Già sul finire degli anni Sessanta
(quegli anni così formidabili e rivoluzionari) l'aria delle strade di Torino si era fatta irrespirabile. Almeno, stando a quanto raccontano i miei genitori, che decisero allora di affidarmi alle severe cure di una zia materna per periodi che si fecero via via sempre più lunghi. Mia madre dice che a Torino ero spesso preda di ogni sorta di malanno, mentre dalla zia la mia salute migliorava a vista d'occhio.
Presi dunque confidenza con la ferrovia fin da piccolo, dovendo attraversare l'intera pianura padana da occidente a oriente (coast to coast, per gli americani: ah, Kerouack!), per raggiungere dall'industria-
lizzata capitale sabauda del gianduiotto il minuscolo paese della campagna friulana dove viveva, e tutt'ora prospera, combattiva e arcigna più che mai, la zia Maria, matriarca indiscussa di una popolosa e allegra tribù-gineceo.
Fanna è un'oasi verde e silenziosa, pare uno di quei villaggi delle fiabe, dove la gente sorride e si saluta: con il barbiere, il mio barbiere, il buon Lino, che anche dopo essere andato in pensione conserva la sua bottega in uno di quei prefabbricati che da queste parti a tutti ricordano il terremoto del '76; la vecchia latteria; il campanile, che scandiva con i suoi rintocchi lo scorrere della giornata; il prato dove si andava a falciare l'erba e si beveva il vino con la gazzosa...


La storia di Fanna e quella di Cavasso Nuovo camminarono "per mano" almeno fino al XVI secolo, sotto la giurisdizione della casata dei Polcenigo Fanna , marchesi del Castello di Mizza che sovrastava l'attuale Cavasso. Tuttavia alcuni storici dicono, e lo riporta lo stesso Mario Giovanni Battista Altan nel recente "Fanna Cavasso nel feudo dei Polcenigo", che la prima formazione fortificata sorgesse proprio sopra l'abitato di Fanna , nella località denominata oggi "Cort Alta". D'altro canto la tradizione (anche se per lo più leggendaria) di Fanna rimanda più volte all'esistenza di un maniero, o comunque di un fortilizio d'utilizzo militare, composto di almeno tre torri posizionate strategicamente allo scopo di controllare l'abitato. Almeno due di queste sarebbero state costruite dagli stessi Polcenigo sopra l'altura di Borgo Mieli (Torre Milis) e in Borgo Sottila (Torre Cassìn, nome che proveniva da quello di una famiglia del luogo). Questi torrioni facevano naturalmente parte della ricca muraglia di fortificazioni attraverso la quale era stato eretto una sorta di "scudo" lungo tutta la fascia della Pedemontana. E anche nel caso di Fanna , come attorno a tutti i manieri che si rispettino, vi sono storie e leggende di corte. Un fatto invece è certo: il vice abate di Fanna racconta in una cronaca dell'esistenza di un cenobio - abbazia fondato da Anselmo, duca del Friuli, e, prima di questo, anche dell'esistenza di un convento monacale. Si narra infatti che una nobile della casata di Prata o di Porcia, rimasta vedova e senza eredi, prese i voti ed edificò a Fanna un monastero che durò più di cento anni. Reso poi deserto da un'epidemia, l'unica monaca superstite lo cedette ai monaci di Pomposa.

testi tratti da
IL GAZZETTINO,
28 marzo 2001

Fanna paese dei dottori, si diceva alludendo alla gremita schiera di persone colte che sfornava il piccolo centro. L'origine di questa tradizione culturale, rispecchiata anche nella fastosità delle abitazioni, si deve probabilmente solo in parte all'emigrazione che consentiva un progresso economico alle famiglie e un allungamento degli studi. Se questo fosse, non si spiegherebbe perché solo Fanna si sia distinta. Una motivazione pare invece risiedere nell'abbazia benedettina, con il clero detentore del patrimonio culturale. Fanna fa parte del territorio della IV Comunità montana Meduna Cellina. Confina con Frisanco, Maniago, Cavasso e Arba. Dista da Pordenone 32 km, ha un'altitudine di 274 metri, una superficie di 10,13 kmq e attualmente è abitata da circa 1470 persone. Pur non avendo un territorio molto vasto, al suo interno si riconoscono la borgata di Sotila e l'area di Madonna di Strada, dove sorge il noto santuario.