Iniziativa della provincia
Un film di Tretti contro la piaga dell'alcolismo
Augusto Tretti, veronese, è noto al pubblico giovanile dei cinema d'essai per le grottesche sequenze del film "Il Potere".
Adesso Tretti, natura inquieta per eccellenza, sembra tradire se stesso e addirittura lavora per le "istituzioni". In altre parole, la Provincia di Milano gli ha chiesto di girare un film sul tema dell'alcolismo, e lui ha accettato. E l'ha realizzato, anche se, ha tenuto a precisare, a modo suo. E cioè senza attori professionisti, senza tiritere teorico-sociologiche, e schivando il più possibile persino le corsie degli ospedali, sede eletta di tutti i documentari che trattano problemi di questo tipo.
Com'è dunque impostata questa strana miscela di documentarismo e anti-documentarismo didattico?
Il film, dice il suo autore, vuol mettere in luce soprattutto gli effetti devastanti che l'alcool provoca nella mente e nel corpo. Non a caso ci si è avvalsi della consulenza del prof. Mario De Montis, direttore dell'Istituto psichiatrico di Pavia. Si è voluto così informare il pubblico dei giovani per educare e quindi per prevenire. E' un discorso molto affine, se non quasi identico, a quello che si potrebbe fare per la droga.
Alcool e cocaina nel cinema: da Douglas Fairbanks a Augusto Tretti
ANCHE GRIFFITH COMBATTE’ LA DROGA
Una rassegna a Milano che comprende film degli anni Dieci Ubriaconi e bambini Gli spinaci di Popeye I moralisti
d'assalto
«Sii pulito di corpo e di mente», raccomandava Douglas Fairbanks, che nel 1917 firmò il libro Laugh and Live (letteralmente «Ridi e
vivi»), nella sua pagina mensile su Photoplay in lode della vita sana. «Non c'è nulla di peggio - precisava l'attore allora già famoso,
mentre era in atto in prima guerra mondiale - che il troppo bere. Personalmente non ho mai toccato un liquore. E stata la mamma che,
quando avevo otto anni mi fece promettere che non avrei mai bevuto».
Liquore no, ma cocaina si: almeno sullo schermo e per scherzo. Era accaduto nel 1916, in una commedia burlesca
Triangle-Keystone in due bobine (mezz'ora scarsa ) raramente citata dalle storie del cinema: The mystery of the leaping fish (il mistero
del pesce saltatore), diretta da John Emerson e scritta nientemeno che da Tod Brownong, futuro regista di Lon Chaney e maestro
dell'horror film, oltre che, nel 1932, geniale creatore di Freaks.
Nei panni del detective privato Coke Enyday, Douglas è gia l'ottimista a oltranza che avremmo conosciuto più tardi. Anche perchè,
stimolato dalla cocaina che si inietta ogni tanto nel polso, è davvero imbattibile. Prima lo vediamo nel suo eccentrico studio di
inventore, dove la sua mente meccanica, come quella di Sherlock Holmes, ha bisogno della polverina magica per espandersi a
dovere. Poi sulla spiaggia, alla ricerca di un trafficante sospetto: a un certo momento cavalca in mare un grosso pesce di gomma
fornitogli dalla graziosa Bessie Love e, in un'impennata di surrealismo, zac! , fa l'iniezione anche al pesce. Infine è alle prese con due
giapponesi in un magazzino fuori mano e, grazie alla cocaina, fa piazza pulita dell'oppio.
Era, senza dubbio, un modo sorridente di combattere la droga, dopo quello serioso adottato (come vedremo) da Griffith nei suoi
temperance melodrams dell'epoca Biograph. Del resto, come scriverà nel 1927 la rivista francese Cinèa-Cinè, «Douglas è un tonico:
lui ride e voi vi sentite già meglio». Per certi aspetti, il suo umorismo si superman annuncia quello di Popeye il Marinaio che apparirà
nei disegni animati soltanto nel 1933. E la cocaina ha lo stesso ruolo corroborante che avranno per Braccio di ferro gli spinaci.
Ma dato che si parla di disegni animati, ecco un'altra rarità: Le songe d'un garcon de cafè di Emile Cohl, Francia, 1910. Non lo
trovate citato nemmeno nelle storie del cinema d'animazione, ma è, nei suoi pochi minuti, un delizioso poemetto. E' il sogno di un
cameriere che ha bevuto un bicchiere di vino in più. Una botte, tante bottiglie, caraffe, grappoli d'uva; e poi il suo corpo che si
allunga, si arrotola, si da calci sulla testa. Fino al risveglio e al ritorno nella realtà. Tutto sommato è stato bello sognare. Non è stato
neppure un incubo, bensì una piacevole variazione su un tema prediletto: il vino. Si diceva nei proverbi biblici: «Non guardare il vino
quando è rosso, quando distribuisce il suo colore nella coppa, quando si muove bene; alla fine morde come una vipera». Ma Emile
Cohl, questo «primitivo» che inventò il film animato, non era un moralizzatore.
Lo fu invece, e con quale grinta, un altro francese, Louis Gasnier, scopritore di Max Linder in Francia e fecondo realizzatore di
serials in America; o almeno lo fu, moralista d'assalto, nel tardo melodramma parlato Reefer madness (La follia dello spinello), girato
nel 1936 per conto del F.B.I. sceso in campo contro la marijuana. Qui si ride a spese del film, delle risate isteriche da cui vengono
sommersi i fumatori, della crociata apocalittica lanciata da un educatore segaligno, il quale ricorda un poco il professor Lombardi che
tanto fece, in televisione, perchè riuscisse approvato il divorzio da lui aborrito. Così questo pamphlet cinematografico, sinistramente
esilarante, viene oggi prescelto quale bandiera dai movimenti che chiedono la liberalizzazione delle droghe leggere.
Orbene, dove abbiamo trovato queste perle, queste chicche? Lo credereste se vi dicessimo che non le abbiamo trovate in cineteca,
bensì in una rassegna «Cinema & Droga» organizzata all'Anteo dalla Provincia di Milano, e precisamente dagli assessorati alla
Cultura e ai Servizi psichiatrici, Igiene e Sanità? Eppure così è stato: un'iniziativa del Centro medico e di assistenza sociale per le
tossicodipendenze, nell'ambito di «Cinemetropoli», per un'informazione corretta sugli stereotipi culturali legati al fenomeno di abuso
di droghe, cos' da permetterne, come sostiene l'assessore e medico Faustino Boioli, una prevenzione più consapevole.
Naturalmente sono stati presentati anche film degli anni Settanta, come gli americani Trash, Panico a Needie park, Il mio uomo è una
canaglia, o l'italiano Non contate su di noi (1978) di Sergio Nuti, nei quali si tratta di droghe ben più «pesanti»; e toccherà agli esperti
del ramo studiare se e fino a qual punto certi «stereotipi» siano rimasti tali dagli anni Dieci a oggi. Per quanto ci riguarda incontrare
Griffith agli inizi non solo del cinema, ma anche dell'ardua battaglia intorno alla droga, e sopratutto incontrare organismi sociali e
politici che ne tengono conto, ci ha fatto piacere. Crediamo che questa prima proposta meriti di essere conosciuta, di circolare e di
approfondirsi cammin facendo; e poi di essere seguita da altre, a completare il disegno storico-informativo e il discorso
culturale.
Dei circa cinquecento film in una o due bobine attribuibili al maestro tra il 1908 e il '13, la Cineteca Griffith di Genova ne ha mondati
quatro, attinenti al tema della rassegna. Il primo in ordine di tempo è A drunkard's reformation (La trasformazione di un bevitore) del
febbraio 1909, che in montaggio parallelo alterna spettacolo teatrale e pubblico. Sulla scena si rappresentano i punti solienti di un
dramma tratto dall'Assomoir di Zola, che è la tragedia di un alcoolizzato; e in prima fila, pungolato dalla figlioletta, è seduto un
bevitore, che a quella lezione si ravvede.
Invece in What drink did (Che cosa provocò il bere), risalente all'aprile dello stesso anno, lo spettacolo passa per cosi dire nella
vita: sempre per lo stesso vizio, un padre provoca la morte della propria bambina. In For his son (Per suo figlio), girato nel novembre
1911 e appartenente alla categoria Father Son Narcotics Melodrama, si ripete il triste destino del genitore, un chimico, che per fare la
ricchezza del figlio inventa per lui un liquore alla cocaina, senza immaginare che il figlio, invece di farne smercio, lo berrà lui stesso
fino a morirne. E ben gli sta, e il caso di dire, all'uno e all'altro.
Il quarto e ultimo film è The reformers, or the lost art of minding one's business (I riformatori, ovvero l'arte perduta di farsi i fatti
propri), ed è interessante per almeno due ragioni: per gli esterni girati in California (nel luglio 1913) e perchè, come si capisce dal
sottotitolo, Gtiffith non si rivela affatto tenero verso i moralisti troppo zelanti, verso i riformatori che non tengon conto del senso
comune.
E' un insegnamento valido anche oggi, e la Provincia di Milano ha dimostrato di averlo presente, sia allestendo nel modo che
abbiamo detto la rassegna «Cinema & Droga», sia producendo, com'è stato fatto, il film Alcool, con un cineasta «irregolare»
come Augusto Tretti.
Ugo Casiraghi