Teramo - 17/1/06 - Sala Polifunzionale della Provincia

Presentazione del libro "Fernando Aurini. Memorie d'Abruzzo"

di Giovanni Verna


copertina del libro "Fernando Aurini. Memorie d'Abruzzo", a cura di Lucio De MarcellisDevo fare una premessa necessaria innanzitutto. Pur avendo lunga esperienza per manifestazioni di questo genere che hanno una persona scomparsa e un libro che lo ricorda al centro dell’interesse, non mi era mai capitato di gustare un libro fatto così bene. Congratulazioni quindi al Prof. Lucio De Marcellis che ha curato l’opera con passione, con meticolosità, con professionalità. E’ un libro completo, realizzato bene che dà veramente l’esatta percezione della persona che stasera vogliamo ricordare.
E sono anche contento perché il libro è stato inserito nella collana “Quarta dimensione” della Edigrafital, una collana di studi storici diretta dal Prof. Adelmo Marino che ha pubblicato già 27 volumi e che credo dovrebbe essere meglio ricordata per essere stata comunque promotrice di cultura.
La mia soddisfazione si estende a tutte quelle persone che Lucio De Marcellis ha ringraziato perché hanno attivamente collaborato per l’ottima riuscita del libro.
Sono stati ringraziati anche quelli che hanno “raccontato” Fernando Aurini. Ora, se così è, io mi sono trovato quasi con le spalle al muro quando ho cominciato a scrivere questa breve relazione.
Il mio intervento potrebbe sembrare stasera pleonastico: infatti, che cosa potrei dire di più di quello che hanno già detto tutto a cominciare dalla bella prefazione del dr. Ponziani, su Fernando Aurini. Avrei potuto prendere un aspetto di ciascuno dei venti interventi, legarli insieme e riproporli qui stasera. Sono però poco propenso a fare questo tipo di operazioni. Ciascuno avrà in mano il libro, leggerà, mediterà e farà le sue deduzioni. Ho cercato invece di pescare nella memoria per trovare aspetti ancora inediti che rendono la figura di Fernando Aurini ancora amabile, che la rendono ancora viva.
Ho detto nel mio breve ricordo che fu nel 1957 che conobbi Fernando Aurini in occasione della visita ufficiale che fece in Atri il Presidente del Consiglio Adone Zoli. Avevo venti anni e dirigevo il giornale locale “Il Gazzettino Atriano” dell’Associazione studentesca. Venne ad Atri, come ho scritto, il gotha del giornalismo teramano e per la prima volta la mia strada si incrociò con quella di Fernando Aurini.
Ma fu nel 1970, quando io entrai in Rai che il nostro sodalizio si fortificò e divenne vera amicizia.
Un episodio ripescato nella memoria e avvalorato anche da qualche lettera rivela l’intelligenza di Fernando Aurini, la forte capacità di dialogo e di entrare nella realtà di chi ti sta davanti.
Appena entrato in Rai ebbi dai miei colleghi l’incarico di Fiduciario di Redazione, cioè l’incarico sindacale. A quel tempo il Direttore di sede che curava i programmi era anche capo redattore. Le due cariche spesso si univano in una stessa persona. Ora non accade più.
Edoardo Tiboni, direttore di sede e capo redattore, era un grosso personaggio con una forte personalità.

Poi a quel tempo era giovane e per usare le parole giuste, comandava davvero.
La Redazione entrò in rotta di collisione con lui. Ci fu una battaglia sindacale dura e infuocata. Io era al centro di tutto.
A un certo punto i giornalisti decisero di chiudere ogni rapporto con quelli che erano i più stretti collaboratori del dr. Tiboni. Insomma non ci si salutava più.
Uno solo che frequentava normalmente la Redazione riuscì a non intaccare minimamente i rapporti con i giornalisti e a mantenere nello stesso tempo i contatti di lavoro con il Direttore di sede. Fu Fernando Aurini che attraversò la tempesta sindacale pur non essendo direttamente interessato, con grande signorilità.
Fino a qualche mese prima che andasse in pensione abbiamo sempre parlato di alcuni episodi che riguardavano quel periodo e la mia convinzione é rimasta sempre ferma nel valutare la condotta intelligente di questo collega.
C’erano poi la sua preparazione culturale e la padronanza della lingua italiana. Non vi sembri una inutile digressione questa perché nella vita professionale l’uso perfetto della lingua italiana non dovrebbe essere un optional.
Mi fermo a questa affermazione e dico che a quei tempi tra il ‘70 e l’’80 c’era un gruppo di collaboratori alla Rai abruzzese che potevano essere definiti dei veri e propri letterati.
Quelli più stretti da contratto: Claudio Monticelli, Giuseppe Rosato, Fernando Aurini, Giammario Sgattoni, Emiliano Giancristofaro, Ottaviano Giannangeli, Gigino Braccili. Senza dimenticare due colonne che vedo in sala questa sera: Raffaele Fraticelli, uno dei più importanti poeti dialettali italiani e Carlo Orsini, programmista, attore, annunciatore di grande professionalità.
Non dimenticherò che a quei tempi c’era una rivista culturale “Dimensioni” diretta appunto da Giannangeli, Rosato e Sgattoni che a mio parere ha raggiunto eccezionali vertici. Oggi nessuno ne parla. Scusate questo punto di polemica, ma mi chiedo che cosa fanno i nostri docenti universitari che forse ignorano finanche l’esistenza di questa rivista che invece dovrebbe essere ancora oggi studiata e oggetto di tesi di laurea.
Da queste persone c’era molto da prendere e vi dico che personalmente molto ho imparato.
Intelligenza, quindi, cultura, vivo senso di amicizia. E poi anche qualche scontro, qualche lite perché la vita in molte redazioni con molti giornalisti non é mai idilliaca.
Ma con Fernando non si litigava mai. Quando poi ho avuto la massima responsabilità della Redazione, ed anche prima - lui era ormai per chiudere -, la nostra amicizia è stata vissuta sempre in pienezza. Dicevamo di qualche lite. Voglio concludere con qualche battuta. Voi sapete che i servizi radiofonici e televisivi sono soggetti a tagli che si fanno per tante ragioni.
Un giornale radio e un telegiornale debbono entrare in uno spazio di tempo ben determinato e quindi anche i servizi previsti debbono attenersi a un tempo stabilito da chi ha la responsabilità.

Bisogna fare un servizio di un minuto e trenta e il servizio deve essere di un minuto e trenta.
Tagliare però è sempre difficile e fastidioso. Spesso c’é materiale di 10/15 minuti che deve essere ridotto a un minuto e mezzo.
Il giornalista ha tagliato il massimo e non riesce a stare nei tempi nonostante le disposizioni del capo servizio.
Ed è allora che il giornalista dice una bugia: scrive sulla cosiddetta “camicia” un minuto e mezzo, ma la durata reale è di due minuti.
Il capo servizio così è nei guai: se due o più colleghi hanno fatto lo stesso gioco, sarà costretto a tagliare in corsa per restare nei tempi altrimenti sarà la redazione centrale a tagliare il giornale radio o il telegiornale.
Le liti accadevano per queste cose e qualche capo servizio non si fidava più del collega e cronometrava prima i tempi scoprendo così anticipatamente la bugia.
Nacque così il cosiddetto “taglio aurinico”. Quando Aurini doveva tagliare 10,15 o 30 secondi, si metteva alla consolle con il tecnico e con il cronometro in mano. Arrivano al tempo prestabilito faceva cenno di tagliare. Un taglio estemporaneo, ma perfetto perché conosceva tutto quanto aveva realizzato. Ad altri colleghi non riusciva di essere così precisi, a lui sì e il taglio era un momento da vivere, quasi magico, non era un gioco, ma un’operazione culturale. Tagliare al momento giusto.
Oggi non so come si sentirebbe Fernando in una Redazione. Sta cambiando tutto e qui mi fermo perché il discorso mi porterebbe lontano.
Ancora oggi Fernando Aurini è ricordato per la sua intelligenza, il suo senso dell’amicizia, la sua preparazione culturale, come lo ricordiamo noi questa sera con l’amicizia e l’affetto di sempre.

<<< home Fernando Aurini