel corridoio della Questura incontriamo il signor Alfa, il buttafuori albanese, con altri poliziotti: vede che parliamo con questo ispettore, ed immaginando chissà che trame, si fa scuro in volto. Così lo indichiamo al poliziotto, come il responsabile delle case, quello che ci vuole far sbattere fuori con l’ausilio dei suoi colleghi.
Poi di corsa all’ospedale. All’ospedale, ringraziando il cielo, troviamo un poliziotto che ci aiuta ad essere inseriti con una certa privacy: gli diamo come referente il collega della Questura, ed infatti si telefonano.
L’infezione è tale da richiedere il ricovero immediato. I medici ipotizzano subito una patologia correlata all’Aids, vista la scarsa risposta immunitaria, ma non abbiamo questa malattia. Allora partono con ecografie e radiografie, senza arrivare ad una vera diagnosi: è, a detta loro, “un caso interessante”, e portano anche giovani laureati o laureandi a far pratica. In sostanza è un’infezione trascurata che l’organismo non ha saputo fronteggiare, senza che vi siano patologie tali da giustificare un simile indebolimento.
Noi invece sappiamo di essere veramente logorati, strapazzati anche dai dispiaceri, e non ci pare nulla di strano. Dopo le dimissioni dall’ospedale, continuano le cure: ci vorranno mesi prima che tutto torni integro.
Passammo vari giorni, uno ricoverato e l’altro a lavorare e tornare da solo di notte nel centro di accoglienza. Una di queste sere il buttafuori albanese il signor Alfa, furibondo per averci visto parlare con il poliziotto, immaginando chissà che dichiarazioni, pensò di tornare al contrattacco.
L’albanese in genere viaggiava su una grossa auto, guidata da un uomo, il suo autista o uomo fidato, incontrato quella volta che ci aveva rincorso per la questione della raccomandata.
Una di quelle sere, di ritorno dall’ospedale, sulla striscia bianca centrale della strada, si era piazzato l’autista dentro la solita grossa auto, con i finestrini abbassati e le luci dell’abitacolo accese.
Sembrava attendere qualcuno. Gli passai accanto, lo riconobbi ed affrettai il passo. La macchina era lì da un pezzo. Mi venne il dubbio che quel disgraziato fosse lì per aspettare me, ed iniziai ad aver paura. Attraversi la strada, e mi posi dalla parte opposta della carreggiata, in modo che, anche se si fosse messo in moto, non mi avrebbe accostato.
Dalla parte dove camminavo vi era un fosso, ed un campo di terra arata, perciò non poteva nemmeno investirmi, senza rischiare di scivolare nel fosso con l’auto. Vedo l’auto che riparte, chiude le luci ed i finestrini, e procede nella stessa mia direzione.
Il fosso termina, per lasciare posto al passaggio per le macchine agricole: cerco di correre ma l’auto sta accelerando a fondo ed ha già invaso la carreggiata opposta, proprio dove può investirmi. Vedo la mia fine, ed il mio pensiero va a chi è rimasto in ospedale, e penso “Signore, salvami”.
All’ultimo secondo l’auto sterza, e non mi investe: era stato un avvertimento.
Torno al centro di accoglienza e mi aggrappo al letto: non so se devo uscire, tornare all’ospedale o devo dormire. Sono solo terrorizzata. Fare il 113 e chiamare aiuto? Non ci penso proprio: l’albanese là aveva i suoi amici.
Ho fatto finta di niente, senza parlare con nessuno, per evitare che l’ennesimo dispiacere debilitasse chi era ammalato, che ha saputo la verità solo in seguito.
Con l’anno nuovo siamo tornati da un poliziotto, raccontandogli le disavventure con l’autista dell’albanese. Ad una procura esterna abbiamo segnalato l’evento per iscritto.
L’albanese era il responsabile delle case di accoglienza. Pensavamo che il suo agire fosse correlato ai fatti della prostituta accaduti a fine anno. Storie di prostituzione e droga. Ma noi non sapevamo nulla di tutto ciò. O forse perché questa aveva perso il figlio… La cosa più terrificante era questa: non sapevamo cosa avesse scatenato tanta rabbia e quindi non sapevamo come fermarla.
Appena tornati dall’ospedale e dopo l’agguato dell’albanese la situazione nelle case di accoglienza si fece incandescente.
La casa d’accoglienza femminile era impossibile già da mesi, alcune ospiti studiavano ogni pretesto per litigare, e i Pisello ci gongolavano. Così era meglio non essere coinvolte: varie ospiti erano già venute alle mani, senza che i Pisello avessero calmato le acque, o provveduto a spostare qualche elemento. Alla fine una nigeriana aveva picchiato, in modo serio, una napoletana: la napoletana, dopo aver sporto denuncia, si fece trovare una sistemazione più decente dal Comune e se ne andò. Altre se ne erano andate: rimaneva la nigeriana, arrabbiata e grossa . Girava spesso nuda, anche senza mutande, inutile ogni ragionamento.
Così non rimanevo in casa femminile neanche il giorno di riposo dal lavoro.
In genere per mangiare la sera utilizzavamo la cucina della casa d’accoglienza maschile, perché nei locali di cucina e sala TV poteva accedere anche le donne. Non si poteva lasciare cibo cotto o provviste perché sparivano.
Nella casa maschile, tra alti e bassi, cercavamo di andar d’accordo con tutti, ma i problemi si accentuarono con l’arrivo di alcuni individui, in particolare uno, una sorta di capo, appena uscito di prigione, con obbligo di firma quotidiano in Questura.
Aumentò il numero di arabi: si parlavano in arabo, non capivamo un accidente dei loro discorsi, ed ovviamente il capo era uno di loro. Una volta ero in auto con cittadino di quel posto, che mi stava portando al lavoro: passammo davanti ad un bar, e mi consigliò di non entrare mai in quel bar, frequentato solo da delinquenti e spacciatori. Alla porta del locale si affaccia il gruppo degli arabi, con il capo….
Questo capo poi aveva fatto “la scuola siciliana”: era vissuto qualche anno in quei posti, assumendone anche i “valori” locali. Tutti i film sulla mafia erano da guardarsi in religioso silenzio: quegli uomini, i mafiosi, erano uomini veri, ed ovviamente egli pure era un uomo vero.
Non che tutti gli arabi fossero così: ce ne era uno molto intelligente ed educato, che cercava in tutti i modi di convertirci all’islam. Era uno scambio di idee costruttivo: prese spesso le nostre difese nei confronti di quegli altri. Ma quando se ne andò, eravamo in pasto alle belve.
Dovevamo salutare, non potevamo chiedere di aprire una finestra o chiudere una finestra: là le leggi le dettavano loro e così doveva essere. Avevano inventato dei loro turni di pulizie, che non centravano con quelli del responsabile della casa, sempre più latitante e disinteressato.
Non potevo più dormire, perché russavo e davo fastidio, dovevo ascoltare musica tutta la notte, perché la loro musica era rilassante. Non andava bene nulla, nemmeno come aprivo la porta: dovevo aprirla con più gentilezza, perché la facevo cigolare troppo.
Ogni cosa banale era un pretesto per discussioni, fino a dirmi che se non mi fossi comportato come dovevo, esempio raccontare dove ero stato di giorno, mi avrebbero spaccato la testa.
Una mattina verso le sei mi sentivo male, una malattia di stagione: vomitavo ed avevo la febbre a 38. Me ne andai in bagno lasciando la porta aperta, senza accedere la luce, per non disturbare. Uno di questi mi fu addosso lanciandomi insulti, perché la porta era rimasta aperta. Mi arrabbiai, urlandogli che stavo male e la smettesse almeno per quel momento con tutte queste stronzate, ma quello non ne voleva sapere, aveva solo voglia di mettermi le mani addosso, e me le mise. Poi si calmò, forse meditando una migliore vendetta, o forse perché ero più grosso di lui. Mi trascinai alla casa d’accoglienza femminile dove trovai un po’ di aiuto.
Ci lasciarono rimanere nella casa femminile: avevano spostato la nigeriana in un'altra casa, e la denuncia della napoletana rischiava di far chiudere tutto, così non avevano più accolto nuove ospiti.
Purtroppo questi arabi ce li ritrovavamo in autobus e per la strada, ed avevamo paura: iniziarono a gironzolare attorno alla casa d’accoglienza femminile, cosa che non si era mai verificata.
In qualche modo anche la Polizia è corresponsabile di tale situazione, concentrando certe tipologie di persone pericolose. La casa di accoglienza era divenuta una polveriera. Se ne accorse più tardi anche il presidente dell’associazione. Scapparono anche dei ragazzi africani neri, sempre per minacce di morte: non erano arabi del loro circolo ed non erano usciti di galera.
Al ritorno dall’ospedale inviamo un fax alla polizia con il referto medico, per ribadire che questa vita ci sta distruggendo e per chiedere di esaminare seriamente quanto presentavamo. Visto che quei esposti inviati in Questura tramite fax erano riduttivi, presentammo un dossier di più di 60 pagine, con due di presentazione, in cui elencavamo le comunicazioni con le procure e molti aspetti giudiziari. Almeno per questo dossier speravamo in risposte consone, non con un “mettete la residenza ed arrangiatevi con il comune”e simili.
Ma non ottenemmo alcun risultato: nessuno ci chiese un colloquio.
Tornammo a chiedere un colloquio alla famosa poliziotta a cui, ci dissero, era stato assegnato il nostro caso: non c’era mai, o era occupata. Noi speravamo che ci assegnassero un appartamento che era rimasto finalmente libero in quei giorni, ma questa speranza svanì e lo stesso fu assegnato a una coppia di stranieri.
Alla fine ci ritrovammo come nella Procura-Due: non ci facevano neanche più entrare in Questura. Una volta ci spedirono fuori dalla Questura, l’ispettore calabrese completamente all’oscuro del materiale cartaceo da noi inviato ai colleghi, ma ben istruito su cosa risponderci.
Diceva un sacco di cose completamente sconclusionate, esempio che non potevamo pretendere la casa dalla Polizia: ma chi ha mai preteso questo? Ci consigliò di mettere la residenza in città, e così il Comune ci avrebbe dato tutta l’assistenza necessaria: ma dove mettevamo residenza? Nelle case d’accoglienza non è possibile.
Tuttavia qualcuno doveva averlo istruito in un certo modo: dopo la conversazione si rabbonì un poco, ma non riuscivamo a capire cosa gli avessero raccontato. Gli rammentammo la richiesta di tutela: in fondo ce l’aveva notificata egli stesso, e replicò:-“Tanto qui non vi è successo nulla di male, perciò la richiesta non serve”. Non replicammo nulla, era meglio stare zitti.
Alla fine ci disse:-“Ma ragazzi, perché volete continuare a lottare contro un muro di cemento che non cadrà mai?”. Poi non abbiamo avuto più rapporti con questa persona. Non abbiamo approfondito cosa intendesse per “muro di cemento che non cadrà mai”: era troppo sentirsi dire questo da uno che mesi prima ci voleva mandare da CriminalPool, e cose simili.
Ma cosa gli avranno fatto o raccontato per trasformarlo così?
In pratica “questa” Polizia minimizzava la nostra situazione, la etichettava come un problema di alloggio e lavoro e non voleva assolutamente entrare nel nocciolo del problema. Si rifiutava in qualsiasi maniera di fare il suo lavoro, di approfondire la questione e di discutere quanto da noi descritto nei fax. Seguiva dunque la tesi in linea con le diffamazioni, che provenivano dall’ambiente veneto oggetto di questo documento.
Il nostro dossier consegnato a fine dicembre alla Polizia sparì dal fascicolo aperto sul nostro caso. Quel dossier includeva, a differenza dei fax, precedenti un racconto dettagliato, corredato di elementi e prove. Ce ne accorgemmo direttamente tempo dopo, parlando con un commissario, come riportato di seguito.Quel dossier non fu da noi più replicato: ne furono creati di simili, ma non di identici. Questo perché ritenemmo opportuno tenere la copia “unica” consegnata a questa Polizia.
Il 18 di gennaio ’08 segnalavamo alla Questura, tramite fax, gli atti di bullismo da noi subiti in casa di accoglienza. Per evitare che la comunicazione venga semplicemente aggiunta alle altre precedenti, evitiamo ogni riferimento a precedenti comunicazioni. Il fax venne assegnato alla squadra mobile, diversamente dagli altri, che erano andati all'anticrimine. E’ la prima volta che la Polizia ci convoca per un nostro esposto. Il commissario instaura un rapporto “confidenziale”, con toni tipo “-Salve ragazzi… ma entrate, che fate sulla porta…..si, vi ho convocato io, non abbiate timore…. accomodatevi pure”.
Il commissario ci convoca per sapere se intendiamo fare denuncia o querela dei fatti indicati nell'esposto. Parliamo un po’ di noi, del perché siamo in casa d’accoglienza, di cose anche non pertinenti, ed ogni tanto il poliziotto se ne esce con qualche sparata, tipo “-Ma si, in fondo bisogna divertirsi in questa vita. Anche se uno usa un po’ di droga, qualche spinello, in una festa, non c’è nulla di male”. Ci guardiamo sconvolti, lo guardiamo sconvolti: noi alle feste con gli spinelli non ci siamo abituati, né ora né in passato, ci siamo sempre divertiti lo stesso, senza doverci rimbambire.
Il commissario corregge il tiro: ma che gli hanno raccontato a questo per indurlo a dire queste fesserie? Poi ci mettiamo a parlare della Lega, il partito politico, dell’immigrazione ed appunto di questi atti di bullismo, ad opera di cittadini stranieri. Insomma si parla a tutto campo.
Gli raccontiamo anche altre cose gravi, non presentate nel fax, gli spieghiamo cosa ci era successo in Veneto, e temiamo correlazioni. “-Ma ragazzi”, continua, con un tono tranquillo, -“Chi volete che vi faccia tutto questo male? Sono per forza fenomeni indipendenti. Che segreti potete avere voi? Volete far cascare il Governo?”. Ci mettiamo a ridere e rispondiamo, scherzando:-“No, il Governo è già caduto” (era appena caduto).
Il commissario è curioso, ma non sa tanto della nostra storia. Notiamo che ha in mano il nostro fascicolo, all'interno vi sono tutti i fax che abbiamo inviato eccetto il dossier di 65 pagine, consegnato diversamente dagli altri, a mano in data 28 dicembre ‘07. Si è certamente letto qualche fax, ma mancando del dossier rimane con l'idea di fondo che gli proviene da qualche discorso dei suoi colleghi. E' convinto che i nostri problemi siano fittizi e i nostri fax storielle di gente fumata, visionaria o non del tutto a posto con le rotelle.
Chiediamo al commissario:-"Perché per questo esposto ci avete chiamato e per gli altri precedenti no?". Ci risponde che ogni ispettore decide cosa fare: per il documento assegnatogli aveva deciso di interpellarci. Come mai per gli altri fax non ci hanno chiamato? Risponde:-“Perché i colleghi le hanno ritenute autentiche stronzate”.
Bene, a questo punto chiediamo come mai nel fascicolo siano presenti le “stronzate”, ma manchi il dossier di 65 pagine più le due di presentazione. Non sa risponderci in maniera esaustiva: -"Probabilmente ha preso un altra strada" ci dice. Notiamo che è comunque curioso, anche innervosito: era convinto che fosse tutto lì, e si stava certamente chiedendo cosa vi fosse in quel documento di 65 pagine più 2 pagine di presentazione. Gli mostriamo pure il timbro della Questura che ci è stato apposto sulla copia consegnata, perciò non gli stavamo raccontando storie.
Per fargli capire che la cosa è più seria gli mostriamo la dichiarazione del magistrato che "attestava" la scomparsa dei nostri esposti in una delle principali Procure italiane, tanto per dargli un'idea che il problema di base è di ben altra natura. Letta la carta del magistrato anche questo ispettore inizia a confondersi.
Alla fine ci ha invitato a firmare una dichiarazione che non intendevamo procedere con la querela per i fatti descritti nell'esposto del 18 Gennaio, poiché vivevamo in un altro luogo, diverso da quello in cui si erano verificati i fatti. Abbiamo dovuto battagliare affinché in quel documento non venisse scritto il nuovo domicilio. Insomma, anche i Carabinieri in altre occasioni, ci avevano detto, di non indicare il domicilio ma di comunicarlo, per questioni di sicurezza, verbalmente a solamente a uno di loro. Il Commissario voleva scriverlo ma a noi non piace. Egli non ci ha trovato quando ci ha cercato, alla fine aveva consegnato la carta a degli stranieri e poi era arrivata a noi tramite alcuni giri di mani. Perché scrivere il nostro domicilio?
Alla fine lo convincemmo, che se serviva, eravamo rintracciabili lo stesso, e quando le Procure hanno voluto comunicarci qualcosa, lo hanno fatto tramite fax. A quel punto il commissario sembra smarrito: la Procura ci ha scritto direttamente?
Ma gli risulta che non riescono a comunicare con noi....... Eppure i fax della Procura ce li ha in mano, scritti di proprio pugno dai magistrati.. Il commissario sembra innervosito, non tanto con noi, ma con chi gli ha riferito informazioni non esatte: è come se avesse fatto una gran brutta figura. Tutto questo casino per un obiettivo fasullo: il senso era che questo poliziotto si fosse accorto di essere coinvolto, come una stupida pedina, a sua insaputa, in giochi di potere, dei quali non comprendeva la portata, e non gradiva la cosa.
Non gradivamo la sparizione del dossier: ci recammo negli uffici di gabinetto per capire l’iter delle pagine mancanti. Cercammo di descrivere alcuni aspetti della vicenda, i contenuti del dossier: parte dell’ufficio ci guardava con sentimenti di pietà, mentre un poliziotto ci incalzava di domande fino a latrare:-“Immagino che siate seguiti da un CIM[128], no?…..ci dovete andare..”. Lasciammo perdere ogni discorso e ce ne andammo, già catalogati come matti. Ma questo tizio non ci lasciò in pace: lanciò la caccia all’uomo all’interno della Questura.
Lasciammo perdere la ricerca del dossier, tornando dal poliziotto di vecchia conoscenza, per aggiornarlo sui fatti. Di ritorno un altro poliziotto ci apostrofa:-“Ei voi, dove andate passeggiando?”. Nessuno ci aveva mai trattato così in Questura: ci viene in soccorso il poliziotto del colloquio, diretto superiore di questo:-“Questi sono stati da me”. E l’altro, imbarazzato, si scusa con noi e con il superiore.
Dopo circa un anno, ad inizio 2009, tornammo in Questura, purtroppo con la medesima giacca a vento dai colori sgargianti, e qualcuno si ricordava ancora di noi, con toni poco affettuosi.
Per fortuna anche qualcun altro si ricordava di noi, nel senso buono del termine.
La guerra iniziata nel 2006 nei centri di accoglienza ed all’interno della Chiesa, si trasferì subito dopo il nostro arrivo anche in questa città. Qui, diversamente da altri luoghi, trovammo l’appoggio di un ispettore della Polizia che ci aprì una strada nel giornale e in TV. La guerra diventò più intensa, e la parte che ci vuole far pentire di essere nati, aspettò che l’interesse mediatico sfumasse. Tornò alla carica tramite le sue pedine. Passammo a chiedere l’intervento alla Polizia tramite degli esposti, ma questa via ufficiale si mostrò meno adatta della precedente, e più soggetta a essere deviata. All’interno della polizia cominciarono a girare brutte arie, e per continuare ad ottenere l’appoggio di quei poliziotti che ci avevano aiutato dovemmo entrare quasi di nascosto, per evitare che venissero silurati. Silurato invece fu il dossier consegnato a fine dicembre, che sparì dal fascicolo tenuto a nostro riguardo. Era divenuto chiaro che la Questura rispecchiava in pieno ormai la tipica situazione italiana descritte in questo documento: quella dello Stato nello Stato. Vi erano dunque due Questure, quella ufficiale chiamata in causa dai nostri esposti, che era particolarmente soggetta alla friendship veneta e un’altra parte nascosta, meno suscettibile che essere influenzata perché non ufficiale, che ci dava una mano. Difficile però per gli “abitanti” della stessa Questura recepire questo, o farli aprire gli occhi sui loro colleghi: tentavamo solamente di tenere separate le due cose recandoci di nascosto, ad esempio, dall’ispettori che portavano avanti la nostra causa.
Purtroppo la relazione tra la Polizia “avversa” e la Polizia che gestiva il caso nella nuova Procura a cui chiedevamo intervento, la terza[129], ha influenzato negativamente anche le indagini di quest’ultima.
Un altro aspetto grave è costituito dagli appoggi dei signori Pisello e dell’albanese Alfa: la Polizia sembrava non voler centrare con questa gente e con quanto capitava nella casa d’accoglienza, in particolare quella femminile. Non solo per la vicenda della prostituta.
Quando un mattino la ragazza napoletana fu picchiata dalla nigeriana, in casa d’accoglienza, fu subito allertato il 113, ma nessuno si recò sul posto. La napoletana se la dette a gambe levate, da sola, poiché non vi erano nemmeno i coniugi Pisello: andò all’ospedale e poi presentò denuncia. Non le permisero nemmeno di denunciare i Pisello o i superiori, che avevano lasciato la casa incustodita, in preda alle barbarie di quella donna, che già aveva picchiato altra gente, come noto alla Polizia. Denunciò solo la nigeriana, una ex maitresse, quelle che tengono sotto ricatto le giovani prostitute con i riti wodoo, secondo quanto raccontato dai Pisello.
La napoletana era sconvolta: aveva vissuto nei quartieri più degradati di Napoli, era una donna battagliera e certo non paurosa, ma un simile comportamento nella Polizia non le era mai capitato.
Prima di procedere consigliamo di dare un’occhiata allo schema di pagina 2 riportato in fondo di questo capitolo per inquadrare cronologicamente questo ulteriore passo.
In Marzo 2007 chiedemmo intervento alla Procura controllante della secondo Procura, per “lesione del diritto della difesa” compiuta dal magistrato. L’esposto conteneva anche la copia di un articolo di giornale che riguardava la nostra vicenda. Il magistrato della terza Procura intervenne velocemente chiedendo informazioni alla Procura-Due sul procedimento in corso. Le indagini anche in questa Procura vennero affidate alla Polizia di Stato[130]. Non entrammo mai in contatto diretto con questa Polizia, la citiamo solo per il ruolo che ha avuto nelle presunte indagini. In tal periodo noi ci rivolgevamo alla Polizia della seconda Questura ed è probabile che le varie Polizie si siano parlate, ma mai nessuna domanda ci fu fatta in proposito dell’esposto.
Nel 2008, spostatici in una nuova zona, la “terza regione”[131], anche qui ci prodigammo a mantenere contatti con la Questura. Spedimmo un fax a metà aprile. Vari giorni dopo, recandoci in Questura per un colloquio scoprimmo che tale fax non si trovava. Uscì in quel momento il capo di gabinetto che, incuriosito si mise a leggere le pagine, e confermò che tale fax non l’aveva visto, mentre noi esibivamo la ricevuta di corretto invio. La Polizia aveva trovato nel registro l’indicazione dell’arrivo del fax, ma le pagine non si trovavano più: seguì una ricerca nei vari uffici che diede esito negativo. Non spiegammo che a noi tali cose “eravamo abituati”, era troppo caricare un rapporto con questi presupposti fin dall’inizio, anche perché il responsabile di gabinetto era veramente preoccupato.
Quelle poche pagine scritte, simili a certi versi a quelle che avevamo mandato alla seconda Questura, ebbero un esito diverso del precedente. Mentre nella seconda Questura la Polizia aveva ignorato tali pagine giudicandole delle baggianate, qui si attivarono subito dei dirigenti per un colloquio e ad acquisire dell’altro materiale, per aprire subito un’indagine.
In maggio 2008, cercammo di arginare una volta per tutte i problemi della diffamazione entrata nella rete della Chiesa, che aveva investito tutte le regioni ove ci eravamo recati e pure gli ambienti della Polizia. Tanto da spingerci nell’epicentro del fenomeno, ovvero nel paese ove nel 2006 eravamo entrati per la prima volta in assoluto in una struttura di accoglienza della Chiesa. In pratica nel 2006 eravamo arrivati in questo paese, poi ci spostammo in un'altra città della stessa regione (quella della seconda Questura), poi in un’altra regione, e poi ritornammo al punto iniziale. Il paese è situato in provincia della “Procura-Due”, quella dove il magistrato si rifiutò di concederci colloquio.
Ci recammo al commissariato di quel paese chiedendo, alla polizia un ruolo di intermediazione con l’organismo della Chiesa, presentando anche uno scritto di tre pagine. La polizia non trattenne il documento. Il colloquio si fece su toni alti e polemici. La Polizia telefonò al direttore: questi era stato informato la sera prima del nostro arrivo in città, e al telefono raccontò che si era già prodigato nel contattare la Questura veneta ove eravamo nati, presso la quale lo assicurarono che non correvamo alcun pericolo nel tornare in Veneto. Aveva poi contattato la chiesa veneta, in cui si dicevano disposti ad accoglierci e ci attendeva dunque per farci il biglietto del treno per il capoluogo di nascita, in pasto ai parenti. Insomma non eravamo graditi in quel luogo e si erano attivati da subito per farci i bagagli.
La polizia, sempre per telefono, lodò il direttore, per le “premure” nei nostri confronti, apostrofandoci con vari termini: se non fossimo tornati in Veneto eravamo “veramente scellerati ed in malafede”, ci dissero. La Polizia era molto scettica sul fatto che fossimo ricorsi più volte alla magistratura e alle forze dell’ordine. La Polizia era dell’opinione che andassimo a presentare dei foglietti, qua e là in giro per l’Italia, che chiamavamo esposti, e che con tali foglietti tentavamo di giustificare la nostra condotta. La Polizia stessa ci invitò a depositare tutto il materiale presso la loro sede, così avrebbero visto finalmente se questi esposti e/o denunce esistevano davvero, e se le nostre affermazioni, fatte anche al direttore, fossero consistenti[132].
Non avevamo affatto l’intenzione di depositare il materiale da loro, non ci sembrava opportuno svelare quelle carte. Mostrammo però un documento che ci era stato spedito da un magistrato e un articolo di giornale[133] sulla nostra vicenda.
Rimasero completamente stupiti, ma non cambiarono la loro opinione. A loro sembrava impossibile che un magistrato ci avesse scritto, tanto che al solo accenno del fatto, diventarono irascibili, pensando che li prendessimo in giro. Nemmeno dopo aver visto il documento si calmarono del tutto: sembrava loro così impossibile da indurli a chiamare subito il magistrato, probabilmente per verificare la veridicità del fax[134].
Anche l’articolo di giornale che parlava del nostro caso destò stupore, e la Polizia ci apostrofò nuovamente:-“Ecco un articolo che riguarda la vostra scomparsa, abbiamo ragione noi”. Ma noi non eravamo mai scomparsi, e mostrammo come esempio lo stesso articolo, attestante dove ci trovavamo, oltre ad una richiesta d’interessamento. Anche questo denotava come la Polizia avesse idee già definite sulla nostra vicenda. Non riuscimmo a trovare dialogo costruttivo, probabilmente perché le comunicazioni ricevute dalla Polizia avevano creato pregiudizi che minavano qualsiasi altro ragionamento. Ma da dove arrivavano quelle idee della Polizia? Alcune dalla Chiesa….
La situazione qui delineata ci fece capire con rammarico che in quel luogo non saremmo mai stati tutelati dalle forze dell’ordine.
Non siamo ritornati in Veneto: tra l’altro non eravamo nemmeno più residenti nel luogo di nascita. Il direttore aveva deciso che dovevamo tornare a in Veneto ancora nel 2006 quando ci sbatte in strada, e così doveva essere ancora due anni dopo nel 2008. Inutile sottolineare che la nostra volontà e le nostre richieste non contavano nulla. E’ chiaro perché nonostante l’interesse mediatico di stampa e TV non si mosse nulla in questa seconda regione a nostro favore: era già stato tutto deciso dagli ambienti veneti.
Ma chi aveva dato quelle direttive per noi? La Polizia di quel luogo ci disse che molto probabilmente il direttore aveva avuto disposizioni dall’alto, e si comportava di conseguenza. Noi scherzammo dicendo :-“Da chi? Dal Papa?”. La Polizia comunque in quel frangente molto probabilmente aveva ragione. Qualcuno più in alto doveva dare delle disposizioni. Chi?
Sopra al Vescovo ci poteva essere un Cardinale. Qui entriamo in aspetti ancora più inquietanti che sono trattati negli ultimi capitoli, come ad esempio il caso dello SMOM.
In novembre 2009 scrivemmo un lungo e dettagliato documento alla Questura di residenza. Il documento aveva l’obiettivo di rendere note le nostre posizioni.
Presentiamo lo schema riassuntivo del viaggio compiuto all’interno della Polizia di Stato oggetto di questo capitolo[135].
1. La prima ad essere interessata fu la Polizia di Stato locale della Procura-Uno, interessata tramite l’invio degli esposti, di fax e posta elettronica ad iniziare da Novembre 2004.Non abbiamo mai avuto contatti diretti, la citiamo solo per il ruolo che ha avuto nelle indagini organizzate in capo alla Procura-Uno, argomento già trattato nel capitolo “Una questione di giustizia”.
2. Il primo Commissariato di Polizia, al quale ci siamo recati nel febbraio del 2006.
3. Prima Questura, recatici in febbraio 2006.
4. La Polizia locale della Procura del Sud, recatici in settembre 2006.
5. La Polizia locale della Procura controllante (Procura-Due), alle quale vennero affidate le indagini a partire da ottobre 2006.
6. La seconda Questura, febbraio 2007
7. La Polizia locale della Procura controllante della controllante (terza Procura), alla quale vennero affidate altre indagini a partire da marzo 2007.
8. La terza Questura, aprile 2008
9. Il secondo Commissariato di Polizia,maggio 2008
10. La Questura di residenza, novembre 2009.
Per “Polizia locale” si intende il ruolo di Polizia Giudiziaria (PG) svolto dalla Polizia di Stato (PS) a servizio della Procura, delle indagini e del magistrato.
Dal 2006 ad oggi siamo passati personalmente per tre questure, ed interessato quella di residenza per chiedere una soluzione del nostro caso.
Ma la particolare situazione, ossia l’agire alle nostre spalle l’agire di un potere veneto che ha le mani in pasta con la massoneria deviata, il fascismo e la mafia, ha impedito che la Polizia facesse il suo lavoro, in piena libertà e secondo i canoni di giustizia.
D’altra parte la Polizia segue in pieno la natura dello Stato Italiano, si può applicare dunque i problemi del doppio stato, della democrazia “bloccata” all’interno di questa forza, definendo due forze di Polizia, contrapposte. La guerra civile e psicologica che ha investito l’Italia non ha mancato di colpire quest’organo di pubblica sicurezza.
Dunque quella guerra che mise in atto la friendship veneta, facendo sparire i nostri esposti all’interno di una delle più note Procure italiane, la mise in atto anche nelle Questure, muovendo le sue pedine e mettendoci contro anche persone neutre, attraverso un’adeguata guerra psicologica e diffamatoria.
Possiamo dunque delineare all’interno della Polizia due fazioni contrapposte e una terza parte neutra che non ha preso posizione. Questo fenomeno è trasversale ed interessa tutti i luoghi ove siamo stati.
Riscontrata l’impossibilità, da parte della Polizia, di affrontare particolari circostanze o temi, per le interferenze presenti al suo interno, ci siamo rivolti più di qualche volta ai Carabinieri. Alternando o sottoponendo a l’una o l’altra forza i diversi casi, tentando di capire all’occorrenza la situazione migliore. E’ evidente che il terreno più a rischio era e rimane il Veneto, ma lo stesso potere, in forma minore, lo abbiamo trovato nelle altre regioni.
Più di una volta abbiamo dovuto presentare il problema solo per alcuni aspetti, suddividendolo in parti più piccole, più facili da capire ed affrontare.
Più di una volta la Polizia ha compiuto il quadruplo errore di:
1. sottovalutare il problema,
2. sopravvalutare le proprie risorse,
3. pensarsi estranea alle collusioni.
4. prendere per buone informazioni provenienti dall’esterno senza verificarle e senza adeguato confronto o dibattito.
Chi ha fatto qualcosa per venire a capo dell’intricata situazione, della quale siamo protagonisti, è stato in genere bloccato. D’altra parte per bloccare noi in maniera definitiva, si sono inventati le cose più astruse. Per nascondere quei blocchi o errori sulle nostre pratiche sono stati inventati motivazioni e gettato il peso completamente sulle nostre spalle.
E’ dunque credibile che venendo a sapere troppe cose, la parte della Polizia coinvolta ci voglia sistemare a dovere. Anche queste pagine non sono acqua fresca.
Noi siamo rimasti completamente schifati da come la Polizia abbia cercato in tutte le maniere di non fare il suo dovere. In cinque anni la Polizia non ha mai affrontato con decisione la questione, anche semplicemente fornendo del tempo per scrivere un verbale accurato, od analizzare attentamente quando avevamo da esporre e da consegnare come elementi e prove. Al massimo sono arrivati a raccogliere delle denuncie ed a produrre una pagina di ratifica. Eppure di mezzi a disposizione ne avrebbero tanti: intercettazioni ambientali, intercettazioni telefoniche, controlli, verifiche e interrogatori… Dubitiamo pure che possano aver compreso tutto quello che abbiamo sottoposto per iscritto: nessuna domanda in proposito, mai nessuna richiesta di approfondimento!
Ci siamo trovati spesso davanti a persone della Polizia che volevano che noi fornissimo a loro un’indagine già pronta, su un piatto d’argento, con tanto di prove inconfutabili. Cioè dovevamo fare noi il loro lavoro…
Di là di ogni indagine, a noi bastava anche molto meno: potevano portarci in qualche posto d’accoglienza ove non ci conoscevano, senza che noi dovessimo raccontare la storia della nostra vita, e da lì provare a ripartire, a trovare un lavoro… avendo loro come referenti ….nel caso capitasse qualche cosa.
Questo capitolo tratta di come la Mafia e il Fascismo sono entrati nelle istituzioni dello Stato attraverso la massoneria. Per capire il fenomeno occorre introdurre un po’ di storia italiana del dopoguerra. Nella prima parte si parla della particolare situazione dell’Italia all’interno del blocco dei paesi della NATO, e della penetrazione dei fascisti sconfitti, riciclati all’interno delle strutture del Patto Atlantico ad opera di alcuni oligarchi internazionali. Della conversione della loggia massonica P2 in loggia eversiva e coperta, e dell’utilizzo della stessa come strumento di potere totalmente in mano agli anglo-americani. Del tremendo potere che Venezia mantiene all’interno dell’economia internazionale attraverso la propria massoneria che gestisce le banche.
La particolare situazione italiana del doppio stato, della democrazia bloccata, della strategia della tensione, della guerra civile e psicologica che divide l’Italia, gli Italiani, le Procure, le Questure, la Polizia, i militari e tutto quel che riguarda la nostra nazione è stata creata durante la seconda guerra mondiale, nel periodo immediatamente successivo a questa, dalle forze alleate anglo-americane.
La particolare situazione da noi vissuta, dagli esposti spariti nei palazzi di giustizia alle indagini bloccate, è determinata dall’ambiente dal quale proveniamo pieno di intrighi politici ed economici, che scaturiscono dalla situazione determinatasi nel dopoguerra, prodotte dall’azione degli anglo-americani. Solo attraverso la comprensione di queste dinamiche si riuscirà a capire appieno il fenomeno, che è collegato al fascismo, al terrorismo nero, alla mafia[136], ai particolari benefici offerti dagli anglo-americani a gente inserita nei nuclei di difesa dello Stato. Tutta gente che gode di extra diritti, di extra procedure, di favori all’interno degli uffici pubblici, all’interno delle forze dell’ordine e della magistratura e di tutti gli apparati dello stato a danno della democrazia, del diritto e della giustizia. In poche parole la gente formata dall’elite della P2, di Gladio e amici correlati da noi soprannominati in questo capitolo “gli eletti”.
Quando la NATO (North Atlantic Treaty Organization) fu stabilita dopo la seconda guerra mondiale nel 1949, una clausola segreta , contenuta nel trattato, specificava che ogni nazione che desiderava farne parte dovesse prima stabilire un’autorità di sicurezza nazionale, per combattere il comunismo, congiuntamente alla creazione nel territorio di nuclei di difesa dello stato, tramite una rete clandestina. A questo scopo fu creata in tutti gli stati europei, negli anni successivi, la struttura STAY BEHIND di Gladio, ed il supporto dei governi e della popolazione per la guerra al comunismo.
Operativamente, le unità Stay-Behind saranno guidate dai servizi segreti di ogni nazione, diretti dal CPC/ACC. In accordo con il Generale italiano Paolo Inzerilli che comandò Gladio dal 1974 al 1986, il CPC (Clandestine Planning Committee) e l’ACC (Allied Clandestine Committee) furono le interfacce tra i supremi quartieri generali delle potenze Europee (SHAPE[137]) . Il CPC era composto da un gruppo degli Stati Uniti, Regno Unito e Francia, mentre l’ACC fu essenzialmente una commissione tecnica per coordinare conoscenze in esplosivi, repressione e problemi relativi alla gestione della guerra clandestina.
Il Generale Gerardo Serravalle testimoniò che i membri del CPC erano gli ufficiali responsabili degli apparati di stay-behind, e che agli incontri di stay-behind vi erano sempre presenti rappresentanti della CIA, come pure membri delle forze armate americane dei comandi europei.
Una commissione d’inchiesta sotto il Senatore Frank Church esaminò a metà degli anni settanta le azioni illecite fatte dai militari e dall’intelligence. Tale commissione trovò che le prime attività paramilitari in Europa furono focalizzate contro l’Unione Sovietica, e si limitarono in piani e preparazione della rete stay-behind, per far fronte all’eventualità di una futura guerra. Nel 1952 il Pentagono si spinse oltre e mise in atto l’operazione “Demagnetize”.
Attraverso “Demagnetize” i servizi segreti americani e la CIA furono istruiti per ridurre l’attrazione magnetica dei già consistenti partiti comunisti presenti in Italia e Francia, attraverso tutti i mezzi, incluso politica, operazioni militari e psicologiche. Questa direttiva fu fissata con massima priorità, e tali governi non dovranno conoscere nulla di questo piano perché in contrasto con la libera sovranità dei singoli stati.
Un po’ di luce sui
pensieri del Pentagono e della NATO di quel periodo scaturì da un manuale del
Pentagono trovato nel 1981 in Arezzo nella villa di Licio Gelli (Field Manual 30-31B -FM 30-31B), durante l’operazione che portò alla luce la
lista dei membri della loggia massonica P2. Benché il manuale fosse del 1970
rifletteva i piani precedenti. I militari e i capi dei servizi segreti di ogni
nazione dovevano essere reclutati dagli agenti americani (NATO):
"The success of internal stabilisation operations, which are promoted in the context of strategies for internal defence by the U.S. military secret service, depends to a large extent on the understanding between the U.S. personnel and the personnel of the host country. The recruitment of senior members of the secret service of the host country as long time agents is thus especially important."
Questo processo cominciò ancora nel 1944, quando gli Anglo-Americani ricostruirono i servizi segreti militari e la polizia militare. In quest’ottica, gli agenti anglo-americani sponsorizzarono e installarono molte di queste persone, che diventarono anni dopo membri della P2. Tra questi agenti vi troviamo James Jesus Angleton, che reclutò lui stesso Junio Valerio Borghese.
Il manuale FM 30-31B trovato nel 1981 recitava “Vi sono delle volte che il governo mostra passività e indecisione contro il comunismo, e non reagisce in maniera adeguata. Molte volte queste situazioni scaturiscono quando i rivoluzionari rinunciano temporaneamente all’uso della forza, e questa condizione viene considerata, a torto, dal governo una situazione sicura. L’intelligence delle forze armate americane devono avere i mezzi per lanciare operazioni speciali che convincano il governo ospite e la pubblica opinione del pericolo insurrezionale ”. Questo manuale fu prodotto nel 1970, i colpi di stato contro il governo italiano furono condotti proprio nelle circostanze sopra descritte utilizzando il personale di Gladio, incluso Borghese, dal 1970 al 1974. Queste operazioni, come da manuale, dovevano essere rigorosamente segrete, ed il fatto che al di sotto vi fossero le forze armate USA doveva essere nascosto ad ogni costo.
Nel dopoguerra le direttive della NATO prevedevano per i loro piani, il reclutamento e posizionamento di personale “speciale” del paese ospite. Dopo la ricostruzione dei servizi segreti militare e della Polizia militare si passò a reclutare questo materiale umano speciale, che fu raccolto successivamente nella rinnovata loggia massonica P-2, con a capo il Gran Maestro Licio Gelli.
La riorganizzazione della P2, intorno alla figura di Licio Gelli, scaturisce dall’azione dell’agente dell’OSS e più tardi della CIA Frank Bruno Gigliotti[138]. La commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, nella relazione finale noterà: "...La comparsa di Gelli sulla scena quando Gigliotti scompare, secondo una successione di tempi e una identità di funzioni che non può non colpire significativamente...".
La P2, già esistente dal 1887 come loggia massonica nata all’interno della giurisdizione del Grande Oriente, divenne l’organismo che conosciamo negli anni settanta, ed esattamente dopo i fatti citati nel seguente articolo:
«…Nel 1960 gli americani intervennero attraverso il Gigliotti nell'operazione di unificazione del Supremo Consiglio della Serenissima Gran Loggia degli ALAM del principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale con il Grande Oriente. Sembra che quella dell'unificazione del Grande Oriente con la massoneria di Alliata, di forte accentuazione conservatrice, sia stata la condizione posta da Gigliotti in cambio dell'intervento americano nelle trattative con il Governo italiano concernenti il Palazzo Giustiniani. L'unificazione comportò l'estensione al Grande Oriente del riconoscimento che aveva già dato alla Serenissima Gran Loggia di Alliata la Circoscrizione Sud degli USA, nonché numerosi elementi di prestigio nell'ambiente massonico. Non solo si deve rilevare, secondo quanto emerge da queste vicende, che il progetto di unificazione della massoneria italiana sembra corrispondere ad interessi non esclusivamente autoctoni, ma risalta altresì alla nostra attenzione la comparsa di Gelli sulla scena quando Gigliotti scompare, secondo una successione di tempi ed una identità di funzioni che non può non colpire significativamente[139].»
La P2 fu estromessa dal Grande Oriente nel 1976 quando passò a loggia illegale e coperta.
Secondo una commissione parlamentare la P-2 di Gelli era un’associazione di mutuo soccorso che proponeva ai soci aiuto, conforto e difesa a costo della propria vita. L’obiettivo era “promuovere i soci nelle posizioni di potere della società”. Il Parlamento considerò la P-2 una cospirazione sovversiva. Si dice che non tutti i membri erano attivi in complotti. Molti politici, pubblici ufficiali e figure militari entravano nella pro-atlantica P-2 perché permetteva loro di avere un rapporto speciale con le istituzioni anglo-americane; molti uomini di affari dichiararono che vi erano entrati per questioni di “business”.
Al di là di tutto la P2 raccolse intorno ad essa gli uomini di Angleton, I cosiddetti “eletti” di questa nuova casta, in mano agli oligarchi anglo-americani ed ai fascisti universali. Nel 1971 la P-2 fu utilizzata come veicolo diretto nella strategia dei colpi di stato. Nel 1971 Gelli spedì a tutti i membri militari, inseriti nella P-2, una lettera, invitandoli a considerare l’installazione di un governo di tipo militare. Nel 1973 ci fu un meeting a Villa Wanda in Arezzo di tutti i principali partecipanti a questo progetto.
Si dice che la prima strategia del colpo di stato e dell’istituzione di un regime militare non funzionò, perché a dirigere tali azioni era troppo evidente che vi fossero i gruppi fascisti riabilitati all’interno della NATO: l’Italia, ancora scottata dalle vicende di Mussolini, non aveva dimenticato tali aspetti, e molti storsero il naso davanti alla proposta di Gelli.
Si passò dunque a cambiare strategia, collocando il nucleo fascista della P-2 in un nucleo più nascosto, e definendo la P2 un’alleanza pro-atlantica.
Ancora durante la seconda guerra mondiale, il banchiere Allen Dulles e gli altri oligarchi Anglo-Americani che avevano sponsorizzato Mussolini ed Hitler, tentarono di negoziare la pace con i nazisti, lasciandoli al potere. Questo regime avrebbe dovuto, insieme con l’Inghilterra e gli USA, conquistare l’Unione Sovietica e creare un impero mondiale guidato da oligarchi. Al contrario, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt voleva distruggere il regime fascista, ed ipotizzava un futuro diverso del mondo, nato dalla cooperazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Allen Dulles e il suo gruppo non furono in grado di applicare completamente il loro schema, ma stabilendo la NATO, come un’occupazione autoritaria dell’Europa contrapposta alla Russia, attuarono il loro piano, incorporando i fascisti sconfitti nella NATO e nelle reti di intelligence americane. Il Generale nazista Karl Wollf e Allen Dulles stabilirono la distribuzione dei fascisti dopo la guerra. Il generale delle SS Karl Wolff, segretario privato di Himmler[140], fu il collaboratore di Hitler che si impegnò dell’occupazione del Nord Italia, e che ordinò a Borghese e alla sua XMAS di muoversi in terra ferma. Allen Dulles divenne nel periodo 1953-61 capo della CIA.
Il fascismo perse così il suo carattere nazionalistico assunto nei regimi di Mussolini e Franco e divenne un fascismo universale favorevole alla NATO, mirante a creare un nuovo impero mondiale e nemico assoluto del comunismo.
Fu così che il fascismo, seppur sulla carta sconfitto durante la seconda guerra mondiale, continuò a comandare in Europa e nel mondo, attraverso le reti militari dei servizi segreti anglo-americani, nascondendosi dentro i panni della potente massoneria americana, derivata da quella inglese, e tramite queste in quella degli altri stati Europei . La loggia massonica P-2 fu creata appositamente come strumento di controllo dagli anglo-americani con l’obiettivo di entrare in tutte le aree dello Stato e dell’economia.
Allen Dulles, James Jesus Angleton, Junio Valerio Borghese, Vittorio
Cini, Giovanni Alliata di Montereale, Licio Gelli, Michael Ledeen ed altri
protagonisti di queste azioni furono tutti fascisti e massoni.
Nel 1981, quando si entrò in possesso della lista della P-2 risultò
evidente di come tali personaggi avessero penetrato tutti gli apparati dello Stato,
e dunque come il fascismo, nascosto dentro la massoneria, avesse in mano le
redini del paese.
La struttura di Gladio nata come azione di difesa contro il pericolo di invasione Russa, divenne con il tempo lo strumento in mano a pochi eletti per controllare le persone e l’economia mondiale, e per instaurare un nuovo regime mondiale di profonda impronta fascista.
Come scritto a pagina 2 in “Da Aldo Moro a Romano Prodi: la figura di Ledeen e del fascismo universale che ha le radici a Venezia” quando Aldo Moro fece il passo di avvicinarsi alla sinistra fu ucciso. Quando Enrico Mattei tentò di staccarsi dal colonialismo anglo-americano fu ucciso. La strategia della tensione varata dagli anglo-americani per creare un regime di terrore, ed impedire che la sinistra andasse al governo, fu messa in atto dai gruppi paramilitari di estrema destra. Franco Freda, padovano, ammiratore di Himmler[141] e fanatico della razza ariana fu uno dei maggiori protagonisti di questo braccio armato. Tra i suoi insegnanti il generale Giulio Magi Braschi, il maggiore esponente della guerra non ortodossa in Italia, in forza del comando NATO di Verona e a capo della lega anti-comunista mondiale sezione italiana.
Nel 2006, anche dopo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, questi poteri continuarono la lotta anticomunista. Romano Prodi a capo di un nuovo governo italiano di centro-sinistra riceveva poco dopo le elezioni, l’intimidazione del fascista universale Michael Ledeen. Si leggeva a firma di Ledeen nel Wall Street Journal: «Prodi dovrà scegliere un ministro degli Esteri approvato e apprezzato dagli Stati Uniti. E questa dovrà essere la prima decisione di mister Prodi, prima di ogni altra nomina di governo». Ledeen, maggiore esponente del Fascismo Universale, protagonista dei maggiori episodi di intelligence degli ultimi anni, inclusa la guerra con l’Iran, la strategia della tensione in Italia, l’assassinio di Aldo Moro e la strage di Bologna, è uno degli uomini chiave di questo nuovo impero fascista.
Uno dei principali attori e fondatori di questo nuovo impero è James Jesus Angleton.
Come ufficiale americano dell’OSS (Office of Strategic Services), James Jesus Angleton installò la prima struttura clandestina nelle forze armate e nei servizi segreti italiani, la quale produsse la sezione italiana di Gladio. Angleton fu un devoto ammiratore degli inglesi, un fascista pro-Hitler e pro-Mussolini. Suo padre, James Hugh Angleton, ebbe profondi contatti con i servizi segreti di Mussolini: alcune registrazioni indicano che fu un business partner di Allen Dulles. Lui e suo figlio lavoravano per la X-2, una particolare unità del controspionaggio dell’OSS, stabilita su richiesta esplicita degli Inglesi. Benché la X-2 fosse nominalmente un’organizzazione Americana, il quartiere generale per tutta l’Europa e per gran parte del mondo era a Londra.
Angleton impiantò una rete estesa di fascisti all’interno della forza militare italiana e nelle organizzazioni di intelligence, sugli apparati successivi e sulla loggia P2. Questi fedelissimi di Angleton furono lo strumento di lancio del terrorismo durante la Strategia della Tensione, dal 1960 al 1980, e furono anche coloro che coprirono nelle indagini questo meccanismo.
James Jesus Angleton cominciò ad essere operativo dall’ottobre del 1944. Gli USA comandarono che i servizi segreti, la Polizia, e l’intelligence italiani si mettessero a disposizione della X-2 e del suo capo, Angleton stesso. Angleton salvò Borghese da un plotone di esecuzione, prima incarcerandolo, e poi rendendolo libero, facendolo diventare uno dei suoi agenti.
Angleton diventò da capo della X-2 a capo dell’intero controspionaggio dell’OSS in Italia. Alla sola età di 28 anni egli fu capo di tutte le attività segrete e di intelligence e contro-intelligence del successore dell’organo dell’OSS, che precedette la CIA, quest’ultima creata nel 1947.
Nel 1955 Angleton, durante la direzione della CIA da parte di Allen Dulles divenne capo del dipartimento di counterintelligence fino al 1974.
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Junio Valerio Borghese è un altro attore fondamentale del nuovo impero fascista.
Borghese detto il principe nero, è discendente di una nobile famiglia appartenente alla “Black Nobility”, molti membri della quale vantano discendenze da un’elite dell’Impero Romano.
Queste dinastie hanno dato origine a numerosi papi e cardinali. Fu fondatore della Decima Mas durante il periodo Mussolini. La carriera di Borghese, molto articolata e ricca di colpi di stato, è narrata in bibliografia nel documento “The Black Prince”.
Altro uomo chiave è Licio Gelli.
Licio Gelli iniziò la sua carriera come fascista sotto Mussolini. Partecipò alla guerra civile spagnola nella parte dei golpisti; dopo la caduta di Mussolini, aderì alla Repubblica Sociale, una repubblica apparentemente in mano agli italiani, ma in realtà totalmente nelle mani delle SS. Egli diventò ufficiale con le locali SS a Pistoia, sviluppando nello stesso tempo contatti con i circoli della resistenza. Dopo la guerra Gelli diventò un uomo d’affari nel campo tessile ad Arezzo. Mantenne il ruolo di doppiogiochista per tutta la sua vita. Da agente dell’Est diventò agente dei servizi Anglo-Americani e delle strutture di intelligence italiane.
Gran maestro della loggia P-2 è considerato un pupazzo del potere più grande che si nasconde dietro la sua figura.
Michael Ledeen, considerato il più grande esponente del Fascismo Universale, è descritto nell’articolo “Ledeen’s Beloved «Universal Fascism»: Venetian War Against the Nation-State”, ne abbiamo già parlato anche a pagina 2in “Da Aldo Moro a Romano Prodi: la figura di Ledeen e del fascismo universale che ha le radici a Venezia”
Il contatto degli Anglo-Americani con la mafia avviene in diversi contesti. Nella guerra al comunismo si erano messe in gioco i nemici naturali del comunismo, e tra questi Cosa Nostra.
Per far capire i legami con la mafia riportiamo pezzi di articoli di varie fonti:
«Frank Bruno Gigliotti nel 42 formò con l’OSS
l’American Committee for Italian Democracy, appoggiato dai Sons of Italy,
associazione di cui facevano parte mafiosi e agenti segreti, usata per
preparare lo sbarco in Sicilia ».
…
«Lucky Luciano, uno dei capi di Cosa Nostra
negli Stati Uniti, fornì 850 nomi di
persone "amiche" in Sicilia. Solo in provincia di Palermo furono poi
nominati 62 sindaci mafiosi presenti nell'elenco fornito, o comunque a questi
vicini. A New York viene ingaggiato dall'OSS per liberare il porto dalle spie
tedesche. L'OSS si serve poi di lui per preparare lo sbarco delle truppe in
Sicilia. A Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino, inoltre, raccomanda
un giovane in gamba di Patti, in provincia di Messina, , che verrà arruolato
come ufficiale di collegamento del cosiddetto "cerchio della mafia":
Michele Sindona.»
…
«Vito Genovese, uno dei capi di Cosa Nostra negli Stati uniti. Partecipa allo
sbarco in Sicilia delle truppe alleate, ostentando poi una divisa dell'esercito
americano, con la quale si fa anche fotografare in atteggiamento amichevole in
compagnia di Salvatore Giuliano. In questo periodo esercita funzioni di rilievo
nell'amministrazione alleata».
…
«Michele Sindona viene raccomandato agli
alleati sbarcati in Sicilia alla fine della seconda guerra mondiale dal boss
Lucky Luciano. Immediatamente comincia a darsi da fare e intrattiene rapporti
con l'AMGOT, il governo militare alleato. Compra grano dal capomafia
Baldassarre Tinebra, nominato sindaco di Regalbuto dagli americani e socio di
Calogero Vizzini, per rivenderlo al governo militare alleato facendosi pagare
in armi che rivendeva poi all'EVIS comandato da Salvatore Giuliano. La ragione
del suo successo e' da ricercare nel viaggio che nel 1952 Sindona compì negli
USA, dove consolidò le sue conoscenze sia all'interno di Cosa Nostra che con i
servizi segreti statunitensi che con gli ambienti finanziari. Al ritorno da
questo viaggio cominciò ad operare come incaricato d'affari di società
americane. Sindona continua a tessere i
suoi rapporti con Cosa Nostra statunitense e quando Joe Adonis viene a Milano,
nel Febbraio 1956, per coordinare l'insieme delle attivita' mafiose in tutta
l'Europa centro-occidentale, soprattutto il traffico di stupefacenti in
Germania ed Olanda conosce Sindona. Joe Adonis per giustificare la sua
prolungata presenza in Italia, si presentava come incaricato da societa' USA di
investire nel campo dei supermercati e degli impianti alberghieri, frequenta
quindi assiduamente Sindona che gli fa da consulente fiscale. Successivamente
Adonis incaricò Sindona di svolgere alcune missioni di fiducia negli Stati
Uniti. Il 12 Ottobre 1957, grazie a simili entrature, partecipa al summit a
Palermo di Cosa Nostra statunitense e della mafia siciliana, dove viene deciso
di intraprendere il traffico di stupefacenti e dove viene decisa la condanna a
morte di Albert Anastasia. Nel 1959, quindi, Sindona torna in USA su incarico
di Adonis e prende contatti con la famiglia di Vito Genovese, al quale
l'"avvocaticchio" sistema la situazione contabile e fiscale delle
societa' "legali" di "don Vitone". Michele Sindona entra
quindi nella P2 di Licio Gelli. Nel 1962 Sindona grazie alle nuove conoscenze
viene incaricato dal Vaticano di "...curare gli affari della Chiesa, negli
Stati Uniti..." e lo IOR entra con una partecipazione del 24,5% nella
Banca Privata Finanziaria, di cui nel frattempo Sindona e' riuscito ad assumere
il pieno controllo con capitali di dubbia provenienza. »
…
Troviamo dunque nel
dopoguerra un’alleanza del tutto particolare che avrà i primi risvolti già
nella strage di Portella delle Ginestre. Il principe Alliata di Montereale,
fascista, piduista, Gran Maestro della potente loggia massonica degli Alam,
come affermato da Gaspare Pisciotta
e' uno dei mandanti della strage
di Portella delle Ginestre. Secondo i
giudici Alliata avrebbe partecipato alla stesura del progetto
politico-militare, ed avrebbe richiesto collaborazione ai boss di Cosa Nostra,
che però rifiuteranno, tramite Luciano Liggio. Verra' poi prosciolto e tornera'
tranquillamente in Italia.
Nel 1963 Borghese diventa presidente del Banco di Credito Commerciale e
Industriale, la prima banca appartenuta al finanziere siciliano Michele
Sindona. Sindona era un fascista durante la seconda guerra mondiale, ha
successivamente riciclato denaro sporco proveniente dalla Mafia Siciliana[142];
divenne una potenza nella P2.
Sindona aveva dunque varie collegamenti, oltre a quello della Mafia siciliana, con la Banca Vaticana e con le strutture dello Stato[143].
Il Banchiere capo della CIA Allen Dulles fu capace di incorporare i fascisti sconfitti durante la seconda guerra mondiale nella NATO e nelle reti di intelligence americane. Fu poi stabilita dallo stesso potere anglo-americano una rete di controllo e di potere attraverso Stay Behind, gladio e più tardi attraverso la loggia massonica P-2 condotta da Licio Gelli.
Gelli a sua volta è considerato un rappresentante di un potere più grande, costituito dal Sovrano Ordine Militare di Malta (SMOM- the Sovereign Military Order of the Knights of Malta). Molti membri della P2 furono contemporaneamente Cavalieri di Malta, ma quest’ultimo costituisce una forma di potere ancora più elevata della P2.
Lo SMOM a sua volta è il rappresentante di un potere ancora più grande che ha origine in Venezia.
Allen Douglas nel suo articolo “ITALY’s BLACK PRINCE: TERROR WAR AGAINST THE NATION-STATE” scrive che in qualsiasi direzioni si indaghi relativamente alla P2, a Gladio, alla Black Aristocracy, al terrorismo internazionale e al Nazismo Internazionale ci si trova davanti allo SMOM. Questo è onnipresente nell’organizzazione delle infrastrutture umane e finanziarie dei terrorismo internazionale già dalla seconda guerra mondiale. Il cavaliere SMOM Baron Luigi Parilli, — un industriale con connessioni ad alto livello sia con le SS di Hitler e le SD italiane sia con i servizi di intelligence di Mussolini— fu il principale collegamento tra il generale delle SS Karl Wolff e Allen Dulles a Berna. Lo SMOM conferì a Ellery Stone, il personaggio che salvò Borghese, uno dei riconoscimenti più grandi. Ellery Stone diventò vice presidente della ITT corporation, la quale aiutò la salita al potere del Generale Pinochet. Lo SMOM conferì riconoscimenti nel 1946 a James Jesus Angleton e ad Allen Dulles.
L’anno seguente conferì riconoscimenti al capo dell’ “Hitler's Eastern Front intelligence” Reinhard Gehlen, il fratello del segretario di Thun Hohenstein, uno dei cinque membri direttivi del Concilio Sovrano dell’ordine. Hohenstein usò la sua posizione per stampare 2000 passaporti, usati per spostare capi nazisti in posti sicuri nel mondo.
Altri cavalieri corrispondono ai capi della CIA Allen Dulles, John McCone e William Casey. Altra figura nazista importante Otto Skorzeny.
Numerosi leader delle organizzazioni di intelligence italiani sono membri dello SMOM e della P2, tra questi Gen. Giuseppe Santovito (capo del SISMI), Amm. Giovanni Torrisi, Gen. Giovanni Allavena (capo del SIFAR).
Umberto Ortolani fu veterano del controspionaggio di Mussolini: alcuni lo indicano come la vera mente della P2 e come colui che sponsorizzò l’entrata di Gelli nello SMOM.
La Rouche’s associates, nelle loro investigazioni, scoprirono con loro sorpresa che la pura menzione di nomi dello SMOM ispirava paura e terrore nelle menti dei membri alto-locati dei governi, nelle banche centrali, nei leader militari e dell’economia, diplomatici e nell’intelligence. Il potere che l’Ordine concentra è principalmente finanziario, segue una incontrastata capacità d’intelligenza. In pratica lo SMOM è una potente arma della “Synarchy”. I loro membri, discendenti di nobili famiglie, ambiscono ritornare al mondo che esisteva prima della nascita delle nazioni, che causò loro la perdita del potere e dei privilegi.
I Cavalieri furono fondati nell’undicesimo secolo. Il Papa li riconobbe come un ordine religioso militare, e per secoli rimasero uno dei più potenti forze militare cristiane. Il loro quartiere generale era nell’isola di Rodi e poi si spostò nell’isola di Malta. I Cavalieri furono riconosciuti come uno stato sovrano nel sedicesimo secolo. Oggi hanno la sede centrale a Roma e rimangono uno stato sovrano . L’Ordine è completamente Cattolico Romano e i loro alti ranghi devono essere documentati da una linea aristocratica di discendenza di almeno tre secoli. Il gran maestro è sia un principe sia un cardinale della Chiesa. In aggiunta, ci sono quattro ordini protestanti, tutti fondati negli ultimi 150 anni, fusisi insieme nel 1963, quattro giorni dopo l’assassinio di J.F. Kennedy. Il capo dei cavalieri inglesi è la Regina Elisabetta. Nel 1927 lo SMOM autorizzò un speciale capitolo “americano” i cui membri non hanno da provare la loro linea aristocratica.
Un Cavaliere che giocò un ruolo importante in Italia è il principe Massimo Spada, l’uomo che fece entrare nei giri del Vaticano il finanziere Michele Sindona. Il Vaticano è il punto d’incontro di Spada, Ortolani,Gelli e Calvi, un luogo ove compiere le più sporche operazioni.
Ma al di là dello SMOM e di una parte del Vaticano troviamo un potere ancora più grande che sta sotto a questi, ed è costituito da Venezia, o meglio, da quell’impero economico che la Serenissima ha giostrato all’interno dell’economia mondiale.
A scuola ci insegnarono che dopo la scoperta dell’America si assistette alla decadenza veneziana: nulla di più falso, poiché Venezia, comprendendo di avere i giorni contati, attuò un drastico cambio di rotta, rivoluzionando la gestione del potere, in particolare la “gestione dei centri nevralgici del potere”, soldi e banche, anche se questo aspetto sfugge a molti.
Il potere della Serenissima deriva dai secoli passati, quando Venezia assunse il commercio con le Indie, la pietra angolare del suo successo, tramite il quale allacciò rapporti con il regno inglese e l’Olanda. Contemporaneamente fece proprie le rivalse religiose di tipo protestante, in una sorta di legame a doppio filo, poiché a sua volta questi stati e relative proteste erano supportate dalla stessa Venezia. Dal punto di vista intellettuale, in virtù delle sua “visione illuminata”, si pose come nuovo modello in antagonismo all’oscurantismo della Roma del Vaticano.
All’indomani della lega di Cambrai, la Serenissima clonò tanti piccoli imperi, fondando banche nel nord dell’Europa, in particolare in Olanda e in Inghilterra, esportò modelli di lavoro e capitale finanziario ed umano, cioè le stesse loro famiglie patrizie[144]. Grazie a questa mobilitazione, nel 1609 ad Amsterdam nacque la Wisselbank, la più potente banca del mondo, seguita dalla Bank of England nel 1694, entrambe gestite dalle famiglie veneziane, entrambe modelli di riferimento per lo sviluppo delle successive banche centrali.
Oltre alla componente economica, si dotò di un ottimo sistema di spionaggio, atto ad inserirsi nelle monarchie e nelle pieghe della storia: questo è testimoniato anche da due racconti del 1700, uno di Friedrich Schiller “Der Geisterseher”, l’altro ad opera di un agente americano James Fenimore Cooper.
Come descrisse lo storico Carlo Antonio Marin, di nobile famiglia, gli intrighi di Venezia fecero scoppiare liti, contese e rivoluzioni: dalla rivoluzione francese, in cui troviamo Cagliostro, spia veneziana, che con lo scandalo della collana aprì la breccia al malcontento ad alla rivoluzione francese, fino alla rivoluzione americana, in cui le banche britanniche erano ben fornite di fondi veneziani.
In ogni situazione a rischio, o poco chiara, si inseriva Venezia, sempre pronta a far litigare, a finanziare anche entrambe le parti, per poi arraffare: “dividi e conquista” è il suo motto.
Anche Napoleone Bonaparte ne fu in parte sponsorizzato: mentre Napoleone era al suo tramonto, si affacciava sulla scena il nobile veneziano conte Giovanni Capodistria: ricopriva importanti incarichi presso il governo russo, e stese i punti essenziali del congresso di Vienna del 1815.
Così, sia che gli eventi fossero di natura rivoluzionaria, sia che l’intervento fosse conservatore, gli oligarchi veneziani ne ricavavano profitti. Fu proprio il veneziano Capodistria a mettere le basi dell’attuale Svizzera, quale stato “moderno e bancario” come ora lo conosciamo, poiché già essa fu plasmata per contenere un ingente deposito di fondi delle famiglie veneziane. Non a caso saranno proprio questi fondi a porre le fondamenta per grosse compagnie assicurative quali la RAS e le Assicurazioni Generali di Venezia e Trieste.
Buona parte di queste operazioni furono compiute dalla cosiddetta parte “nuova” di famiglie veneziane, famiglie patrizie ma non nobili. Quelle antiche, legate all’aristocrazia, non tanto al commercio, seppero ugualmente clonarsi all’interno di altri giri, ovviamente sempre dentro a banche italiane ed inglesi. Le stesse compagnie assicurative appartennero a famiglie nobili.
Uno di questi fu, ad esempio, il conte Piero Foscari, il cui pupillo Giuseppe Volpi più noto come il Conte Volpi di Misurate preparerà l’ascesa al potere di Mussolini, e sarà anche suo ministro delle Finanze, seguendo la dottrina del fondatore/ispiratore degli attuali oligarchi favorevoli al fascismo universale.
Volpi sarà al centro della discussione del Concordato del 1929 tra Mussolini e il Vaticano: il Vaticano viene riconosciuto come stato sovrano, gli viene assegnata una sorta di compensazione pecuniaria, una somma enorme. Per gestire l’immensa quantità di denaro della Chiesa, Volpi proporrà ovviamente un suo banchiere di fiducia, Bernardino Nogara della Banca Commerciale Italiana (BCI), uno su cui nemmeno il Papa aveva diritto di Veto. La gestione del denaro con Nogara non seguì più alcuna linea dogmatica o clericale: già in questo si intuisce una svolta storica per il Vaticano, con tutte le successive conseguenze, infiltrazioni; Nogara era pure ebreo….
Ovviamente questo Nogara era uomo di massima fiducia del veneziano Foscari: Foscari, Volpi e Nogara, ancora ai tempi della I guerra mondiale, li ritroviamo a Instanbul, il primo come agente dell’intelligence ed il secondo come responsabile della filiale della BCI, che assieme a Foscari ed a una loggia massonica veneziana stavano per organizzare altri colpi di Stato nell’Impero Ottomano.
Sembra che promuovere guerre, o tensioni, sia una costante in queste attività massoniche: certamente si devono avvalere ingenti capitali per questo lavorio.
Nogara, dopo aver designato i successori alla gestione del Vaticano, si impegnò ad instaurare buoni rapporti con la crema dell’oligarchia bancaria: dal credito svizzero a J.P. Morgan, da Parigi a New York, diventando vicepresidente del Banco di Roma, fino a quando presentò il suo uomo di fiducia, in qualche modo erede e prosecutore del suo operato, Massimo Spada.
Spada fu presidente delle assicurazioni RAS, mentre in precedenza Volpi si era occupato delle Generali: questo per sottolineare come l’impero di potere sia un continuo storico.
Spada, Cavaliere di Malta, lavorò ai vertici di varie banche e compagnie, quali le assicurazioni RAS, le assicurazioni subalpina, il Banco di Roma, storicamente banca della nobiltà nera, la Shell italiana.
Fu vicepresidente dell’ Istituto Bancario Italiano e Credito Commerciale di Cremona; fu membro di alcune holding come la Società Meridionale Finanziaria l’Istituto Centrale Finanziario; fu vice presidente della Finanziaria Industriale e Commerciale; presidente della Banca Cattolica del Veneto; fu uno dei direttori di FINSIDER, compagnia-holding che fa parte dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, formato durante il regime fascista, per la gestione dell’Alitalia, l’Alfa Romeo e il sistema telefonico…
FINSINDER all’epoca produceva circa il 90% dell’acciaio.
Spada fu membro esecutivo di una dozzina di banche, compagnie assicurative ed aziende: ricoprì i più altri incarichi in Vaticano ed appoggiandone lo stesso Michele Sindona.
Insomma, Spada era un uomo estremamente potente, e propose come uomo di fiducia proprio Sindona, che fu così introdotto in Vaticano ed in tutti gli appoggi connessi. Spada entrò poi al centro dello scandalo della P2, dove risulta come una delle figure chiave.
Venezia, tramite Nogara ed il Concordato del 1929 si appropriò del Vaticano e dello SMOM, in origine creatura della Chiesa Cattolica, probabilmente di natura antimassonica: questa produsse la P2, massoneria deviata, poiché i maggiori piduisti erano tutti SMOM.
Perciò lo SMOM e la P2 diventarono una sorta di fratelli gemelli dell’oligarchia veneziana: insomma due sue creature, controllate da quel piccolo numero di oligarchi con i soldi, principalmente banchieri o imprenditori, ed “uomini di fiducia”, che nel tempo designarono i giusti successori.
Venezia dunque nel XX secolo dominava ancora il mondo che i loro antenati avevano creato,
attraverso prima di tutto la rete della massoneria e attraverso il potere
anglo-americano che loro stessi avevano creato. Rimane incredibile come le azioni anglo-americane siano state generate da quello stesso mondo
che Venezia ha creato…
Credere che Venezia sia solo protagonista del passato è un errore e lo vediamo ora anche attraverso un’altra figura: quella di Michael Ledeen. Ledeen è uno dei protagonisti dei maggiori episodi di intelligence degli ultimi anni, inclusa la guerra con l’Iraq, l’Iran, la strategia della tensione in Italia, l’assassinio di Aldo Moro e la strage di Bologna.
Michael Ledeen, oggi il maggiore esponente del Fascismo Universale , fu sponsorizzato fin dai suoi primi studi degli anni sessanta all’Università del Wisconsin dai circoli Anglo-Veneziani. Fu diretto dal suo professore George Mosse a Venezia, dove fu preso sotto la protezione di Vittorio Cini e De Felice. Vittorio Cini, ministro delle Comunicazioni sotto il governo Mussolini, era un amico “fraterno” del Conte Volpi di Misurata il vero “architetto” del regime Mussolini. Cini e De Felice aprirono a Ledeen, per i suoi studi, gli archivi massonici ultrasegreti di Venezia e Roma. Sotto questo alto patronato Ledeen fu autore e co-autore di articoli che promuovevano un revival del fascismo, in una forma migliore di quella nazionalistica applicata ai regimi di Mussolini e Franco. Il nuovo fascismo universale che rivive in Ledeen con lo stesso spirito trasmesso da generazioni.
Ledeen lo vediamo anche nel 2006 quando da i suoi consigli a Romani Prodi, come già descritto a pagina 2 “Da Aldo Moro a Romano Prodi: la figura di Ledeen e del fascismo universale che ha le radici a Venezia”.
Insomma Venezia e ancora Venezia. E’ un errore sottovalutare Venezia e il mondo che ha creato. E’ un errore sottovalutare quanto ci è accaduto e dove siamo nati. All’inizio di questo documento scrivevamo: “ Noi siamo nati in terra “veneziana”, non proprio a Venezia, ma in una terra che è stata e continua a essere a tutti gli effetti una “colonia” della Serenissima dal lontano 1497, una terra posseduta da patrizi veneziani. Inizialmente pensammo che alcune persone, da noi frequentate, fossero state introdotte in sette, ma subito dopo capimmo che il fenomeno aveva profonde radici storiche, con coinvolgimento pure di persone importanti del luogo, o di persone introdotte in circoli nazionali e internazionali…”
I protagonisti della nostra vicenda sono anche i protagonisti della vicenda internazionale e vice-versa.
Nel 2004, in un anno, i risparmiatori italiani subiscono tre grosse insolvenze: I Bonds argentini, la bancarotta della Cirio e la bancarotta della Parmalat. Protagoniste sono le banche che hanno piazzato i titoli alla gente definendoli sicuri. La Parmalat nel 2004 è la più grande azienda italiana del settore food, la quarta a livello europeo. Il Crack della Parmalat è il più grande in assoluto della storia europea[145]. Protagoniste nei tre casi citati le banche, che con azioni spregiudicate, hanno messo a rischio l’intero sistema economico italiano. Dietro alla Parmalat un gigantesco sistema speculativo formato da una rete di circa 260 entità speculative.
Nel caso della Parmalat emerge che al di sotto della bancarotta non vi è tanto l’azione dei vertici della società e di Callisto Tanzi, ma un complicato sistema inventato, proposto e messo in atto dalle banche. Un sistema che ha utilizzato la società per estrarre denaro. Denaro che fu fatto sistematicamente sparire attraverso un complicato schema di società di “carta”. Le banche implicate fanno parte del sistema finanziario internazionale: Bank of America, Citicorp, J.P. Morgan, Deutsche Bank, Banco Santander, ABN; e le più grandi banche italiane : Capitalia (Roma), S. Paolo-IMI (Torino), Intesa-BCI (Milano), Unicredito (Genova-Milano), Monte dei Paschi (Siena), per nominarne solo alcune. Per fare questo si spostano alcuni top manager delle principali banche all’interno della stessa Parmalat, ad esempio Luca Sala[146] da Bank of America.
Ad una di queste entità/società utilizzate per far sparire i soldi è stato dato il nome di “Buconero[147]” e questo aspetto impressiona ancora di più, per l’arroganza di tali personaggi spietati: sarebbe come fare una società che ruba soldi ai risparmiatori e chiamarla spudoratamente “Ladro S.p.a.”. Nei mesi successivi al crack spuntano i nomi anche di persone legate alla massoneria e a Gladio.
Così gli “eletti” di Gladio, hanno utilizzato la Parmalat a proprio uso e consumo, hanno succhiato il sangue a migliaia di risparmiatori e creato una pericolosa instabilità nel sistema finanziario italiano. I veri colpevoli, che sono proprio della stessa ghenga di quelli che hanno fatto sparire i nostri esposti in Procura, sanno che non verranno mai individuati. Probabilmente quei soldi scomparsi nel “buconero” hanno preso le stesse strade dei soldi scomparsi nel crack del Banco Ambrosiano anni prima, e nel crack della Cirio. Per questo noi parafrasando il termine stragi di stato, utilizziamo per la Parmalat il termine “crack di stato”, cioè quei particolari fenomeni ove sono implicati parti di stato: difficilmente si viene a conoscere la verità e trovare i veri colpevoli. Ovviamente a fare questi crack sono state le stesse persone che hanno costruito la rete Stay Behind, la P2…
Nell’articolo di EIR “The Black Prince”, pubblicato nel febbraio del 2005 l’autore Allen Douglas conclude dicendo che il sistema monetario internazionale rischia ora di essere colpito da crisi irreversibile, e il disperato bisogno finanziario induce l’oligarchia a consolidare il nuovo fascismo a livello mondiale, attraverso nuove linee di terrore, come quelle applicate nella strategia della tensione in Italia, ma a più ampio raggio. Tra queste l’11 settembre e l’attentato di Madrid dell’11 marzo 2004[148].
L’operazione crack Parmalat è un’iniezione di terrore e un messaggio tanto quanto lo possono essere state le stragi nelle piazze e nei treni o gli omicidi eccellenti compiuti dalla mafia.
In accordo con Douglas, l’obiettivo del nuovo fascismo è la distruzione delle nazioni a favore di un impero universale di oligarchi. Per la distruzione di una nazione si mettono in campo non solo la strategia della tensione e delle bombe ,ma soprattutto le azioni economiche e finanziarie, il vero strumento di potere dell’oligarchia.
Si mettono in moto dunque le banche…
La situazione prevista ancora nel 2005 da Allen Douglas si manifesterà realmente negli anni successivi.
Negli anni successivi al crack Parmalat vi è una dimostrazione di questo potere attraverso un attacco all’economia USA e all’intera nazione, alla sovranità delle nazioni. Gli attacchi terroristici si trasformano da attentati operati con bombe ad attentati all’economia, alla stabilità dello stato, al libero mercato,alle aziende. L’attacco è effettuato tramite operazioni sconsiderate di alcune banche, insomma da quel potere che Venezia ha creato ed esportato nei secoli passati in Olanda, Inghilterra e in America, come raccontato in questo capitolo.
Negli USA si assiste a uno dei periodi più neri dalla crisi dal 1929. Nell’agosto del 2007 fallisce la Mortgage. Nel settembre dello stesso anno, lo statista ed economista americano del Partito Democratico Lyndon H. LaRouche, intravedendo nel fallimento della Mortgage l’esecuzione di un piano atto a distruggere l’economia, lancia un grido di allarme dal titolo “"Save The American Republic From The British Empire!"[149].
In settembre 2007 LaRouche avverte che siamo in un momento critico, perché i Britannici stanno portando a termine la distruzione degli Stati Uniti. Primo i Britannici spingono gli USA a stare in un piano di guerra continua con l’Asia Sud-Occidentale per destabilizzare l’economia. Secondo esercitano pressioni affinché gli Stati Uniti si distruggano da soli, facendo fallire gli interventi che sono in potere di uno Stato a favore dei proprietari di case, in aiuto delle banche e aziende sull’orlo del fallimento . LaRouche dal punto di vista nazionale, nel 2007, si impegna per l’approvazione di una legge d’emergenza, con la quale chiede un’azione immediata per prevenire il disastro economico.
Nel luglio del 2008 il Tesoro USA salva “Fannie Mae” e “Freddie Mac”. Nel settembre 2008 fallisce “Lehman Brothers” e vi è una spaventosa reazione a catena sui mercati mondiali.
Nel novembre del 2008 Barack Obama è eletto presidente degli Stati Uniti. Obama si attiva per una profonda politica di operazione di finanziamento da parte dello Stato al fine di coprire le perdite e i fallimenti delle banche e salvare l’intero sistema economico americano e mondiale.
Obama stesso imputerà ripetutamente la colpa dei danni apportati all’economia a operazioni sconsiderate fatte in borsa a Wall Street, e ad operazioni in generale compiute dalle banche.
Nel 2010 Obama denuncia ancora una volta l’immenso potere delle banche, e punta ad istituire delle leggi per limitare e ridimensionare i loro campi d’azione. Il quotidiano “La Repubblica” del 30 gennaio 2010 scrive: “La controffensiva dei super banchieri. Summit segreto per fermare Obama”. Da questa fonte apprendiamo che nasce una guerra tra le banche ed Obama, tra queste UBS, Bank of America, Deutsche Bank. Quest’ultime due implicate anche nel crack della Parmalat. Da parte loro i banchieri non vogliono regole, perché considerate limiti al libero mercato. Ma le loro azioni sconsiderate non hanno nulla a che vedere con il “libero mercato”.
LaRouche nel suo appello del 2007 sosteneva che fino a quando gli americani non ritorneranno alla loro identità, ossia repubblica combattente l’impero Britannico, come fece il Presidente Franklin Delano . Roosevelt, gli Stati Uniti sono nella via della loro distruzione. Roosevelt è anche il presidente al quale si rifà spesso Barack Obama.
La guerra che impegnò il Presidente Roosevelt contro il banchiere Allen Dulles —oligarca, capo della CIA che inserì nel dopoguerra i fascisti sconfitti all’interno della NATO e dentro le strutture dell’intelligence — si ripete ancora ed è attuale più che mai.
Le strutture di Stay-Behind, Gladio, i servizi segreti, l’intelligence da strumenti di difesa si trasformarono, da strumenti di guerra preventiva anti-comunista, in strumenti completamente a disposizione di pochi oligarchi e del nuovo impero fascista introdotto nella NATO, dall’opera incessante del banchiere e capo della CIA Allen Dulles. Le opere compiute da queste strutture non sono solo operazioni anti-comunisti: sono operazioni a tutto campo contro chi ostacola i loro piani di potenza, e sono tutte riconoscibili dalla firma: queste opere sono un’espressione di una cultura della sopraffazione, del terrore, della morte e della distruzione.
Morte e distruzione operata nei massacri portati a termine nei piani della “Strategia della Tensione” attraverso gli attentati terroristici nelle piazze e nei treni, che hanno fatto morire senza distinzione uomini donne e bambini. Firma di morte negli assassini di uomini scomodi come J.F. Kennedy, Aldo Moro[150] o di Enrico Mattei[151]. Regime di terrore e distruzione contro gli stati e la sovranità degli stati, contro il libero mercato, contro la cultura[152], contro la democrazia e la giustizia, e contro chiunque si oppone a tale potere, comunista o non comunista che sia.
Prendiamo ad esempio il padovano Franco Freda. Freda, profondo ammiratore di Himmler e della razza ariana fa parte del terrorismo nero, ingaggiato dal partito degli “eletti” per compiere stragi. Lui è nero, sono neri i suoi padroni. Per capire vediamo chi era il suo idolo Himmler:
“Himmler
era attratto dalle leggende medievali dei Cavalieri Teutonici e dalle antiche
tradizioni germaniche delle Rune. Himmler esperto in religioni oscure si
credeva la reincarnazione di Enrico I di Sassonia, il primo re di Germania. Il
tempio di questa religione era un castello in Westphalia. Il castello
medioevale, situato nella foresta profonda, ha la forma della lancia di longino[153] che è lo strumento della totale supremazia. Qui
Himmler creò una università esoterica e un centro di formazione per la crema
della nuova società germanica. Le SS
diventavano soldati, monaci e sacerdoti di una nuova casta d’elite. Himmler
creò nei sotterranei del castello, una stanza circolare, centro di questa
religione. La stanza conteneva dodici pietre, come il numero degli apostoli,
come le stagioni, come i cavalieri di Re Artù. Ogni anno al solstizio d’inverno
un importante rituale aveva luogo. Dodici ufficiali delle SS bruciano lo stendardo insanguinato[154], il simbolo consacrato da Hitler. Il fuoco evoca lo spirito dei maestri, la
cerimonia proviene da un antico rito tibetano…
Ogni anno, al solstizio d’estate, i figli eletti del regno celebrano Odino, la divinità del Nord. Il rito dura tutta la notte in una esaltazione della morte. Le SS simulano la morte in tombe scavate nella roccia…”
Freda come Himmler, ammiratore della razza Ariana e cultore della morte, ma anche come James Jesus Angleton, come Junio Valerio Borghese, come Ledeen… Tutta gente implicata in assassini, guerre e stragi. Tutta gente che esce dalla scuola nazista, quella stessa scuola che ha preparato e promulgato le leggi razziste e che ha mandato ai lavori forzati, alla tortura e allo sterminio nei loro campi di concentramento migliaia di civili e tanti Ebrei.
La firma di questo potere è sempre la stessa e proviene sempre dalla medesima origine. Non è un puro fenomeno criminale ma una vera e propria religione, della quale parliamo in una parte dedicata a pagina 2 in “La cultura della morte”.
Questa è la vera ideologia e le veri genti che si nascondono dietro una paventata guerra contro i comunisti. Gente affamata di potere, soldi e sangue.
Come spiegare dunque la sottrazione dei nostri esposti nei palazzi di giustizia e nelle Questure?
Come spiegare la censura generale sopra questi avvenimenti fatta da parte della carta stampata e dalla TV?
La risposta è semplice: oggi non si vive più in una democrazia ma in un regime.
Il regime è condotto da oligarchi e dalla loro gente introdotta all’interno di tutte le strutture dello Stato attraverso le reti della massoneria. Un regime in potere agli “eletti”!
Questi “eletti” stabiliscono quali indagini si devono fare, quali fascicoli devono pervenire ai palazzi di giustizia e quali no, quali persone spingere nell’economia e quali bloccare, quali implicare in scandali e quali porre in diffamazione e in cattiva luce, e lo fanno in maniera del tutto invisibile attraverso le reti massoniche nelle quali si sono infiltrati. Attraverso quelle reti, in origine di STAY BEHIND e di Gladio, che hanno saputo convertire da strutture di guerra contro il nemico comunista a strutture di guerra contro qualsiasi persona in disaccordo con loro.
Questi “eletti”,che talvolta tra loro si chiamano semplicemente “amici”, protagonisti della nostra vicenda si sono attivati affinché i nostri esposti non arrivassero in Procura, si sono attivati perché le indagini non avessero seguito, si sono attivati affinché non ottenessimo aiuto, affinché non uscissimo dalla condizioni di povertà alla quale ci hanno indotto.
E se i nostri esposti erano una difesa, poiché avevano l’obiettivo di difendere le nostre persone e i nostri beni, la loro sottrazione si chiama, in diritto, lesione del “diritto fondamentale della difesa”, diritto riconosciuto dalla nostra Costituzione e a livello internazionale. Questi “eletti”, con le loro azioni, si sono elevati dunque sopra anche la Costituzione.
Siamo stati lesi nei diritti umani e civili e torturati senza che nessuno intervenisse a nostro favore.. Gli eletti nel nuovo regime sanno che possono farlo: hanno amici dappertutto e nel caso tali amici non fossero totalmente convinti, si convincono opportunamente tramite soldi o menzogne.
Se tali cose fossero capitate in una sola Procura si potrebbe parlare di un caso, ma questi avvenimenti, ripetutesi in varie Procure e Questure, segnalano la certezza di un regime di questi “eletti”, di una situazione generalizzata, di una invasione del nostro nemico —e nemico della democrazia— all’interno di tutte le strutture dello stato.
Questi “eletti” operano al di fuori della legge e dei diritti umani con un conseguente decadimento ed un imbarbarimento generale della civiltà. Elementi di questa gente, per la loro fame di soldi e potere, hanno distrutto intere aziende. Basti pensare al crack del Banco ambrosiano e ad altri numerosi crack come quelli della Cirio e della Parmalat, in cui sono coinvolti sempre loro e la loro fame di soldi.
La guerra che abbiamo condotto fino ad ora è stata per difenderci e per difendere quegli elementi senza i quali la vita è disumana, quali la libertà, la democrazia, la giustizia, la verità. Speriamo di aver esposto in maniera chiara in questo documento i termini del problema e quali rischi si corrono a seguire, tramite le proprie azioni o omissioni, la linea di questo nuovo potere contrario alla democrazia, alla vita e alla carità. Insomma che questo documento vi aiuti a aprire gli occhi e a prendere posizione. Agli uomini vogliamo ricordare che il male fatto non protegge, si finisce prima o poi a essere ingoiati dalle proprie azioni.
The Black Cat è stato scritto per delineare la criminalità che ci ha colpiti, che sta al di sotto del nostro caso personale, e quel potere mafioso e fascista che opera nascosto dentro la massoneria deviata, e che ha sede centrale nelle terre ove siamo nati. Si tratta di un documento che spiega in termini generali la consistenza del problema, e in qualche modo costituisce di per sé un avvertimento, un campanello allarmante della situazione italiana e internazionale.
Noi abbiamo fatto il nostro dovere, ora sta a qualcun altro fare qualcosa.
Noi confidiamo non tanto nelle forze dell’ordine o nella
magistratura in generale, che hanno già mostrato i vari lati deboli, ma in
quegli uomini all’interno di queste Istituzioni che sono rimasti integri, e in
quelli che non si sono ancora allineati con quella parte Avversa, che vuole
solo distruggere la nazione e il diritto.
Questo documento vuole dare l’occasione di far aprire gli occhi su quello che sta accadendo in Italia e sull’imbarbarimento della civiltà. Di questo passo, se non si cambia direzione, si va nel fosso tutti quanti.
Difficile capire e rendersi conto della grave situazione in cui siamo immersi tutti, difficile innanzitutto perché la propaganda, la guerra psicologica, la guerra non ortodossa, tutte assieme ci hanno programmato fin da bambini il modo di pensare non facendoci vedere il mondo per quel che è. Occorre per i cittadini italiani una vera e propria de-programmazione mentale che riporti a considerare tutti gli aspetti sotto una buona luce, solo la verità poi può essere la base di scelte sensate e responsabili. Noi italiani siamo stati divisi e messi uno contro l’altro da persone che avevano tutti gli interessi per farlo e per prendere il sopravvento. Molti di noi si potranno rendere conto in questa insensata guerra di essere stati usati.
Anche se fin da piccoli siamo stati educati in un credo mafioso e fascista multi-generazionale, e siamo stati immersi in un mondo esoterico complesso fatto di rituali, noi di quel mondo non abbiamo mai voluto farne parte. Come se fossimo elementi partecipanti a un macabro esperimento segreto, fuggiti da quel laboratorio che è stato il nostro paese, siamo stati inseguiti perché ritenuti pericolosi di poter fornire informazioni riservate quell’esperimento.
In realtà noi non abbiamo nessuna informazione riservata. Quel poco che sapevamo lo abbiamo messo per iscritto negli esposti e il resto lo abbiamo imparato solo di recente.
Sono state le continue collusioni all’interno della giustizia che ci hanno fatto capire giorno dopo giorno, insabbiamento dopo insabbiamento che la storia era ben più complessa. La continua intromissione nella nostra vita di quel potere —che non ci ha mai lasciato in pace— ci ha spinto a titolo di difesa a ricercare la verità un gradino più in là. Ora vorremmo far capire che tutto il vespaio[155] sollevato non è colpa nostra, è stato quel potere che lo ha determinato con le proprie mani. Se ci lasciava vivere in pace non saremmo mai arrivati a questa situazione. Noi cinque anni fa , all’inizio di questo viaggio eravamo completamente all’oscuro di queste realtà, ed abbiamo dovuto apprenderle per nostra difesa.
Noi non vogliamo pagare per negligenze, sottovalutazioni,collusioni ed errori fatti dalle forze dell’ordine e dai giudici, e nemmeno pagare per la rabbia di quanti sono stati scoperti con le mani in pasta con quel potere.
A noi serve un’altra vita, magari con altro nome e cognome, con cui avere una nuova possibilità.
THE -
BLACK CAT
Delineiamo alcuni tratti della “Cultura della Morte”, che permea gran parte dei fenomeni criminali descritti ad inizio di questo dossier, e costituisce il filo nero, legame delle ideologie di fondo di mafia, fascismo universale, nazismo…
Questa parte costituisce di per se anche un approfondimento del capitolo “Mafia e Fascismo nelle istituzioni: «Il Gatto Nero»”.
Le ideologie di fondo del fascismo universale sono sintetizzate abbastanza bene nel documento UF* dove si tratta degli aspetti esoterici del movimento nella parti “Fascismo Universale” e seguenti.
Il maggiore esponente del Fascismo Universale, Michael Ledeen. fu finanziato fin dai suoi primi studi degli anni sessanta dai circoli veneziani. In particolare Ledeen ed i suoi sostenitori promuovevano con i loro scritti un revival del fascismo in una forma diversa da quella che aveva caratterizzato i regimi fascisti di Mussolini e Franco[156]. Aspiravano ad una forma radicale che doveva tornare alle origini rivoluzionarie.
In UF* leggiamo:
“The new, universal
fascism would return to its revolutionary
roots, shorn of the limiting, nationalistic elements of the Mussolini, Hitler, or Franco regimes. The
essence of fascism, the creation of an
entirely new man in a crucible of endless
war and revolution, had been “betrayed” by these nationalist fascisms, but what the movement should have
become, could be seen in earlier
experiments, such as the French Revolution’s Terror. In this argument, readers
of Children of Satan will recognize the
Synarchists’ “Beast-man” project, rooted
in the militarist Martinist freemasonic cult of the Jacobin Terror and Napoleon’s dictatorship.”
Il poeta Gabriele D’Annunzio[157], glorificato come un eroe da Ledeen, fu messo a capo, da parte del circolo veneziano, del primo esperimento fascista, la presa di Fiume, che servì come esperimento per il successivo regime Mussolini. D’Annunzio era membro di una loggia massonica Martinista con il pseudonimo di “Ariel”, e con il grado di Superiore Incognito.
I riti Martinisti erano fondati su “magic violence”, tortura, morte,
e distruzione. Una personalità nera quella di D’Annunzio.
Cini, D’Annunzio, Borghese, Gelli, Alliata, Volpi… tutti amici fascisti.
Borghese, uno dei monoliti fascisti, proviene dalla cosiddetta “nobiltà nera”, un particolare ramo di nobiltà che vanta discendenza dall’elite dell’Impero Romano. Numerosi papi e cardinali provengono da questa linea di nobiltà nera. Borghese fondò uno squadrone navale d’elite durante il regime Mussolini. Si tratta della famosa (famous and infamous) Decima Mas[158] o XMAS.
Durante la seconda guerra mondiale, il Generale delle SS Karl Wolff, ordinò a Borghese ed alla XMas di muoversi anche nella terra ferma: qui lo squadrone diventò uno strumento di morte, di tortura e di “lezione” per molti partigiani che venivano eliminati, come esempio, sulla pubblica piazza.
In BP* si legge:
“Hitler's
henchman for the German occupation of northern Italy, SS Gen. Karl Wolff
(formerly Himmler's private secretary), ordered Borghese and his X MAS to
move onto land, where they became infamous for anti-partisan warfare, including
the systematic use of torture and the summary execution of Italian civilians as
a "lesson" to the partisans. Greene and Massignani report that in the
600 days of the Salò Republic, the X MAS raised a force of 50,000 men, and
that in the bloody civil war which followed the armistice, probably more
Italians died than in the entire war before then.”
Borghese non è stato un semplice principe, terrorista, piduista e assassino. Era un fascista in collegamento diretto con le SS e un vero cultore della morte per questo si merita il nome di “Principe Nero”.
Più difficile questo accostamento. Nella valle dei templi in Agrigento Papa Giovanni Paolo II condannò duramente la mafia definendola “la cultura della morte”. Vi è un altro modo catalogare l’origine di una cultura: dalla sua firma.
La firma della morte apposta su chi si è trovato sulla strada della mafia è indelebile: è una firma tangibile, visibile, è il sangue stesso versato da tante persone. Dal punto di vista religioso, non vi è dubbio: la mafia è una religione ancora prima di un’organizzazione criminale.
Una religione che è disposta a sacrificare anche i suoi componenti per la causa. Il pentito Giuffré, in un processo divulgato a fine 2009, ha riportato come Provenzano fosse in confidenza con i carabinieri. E che Provenzano stesso diceva che alcune parti mafiose dovevano essere sacrificate alla “divinità”, riferendosi che per la causa comune, alcuni mafiosi sarebbero stati sacrificati. In pratica Provenzano fornì le indicazioni ai Carabinieri per arrestare alcune famiglie e addirittura lo stesso Totò Riina. Questa divinità nominata da Giuffré è un’entità esoterica, il fulcro della religione mafiosa.
Su “Cose di Cosa Nostra” Falcone racconta la procedura di affiliazione. Il nuovo adepto si punge il dito indice della mano, con la quale spara, il sangue viene raccolto su un santino della Madonna dell’Annunciazione. Il santino poi viene bruciato. Le affiliazioni alla ’Ndrangheta sono più marcate, attraverso prove e battesimo.
La mafia agisce sotto un preciso credo religioso, dove l’applicazione della morte non è solo lo strumento per fermare chi si oppone , ma anche una forma di culto. L’uccisione è a volte un tributo di sangue offerto alla divinità.Il sangue è l’elemento ricorrente: sangue per la divinità, sangue nelle stragi… La famiglia e le relazioni di sangue sono la base dell’organizzazione criminale. Si prende il germe della mafia per il solo fatto di nascere da famiglie di mafiosi, si ha il germe nel sangue come si suole dire. La famiglia è il luogo ove si cresce, il luogo ove si impara, il luogo ove si viene introdotti nel credo mafioso. Si deve imparare ad ammazzare, ad essere cinici, freddi. E come si fa ad imparare queste cose? Certamente non le si imparano leggendole su un libro, a volte viene fatto un training completo che prevede, come per i cani, la bastonatura. Una bastonatura psicologica, e non solo, che viene inculcata fin dalla tenera età. Si creano persone ciniche, squilibrate, pronte all’uso. Qualcuno bravo ad ammazzare, qualcuno bravo ad abbassare la testa…
E poi la sudditanza verso la famiglia, che deve essere amata e rispettata.
I principi fascisti Borghese e Alliata di Montereale attivarono il collegamento tra Cosa Nostra e le organizzazioni a base dei Colpi di Stato. Alliata è tra l’altro un discendente di una potente famiglia siciliana che oggi ha in mano gran parte della cultura in Veneto, come raccontato in “La censura su aspetti storico culturali” e in “I primi incontri con le figure del Conte Cini e del Principe Alliata: la censura della scoperta storica.
Esistono dei documentari prodotti dalla televisione italiana, la RAI, che trattano bene la questione del nazismo e in particolare del nazismo occulto, di questa religione macabra professata dai fedelissimi di Hitler.
Ne riproponiamo una parte dalla narrazione del documentario:
“Himmler
era attratto dalle leggende medievali dei Cavalieri Teutonici e dalle antiche
tradizioni germaniche delle Rune. Himmler esperto in religioni oscure si
credeva la reincarnazione di Enrico I di Sassonia, il primo re di Germania. Il
tempio di questa religione era un castello in Westphalia. Il castello
medioevale, situato nella foresta profonda, ha la forma della lancia di longino[159] che è lo strumento della totale supremazia. Qui Himmler
creò una università esoterica e un centro di formazione per la crema della
nuova società germanica. Le SS
diventavano soldati, monaci e sacerdoti di una nuova casta d’elite. Himmler
creò nei sotterranei del castello, una stanza circolare, centro di questa
religione. La stanza conteneva dodici pietre, come il numero degli apostoli,
come le stagioni, come i cavalieri di Re Artù. Ogni anno al solstizio d’inverno
un importante rituale aveva luogo. Dodici ufficiali delle SS bruciano lo stendardo insanguinato[160], il simbolo consacrato da Hitler. Il fuoco evoca lo spirito dei maestri, la
cerimonia proviene da un antico rito tibetano…
Ogni anno, al solstizio d’estate, i figli eletti del regno celebrano Odino, la divinità del Nord. Il rito dura tutta la notte in una esaltazione della morte. Le SS simulano la morte in tombe scavate nella roccia…”
Questa breve descrizione alquanto indicativa vuole far notare come il fulcro centrale del nazismo era un credo religioso dell’esaltazione della morte. Non a caso i reparti speciali delle SS avevano l’effige della morte[161].
I Nazisti studiavano le religioni del mondo[162]. Si erano spinti in Tibet per carpire i segreti della magia tibetana. Alcune spedizioni naziste ricercarono il popolo dei giganti ed il “Re del mondo” nella catena montuosa dell’Himalaya. Cercavano i discendenti di questa antica razza e degli spiriti dei giganti nascosti nelle profondità della terra. Quando i nazisti marciavano a forma di svastica, ruotando intorno ad un asse centrale, lo facevano simulando il movimento della galassia, in una specie di sincronismo “cosmico”.
I nazisti cercavano il Sacro Graal e ogni tipo di reliquia che potesse centrare con il sangue di Cristo, questo perché erano convinti che, possedendo tutto quello che centrava con Cristo, avrebbero sottomesso il mondo. Un pò come fanno i satanisti, facendo le messe al contrario, o usando le Ostie consacrate e rubate nei loro rituali come alto spregio.
L’uccisione degli Ebrei, vista in profondità, non fu solo l’eliminazione di una razza considerata imperfetta. Hitler considerava gli Ebrei degli insetti parassiti, paradossale che molti di loro furono uccisi proprio con i gas che si utilizzavano per uccidere i pidocchi, con una particolare variante, facendoli entrare nelle stanze della disinfezione senza maschera antigas!. Gli ebrei, secondo la nostra personale opinione, furono uccisi perché rappresentavano il popolo eletto, ed in qualche maniera il vero popolo discendente di Cristo. Lo sterminio degli Ebrei non aveva nessun senso logico, economico o di guerra, era semplicemente un tributo di sangue di “Cristo” alla loro bestia..
Il Nord Italia subì molto l’influenza del Nazismo, questo perché il territorio fu occupato direttamente e indirettamente. Il popolo del Veneto, già impratichito da antichi culti locali, rinvigorito successivamente da rituali provenienti dal Mediterraneo, trovò un nuovo impulso all’affermazione della cultura della morte con l’occupazione germanica, durante la seconda guerra mondiale.
Scoppiò una vera e propria guerra civile. Ricordiamo che, da parte di alcuni nostri parenti o vicini, non si finiva di recriminare ad alcune persone di aver lavorato per i nazisti. Quel clima, quella paura, e alcuni di quei riti macabri sopravvissero, insieme ad odio e rancore.
Incredibile che molti nazisti furono riciclati dopo la guerra e introdotti all’interno della NATO!
Analizzando la firma o le opere compiute da questi fenomeni si arriva a un’unica matrice: la matrice del male, della cultura della morte che prende consistenza proprio in questi fenomeni. In questo agire estremo, nel fulcro del credo, si comportano come sette sataniche, l’adorazione di satana. Difficile spiegare o comprendere le manifestazioni tramite il solo strumento del diritto, queste essenze di male estremo possono essere capite e combattute attraverso il proprio Dio, se è di segno opposto .
Queste religioni macabre però non si sono poste in contrasto con quelle ufficiali, non le sostituiscono al contrario si sovrappongono. E’ un fenomeno antico, sulla Bibbia si parla di Ebrei che prima offrono olocausti al Dio di Giacobbe e poi si recano sulle alture ad offrire sacrifici a Baal. Cose del genere le abbiamo viste anche in Veneto, dove accanto al Cristianesimo ufficiale si eleva l’antico culto dei morti e dei riti egiziani, e quello di offrire i propri figli agli spiriti in cambio di soldi e potere. In Veneto non erano solo persone di bassa cultura a fare questo, ma anche industriali, gente in vista. Le nostre nonne erano esperte a fare da mediatori (medium) su queste vicende. Un mondo oscuro che si pensava sconfitto dai nuovi tempi, un mondo invece che si trova pienamente vivo e funzionante, al di sotto di quelle menti che costituiscono il potere, che ragionano ancora in questa maniera.
Come spiegare infatti il personaggio di Hitler e di Himmler, e quanto già detto nei punti precedenti, se non in questi termini?
Queste persone, del passato o dei nostri giorni, che si nascondono nel buio, a volte sotto il segreto di Stato, sono persone in balia dei più perversi istinti umani, provenienti dalla notte dei tempi. Il più delle volte queste persone sono dei veri e propri malati, in grado, però con il loro carisma, di guidare interi popoli. Noi essere umani che pretendiamo di essere liberi e di vivere in una democrazia non abbiamo ancora imparato a difenderci da questi “mostri”, da queste persone insidiose, furbe come serpenti, che si presentano con il vestito del bene ed incarnano il male, che sparano menzogne. Loro hanno un arma in più, quella del loro Dio, cosa che molti di noi non ha più.
Quand’eravamo ragazzini avevamo particolari doti logico matematiche e artistiche. Uscimmo entrambi dalla scuola media con il massimo dei voti. L’ambiente nel quale eravamo nati, invece di favorire il nostro futuro, lo ostacolò in varie maniere. Riuscimmo ugualmente a proseguire i nostri studi. Nel mercato del lavoro eravamo riusciti a costruire qualcosa di particolare, con doti di qualità, efficienza e a costo contenuto. L’ambiente veneto ci distrusse in maniera insensata quanto avevamo costruito, causando danni all’intero sistema economico. Arrivò il tempo di chiedere l’intervento dello stato e della giustizia, ma i funzionari dello stato soffocarono qualsiasi nostro diritto. Allora colti in povertà, chiedemmo aiuto agli enti caritativi e alla Chiesa, ma questi fecero finta di non vederci. In un solo colpo avevamo perso tutti i nostri diritti, tutta la nostra storia, le nostre radici, i nostri sogni e un possibile futuro. Anche questo è frutto dell’insensata cultura che porta i propri figli anzitempo al simulacro della morte. Stato o famiglia che sia.
E poi la droga, quanta gente è stata presa dal laccio della droga. Figli, eredi di una nazione morti o completamente rincoglioniti. Gli eletti come Sindona, protagonisti del lavaggio dei soldi sporchi del traffico di stupefacenti tramite le banche del Vaticano, protagonisti sempre delle opere della morte. I veri colpevoli sempre liberi. Pronti prima a vendere droga e poi a fare le case per la disintossicazione, così ci guadagnano il doppio. Quanti si accorgono di quanto sono stati usati?
Ladri di soldi, ladri di anime, ladri di futuro.
Ladri e pronti ad accusare sempre gli altri di quello che loro compiono.
E’ tutto così semplice!
Trattiamo qui la censura che abbiamo avuto in internet.
In passato, è stata operata una forma di censura sulle pagine internet che ospitavano la nostra vicenda ed altri nostri studi su aspetti storici del Veneto. Tale censura è consistita nell'impedire che le nostre pagine entrassero nei motori di ricerca. Dopo la censura iniziale del 2005, siamo riusciti a diventare visibili in internet per un certo periodo, grazie allo stratagemma di una pubblicazione ospitata su server americani. Non ci è chiaro da chi fosse stata imposta questa censura: certo è preoccupante di come l'informazione in Italia sia così facilmente pilotata.
La censura era in linea con il comportamento rilevato all'interno degli uffici dei palazzi di giustizia. Anche là i nostri esposti non erano arrivati, come raccontato a pagina 2 in “La questione degli esposti spariti nel Palazzo di Giustizia”, un pò come non arrivavano nei risultati dei motore di ricerca le nostre pagine, che contenevano in forma più leggera le denunce di tali fatti.
Proprio all'interno degli uffici della Procura i nostri documenti sparirono. Le nostre lettere raccomandate e atti pure depositati in loco non arrivarono al "pubblico ministero". Insomma in entrambi i casi, alle nostre pagine, sia che fossero esposti, sia che fossero denunce pubbliche su internet, avevano sistematicamente vita difficile. Solo alla fine del 2006 riuscimmo a liberarci definitivamente della censura internet attraverso delle denuncie, ma questo non cambiò la linea di tendenza dei palazzi di giustizia.
Dopo i vari tentativi di ricorso alla giustizia, iniziati in ottobre 2004, con richiesta di intervento di varie autorità, poiché non vi era nessun risultato , pensammo dunque di cambiare strategia e di provare con un "appello/denuncia" pubblico, attraverso una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica. Decidemmo di registrarci in uno spazio web gratuito, che come dichiarato dal gestore, veniva regolarmente visitato dai motori di ricerca. Una volta pubblicato il nuovo sito, abbiamo atteso i tempi tecnici, indicati in circa 10 giorni perché venisse visto dal motore di ricerca, ma passò più di un mese, e poi anche due, e nei motori di ricerca non ve ne era alcuna traccia delle nostre pagine. Abbiamo fatto il test con Google, Altavista, Yahoo... Nello stesso tempo notavamo che altre pagine contenute nello stesso server web, pagine di altre persone, apparivano normalmente. Facemmo molti test, tutti con i medesimi risultati.
Casualmente un giorno scoprimmo che un nostro vecchio sito, relativo alla nostra attività, si trovava ancora nelle pagine di Google. Si trovava solamente nella memoria "cache" di Google, questo perché non era più stato rinnovato il dominio, ovvero non esisteva più quel sito, ma lo stesso Google manteneva nella sua memoria storica tali pagine. Da quel fatto notammo un particolare importante: il nostro vecchio sito aveva l'estensione ".com" ed era registrato su server americano, contrariamente alle nostre pagine che erano ospitate su server italiani.
Ci venne l'intuizione di pubblicare una versione di queste pagine sotto un dominio americano ".com". Decidemmo di provare a pubblicare le pagine su un sito gratuito.. Per test pubblicammo semplicemente la sola pagina principale, che indirizzava i vari link al sito italiano. Fu tramite questo stratagemma, che il nostro sito cominciò ad uscire su Google e su altri motori di ricerca, e sorpresa, proprio nei primi risultati. In pratica la pagina "americana" aveva fatto da ponte. Fu così dunque che le nostre pagine uscirono libere.
La cosa non durò molto, perché dopo qualche settimana il nostro sito sparì
nuovamente dal motore di ricerca. Per un certo periodo le nostre pagine
apparivano e scomparivano dal motore di ricerca, non rimanendo nemmeno nella
memoria cache, non lasciando dunque nessuna memoria storica . E questo fatto
era veramente strano, perché capitava solo a quelle nostre pagine. Dunque le
pagine comparivano e scomparivano in una modalità particolare, come se sui
risultati finali del motore di ricerca fosse stato applicato un "filtro",
ovvero questo filtro applicato sui risultati finali decideva cosa doveva venire
fuori e cosa no.
Dalla nostra analisi emergeva che questo filtro doveva essere a monte dei risultati di ricerca, perché eliminava selettivamente dai risultati pure quelle pagine provenienti dalla memoria storica (cache).
L'ipotesi più semplice che fu fatta era che il filtro eliminava dal set risultato tutte le pagine che provenivano da determinati indirizzi, inclusi in una lista da noi denominata blacklist. Sapevamo che esistevano delle blacklist, in genere per le emails, ma non eravamo a conoscenza di blacklist applicate ai motori di ricerca.
Vi era poi un elemento importante in questi eventi, le pagine continuavano ad esistere in internet ma scomparivano dai risultati dei motori di ricerca. Di questa censura non vi era nessuna traccia, ovvero nessuno ci aveva informato che era stata applicata una censura di questo tipo, ed i motivi di legge di tale precauzione, ed evidentemente nessuna possibilità di far ricorso. Per questo e per il fatto che era difficilmente determinabile cominciammo a chiamarla "censura invisibile" e probabilmente non legale.
La scoperta storica che facemmo nel 2004 è un punto fondamentale per capire la realtà veneta e come siamo giunti ne corso del tempo a scoprire altri fenomeni collegati.
La questione della “censura della ricerca storica” mostra come in Veneto anche la cultura sia sottoposta a un controllo da parte del circolo veneziano che stabilisce quello che si deve sapere e quello che no. Nel caso specifico l’emergere di alcuni aspetti storici rilevanti, su un territorio adibito allo sfruttamento di cave e di impianti radiotelevisivi, poteva interferire con il giro di soldi e di interessi che vi era a riguardo.
La ricerca storica è stata in qualche maniera "censurata" in origine
dallo stesso Comune, interpellato perché direttamente coinvolto ed interessato,
ancora nel 2004. La censura si è manifestata, in un primo momento, nel non
informare i cittadini né utilizzarne i contenuti per ogni opera di
valorizzazione del territorio. La ricerca storica verte su una importante
dinastia europea e su alcuni santi e beate di tale casata, ripercorrendo luoghi
e date di patrimonio storico e religioso, sbattuto qua e là in secoli di storia
italiana e ungherese. Nulla quindi di politico o di offensivo o di recente.
Tuttavia alcune istituzioni, consideratesi uniche depositarie del patrimonio storico in oggetto, non gradirono il nostro lavoro, impedendoci di accedere a materiale molto interessante. Non eravamo gli unici a cercare queste informazioni: ci eravamo imbattuti anche in ricercatori inglesi ed altri ricercatori ufficiosi, segno di un certo fermento in proposito.Peccato che questo fermento in Veneto fu ferocemente soffocato.
Ad inizio marzo 2005, lo stesso storico ufficiale di tale Comune, urlava da tutte le parti che gli ideatori della ricerca erano certamente persone sovversive, avevano finalità politiche e non era da escludere il colpo di stato: lo storico non sapeva che gli ideatori eravamo noi, e ce lo stava dicendo in faccia.
Pensammo subito che lo storico era matto, solo in seguito ci fu chiaro come appartenesse in qualche maniera alla cerchia veneziana del fascismo. Tutto doveva essere soffocato a qualunque costo, forse per la questione delle cave e delle Antenne radio-televisive che sovrastano gli interessi storici. Ma noi, per prudenza, e per non mischiare le due cose, nelle pagine storiche avevamo evitato di parlare delle antenne e delle cave e avevamo spostato questa questione solo sulle pagine che trattavano la nostra vicenda. Questo non servi a fermare la censura.
Certamente la censura del sito di ricerca storica deve essere partita da qualche autorità: non conteneva offese, parolacce, contenuti politici, oscenità... Cosa avrà avuto di tanto sconvolgente questa ricerca, non lo sappiamo esattamente neanche noi, abbiamo solo fatto delle ipotesi.
Per visitare un sito internet occorre conoscerne l'indirizzo. L'indirizzo può essere acquisito tramite passa parola, tv, da un libro, rivista, giornale, da un collegamento presente in un altro sito o da una ricerca fatta con un motore di ricerca. Noi stessi abbiamo utilizzato ampiamente la risorsa Internet per trovare fonti, documenti, notizie e informazioni di qualsiasi tipo. Supponiamo che vi sia uno studioso o un turista che vuole acquisire informazioni in proposito. Potrà inserire alcune parole chiave nel motore di ricerca e andare a sfogliare i risultati. Con la censura operata nei nostri confronti non troverà mai le nostre pagine. Troverà le pagine di altri, ma non le nostre. Dunque in primo luogo questa censura si manifesta come un impedimento della libertà di espressione, libertà di espressione prevista tra l'altro dalla Costituzione dello Stato Italiano.
Il secondo fatto, non meno grave del primo, è che in questa maniera si occultano degli aspetti culturali e storici. La cosa è ancora più grave se si considera che nella nostra ricerca esponiamo delle situazioni storico-religiose, sconosciute in zone del Veneto.
La fine della censura, che ci era stata operata nelle pagine internet su due siti ospitanti la nostra vicenda e i risultati della scoperta storica del 2004, fu decretata a fine dicembre 2006.
I risultati non tardarono ad arrivare. Ecco un estratto di una lettera pervenutaci poco dopo da una cittadina veneta:
“Mi
complimento con voi per il vostro magnifico lavoro di ricerca sulle …omissis..!
Mi sono imbattuta nel vostro sito stamattina, cercando dei materiali utili per la didattica: vorrei far conoscere questa parte della Storia alle scuole e mi trovo nella posizione in cui ho questa possibilità perché, da aprile 2006, mi occupo della gestione …omissis.. Trai i musei c'è anche la "nostra" …omissis., la cui storia è ingiustamente trascurata,… “
La cittadina veneta dopo pochi giorni scopre anche il nostro sito che contiene la nostra vicenda e ci scrive nuovamente:
“le
pagine che ho trovato ora sulle vostre vicende (non parlo solo della vostra
ricerca storica) mi hanno sconvolta! Ma non incredula, purtroppo, anzi...
Alcuni aspetti della realtà con cui vi siete scontrati li ho dovuti subire
anch'io, per vicende molto personali, per cui vi prego di credermi: vi esprimo
la mia più sincera e profonda comprensione e solidarietà. Con l'augurio che
siate riusciti a rifarvi finalmente una vita serena e dignitosa e che la buona
salute non vi manchi!
La
mia idea di fare una festa di primavera
, che sembrava poter essere sostenuta dal sindaco del comune, è stata
affondata, forse anche perché ho proposto di ospitare la rappresentazione
della vita della beata che, tra l'altro, non sarà rappresentata nemmeno ad
…omissis.., mentre all'inizio sembrava un'idea accolta molto
favorevolmente... Ora capisco anche anche perché non
potrete rispondermi... ma vi prego, magari fra un mese, di dare un'occhiata al
sito … Dal mio pc sono riuscita a trovare subito il vostro sito con la chiave
"…omissis..": è stata la prima voce che mi ha dato il motore
di ricerca! Siete tornati "liberi" sul web, allora, dal 31 dicembre
2006 perlomeno! Abbiate sempre fede nella provvidenza
di Dio che, come ha aiutato me e la mia famiglia, starà già aiutando anche
voi...Tanti auguri, ragazzi!”
La P-2 (Propaganda Due) è una loggia massonica nata all’interno della giurisdizione del Grande Oriente d’Italia. Nata nel 1877 su esigenza di quei eletti dei quali non era possibile iscrivere un domicilio fisso per le loro attività. La P2 fu estromessa dal Grande Oriente nel 1976 quando passò a loggia illegale e coperta.
La P2 venne alla luce durante l’indagine condotta da giudici di Milano sulla questione del crack del Banco Ambrosiano, sull’uccisione di Giorgio Ambrosoli ad ordine di Michele Sindona.
Secondo una commissione Parlamentare La P-2 di Gelli era un’associazione di mutuo soccorso che proponeva ai soci aiuto, conforto e difesa a costo della propria vita. L’obiettivo era di promuovere i soci nelle posizioni di potere della società. Il Parlamento considerò la P-2 una cospirazione sovversiva. Si dice che non tutti i membri erano attivi in complotti. Molti politici, pubblici ufficiali e figure militari entravano nella pro-atlantica P-2 perché permetteva loro di avere un rapporto speciale con le istituzioni anglo-americane e molti uomini di affari dichiararono che vi erano entrati per questioni di “business”.
Alla P2 facevano parte i veterani della nostra storia: Licio Gelli, principe Borghese, Principe Giovanni Alliata di Montereale, Michele Sindona, Giuseppe SantoVito, Giovanni Torrisi, Giovanni Allavena, Conte Umberto Ortolani e così via…
Da vocabolario si legge alla voce Mafia: [voce siciliana di etimologia incerta;1865]
Associazione clandestina
sorta in Sicilia nella metà del XIX secolo, ma diffusa anche oltreoceano, che
agisce al di fuori della legge (e nello spirito originario per sostituirsi ad
essa), per organizzare attività criminali, controllare settori economici e
politici a proprio vantaggio.
[Estensivamente ogni
associazione informale più o meno segreta, intesa a garantire solidarietà,
attribuire privilegi o esercitare un potere occulto].
Noi utilizziamo il termine mafia in maniera estensiva, ci riferiamo dunque a qualsiasi fenomeno di questa natura. Quando invece vogliamo essere più specifici usiamo il termine “Cosa Nostra”, “Ndrangheta”, “Camorra”, “Sacra Corona Unita”…
In maniera estensiva chiamiamo a volte mafia anche la massoneria illegale come la P-2 o altre logge infamanti.
Dovendo immaginare materialmente la differenza tra mafia e massoneria deviata, visualizzate la medesima persona vestita male, barba mezza lunga, capelli incolti, e poi la medesima con abito da festa tirata a lucido: la prima è la mafia, la seconda la massoneria.
Un pentito al giudice Falcone, descrisse la mafia in questa maniera:
“Vi è un concorso
presso una pubblica amministrazione, per un posto molto delicato, e vi
partecipano tre persone: il primo è brillante, uscito dagli studi con il
massimo dei voti, una mente veramente eccezionale; il secondo viene da una
lunga esperienza nel settore, ha fatto tanta gavetta, è molto pratico, e trova
sempre qualche buona soluzione; il terzo è un emerito imbecille, non ha chissà
che studi o pratica, ma conosce tizio, da cui ne riceve gli appoggi.Chi
vincerà? Il terzo. Questa è la mafia.”
Questa realtà descritta dal pentito, che lui identifica come mafia, se ci si pensa bene, in realtà e la condizione generale italiana. Ma in Veneto non si è ancora imparato a chiamare il fenomeno con tale termine. Lo si può usare come concetto generale, ma non se ne può parlare con le forze dell’ordine. Parlare di mafia in Veneto è tabù.
Nella notte del 15 Agosto 2007 vengono uccisi sei italiani di età compresa tra i 18 e i 39 anni nelle vicinanze della Stazione Centrale di Duisburg in Germania. È la prima volta che la ’ndrangheta provoca una strage di queste proporzioni al di fuori del territorio nazionale. Si tratta di un regolamento di conti, di una faida tra famiglie di ’ndrangheta. Il procuratore antimafia Grasso dichiarerà pochi giorni dopo che la Ndrangheta è la prima organizzazione criminale in Europa[163].
Il 30 si agosto vi è la reazione delle forze dell’ordine per evitare il propagarsi della faida, ecco cosa scritto in proposito sul sito internet di “La Repubblica” del 30/08/07:
"Cinquecento uomini tra polizia e carabinieri
hanno circondato questa mattina il paese di San Luca. L'operazione degli
inquirenti calabresi ha portato al fermo di 32 persone nel paese della Locride
da anni al centro di una sanguinosa faida tra alcune cosche della
'ndrangheta. Nell'ambito del blitz sono stati eseguiti due fermi anche a
Latina. Decine e decine le case perquisite, cunicoli naturali e
artificiali setacciati, elicotteri in volo per presidiare le vie di fuga, un
bunker scoperto e 32 provvedimenti di fermo notificati. Questo è il bilancio
dell'operazione condotta dalle forze dell'ordine. Tutte le persone fermate sono
gravemente indiziate di avere parte attiva nella faida tra i Nirta -Strangio e
i Vottari-Pelle che ha avuto nella strage di Ferragosto, a Duisburg, in
Germania, il suo episodio più sanguinoso.".
"La fuga di notizie. La Procura della
Repubblica, infine, ha aperto formalmente un fascicolo di indagine a causa di
una fuga di notizie riguardante un particolare della strage di Duisburg:
addosso a Tommaso Venturi, 18 anni, uno degli assassinati, è stato ritrovato un
santino bruciacchiato, segno questo, che il giovane era stato
"battezzato" come uomo d'onore quella tragica sera nei locali del
ristorante "Da Bruno". Il particolare era stato comunicato meno di
due giorni fa dalla polizia tedesca ai magistrati italiani titolari delle
indagini, aspetto che avrebbe generato gravissimo allarme tra gli inquirenti
per la permeabilità di indagini riservatissime."
Che la 'Ndrangheta avesse i propri collegamenti in tutta Italia e all’estero non è certo un mistero.
L’aspetto che andiamo ora ad esplorare però può essere sfuggito a qualcuno.
Il paese di San Luca, noto per essere uno dei centri più importanti della ’ndrangheta calabrese, è gemellato con la cittadina di Cascia. Cascia si trova in provincia di Perugia e il paesino è famoso in tutto il mondo perché conserva il corpo di Santa Rita da Cascia. Santa Rita era stata Lei stessa vittima delle faide di famiglia.
Per entrare nella 'Ndrangheta si fa un rito di "iniziazione"
bruciando la testa del santino di San Michele Arcangelo, il massacro di
Duisburg è stato fatto il 15 di Agosto, festa dell'Assunzione; questa faida
cominciò nel 1991 nel giorno di Lourdes e proseguì con altri morti il giorno di
San Valentino e il Natale 2006. Insomma tutto questo interesse per santi,
santini e date religiose non ignorerà certamente il gemellaggio di San Luca con
Cascia, visto anche che la Santa delle grazie impossibili era stata Lei stessa
vittima delle faide di famiglia e visto che la Santa è pure il nome di una
particolare forma di ndrangheta[164].
Gli uomini d'onore amano poi riunirsi nei santuari.
Le particolari situazioni vissute all’interno delle case di accoglienza sono una vera e propria istigazione all’odio e alla xenofobia. Le condizioni di vita di talune classi sociali possono diventare una vera e propria bomba di destabilizzazione. Occorre essere lungimiranti per capire che certe situazioni non sono dovute all’odio verso lo straniero, ma alla situazione reale in cui si trovano gli individui. Ovvero occorre saper riconoscere i veri responsabili e istigatori di situazioni di degrado sociale. Nel caso nostro, quando eravamo nella seconda regione, subimmo atti di bullismo. Noi italiani eravamo in minoranza nella casa di accoglienza e subimmo un attacco “razziale”. In quel caso, quella situazione pericolosa, era stata determinata dalla leggerezza della Polizia di aver posto in quel luogo persone ad alta pericolosità sociale, che avevano fatto gruppo. Prendersela semplicemente con quegli stranieri sarebbe riduttivo, per capire la vicenda occorreva vederla dall’alto…
Il mancato aiuto in condizioni di bisogno del comune di residenza e, di seguito, di tutti gli altri enti a cui ci siamo rivolti, ci poteva inevitabilmente spingere a cercare soldi nella delinquenza e nella prostituzione: abbiamo cercato di rimanere integri e ci siamo rifiutati di seguire tali strade. Il risultato è che siamo rimasti emarginati, poveri e tartassati. Ma quante persone, o per quanto tempo, in queste condizioni, si può resistere alle tentazioni? Per tutti questi “bravi enti” ci sono gli estremi di “tentata” istigazione a delinquere, “tentata” istigazione alla prostituzione…
Forti del fatto che non saranno mai giudicati e condannati, tali persone continueranno a comportarsi in tale maniera.
Al comportamento assunto da magistrati e forze dell’ordine —che non hanno mai voluto risolvere i problemi di loro competenza — si aggiunge il reato di favoreggiamento nei confronti di quei criminali che stanno al di sotto della vicenda. Se era impossibile per loro attivarsi contro quel potere, potevano almeno intervenire nei nostri confronti con qualche escamotage, e non lasciarci completamente da soli contro quelle bestie. Il giudice Falcone ad esempio si attivò personalmente per cercare una forma di protezione per il pentito Buscetta quando ancora non esistevano leggi che tutelassero tali figure. Comportandosi così hanno invece infangato la divisa che portano. Anche questi, forti del fatto che non saranno mai giudicati e condannati, continueranno a comportarsi in tale maniera.
Queste forme di ingiustizia, tutte assieme, spingono alla liceità della mafia, del terrorismo e dei fenomeni criminali in genere. Come diceva Paolo Borsellino, questi fenomeni pericolosamente diminuiscono la fede nelle istituzioni e aumentano il potere della Mafia.
THE- BLACK
CAT
Fig 1: ricevuta lettera raccomandata
Fig 2
THE- BLACK CAT
Bibliography
SCR* “SCR - Screening sul caso ”. Documento degli stessi autori di
Black-Cat, realizzato nel 2009/2010 che tratta la vicenda in ordine cronologico.
Si trova in un documento esterno nella cartella “approfondimento“.
ST* “Strategy of Tension: The Case of Italy”
by Claudio Celani - April 30, 2004 issue of Executive Intelligence Review.
http://www.larouchepub.com/other/2004/3117tension_italy.html
BP* Title “Italy's Black Prince:Terror War Against the
Nation-State” by Allen Douglas, published by Executive Intelligence Review February 4,
2005.
UF* "Ledeen’s Beloved ‘Universal Fascism’: Venetian
War Against the Nation-State" - by Allen Douglas and Rachel
Berthoff Douglas, published by Executive Intelligence Review
SAVE* "Save The American Republic From The
British Empire!" - NEWS from
www.larouchepac.com/news/2007/09/29
PB* “The Story Behind Parmalat's Bankruptcy”
by Claudio Celani published by
Executive Intelligence Review. –
http://www.larouchepub.com/other/2004/3102parmalat_invest.html
GNO* “Le Intersezioni della struttura di Ordine Nuovo con gli apparati militari interessati
alla Guerra non Ortodossa”. fonte
http://www.strano.net/stragi/tstragi/salvini/salvin43.htm
CAM* “Cini,Alliata, Matarazzo”. Fonte: varie
ARG* “Appunti sull’attività politica dei
fascisti italiani in Argentina dopo il 1945” di Federica Bertagna pubblicato su historiapolitica.com
“Cose di Cosa Nostra” BUR-
Rizzoli scritto da Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani.
THE- BLACK CAT
ST*
“Strategy of Tension:
The Case of Italy”
by Claudio Celani - April 30, 2004 issue of Executive Intelligence
Review
(www.larouchepub.com/other/2004/3117tension_italy.html)
by Claudio Celani
This piece originally appeared as a four-part series
in the March 26, April 2, April 9, and April 30, 2004 issues of Executive
Intelligence Review magazine.
The day of the Madrid train bombings, March 11,
Lyndon LaRouche issued a statement rejecting the idea that the terrorist
attacks had been carried out either by the Basque terrorist group ETA or by
"Islamic terrorism," and commented that the modality of the Madrid
atrocity reminded him of the 1980 Bologna, Italy train station bombing and, in
general, of the terrorist "strategy of tension" in Italy in the
1970s. In the following days, several experts interviewed by EIR, as well as
some newspaper commentators, independently pointed to the same analogy.
The name "strategy of tension" indicates
the period roughly from 1969 to 1974, when Italy was hit by a series of
terrorist bombings, some of which caused large numbers of civilian deaths. The
authors were right-wing extremists manipulated by intelligence and military
structures aiming at provoking a coup d'état, or an authoritarian shift, by
inducing the population to believe that the bombs were part of a communist
insurgency. The beginning of the strategy of tension is officially marked by
the Dec. 12, 1969 bombing of the Banca Nazionale dell'Agricoltura in Milan's
Piazza Fontana, "the Piazza Fontana massacre," in which 16 people
were killed and 58 wounded. The end of the strategy of tension, strictly
considered, is marked by the bomb on the "Italicus" train (Aug. 4, 1974)
in San Benedetto Val di Sambro, which killed 12 and wounded 105. During that
period, there were at least four known coup d'état attempts, threats, or
plots—one per year!
The largest terrorist massacre, however, was six
years later, on Aug. 2, 1980, in Bologna, when a suitcase containing over 40
pounds of explosives went off inside the train station, killing 85 and wounding
more than 200. The responsibility was officially claimed by a right-wing
terrorist group called Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR, Armed Revolutionary Nuclei).
The Bologna bombing, from the standpoint of its timing and the strategy behind
it, does not belong, strictly speaking, to the "strategy of tension";
it was not connected to a plan for a military coup, or a government policy
change of some sort. However, the terrorist organizations involved were
leftovers of the "strategy of tension" period which had gone
underground and reorganized themselves. As in the Piazza Fontana and other
cases, a massive cover-up was carried out by certain synarchist networks inside
intelligence and military forces.
Today, several judicial and parliamentary
investigations have established that a red thread goes through the
"strategy of tension," from Piazza Fontana, to the Italicus bombs, to
the 1980 Bologna massacre. The most important ones are the official Bologna
investigation, the most recent investigation on Piazza Fontana started by
prosecutor Guido Salvini in 1992 in Milan, and the findings of the
Parliamentary Committee on the Failed Identification of the Authors of Terrorist
Massacres ("Terrorism Committee"), which operated from 1994 to 2001.
The Bologna trial ended with the conviction of
neo-fascists Valerio Fioravanti and Francesca Mambro as the perpetrators, and
of freemasonic puppet-master Licio Gelli, his associate Francesco Pazienza, and
several military intelligence officials for obstructing the investigation. The
Milan trial produced life sentences for three neo-fascists, Delfo Zorzi, Carlo
Maria Maggi, and Carlo Rognoni, later overturned on appeal—as if it were a
signal, that appeal result was announced March 12, 2004, the day after the
Madrid bombings. The case is now going to the Supreme Court.
The Parliamentary Committee under chairman Giovanni
Pellegrino has done a considerable amount of work, including input from the
Bologna and the Milan investigations, in addition to the work of its own
experts, taking testimony from important witnesses, etc.
All three bodies have converged in establishing,
albeit with slight differentiations of political analysis, a quite truthful
picture of the structure controlling and deploying terrorism in Italy,
especially as concerns "black" (right-wing) terrorism. Pellegrino's
committee has also explored the other side of the coin, the so-called
"red" terrorism, and come to the conclusion that both were run by the
same structures. Remarkably, the committee included in its records a September
1978 report ("Who Killed Aldo Moro?") published by Italian associates
of Lyndon LaRouche in the Italian chapter of the European Labor Party, which
operated in Italy through 1983. The committee identified the report has having
been on the mark concerning the kidnapping and murder of leading Italian
politician Aldo Moro as early as September 1978, four months after Moro's
murder.
The public resurfacing of synarchist puppet-master
Licio Gelli in September 2003 (see the next article); the upgrading of the
international coordination of Falangist organizations including Italy's Forza
Nuova, successor to the neo-fascist Third Position (disbanded in the aftermath
of the Bologna massacre); the deployment of Benito Mussolini's granddaughter,
Alessandra Mussolini, as a "brand name" in support of such networks;
these and other signals had suggested a level of alert well before the Madrid
bombs went off. Already, in August 2003, Lyndon LaRouche had suggested keeping
watch on the "friends of Mussolini's granddaughter," after U.S. Vice
President Dick Cheney predicted that new atrocities would justify an expansion
of the "war on terrorism."
The Madrid atrocity has now dramatically posed the
question of a serious intelligence investigation of international terrorism, in
order to respond in the adequate way. Terrorism does not pop up overnight, like
mushrooms in the woods; it has a background and a history. Looking at the
history of the "strategy of tension" in Italy will be useful for our
readers, in order to draw the possible parallels and avoid naively giving
support to the usual witchhunts, launched to cover for the real perpetrators.
The technique adopted for the Madrid
atrocity, of placing bombs on several trains simultaneously, is not new. The
1969 Piazza Fontana massacre was preceded by a series of "demonstrative
actions" starting during the night of Aug. 8-9, 1969, with ten bombs
placed on ten different trains. Eight of the bombs, low-potential devices, went
off. Those bombs were actually placed by a neo-fascist organization called
Ordine Nuovo, but investigators were led to believe that it was left-wing
anarchists who did it. More such "demonstrative actions" followed
until, on Dec. 12, there was a qualitative jump. A series of high-potential
bombs went off in Milan's Piazza Fontana and also in Rome, where three bombs
wounded 13 people. Luckily, another bomb in the center of Milan, at Piazza
Scala, did not explode.
Immediately, prosecutors were led to look for the
perpetrators in the leftist camp. Two known anarchists, Pietro Valpreda and
Giuseppe Pinelli, were arrested. Pinelli died that same evening, by jumping out
of the window of the police station where he was being interrogated. The
official investigation concluded that his death was a suicide. Valpreda was
kept in prison for several years, before being cleared of all charges.
The anarchist connection was a cover-up, organized
by the hidden structure protecting the Ordine Nuovo right-wing terrorists. For
instance, they had even arranged to have a "black" (fascist)
extremist who looked like Valpreda, take a taxi after the bomb exploded, as if
fleeing from the scene, in order to manipulate the taxi driver into testifying
against Valpreda. The taxi driver, however, did not live to testify at trial;
he and eight other witnesses died under circumstances that were never
clarified.
The cover-up came mainly from the Interior Ministry,
which is in command of the police, and specifically from an office called
Ufficio Affari Riservati (UAR), a sort of domestic intelligence bureau, whose
chief was Federico Umberto D'Amato. D'Amato, as Pellegrino explains, "was
an old Anglo-American agent, whose career started soon after the Liberation
[from Nazism/Fascism] under James Angleton," a leader of the OSS (Office
of Strategic Services, the U.S. wartime predecessor of the CIA). Thanks to
Angleton's protection, "D'Amato became superintendent of the Special
Secretary of the Atlantic Pact, the most strategic office of our apparatus, as
it is the connection between NATO and the U.S.A." At the end of the war,
the UAR was stuffed with hundreds of former officials of Mussolini's Salò
Republic, the rump Northern Italian state under Nazi SS control, whose militia
was derisively referred to as repubblichini by Italian anti-fascist partisans.
Milan prosecutor Guido Salvini had established that
Delfo Zorzi, the neo-fascist whose conviction for having placed the Piazza
Fontana bomb was recently overturned, had been recruited by D'Amato as late as
1968. Salvini has found out much more. One witness, Carlo Digilio, decided in
1992 to collaborate with the investigation, and revealed that he had worked as
an infiltrator in Zorzi's group for U.S. military intelligence units within the
NATO command in Verona. Digilio's superiors in that U.S. operation knew about
every terrorist action the Zorzi group was planning to undertake, from the Aug.
8, 1969 bombings to those the following December. Digilio's superior, U.S. Navy
Captain David Garrett, claimed, however, that the deal was that all actions had
to be "demonstrative." Garrett, Digilio reported, was in contact with
Pino Rauti in Rome, the national leader of the neo-fascist Ordine Nuovo (ON),
of which Zorzi was a member in the Veneto region.
The second participant in the Piazza Fontana action,
Carlo Maria Maggi, was the leader of the Veneto ON cell. The third one,
Giancarlo Rognoni, was a member of the Milan ON organization, who provided
logistical support.
In 1971, two members of Ordine Nuovo, Franco Freda
and Giovanni Ventura, were arrested in the Piazza Fontana investigations, as
well as in connection with other minor terrorist actions. However, when the two
Milan prosecutors, Gerardo D'Ambrosio and Emilio Alessandrini, came close to
uncovering the whole network, the investigation was "stolen" from
them, and moved to the southern city of Catanzaro, where both Freda and Ventura
were acquitted.
Today, Salvini's investigation has assembled several
witnesses who make clear that it was Freda who bought the timers used for
building the bombs, and that it was Ventura who made them. But neither Freda
nor Ventura can be tried for this, because they have been already tried once
for this crime, and acquitted.
It has been established that the strategy of
tension aimed at taking control of the government, in a semi-totalitarian way.
The best formula, according to the plotters, would be a technocratic Cabinet
supported by a public pronouncement of the Armed Forces, South American-style;
or, as an alternative, a straight military coup. The chances of success for a
military coup in Italy were been small, especially because of the presence of a
large militant organization, the Communist Party, which was organized for
partisan warfare. However, plans for a military coup were made and almost
executed; if anything, they functioned as a threat, helping to force the
desired political results. Consider that, in 1969, democratic Italy was
surrounded by dictatorships in Portugal, Spain, Yugoslavia, and Greece, where a
coup had just occurred in 1967.
The plan in 1969, as reported by several witnesses,
was to create widespread public tension and fear, which would lend support to
the declaration of a state of emergency by Christian Democratic Prime Minister
Mariano Rumor, who would exclude the Socialists from the government and seek
support from the MSI, the official neo-fascist party. However, Rumor did not
deliver. He was prevented by fellow Christian Democrat Aldo Moro, then Foreign
Minister; Moro confronted State President Giuseppe Saragat, who was in favor of
declaring the state of emergency, and finally prevailed. There was a long
government crisis, and it was three months before Rumor was able to put
together another Cabinet.
This was not the first time Moro faced the threat of
a coup. In 1964, when, as Prime Minister, he was negotiating his first
government with Socialist participation, the threat was carried out by another
State President, Antonio Segni. Segni, a right-wing Christian Democrat, was
manipulated by an intelligence officer, Col. Renzo Rocca, head of the economic
division of SIFAR, the military secret service. Rocca (who, after his stint at
SIFAR went to work at the automaker FIAT in Turin) reported to Segni that the
financial and economic establishment predicted a catastrophic economic crisis,
if the Socialists joined the government. In reality, a few large monopolies (in
the hands of the same families who had supported Mussolini's regime) feared
that the new government would introduce reforms to break their power in real
estate, energy, finance, and economic planning. Segni, on advice from Rocca,
called the head of SIFAR, Gen. Giovanni de Lorenzo, and asked him to prepare a
list of political leaders to be rounded up in case of serious insurgency or
threat to the Constitution. De Lorenzo prepared a plan called "Piano
Solo."
Segni then manifested his intention to withdraw the
government mandate from Prime Minister Moro, and to give it to a technocrat,
Cesare Merzagora. In addition to this, Segni received help from the vice
president of the European Commission, Robert Marjolin, who publicly attacked
Moro's government program in the name of the European Community. Marjolin, a
French Socialist, had probably met Segni in Paris, where Segni had been shortly
before commissioning the Piano Solo.
Moro and his allies took Segni's threats seriously,
and decided that in order to avoid a constitutional crisis, the new government
should drop the "dangerous" elements in its program. Thus, the
center-left government, a project started by Moro in 1960 and supported by the
Kennedy Administration, was stillborn.
Probably, if Enrico Mattei, Italy's powerful economic
leader, had been alive, things would have been different. But Mattei had been
killed on Oct. 27, 1962, when a bomb aboard his plane exploded as the pilot
lowered the landing gear, on approach to the Milan Airport. Mattei, a former
wartime commander of the anti-fascist Italian partisans, was the founder of
Italy's state oil concern ENI, a leader of postwar economic reconstruction, and
a fighter for Italian independence, both in energy and in foreign policy.
Mattei had challenged the energy monopolies abroad and domestically, and had
put them on the defensive. In 1960, he threw all his power and influence—and
money—behind Moro's project. His assassination was a turning point in Italian
history, the beginning of what then became the strategy of tension, and the
successive phases of destabilization.
Mattei was killed at the height of the Cuban Missile
Crisis, after an international media campaign which portrayed him as a friend
of the Soviets who was making economic deals with Moscow and who would not hesitate
to bring Italy into the Communist camp. As documented in various EIR
publications, Mattei had been targetted by the French right-wing terrorist
organization OAS (Organization Armée Secrete) and by the same Colonel Rocca we
just met, who was briefing the CIA station chief in Rome, Thomas Karamessines,
against Mattei. These are the networks which surface again a few years later,
in the deployment of the strategy of tension.[1]
On May 3-5, 1965, three years after the death of
Mattei, and one year after the "Piano Solo" crisis, a conference took
place at the Hotel Parco dei Principi in Rome, organized by the Istituto
Alberto Pollio, a think-tank headed by Gen. Giuseppe Aloja, Chief of the
General Staff of the Armed Forces. The theme of the conference was
"Revolutionary Warfare," and it is considered the planning session of
what would become the strategy of tension. The participants discussed various
aspects of the threat to Italy allegedly posed by the Communists, operating
through "irregular-warfare" means, and possible ways to counter that
threat using the same means: counterrevolutionary warfare. Among the speakers
were Pino Rauti, founder of the neo-fascist Ordine Nuovo; Mario Merlino, a
member of ON who pretended to be an "anarchist" during the Piazza
Fontana investigations; fascist journalists Guido Giannettini, Enrico de
Boccard, and Edgardo Beltrametti; military officials such as Gens. Alceste
Nulli-Augusti and Adriano Giulio Cesare Magi Braschi[2]; Salvatore Alagna from
the Court of Appeals in Milan; and Vittorio De Biase, from one of the most
important economic monopolies, Edison. De Biase was the closest advisor to
Edison chairman Giorgio Valerio, an enemy of Mattei and Moro. Before, during,
and after Fascism, Edison was the largest component of the energy cartel,
together with SADE, led by Fascist Finance Minister Count Giuseppe Volpi di
Misurata.
Edison had about 300,000 shareholders, but it
was controlled by a few economic-financial groups, representing the
financier-rentier oligarchy: Bastogi, formerly a railway company and now a
financial holding, was the main shareholder, followed by Pirelli (Alberto
Pirelli had been an enthusiastic minister of Mussolini's); the Crespi family
(owners of the newspaper Corriere della Sera, and founders of the first Italian
ecologist association, Italia Nostra, in 1964) and Feltrinelli family
(Giangiacomo Feltrinelli founded the first left terrorist group, the GAP, in
1970); the insurance company Assicurazioni Generali; and SADE.
Bastogi was also present in the other energy
concerns SADE (together with the Venetian aristocratic trio Volpi-Cini-Gaggia),
Centrale, and SME. Bastogi was in turn part-owned by FIAT, Generali, Edison,
Centrale, and Pirelli.
Bastogi was built as the center of financial power
under Fascism, by Alberto Beneduce, the reorganizer of the bankrupted Italian
banking system in 1933, architect of Il Duce's deflation policy, and creator of
the large state conglomerate IRI.
Beneduce was a freemason and a "socialist"
(as Il Duce himself once had been), so much so that he named his three
daughters "Idea Nuova Socialista," "Italia Libera," and
"Vittoria Proletaria." Beneduce did not live to see the fall of
Fascism, but he ensured his succession by marrying his daughter Idea Nuova
Socialista to a promising young talent named Enrico Cuccia, a protégé of
Mussolini's first Finance Minister, Guido Jung.
Cuccia, who worked at Banca Commerciale Italiana
under Beneduce's ally Raffaele Mattioli, in 1942 participated in the foundation
of the Partito d'Azione, a party opposed to right-wing fascism, which, however,
shares the same 19th-century roots as fascism, in the ideology of Giuseppe
Mazzini. In the middle of World War II, the Partito d'Azione sent Cuccia to
negotiate a deal with U.S. representative George Kennan, in Portugal. Cuccia
was introduced to Kennan by André Meyer, the synarchist banker head of Lazard
Frères. The content of the deal remains secret to this day.
At the end of the war, the oligarchical control of
the Italian economic system was threatened, because the large state-owned
sector—including the banks, IRI (through which Beneduce controlled Bastogi),
and the central bank itself (owned by the nationalized banks)—was now under the
control of new political parties, the Christian Democracy (DC) and its allies.
Cuccia knew that the group around Mattei (whom he knew through Resistance
networks) had a precise idea of the state's role in the national economy, and
how that could be designed to serve the Common Good instead of private
interests.
But, perhaps as a result of the deal struck through
George Kennan, Cuccia was allowed to find a solution that would safeguard the
interests of private monopolies in the new Italian state, through the invention
of Mediobanca, an investment bank that was half public and half privately
owned. Mediobanca was founded in 1946, and in 1955, Lazard and Lehman entered
as foreign partners. Since the 1936 banking legislation enforced by Beneduce
prohibited investment banking in Italy, Mediobanca was the first and only
private investment bank, which dominated the scene from 1946 to 1995. Through
Mediobanca, Cuccia was always able to provide fresh money (coming from the
company's public shareholders) for the needs of his private shareholders, and
for the other members of the "club." Among these, of course, was
Edison's Giorgio Valerio, who sent his envoy De Biase to the Istituto Pollio
meeting.
After the Istituto Pollio meeting, the marching
orders were given to the troops. In the same year, 1965, Pino Rauti and Guido
Giannettini, two participants of the meeting, published a pamphlet entitled Red
Hands Over the Armed Forces, aimed at recruiting supporters to the project
inside the military.
In 1966, Franco Freda and Giovanni Ventura, the two
Ordine Nuovo members who participated in the Piazza Fontana bombings, announced
the formation of the Nuclei di Difesa dello Stato (Nuclei in Defense of the
State), a paramilitary organization composed of military and civilian
personnel, overlapping with the secret but official NATO
"stay-behind" organization called Gladio.
In Rome, another neo-fascist organization,
Avanguardia Nazionale (AN), was active. Its leader, Stefano delle Chiaie, had
been seen in the audience at the Istituto Pollio, but he always denied having
been there. In the evening of Dec. 12, AN took care of the bombs in Rome, while
Zorzi and the ON people, directed from Rome, placed their bombs in Milan's
Piazza Fontana and Piazza Scala.
According to Milan Prosecutor Salvini, the real
"brains" behind the attacks was Guérin-Sérac, a former member of the
French OAS who was running the Aginter Press, a center of logistical support to
neo-fascist groups throughout Europe. It was Guérin-Sérac who had developed the
strategy of "creating false groups of the extreme left, and infiltrating
existing ones, in order to place on them the responsibility for terrorist
actions, provoking the intervention of the Armed Forces and excluding the
Communist Party from any significant influence on Italian political life."
Guérin-Sérac, a "Catholic" fascist, had
participated in the French colonialist intervention in 1956 in Suez, in
alliance with Britain and Israel, against Egyptian President Nasser's decision
to nationalize the Canal. The allied colonialist forces were humiliated by U.S.
President Dwight Eisenhower, who ordered them to cease the intervention and go
home.
As we have seen, the strategy of blaming the
"anarchists" for the Piazza Fontana bombing seemed successful, at
first. Military intelligence helped, by indicating Guérin-Sérac, but only to
say that he was a "Marxist." But Aldo Moro, and his friend Luigi Gui,
the Defense Minister, didn't believe it. Gui was receiving honest reports that
the neo-fascists were behind it. And Moro prevented Prime Minister Rumor from
declaring the state of emergency.
The strategy of tension continued. On July 22, 1970,
a bomb exploded on the train Freccia del Sud, in the Calabrian city of Gioia
Tauro, killing six people and wounding 136. In September, the MSI organized a
popular uprising in Reggio Calabria. After several days of clashes with police,
three were dead, and 190 policemen and 37 civilians were wounded.
On the night of Dec. 7, 1970, Junio Valerio
Borghese, the Fascist commander whom Angleton had saved from a partisan
execution squad, occupied the Interior Ministry with a platoon of militiamen,
in what seemed to be the beginning of a military coup. But at midnight,
Borghese's troops left the Ministry, after having loaded two trucks with
weapons.
According to Pellegrino, Borghese's coup was "a
very serious attempt." Sources from the neo-fascist camp say that the plan
was to occupy the television station, the Presidency, the Interior Ministry, and
a few other strategic points, after which a counterinsurgency operation that
had been planned out at Carabinieri headquarters, was to start. The plan
included the arrest of trade unionists, political and military leaders, and
similar individuals; and would have allowed a military dictatorship.
Pellegrino thinks that possibly, "Somebody in
Italy claimed that they had support overseas. But, once informed of what was
going on in Rome, the relevant people immediately blocked Borghese and his
people." The seriousness of Borghese's attempt is indicated by the fact
that the Secret Service sent an official report to the prosecutors in 1974, but
many key names were not included: among them, Adm. Giovanni Torrisi, Gen. Vito
Miceli, Air Force officials Lovecchio and Casero, all members of the secret
freemasonic Propaganda-2 (Propaganda Due, P-2) Lodge, as well as the head of
P-2, puppet-master Licio Gelli.
Borghese succeeded in avoiding arrest by escaping to
Spain. In the meantime, the Ordine Nuovo people had not forgiven Prime Minister
Rumor for having "betrayed" the cause by not declaring a state of
emergency. They prepared a punishment. Their agent Gianfranco Bertoli was sent
to Israel for the relevant training. When he came back, he was re-tooled as an
"anarchist," and, on May 17, 1973, he threw a hand grenade into a
crowd coming out of the Police Central Office in Milan. Four people died, and
52 were wounded. The real target was Rumor, who was visiting the office and who
mixed with the crowd, but Rumor was not even injured. For a long time,
Bertoli's cover worked; everybody believed that he was an anarchist.
In
October 1973, another coup plot was discovered: "Rosa dei Venti" (Points
of the Compass), it was centered in Verona, with Maj. Amos Spiazzi as one of
its leaders.[3] Spiazzi, however, as Salvini describes, reported to a higher
official, Gen. Adriano Giulio Cesare Magi Braschi, one of the main participants
in the Istituto Pollio meeting. Magi Braschi was said to be "connected to
OAS representatives such as Jacques Soustelle." Furthermore, he was active
in a NATO apparatus, as reported in a Secret Service note of 1963 which praised
his "capacity in the field of unorthodox warfare" and emphasized his
role in the "inter-allied cooperation in this particular branch."
One of Salvini's main witnesses, Carlo Digilio,
reported on meetings in Verona with Spiazzi, Magi Braschi, and neo-fascist
terrorists such as Carlo Maria Maggi and Carlo Fumagalli. At the beginning of
the 1980s, Magi Braschi had become Italian leader of the World Anti-Communist
League; he died in 1995.
A fourth coup d'état was discovered in 1976 in
Turin. It had been planned for August 1974. It was called the "White
Coup," and its leader was Edgardo Sogno, a former monarchist Resistance
leader. The list of members of Sogno's plot overlaps with those of the Rosa dei
Venti and even with the Borghese coup. Sogno was a member of the P-2, like many
of his co-conspirators.
Such overlaps prompted Bologna prosecutor Franco
Quadrini, who has reconstructed the history of right-wing terrorism, to state
that "the subversive project connected with the successive 'Borghese,'
'Rosa dei Venti,' 'Sogno' [attempts], was in reality a single one, and, from
time to time, commissioned to this or that participating network, specifically
prepared."
According to Pellegrino, 1974 was the end of a
phase. Already, after the Borghese attempt, it had become clear that the
strategy was not successful, because the population did not support a coup.
Internationally, there were major changes. First Portugal, and then Greece, got
rid of their dictatorships. In the U.S.A., Henry Kissinger left the government
in 1977. A new strategy was launched, centered around the P-2 freemasonic
Lodge. "Black" terrorism was no longer useful, and what was left of
it had to be eliminated, carefully making sure that investigators would not
reach the higher level.
With the exception of the 1980 Bologna
train-station massacre, all major episodes of blind terrorism in Italy have
remained legally unsolved, thanks to a systematic cover-up and sabotage of the
investigations carried out by intelligence structures. That is why somebody
like Stefano delle Chiaie, for instance, the leader of Avanguardia Nazionale
and lieutenant of "Black Prince" Junio Valerio Borghese, can today
walk freely in Rome, with no one allowed to call him a terrorist. That is why
the 1994-2001 Parliament Investigating Commission was called "On the
Failed Identification of the Authors of Terrorist Massacres." Recently, a
new Milan trial on the 1969 Piazza Fontana bombing seemed to change this
pattern, but the conviction was overturned on appeal.
Similarly, the two major terrorist actions of 1974,
the Brescia "Piazza della Loggia" massacre and the Italicus train
bombings, have been followed by a massive cover-up and the destruction of
evidence, which led to acquittals for those indicted. However, the cover-up
itself could be uncovered and become the basis for a conviction of those
responsible.
On May 28, 1974, a bomb exploded in Piazza della
Loggia, Brescia, during a trade union demonstration, causing 8 dead and 103
wounded. The bomb was claimed by Ordine Nero, a neofascist organization which,
a few weeks earlier, had joined three other groups—SAM, Avanguardia Nazionale,
and Movimento di Azione Rivoluzionaria (MAR)—in a common action paper. Written
by MAR leader Carlo Fumagalli, it had announced "war on the State"
through "attacks against the main railway lines".
On Aug. 4 of that year, a bomb exploded on the
Rome-Munich Italicus train, at San Benedetto Val di Sambro, causing 12 dead and
105 casualties. The massacre could have been much larger if the bomb had
exploded in a tunnel the train had just gone through. Like the Piazza della
Loggia bomb, the Italicus action was claimed by Ordine Nero.
Investigators are today convinced that those two
terrorist actions were no longer part of a coup plan, and that Fumagalli's
people moved as a reaction against what they considered to be a
"betrayal" by the military faction. According to Sen. Giovanni
Pellegrino, chairman of the Parliament Investigating Commission, "at the
beginning of the Seventies, the strategists of the Tension abandoned the
military option. But their soldiers, the foot soldiers of the clandestine
networks, keep waiting for a new call to arms and, while waiting, maintain
their activities."
Thus the "strategists" were forced to
eliminate those sections of the terrorist apparatus which had become
"uncomfortable." Fumagalli was arrested on May 9, 1974 by a
Carabinieri squad under captain Francesco Delfino. Fumagalli's people, then,
placed the bomb in Brescia. "Today we know," Pellegrino says,
"that the terrorist target was the Carabinieri, who usually, during a
demonstration, would line up under the Portico of Piazza della Loggia." By
chance, that day, the rain forced the demonstrators to change their route,
passing through the place where the Carabinieri were supposed to stay and where
the bomb went off. Less than two hours after the explosion, the police chief
ordered the fire brigades to clean up the square with hydrants and hoses,
destroying any evidence. Two days later, in a mountain region around the
central Italian city of Rieti, the Carabinieri assaulted a paramilitary camp
and killed, in a shootout, Giancarlo Esposti, a young right-wing extremist very
close to the MAR. Esposti had called his father soon after Fumagalli's arrest on
May 9, 1974 saying he was fleeing because the Carabinieri had betrayed them.
In Brescia, prosecutor Mario Arcai, investigating
the May 28 massacre, found the name of his son in a list of neofascists
suspected for the bombing. The list was provided by captain Delfino. This
circumstance forced Arcai out of the investigation, in a move, as Arcai later
denounced, to prevent his discovering the higher level behind Fumagalli's
terrorist group. Nevertheless, Brescia prosecutors succeeded in nailing down
some possible perpetrators of the massacre, among whom Ermanno Buzzi, a
neofascist who was sentenced to life prison in 1979. Two years later, Buzzi was
suddenly transferred in the Novara prison, where less than 36 hours later he
was strangled by the former military leader of Ordine Nuovo, Pierluigi
Concutelli, and his comrade Mario Tuti. Two more witnesses of the Brescia
massacre died violently, and finally, in 1982, the Court of Appeal acquitted
all culprits who were still alive. As for Fumagalli, nobody knows where he is
today, nor whether he is still alive.
Even if some sections of the "Strategists
of the Tension" still believed in the feasibility of a coup d'état, after
the Brescia massacre such plans suffered a definitive setback. On July 17,
1974, Defense minister Giulio Andreotti announced the replacement of a dozen
high military officials, in the Army and the Navy, to prevent a coup planned
for Aug. 10. Andreotti put the entire Armed Forces on alert and strengthened
security around the Presidential Palace. This is the famous "white
coup" organized by Edgardo Sogno we have seen earlier. Andreotti had
already replaced the head of the SID military intelligence service, Vito
Miceli, with Admiral Casardi. Miceli was arrested in October by prosecutor
Tamburino in Verona, who was investigating the Rosa dei Venti network, and
incriminated also for the 1970 Borghese coup attempt. That same year, Commander
Borghese himself died—through a "corrected" cup of coffee, according to
his lieutenant
Stefano delle Chiaie. In this context, the Italicus
bomb, Aug. 4, would fit in the "breakaway ally" pattern. Both the
Bologna trial (which incorporated the Italicus one) and the Parliament
Investigating Commission on the secret P2 Lodge, have come to the conclusion
that "the Italicus action can be traced back to a terrorist organization,
of neofascist or neo-Nazi character, operating in Tuscany." The first
trial ended with an acquittal against three such neofascists, Mario Tuti,
Luciano Franci and Piero Malentacchi. The appeal court then overturned the
acquittal, sentencing the three to life in prison (Mario Tuti, we have seen,
"executed" his comrade Buzzi in the Novara prison). However, the
appeal sentence was invalidated by the Court of Cassations and the new appeal
trial ended with a final acquittal.
Indicating that the neofascists had been
"dumped" by their puppet-masters, the day before the bomb, MSI leader
Giorgio Almirante in Rome leaked to the head of the newly formed police
Antiterrorism Unit, Emilio Santillo, that he had been informed—by a source in
the neofascist camp— that a terror attack on a train had been planned for the
following day. However, Almirante gave—apparently due to a misunderstanding—the
wrong time: the train would leave from the Rome Tiburtina station at 5.30
instead of 17.30. Similarly, Adm. Gino Birindelli, a former NATO commander and
a participant in the 1971 Borghese coup attempt, as well as a member of
Almirante's party, had delivered more detailed information to the Carabinieri
head in Florence, Gen. Luigi Bittoni, about the coming train bomb attack.
Birindelli communicated the names of three neofascists in Arezzo, among whom
Franci, who would be planning such an action. Bittoni informed the Carabinieri
head in Arezzo, Col. Domenico Tuminello, who apparently did nothing.
After the explosion, when the Bologna prosecutors
were looking for Augusto Cauchi, the head of the Arezzo neofascist cell, Cauchi
was protected by the head of SID section in Florence, Federigo Mannucci Benincasa,
who did not deliver information on Cauchi's whereabouts to the investigators.
Later, in 1982, Mannucci Benincasa admitted that Cauchi was an SID
collaborator.
Seven years after the Brescia and Italicus
bombings, a police unit, sent by Milan prosecutors Colombo and Turone, to a
villa in Castiglion Fibocchi, near Arezzo, discovered the common house of all
cover-ups, from the 1989 Piazza Fontana, to the Brescia and Italicus bombings,
including the 1980 Bologna train-station massacre. In the residence of Arezzo
businessman Licio Gelli, the police found the list of members of a secret
freemasonic lodge, called Propaganda Due (P2), of which Gelli was the Grand
Master.
Among the 953 names found, were: Carabinieri captain
Francesco Delfino, the man whom we have seen in action in the Brescia case;
Admiral Birindelli, General Bittoni and Colonel Luminello, who moved (or did
not move) in the Italicus case; Federico Umberto d'Amato, the powerful head of
the Ufficio Affari Riservati (Office of Secret Affairs) of the Interior
Ministry, whence the first cover-up of the Piazza Fontana bombing came; former
SID head Gen. Vito Miceli, the man who covered up the Borghese coup attempt;
Gen. Gianadelio Maletti and Captain LaBruna, two military intelligence officers
who provided protection to neofascist terrorists in the aftermath of the Piazza
Fontana massacre; also participants to the 1965 Istituto Pollio meeting, such
as Filippo de Jorio, and to the Borghese coup attempt, such as businessman Remo
Orlandini and Air Force Gen. Duilio Fanali; as well as Col. Amos Spiazzi of the
Rosa dei Venti, and "White Coup" organizer Edgardo Sogno.
The most important part of the list, however,
included all the leaders of the Armed Forces, of the secret services, of
several police branches; politicians and businessmen. The list was so hot that
the two prosecutors informed the government before making it public. When the
government finally decided to publish the list, public reaction was so big that
Prime Minister Arnaldo Forlani had to resign; his Cabinet chief was on that
list too.
The P2, according to the Parliament Investigating
Committee, was an association of "mutual help," in which every member
swore to "help, comfort, and defend" his "brothers even at cost
of his life." The aim was to promote each member to positions of power in
the society. The Parliament considered the P2 a subversive conspiracy. This
does not mean, however, that all members of the P2 were plotters. Many
politicians, public officials and military figures joined the pro-Atlanticist
P2 because this allowed them to have a "cosmic" sort of clearance
with Anglo-American institutions. Others, like current Italian Premier Silvio
Berlusconi, said they joined in order to "conduct business." One
thing is clear: only part of the full P2 membership was discovered, as the
numbers on member cards go well beyond the 953 found in Castiglion Fibocchi. As
to the role of Gelli, Pellegrino is convinced that he was not the real head of
the P2, but that if P2 were a "port," Gelli would be the Port
Authority.
At the beginning, the P2 itself was used as a
vehicle in the coup strategy. In 1971, in fact, Gelli sent a letter to all
military members of the P2, inviting them to consider the possibility of installing
a military government. In 1973, there was a meeting in Gelli's Villa Wanda in
Arezzo, of all main participants in such a project. Later on, the strategy
changed, as the P2 was upgraded. But from the beginning, there was deep
hostility and hatred against Christian Democratic (CD) leader Aldo Moro and his
policy.
The failure of the first phase of the Strategy of
Tension was due to a simple fact: the open association of the project with
forces too much identified with Mussolini's fascism, made it impossible to
reach a broad consensus in support of an authoritarian shift. Too vivid was the
memory among the Italians, of the suffering under the fascist dictatorship and
in the war, into which the dictator had pulled the nation. Thus the secret
Masonic lodge was formed to recruit the national anti-communist elite to a
project which was presented as "pro-American" and clean of the old
fascist face (which in reality was only hidden). Right-wing terrorism, put
under control, was still a capability, to be run through members of the Lodge.
Licio Gelli, who was picked for the new strategy,
had joined Freemasonry already in 1965—i.e., in the year of the Istituto Pollio
meeting—but only in 1971 did he start to recruit to the Propaganda Due Lodge,
when he was appointed its organizing secretary. The lodge was already a special
one, dedicated to public figures who would not like publicity, and therefore
were initiated directly by the Grand Master, without the public ceremony in
front of the "brothers." But when Gelli started to stuff the P2 Lodge
with military officers, Grand Orient leader Salvini became afraid and moved to
publicly expose Gelli. On July 10, 1971, Salvini accused Gelli of
"organizing a coup d'état." A large opposition against Gelli grew
inside Freemasonry. In 1973, the so-called "democratic Masons"
planted a very strong denunciation of Gelli in the magazine Panorama. In
December 1974, 600 Grand Masters, gathered in Naples, and demanded from Salvini
the ousting of Gelli. Salvini formalized the request in an act of dissolution
of the P2, but before he could get that through, Gelli organized a Grand Lodge
meeting and won the vote, by blackmailing Salvini with a dossier on Salvini's
financial misdoings. As a result, instead of being expelled, Gelli was appointed
Grand Master of the P2 Lodge. His enemies, the "democratic masons,"
were expelled from the Grand Orient.
On July 26, 1976, in order to stop public
attention on the P2, Salvini officially dissolved it. In reality, from that
moment on, the P2 became secret and totally autonomous, an instrument in the
hands of "puppet-master" Gelli's strategy to stop Aldo Moro's policy.
In 1976, the strong electoral gains of the Italian
Communist Party (PCI), which was now only a couple of percentage points behind
the Christian Democracy (DC), forced a shift in the political picture in favor
of Aldo Moro's strategy. Moro had understood that the solution to Italy's
vulnerability to external interference in its own sovereignty lay in transforming
the PCI into a fully pro-West and democratic party. If that occurred, there
could be no obstacles to a normal change in political power, like in other
western democracies, and no pretext for subjecting Italy to Anglo-American
imperial politics under the pretext of anti-communism.
Moro developed therefore the strategy of
"parallel convergences," or the possibility of associating the PCI
with government responsibilities, along with the DC, in a "national
solidarity" cabinet. In 1974, after the failure of the Popular Front
government in Chile and the Pinochet coup, PCI leader Enrico Berlinguer had
already proposed a similar strategy of alliance with the DC, calling it
"historical compromise." In 1976, then, Berlinguer broke with Moscow
by publicly stating that the PCI would respect Italy's membership in NATO.
Moro's included aim was to defeat the right-wing
forces in his own DC, those responsible for having blocked the reformist
potential of the center-left governments which he had promoted since 1962. In a
May 1973 interview with the weekly Tempo, Moro had stated: "The real Right
wing is always dangerous, due to its reactionary force, for the threat it
inevitably represents against the democratic order. Its influence is far
greater than what it might seem from the consistency of the political and
parliamentary front which refers to it. These are not words, but fundamental
political data."
This past September 2003, puppet-master Licio Gelli
"resurfaced" in an interview in which he bluntly
confessed his hostility against Moro, and recounted
an episode in which the two had a confrontation (see EIR, March 26, 2004). Moro
was not impressed by Gelli; however, he was shocked when the same hostility was
expressed by U.S. Secretary of State Henry Kissinger. During a visit to the
United States in 1974, Moro was brutally told by Kissinger that he should
abandon his policy of dialogue with the PCI. Moro's wife Eleonora, who
testified in front of the Parliament Investigating Commission, reported
Kissinger's words as follows: "You must stop pursuing your political plan,
of bringing all political forces in your country to collaborate directly. Now,
either you stop doing such things, or you will pay for that. It is up to you
how to interpret this."
Moro was so shocked that he got physically ill. Upon
his return to Italy, he seriously considered the idea of withdrawing from
politics. The fact that he did not do so, but pushed his strategy ahead,
knowing that his life was at stake, adds real greatness to his political
figure. "Don't you think I know," he said to one of his university
pupils, "that I can end up like Kennedy?"
Licio Gelli started his political career as a
fascist under Mussolini, participating in the Spanish Civil War on the side of
the coup plotters who overthrew the republican government. After the fall of
Mussolini in 1943, Gelli adhered to the "Repubblica Sociale," the
northern Italian rump state nominally led by Mussolini but totally in the hands
of the Nazi SS. In Pistoia, he became an official with the local SS, at the
same time developing contacts with Resistance circles. According to the
Parliamentary Investigation of the P2, "Gelli, shortly before the end of
WWII, had no problems in developing contacts of collaboration and understanding
with the party which inevitably was appearing as the winner. While still
wearing a German uniform, or better, by using it as an asset ... he led a
difficult game, in constant and dubious balance between the two parts."
After the war, Gelli started an official activity as
a textile businessman in Arezzo, owner of the renowned Lebole firm.
Unofficially, he kept playing his double game. An Italian secret service (SID)
report dated September 1950, said that a source in the American Embassy
characterized Gelli as an agent of an Eastern European secret service. That
document, in the eyes of the Pellegrino Committee, marked the beginning of
Gelli's service under Anglo-American and Italian intelligence structures. The
evidence on his past as a communist agent, in the hands of his controllers,
ensured Gelli's loyalty—and his protection—from now on.
Thus, Italian prosecutors investigating terrorist
cases encountered Gelli's name more than once, but when they requested
information from the secret services, they were told the lie that there was no
file on him. For instance, on July 4, 1977, SID head Admiral Casardi answered a
formal request from Bologna prosecutors investigating the Italicus massacre:
"SID does not have particular information on the P2 Lodge.... There is no
information on Licio Gelli as concerns his membership in the P2, beyond what
the press has reported." Anti-terrorism chief Emilio Santillo, a man who
made a serious effort to discover the truth about the P2, got the same
"rubber wall" treatment from the secret service, and had to refer to
the documents by the "democratic masons" in order to fill out his
reports to investigators.
The first secret service report acknowledging the
existence of the P2 was written in 1978, by the new military intelligence body,
SISMI, under the direction of P2 member General Santovito. The report was an
attack—not against the P2, but against an "anti-Masonic plot"
allegedly carried out by some political forces: Nothing on Gelli or his connections
to right-wing terrorism.
In 1981, when a Guardia di Finanza (GdF, an Army
corps in charge of financial police duties) unit led by Col. Vincenzo Bianchi
first searched Gelli's Villa Wanda, and put their hands on the P2 membership
list, Bianchi received a phone call from Gen. Orazio Giannini, national head of
the GdF, who told him to be careful, because the list contained the names of
"all the top leaders of the Corps." Of course, including Giannini
himself.
In the early morning of March 16, 1978, Aldo
Moro left his house in Via della Camilluccia, in Rome, to reach the Parliament.
That day, his years-long efforts to build a "national solidarity"
cabinet—i.e., a center-left government supported also by the PCI—were going to
be finally rewarded. The Parliament was expected to vote confidence to such a
cabinet, led by Giulio Andreotti.
Moro never reached Parliament. In Via Fani, the
two-car convoy in which Moro and his escort were riding was blocked by a
terrorist commando. Under massive fire, all members of Moro's escort died and
Moro himself was pulled out of the car and carried away. Soon after, the
so-called Red Brigades claimed responsibility for the operation, sending a
Polaroid picture of Moro prisoner, sitting with a Red Brigades symbol on the
background. The kidnapping of Aldo Moro had a bloody conclusion after 55 days,
on May 9, when his corpse was found in the trunk of a red Renault 4, in the
central Via Caetani in Rome.
The Red Brigades were born as a leftist terrorist
group, out of the violent sections of the 1968 student upsurge. A crucial
moment for this development is the 1969 Piazza Fontana massacre, which was used
to manipulate such radical left-wing fringes into a violent reaction. However,
from the beginning, the Red Brigades included elements belonging to what
Brescia prosecutor Giovanni Arcai has characterized as a
"technostructure" controlling both right-wing and left-wing
extremism. Interestingly, Arcai's enemy, P2 member Captain Delfino (today a general),
fully agreed with him on this.
Senator Pellegrino identified such a structure in
Hyperion, officially a language school based in Paris, founded by Vanni
Molinaris, Corrado Simioni, and Duccio Berio, three participants in the 1969
foundation meeting of the Red Brigades. Those three formed, together with Mario
Moretti, a super-clandestine group, called the Superclan. While Moretti stayed
in Italy, and eventually became the military leader of the Red Brigades, the
other three moved to Paris in 1974, where they founded Hyperion. Hyperion was
highly protected: when Padua prosecutor Guido Calogero, in 1979, secretly went
to Paris to investigate Hyperion, the number two of D'Amato at the Ufficio
Affari Riservati, Silvano Russomanno, leaked the information to the press, and
suddenly all doors for Calogero in Paris were closed. "Figures like Abbé
Pierre, one of the animators of Hyperion, "Pellegrino remarked,
"surely have international connections which guarantee him great
protection."
According to Sergio Flamigni—a former senator who
has worked on the Parliamentary Commissions on the Moro case and on the P2, and
who has published several books on the Moro case—despite the fact that the
Italian terrorists were wanted in Italy for "membership in a clandestine group
aiming at subverting, through armed struggle, the institutions of the State,
... the Superclan leaders received a green light from the French secret service
to open the 'language school'; they enjoyed also the support of Dominican
father Felix Morlion, founder of the Pro Deo intelligence service and financed
by the American secret services."
Recently declassified OSS reports describe Morlion
in 1945 as leader of a faction in the Vatican pushing for an authoritarian,
Spanish Falange-like solution for postwar Italy. Morlion was supported by
anti-Roosevelt U.S. factions, while his opponent in the Vatican, Monsignor
Giambattista Montini (later Pope Paul VI), in agreement with Roosevelt, wanted
a democratic regime in which the party of the Christian Democracy, of which he
was the spiritual father, played a central role. Eventually, Montini prevailed.
Morlion kept influencing right-wing policies in
Italy, through the Pro Deo University which he founded with U.S. money. In
1991, he was exposed by Prime Minister Giulio Andreotti as the recruiter of
Turkish terrorist Mehmet Ali Agca in the plot to assassinate Pope John Paul II.
Italy's most distinguished investigators, like
prosecutors Rosario Priore or Ferdinando Imposimato, agree that the protection
ensured by Francois Mitterrand's French government and security agencies, to
Italian terrorist fugitives, has hindered discovering the full truth about
terrorism.
And yet, in 1974, the Carabinieri under Gen. Carlo
Alberto Dalla Chiesa succeeded in almost decapitating the Red Brigades. Thanks
to the infiltration of Silvano Girotto, a former priest who had guerrilla
experience in Latin America, Dalla Chiesa's men organized a trap to capture the
leadership group of Mario Moretti, Renato Curcio, and Alberto Franceschini. At
the last moment, Moretti was alerted and escaped the trap. However, he did not
warn Curcio and Franceschini, who were captured. The leak came from inside the
Dalla Chiesa Carabinieri unit.
From that moment on, there was a qualitative change
in the Red Brigades, which became a highly professional group from the
standpoint of military capabilities. The new leader Moretti, according to
Pellegrino, was probably "the contact man with something that was above or
beyond the Red Brigades." Moretti "used to travel often to France,
without anybody realizing it," reported general Dalla Chiesa to the
Parliament Committee.
Twenty-six years after Moro's assassination and
after four trials, the full truth has not yet come out. In the meantime, the
Red Brigades terrorists have been captured, sentenced and today are all free.
EIR has reported the many questions still unanswered in the Moro case. We focus
here on the main elements which are central to the purpose of our
reconstruction of the Strategy of Tension.
One and a half months before Moro's kidnapping, the
central anti-terrorism office of the police was dissolved. The decision was
taken by Police Minister Francesco Cossiga, a personal friend of Licio Gelli,
after a reform of the secret services which replaced the old SID with two
agencies: SISMI (military intelligence) and SISDE (civilian intelligence),
coordinated by a body under the Prime Minister, CESIS. The anti-terrorism
personnel, under police chief De Francesco, was not integrated in any of the
new agencies, but simply disbanded. Thus, when the Red Brigades took action on
March 16, Italian anti-terrorism forces were simply blind.
Immediately after Moro's kidnapping, Cossiga
established a "technical-operational committee" to coordinate police
action and to issue strategic guidelines aimed at finding Moro's prison and
liberating him. Almost all members of the committee were members of the P2
Lodge: Adm. Giovanni Torrisi, head of General Staff of the Defense; Gen.
Giuseppe Santovito, head of SISMI; Gen. Giulio Grassini, head of SISDE; Walter
Pelosi, head of CESIS; Gen. Raffaele Lo Giudice, head of the Guardia di
Finanza; Gen. Donato Lo Prete, chief of General Staff of the Guardia di
Finanza.
Cossiga then established another committee, called
"Committee I" (Intelligence) formed by the heads of SISMI, SISDE,
CESIS and Armed Forces Intelligence (SIOS)—all P2 members. A third body, the
"Experts Committee," included various professors, among whom Steve
Pieczenik, sent by the U.S. State Department, and Franco Ferracuti, a
criminologist and P2 member who imposed the line that Moro, whatever he would
say from his prison, had to be considered mad, a victim of the "Stockholm
syndrome."
During Moro's captivity, Cossiga enforced a
spectacular deployment of police and army forces in the streets of Rome, but in
reality nothing serious was done to find the prison. One case is most striking:
Two times the police received indications concerning a flat in Via Gradoli,
where Red Brigadist Mario Moretti lived—once from the flat's neighbors; the
second time in an obscure circumstance involving current EU chairman Romano
Prodi. The first time, a policeman was sent to speak to the neighbors, but the
flat was not searched. The second time, Prodi went personally to Cossiga to
report that, during a séance with friends, the name "Gradoli" had
come out. Cossiga, of course, knew that Prodi and his friends, professors at
Bologna University, had probably received information from radical circles
close to the Red Brigades, and that the séance story was a trick to cover the
source.
Immediately, Cossiga sent hundreds of policemen—not
to via Gradoli, but to a village outside Rome called Gradoli. A mistake? Not
quite. Sen. Sergio Flamigni found out, years later, that SISMI owned a few
flats in via Gradoli, including in the same building where the suspicious flat
was. But the spectacular police deployment the other Gradoli, broadcast by
radio and television, sent a warning to the terrorists to leave the Via
Gradoli. On April 18, finally police entered the flat, and discovered that
this, indeed, had been Moretti's hideout; they did so, because somebody who had
the flat keys, had made sure that, by leaving the water open in the bathroom, a
real flood would force the neighbors to call the fire brigades.
While Cossiga's structures did nothing serious
to find Moro, the political forces let themselves be captured by a division
between those who proposed to negotiate with the Red Brigades to obtain Moro's
liberation ("partito della trattativa"), and those who insisted that
this would have meant the capitulation of the State to terrorism ("partito
della fermezza"). The Red Brigades demanded the liberation of all of their
comrades in jail, a demand which could never be met and this strengthened the
position of the hard-liners. However, three years later, when a Christian
Democratic politician was kidnapped in Naples, the same hardliners did not
hesitate to open negotiations and obtain his release.
Moro's real prison has never been found. In
September 1978, the Partito Operaio Europeo, associated with Lyndon LaRouche,
published a report entitled Who Killed Aldo Moro? which for the first time
established that the Red Brigades were the instrument of oligarchical forces
who controlled both "left" and "right" terrorism, and which
historically considered themselves as the enemies of the nation-state. The
dossier also suggested that Moro's prison was to be looked for, close to where
his corpse was found, that is in via Caetani, and possibly in Palazzo Caetani.
Recent findings of the Parliamentary Committee
chaired by Senator Pellegrino have confirmed such suggestions in an astonishing
way. The Committee has found out that, shortly after Moro had been kidnapped,
SISMI briefly investigated a certain "Igor Caetani," a member of the
oligarchical Caetani family. The real name of Igor Caetani was Igor Markevich,
a Russian-born conductor who had married a Caetani princess. Markevich was
suspected of being an intermediary between the Red Brigades and political
factions who were ready to break the "fermezza" line and negotiate a
deal to obtain Moro's freedom.
Why Markevich? Digging into his past, Committee
experts have found that he was probably a double or triple intelligence agent,
working for Anglo-American, Israeli, and possibly Russian intelligence circles.
More important than Markevich was another inhabitant of Palazzo Caetani, Hubert
Howard, who had also married a Caetani princess. Both Markevich and Howard were
members of esoteric freemasonic circles. Howard had been a high British
intelligence officer during the war, and had kept that function throughout the
following decades. Some suspect that Howard was the real head of the secret
NATO "stay-behind" network, called Gladio. According to some
reconstructions, the order to kill Moro was not given by Moretti's people, but
came from above and possibly through Howard.
PART 3
During his captivity, former Italian Prime
Minister Aldo Moro was "interrogated" by the Red Brigades, who aimed
at achieving a confession of Christian Democratic party (DC) involvement in
"capitalist corruption" and "imperialist exploitation."
Tapes of the interrogations were made, and the Red Brigades announced that they
would publish the interrogations, to advance the cause of the
"anti-imperialist struggle." But they didn't. Today, the tapes have
not yet been found.
Moro wrote also a "memorandum," which
partially surfaced only after the terrorists had been arrested, and only in
photocopied or typewritten form. Moro's handwritten originals have never been
found. Similarly, the originals of the many letters he wrote to his party
colleagues and his family were never found. According to one interpretation,
this is because Moro had started to reveal the existence of the NATO secret
"stay behind" organization, called Gladio.
Parts of the memorandum, in a typewritten version,
were found in October 1978, when the newly appointed special anti-terrorism
Carabinieri team under Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa[4] discovered a Red
Brigades hideout in Milan. (In that apartment, on the via Montenevoso, Dalla
Chiesa's men found also 15 letters written by Moro, other than those which the
terrorists had delivered to politicians and to members of Moro's family during
Moro's captivity.)[5] However, the larger bulk of the memorandum was found much
later in the same apartment, in 1990, in a badly concealed hole in the wall,
discovered by carpenters who were renovating the premises. This time, 53
photocopied pages of Moro's original handwritten memo, plus 114 pages of
letters and last wills, never delivered, were found, together with weapons,
ammunition, and a bag full of money.
The via Montenevoso papers constitute one of the
many unsolved mysteries of the Moro case. It is evident that the papers were
brought into the apartment, both in 1978 and in 1990, from the outside, and
surely not by the Red Brigades terrorists. In fact, in 1978, Dalla Chiesa's men
searched the flat for three hours, before the prosecutor could get there, and
in the absence of the residents (the terrorists), who strangely enough
renounced their right to be present at the search. Once the magistrate came,
the apartment was turned upside down, so that it would have been impossible not
to find the hole, covered by a thin wooden panel, nailed to the wall under the
window.
All this adds a further element to the picture of a
structure, external to the Red Brigades, which ran the Moro operation, which
took possession of Moro's papers—and still has them.
Only in the papers which this entity decided to
release in 1990, can Moro's mention of a secret NATO structure be found. In
1990, however, the Berlin Wall had come down, and the existence of Gladio had
already been made known by Giulio Andreotti, who was then Prime Minister. Had
this revelation come out in 1978, the impact would have been devastating.
It is clear that the same network which already in
1978 had Moro's papers in its possession, decided to release those found in the
Montenevoso apartment. This network is still today in possession of the
original papers, including those contained in a bag that Moro always carried
with him, which, according to Moro's secretary Sereno Freato, pertained to
evidence that shortly before Moro's kidnapping, the U.S. State Department under
Henry Kissinger had tried to eliminate Moro politically, through the Lockheed
scandal.[6]
The involvement of the Gladio organization in Moro's
kidnapping, however, had already come out at an early stage. The day of the
kidnapping, March 16, 1978, at 9 a.m., a member of the Gladio military
structure, Col. Camillo Guglielmi of the SISMI military secret service, was on
the via Fani, and therefore he was present at the shootout and kidnapping.
Guglielmi's presence was later revealed by another member of Gladio, and was
not denied by Guglielmi himself; he simply justified it by saying that he had
been invited for lunch by a colleague living nearby—at 9 a.m. The same source
reported that Guglielmi was part of a group inside SISMI, called "Ufficio
R," under two members of the Propaganda-2 freemasonic lodge, Pietro
Musumeci and Giuseppe Belmonte, who, two years later, in 1980, were caught in a
cover-up of the Bologna train station bombing. Musumeci and Belmonte, as we
shall see, were sentenced by the Bologna court, together with P2 puppet-master
Licio Gelli.
The involvement of an external entity above the
Red Brigades had been exposed already in 1978 by a journalist with ties to intelligence
circles, Mino Pecorelli, whose destiny is intertwined with that of General
Dalla Chiesa. Pecorelli ran a magazine called Osservatorio Politico, which, on
March 28, 1978, wrote: "Let us prepare for the worst. The authors of the
via Fani massacre and of Aldo Moro's kidnapping are professionals, trained in
top-level war schools." On May 2, Pecorelli wrote: "The directing
brain which organized Moro's capture has no
BP*
Italy's Black Prince:
Terror
War Against the Nation-State
by Allen Douglas,
published
by Executive Intelligence Review
February 4, 2005.
by Allen Douglas.
The career of the Roman "Black
Prince," Junio Valerio Borghese, gruesomely illustrates how virtually all
modern "international terrorism" and all assassinations of heads of
state and government such as President John F. Kennedy, former Italian Prime
Minister Aldo Moro, or the numerous attempts on France's President Charles de
Gaulle, derive from the postwar Nazi International, sponsored by the
Anglo-American-led Synarchy and its intelligence services.
To
trace all the ramifications of that career, is to open a door onto the
centuries-old highest level of the financial oligarchy—the Synarchy: the aristocratic
families of the "black nobility," the Sovereign Military Order of the
Knights of Malta, and the heirs of what Pope John Paul I called the
"ancients" of Venice.
The fascist Borghese founded Mussolini's elite
naval warfare squadron, which he turned into a savage irregular warfare unit in
northern Italy by the end of World War II. Picked up by Allen Dulles, James
Jesus Angleton, and other anti-Franklin Delano Roosevelt operatives of the U.S.
Office of Strategic Services (OSS), Borghese and his men would be involved in
every major postwar coup attempt or terrorist outbreak in Italy until 1970,
when he fled to Spain after the failed coup attempt most closely associated
with his name.
From Italy, and then while in Spain, he
maintained connections all over Europe and with the bloody Operation Condor
torture-and-murder syndicate in Ibero-America. An examination of Borghese's
career enables one to peer beneath the surface of terrorism and spectacular
assassinations, into the netherworld whence these actions are launched: where
international high finance; ancient aristocratic families; pro-fascist elements
of the Curia of the Catholic Church; leading fascists of the Hitler-Mussolini
era; and the Anglo-American intelligence services, in particular those of NATO,
are all unified in a war against the modern nation-state.
The British and U.S. intelligence services' files on Borghese are still classified, as are the Borghese family archives in the Vatican after 1922, when Mussolini seized power. The present book is the first biography of Borghese in English. When correlated with other recent exposés of Gladio, the post-World War II NATO "stay-behind" network in Europe, and when all are situated within the work of Lyndon LaRouche and his associates on the Synarchy, it is a notable contribution to unmasking international terrorism, though the book's authors are perhaps not always aware of the full implications of what they present.[1]
Borghese belonged to a principal family of
Rome's ostensibly Catholic "black nobility," many members of which
claim descent from the elite of the Roman Empire. Numerous Popes and cardinals
came from the Borghese and allied families, such as the Pallavicini, the
Colonna, and the Orsini; these families maintained enormous power into the 20th
Century, and still today, in the Curia, the administration of the Vatican.
Their faction within the Church helped
construct the infamous "rat-line"—run, in part, through monasteries
and convents—which spirited thousands of Fascists and Nazis out of Europe after
the war, into Ibero-America, Asia, and the Middle East.
Whether the Borgheses indeed originated with
the Roman Empire, as they claim, or only rose in the early 16th Century, as
records suggest, they could boast of one Pope, Paul V (Camillo Borghese,
reigned 1605-21), and several cardinals, while a Borghese prince married
Napoleon's sister. They lost their fortune in the 19th Century, and thus the
20th Century saw Junio Valerio Borghese going to war.
In the first half of the book, naval warfare
specialists Greene and Massignani recount the development of Italian naval
irregular warfare on the eve of World War II, which involved light craft,
frogmen, and sabotage. Borghese was an innovator in this field, beginning with
his sabotage efforts for Franco during the Spanish Civil War of the late 1930s.
He founded Mussolini's naval special warfare unit, the Decima MAS, commonly
known as the X MAS. (MAS was originally an acronym for Motoscafi Anti
Sommergibili, anti-submarine motorboats, but soon became the generic term
for any light craft.)
The X MAS was a kind of personal squadron of Italy's Venice-centered oligarchy, staffed by officers from leading noble families.
One of them was the nephew of Italy's royal
House of Savoy, Prince Aimone of Savoy, the Duke of Aosta. The X MAS thus
mirrored the oligarchical coloring of the OSS, where the leadership was so
dominated by bluebloods, such as Wall Street's pro-fascist Allen Dulles, that
it earned the sobriquet "Oh So Social." The two organizations were
destined to collaborate closely.
Its aristocratic pedigree enabled the
X MAS to operate as largely independent from Mussolini. As Greene and
Massignani note, "Key personnel inside the X MAS were of noble stock,
and this enabled them to win the support of top-level officers. It also made it
possible for them to be in direct contact with the companies that supplied and
developed craft, new weapons, and equipment for the flotilla."
Soon after taking power in mid-1943, the new
royalist Italian government signed an armistice with the Allies. The royalists
captured Mussolini in July, and held him in a remote prison in the Appenine
Mountains. He was freed in a daring raid (so the story goes), led by Hitler's
chief commando, Otto Skorzeny, who was later to become, like Borghese, a
kingpin of postwar international terrorism.
The
Nazis disbanded Italy's army and sank most of its navy, so that they could not
be used against them, but some diehards, notably Borghese and his X MAS,
chose to fight on for fascism. Many other Italians were organized by Italy's
political parties, including the Communist Party, into partisan warfare bands,
which fought both the Germans and Mussolini's 1943-45 Nazi-run rump Salò
Republic in northern Italy.
Hitler's henchman for the German
occupation of northern Italy, SS Gen. Karl Wolff (formerly Himmler's private
secretary), ordered Borghese and his X MAS to move onto land, where they
became infamous for anti-partisan warfare, including the systematic use of
torture and the summary execution of Italian civilians as a "lesson"
to the partisans. Greene and Massignani report that in the 600 days of the Salò
Republic, the X MAS raised a force of 50,000 men, and that in the bloody
civil war which followed the armistice, probably more Italians died than in the
entire war before then.
The X MAS was nominally committed to the
Salò Republic; however, it never swore allegiance to Salò, and never flew any
flag but its own. Reports flooded back to Mussolini that Borghese was
maintaining contact with all sides, so Il Duce had Borghese arrested in early
1944, though he soon released him.
Indeed, Borghese had either established contact or worked with: the SS security service (Sicherheitsdienst), with which he worked closely; the Abwehr (German army counterintelligence); the Italian royalist government; British Secret Intelligence Service; James Jesus Angleton, chief of the OSS counter-espionage branch in Italy; and Allen Dulles, OSS Berne, Switzerland station chief. He also met several times with SS General Wolff.
Wolff and Dulles plotted the Anglo-American
redeployment of fascist operatives after the war, among them Borghese. Indeed,
Wolff declared, "Where the person of Borghese and his Decima Mas is
concerned, I have spoken several times . . . with a representative of
Mr. Dulles." In late 1944, Rome's black aristocracy asked the Allied
military governor in Italy, Vice Adm. Ellery Stone, to intervene in favor of
the "terrible boy," Junio Valerio. A friend of the Borghese family
and lover of a Roman baroness, Stone needed little convincing. As the partisans
closed in on Borghese in May 1945, Stone instructed Angleton to warn him, which
the latter did personally. On May 19, the Americans formally arrested Borghese,
thus saving him from scheduled execution by a partisan firing squad.
The Americans and the British showed a keen
interest in the X MAS wartime activities, especially its Vega battalion,
which had operated behind enemy lines. As one X MAS leader put it,
foreshadowing Borghese's later deployment as part of Gladio, "For the
Allies we were important because we had infiltrated the Communist bands, we
knew their secrets and tactics and therefore developed the first anti-guerrilla
procedures. . . . They wanted to know how we carried out the
anti-communist war. . . . They wanted to exploit our knowledge."
The Germans had also developed "stay-behind" units to function behind
Allied lines in Italy, and the X MAS were almost certainly part of that
operation as well. Several members of the X MAS were taken to the United
States for debriefing.
Borghese's friends in high places ensured that the
Allies would clear him of war crimes. The Italian government, however, demanded
that the Allies hand him over for trial in Milan in late 1945. His friends
again intervened, and his trial was transferred to Rome, where Dulles,
Angleton, et al. had ensured that many of the old Fascist bureaucrats remained
in office, and where the courts were much more conservative. After two years in
prison, he was finally found guilty in early 1949 of collaborating with the
Nazis (though not in war crimes) and sentenced to 12 years in prison. As one
frustrated observer put it, "The crimes of Borghese's band were too
obvious, and the verdict had to be life imprisonment. But the court, through a
scandalous application of extenuating circumstances, pardons, and remissions, reduced
the sentence." The judge then decided he had served enough time, and
released him, an action that would have been politically impossible before
Britain's Winston Churchill announced the beginning of the Cold War with his
1946 "Iron Curtain" speech in Fulton, Missouri.
Borghese's new career was about to begin.
Shortly after his release from prison, Borghese
became president of the Italian Social Movement (MSI) party, composed largely
of former Fascists. The MSI was a mixture of "national" and
"international" ("universal") fascists.
Borghese was committed to the latter outlook, which today is openly espoused by neo-con Michael Ledeen, himself a protégé of a Mussolini Cabinet minister, the Venetian oligarch Vittorio Cini.
Cini, in turn, was a key collaborator of the real architect of Mussolini's regime, its longtime Finance Minister, the Venetian Count Giuseppe Volpi di Misurata.
Greene and Massignani describe Borghese's
universal fascism and its plans for a Europe free of nation-states, but
"unified" under NATO: "Fascism in the postwar era was different
from its pre-war variety. Although it had splintered into many different
factions, it had two powerful drives. One was that it was anti-communist. It
was this element that made Borghese acceptable to the mainstream parties and
national secret services. He was ultimately pro-NATO, as was the rest of this
wing of fascism. The other one was the realization that in the postwar
environment no single European nation could stand up to the two superpowers,
and hence, that Europe would be a third force. That is, Europe would be
`opposed to the twin imperialisms of international communism and international
finance capitalism, both of which were perceived as being materialistic,
exploitative, dehumanizing' " (emphasis in original).
Borghese's "united Europe" was the
scheme promoted, from the early 1920s on, by his fellow oligarch, the Venetian
Count Richard Coudenhove-Kalergi, which became an explicit goal of the
Synarchist International in the 1920s and 1930s.
Today,
the seed crystal of that "united Europe" has become the Maastricht
Treaty-generated European Union and its European Central Bank. The same vision
of a united Europe had also inspired Hjalmar Schacht, the financial architect
of Hitler's regime, though Schacht viewed Hitler's conquest of Europe as the
pathway to achieve it.
It was also the vision for which the Synarchy
deployed one of its most notorious agents of the 20th Century, Alexander
Helphand Parvus. Parvus first financed the Bolshevik Revolution, and then,
after it was victorious, became the most ferocious "anti-Bolshevik,"
proclaiming that only a "united Europe" could stop the communist
menace.
Between the wars, this "united
Europe" scheme was momentarily eclipsed by the "national
fascisms" of Mussolini, Salazar, Franco, and Hitler, though all were
installed by the same Europe-based, London-centered Synarchy. But, after the
war, write Greene and Massignani, Borghese's universal fascism was the wave of
the future, as well as the incubator of international terrorism. "In
Italy, it was the Fascist faction that possessed the many international ties
that stretched between Franco's Spain, South America, and South Africa. It
was from this faction, too, that many of the acts of terrorism of the `Black
International' sprung" (emphasis added).
Postwar Italian politics may appear to be a
wilderness of mirrors, with its rapid changes of government, multiple coup
attempts, and spectacular outbreaks of terrorism. Going back to the Nazi
occupation of northern Italy during World War II, however, to examine the
various British, American, and Nazi actors and their respective ties to
different Italian factions, the reality quickly becomes apparent: that the
Anglo-American Synarchists merely replaced—and to a great extent subsumed—the
Nazis and Mussolini's Fascists as the would-be fascist occupying power, locked
in mortal struggle against those Italian patriots, both
"conservatives" of the Christian Democracy and "leftists"
of the Italian Communist Party, who wished to establish a sovereign Italy.
The battle for a sovereign Italy centered on
economic policy. In 1950, forces around wartime partisan leader, later
industrialist Enrico Mattei effected a radical shift within the ruling
Christian Democracy, away from free-market policies toward a dirigistic program
of rapid industrial growth.
With an extraordinary series of state-sponsored
corporations, and projects such as the Cassa per il Mezzogiorno (Southern Italy
Development Fund) based on the model of U.S. President Franklin Roosevelt's
Tennessee Valley Authority, Italy experienced an economic miracle, with annual
growth of over 7% for almost a decade. A linchpin of this was the newly founded
national oil company, ENI, which Mattei headed in a war for energy independence
against the synarchists' Seven Sisters.
Enraged at Italy's developing sovereignty, the
Anglo-Americans deployed terrorism and assassinations to stop it. Borghese's
activities run like a black dye through all of this history, until he fled to
Spain in 1970. Let us now examine the scene in which he was to be so prominent
an actor.
Already during World War II, Allen Dulles and other Anglo-American Synarchists, who had sponsored both Mussolini and Hitler in the first place, were trying to negotiate a peace with the Nazis which would leave them in power, sans Hitler and a handful of others. This Nazi puppet-regime would then ally with the British and the United States to conquer the Soviet Union, establishing a Synarchist world empire. Dulles's negotiating partner SS General Wolff said that he wanted "to build a bridge to the West," which would entail handing northern Italy over to the Allied military forces, but with German troops remaining in place, as "part of the proposed police force of the Western powers against Russia."[2]
U.S. President Franklin Delano Roosevelt, by contrast,
wanted to crush the fascist regimes, and foresaw a postwar world in which the
colonial empires of all the European powers, starting with the British, would
be abolished, and the United States and the Soviet Union—wartime allies—would
cooperate in a grand program of global economic growth, into which the rest of
the world would be drawn as well.
Dulles and his fellow Synarchists did not
achieve their full scheme, but they did establish NATO as an occupation
authority for Europe, which prepared for war against the Soviet Union. Lord
Bertrand Russell's early 1946 call for pre-emptive nuclear warfare against the
Soviet Union is typical. In the name of "fighting communism," Europe
would be kept under AngloAllen Dulles American domination through NATO, and any
and all means would be authorized toward that goal. Upon FDR's death in April
1945, the Synarchist puppet President Harry S Truman adopted these
"anti-communist" schemes, which led immediately to the Cold War.
When the North Atlantic Treaty Organization
(NATO) was established in 1949, a secret clause in its treaty specified that
each nation that wished to join must first establish a "national security
authority" to fight communism, including through the deployment of
clandestine citizen cadres. This demand grew out of a secret committee set up
by the British and the U.S. within the Atlantic Pact, the forerunner of NATO.
Truman's National Security Council issued directives authorizing the Armed
Forces to use military force against Communist Parties, which commanded strong
popular support in several European countries as a result of the war, even if
those parties gained participation in government through elections. For this
purpose, NATO and the Anglo-American intelligence services set up "stay-behind"
units in all European countries.
According to Italian Gen. Paolo Inzerilli, who
commanded Italy's Gladio unit from 1974-86, the Clandestine Planning Committee
(CPC) and its Allied Clandestine Committee (ACC) were the "interface
between NATO's Supreme Headquarters Allied Powers Europe (SHAPE) and the Secret
Services of the member states as far as the problems of non-orthodox warfare
were concerned." The CPC, said Inzerilli, was dominated by an inner
executive group of the United States, Britain, and France, while the ACC was
essentially a technical committee to coordinate expertise in explosives,
"repression," or related problems of clandestine warfare.
Italian Gen. Gerardo Serravalle testified that
the members of the CPC were the officers responsible for the stay-behind
apparatus in the various European countries, and that "At the stay-behind
meetings representatives of the CIA were always present," as well as
"members of the U.S. Forces Europe Command."
The mid-1970s U.S. Congressional investigative
committee under Sen. Frank Church, which examined illicit actions by U.S.
intelligence services and the military, found that the Pentagon had requested
the CIA's covert branch, the Office of Policy Coordination (OPC), to take the
point in establishing stay-behind armies in Europe. The early plans were
focussed on the Soviet Union, as the Church report noted: "Until 1950
OPC's paramilitary activities (also referred to as preventive action) were
limited to plans and preparations for stay-behind nets in the event of future
war.
Requested by the Joint Chiefs of Staff, these
projected OPC operations focussed on Western Europe and were designed to
support NATO forces against Soviet attack." However, the Pentagon soon
went much further. A Joint Chiefs of Staff directive of May 14, 1952 set up
"Operation Demagnetize," in which the CIA and the military secret
services were instructed to reduce the "magnetic attraction" of the
large Communist Parties of Italy and France through all means, including "political,
paramilitary and psychological operations." The directive stated,
"The limitation of the strength of the Communists in Italy and France is a
top priority objective. This objective has to be reached by the employment
of all means. The Italian and French government may know nothing of the
plan `Demagnetize,' for it is clear that the plan can interfere with their
respective national sovereignty" (emphasis added).
Operationally, the stay-behind units were run
by the military secret services of each NATO nation, as directed by the
CPC/ACC. Some light was shed on Pentagon and NATO thinking of this time in a
Pentagon field manual, found along with the lists of members of the elite
Propaganda Due (P2) freemasonic lodge in P2 Grand Master Licio Gelli's villa in
Arezzo, Tuscany in 1981. Although issued in 1970, Field Manual 30-31B
(FM 30-31B) reflected earlier Pentagon and NATO planning. It emphasized
that military and other secret service leaders in each country should be
recruited as U.S. (or NATO) agents: "The success of internal
stabilisation operations, which are promoted in the context of strategies for
internal defence by the U.S. military secret service, depends to a large extent
on the understanding between the U.S. personnel and the personnel of the host
country. The recruitment of senior members of the secret service of the host
country as long time agents is thus especially important."
This process began already in 1944-45, when the
Anglo-American synarchists re-constructed Italy's military secret service and
its military police, the Carabinieri.
Some of the key individuals whom they installed or sponsored later turned up as members of P2, from where they oversaw the terrorism and assassinations of the late 1960s and 1970s, as well as the cover-ups. Like Borghese, some of these leaders had been recruited by Angleton himself. One of them was Federico Umberto D'Amato, chief of the UAR, a secret section of the Interior Ministry which coordinated the terrorist actions under NATO direction, in conjunction with the military secret services.[3]
Furthermore, stated the FM 30-31B, "There may be times when Host Country Governments show passivity or indecision in the face of communist subversion and according to the interpretation of the U.S. secret services do not react with sufficient effectiveness. Most often such situations come about when the revolutionaries temporarily renounce the use of force and thus hope to gain an advantage, as the leaders of the host country wrongly consider the situation to be secure. U.S. army intelligence must have the means of launching special operations which will convince Host Country Governments and public opinion of the reality of the insurgent danger." FM 30-31B was issued in 1970; coup attempts against the Italian government under precisely the circumstances it describes, were launched using Gladio personnel (including Borghese) that year, and three more times through 1974. The manual stressed, "These special operations must remain strictly secret. Only those persons who are acting against the revolutionary uprising shall know of the involvement of the U.S. Army in the internal affairs of an allied country. The fact, that the involvement of forces of the U.S. military goes deeper shall not become known under any circumstances."[4]
As in virtually everything to do with imperial
strategies, the relevant U.S. circles were being carefully guided by their
senior partners, the British, under the old rubric, "British brains and
American brawn." Gladio was modelled on the actions of the Special
Operations Executive (SOE) behind enemy lines during World War II, which had
been created by the British Ministry of Defence (MOD) in 1940 under orders from
Churchill to "set Europe ablaze." In charge of the SOE was Minister
of Economic Warfare Hugh Dalton, who said, "We have to organize movements
in enemy-occupied territory comparable to the Sinn Fein movement in Ireland, to
the Chinese Guerrillas now operating against Japan, to the Spanish Irregulars
who played a notable part in Wellington's campaign or—one might as well admit
it—to the organizations which the Nazis themselves have developed so
remarkably in almost every country in the world" (emphasis added).
The SOE was closed down at war's end and
replaced by the Special Air Services (SAS), which helped Britain's foreign
secret service, MI6, to train the stay-behind armies of Europe. Gladio
specialist Daniele Ganser of the Center for Security Studies at Zurich
Technical University observed, "Many within the stay-behind community
regarded the British to be the best in the field of secret warfare, more
experienced than the military officers of the U.S."
The British set up a base for training stay-behind
units at Ft. Monckton outside Portsmouth, England, and another in Sardinia.
One of the stay-behind operatives trained at
Ft. Monckton recalled, "We were made to do exercises, going out in the dead
of night and pretending to blow up trains in the railway stations without the
stationmaster or the porters seeing you. We crept about and pretended to lay
charges on the right part of the railway engine with a view to blowing it
up." In the Gladio-coordinated blind terror which ravaged Italy from 1969
through 1980, trains and railway stations were to be a favorite target, notably
the 1974 bombing of the Rome-Munich Italicus Express, which killed 12 and
injured 48, and the explosion in the Bologna rail station in August 1980, which
killed 85 and seriously injured or maimed 200. Lyndon LaRouche first emphasized
within hours of the Madrid train bombings of March 11, 2001 which killed 200
and wounded thousands more, that they were not the work of "Islamic terrorists,"
but followed the pattern of the 1980 Bologna bombing.
Vincenzo Vinciguerra, an Italian neo-fascist
terrorist who was jailed for life and who had been bitter about the secret
service's "manipulation" of neo-fascist groups ever since 1945, explained
how Gladio (and any sister organizations) worked: "You had to attack
civilians, the people, women, children, innocent people, unknown people far
removed from any political game. The reason was quite simple. They were
supposed to force these people, the Italian public, to turn to the State to ask
for greater security. This is the political logic that lies behind all the
massacres and the bombings which remain unpunished, because the State cannot
convict itself or declare itself responsible for what happened."