Già sul finire degli anni Sessanta
(quegli anni così formidabili e rivoluzionari) l'aria delle
strade di Torino si era fatta irrespirabile.
Almeno, stando a quanto raccontano i miei genitori, che decisero allora di
affidarmi alle severe cure di una zia materna per periodi che si fecero via
via sempre più lunghi. Mia
madre dice che a Torino ero spesso preda di ogni sorta di malanno, mentre
dalla zia la mia salute migliorava a vista d'occhio.
Presi
dunque confidenza con la ferrovia fin da piccolo, dovendo attraversare l'intera
pianura padana da occidente a oriente (coast to coast, per gli americani:
ah, Kerouack!), per raggiungere dall'industria-
lizzata capitale sabauda del gianduiotto il minuscolo paese della campagna
friulana dove viveva, e tutt'ora prospera, combattiva e arcigna più
che mai, la zia Maria, matriarca indiscussa di una popolosa e allegra tribù-gineceo.
Fanna è un'oasi verde e silenziosa, pare uno di quei villaggi delle
fiabe, dove la gente sorride e si saluta: con il barbiere, il mio barbiere,
il buon Lino, che anche dopo essere andato in pensione conserva la sua bottega
in uno di quei prefabbricati che da queste parti a tutti ricordano il terremoto
del '76; la vecchia latteria; il campanile, che scandiva con i suoi rintocchi
lo scorrere della giornata; il prato dove si andava a falciare l'erba e si
beveva il vino con la gazzosa...