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La rivoluzione di Henry Ford
la rivoluzione silenziosa che in breve tempo
ha cambiato il modo di vita di milioni di esseri umani e che ha determinato la società
in cui viviamo.
di Luciano
Atticciati
Nel 1864 Karl Marx scrisse che
l’umanità andava verso una progressiva concentrazione della ricchezza nelle
mani di una ristretta categoria di persone, mentre larga parte della
popolazione avrebbe conosciuto un deciso peggioramento delle sue condizioni di
vita. Marx visse nella prima fase del capitalismo, e proprio nel suo paese
natale, la Germania, si aveva l’affermazione di potenti cartelli
finanziario-industriali che controllavano buona parte dell’economia nazionale.
Sull’altra sponda dell’Oceano si aveva però una realtà diversa. Si aveva la
nascita dei trusts, come quello della Standard Oil Company di Rockfeller, che
gestivano l’intero processo economico dalla produzione alla messa in commercio
dei beni, ma anche una importante serie di novità. I capitalisti americani
erano maggiormente aperti all’innovazione e avevano un approccio al problema
economico decisamente più ampio. Andrew Carnegie, il magnate dell’acciaio e
autentico self made man,
parlava dell’importanza della circolazione della ricchezza, cioè che i capitali
non fossero semplicemente accumulati, ma contribuissero alla prosperità
generale della società. Nel 1889 scrisse The Gospel of the Wealth (il Vangelo
della ricchezza) dove affermava che “Il problema della nostra epoca è la
giusta amministrazione della ricchezza” e che il capitalista doveva vivere “in
modo modesto, provvedendo con moderazione ai bisogni di chi dipende da lui, e
considerando il surplus come dei fondi che ha il dovere di amministrare a beneficio
della comunità”. La affermazione presentava un particolare significato se
pensiamo che nel passato l’idea del reinvestimento delle ricchezze non era
molto accettata, e i grandi signori dell’epoca pre-industriale preferivano
l’ostentazione del lusso al miglioramento delle loro vaste proprietà.
Per far fronte allo strapotere delle
grandi società che avevano provocato il risentimento dei piccoli agricoltori
danneggiati dalla politica iniqua delle società ferroviarie, venne emanato nel
1890 lo “Sherman Antitrusts Act” che prevedeva una serie di limiti alla
concentrazioni industriali e alle politiche di concorrenza sleale. Lo stesso
presidente Theodor Roosevelt di fronte alla serrata dei proprietari delle
miniere di carbone nel 1902, minacciò il sequestro delle imprese e l’invio
delle truppe per garantire la produzione. Il duro conflitto si concluse con un
successo dei lavoratori che ottennero un aumento delle retribuzioni e il
riconoscimento della giornata lavorativa di 9 ore. Ovviamente anche nel
continente americano i contrasti sociali non erano facilmente eliminabili, e la
risoluzione degli stessi era in molti casi resa difficile dai gruppi
estremistici. Una delle organizzazioni operaie del tempo era la IWW,
considerata una pericolosa associazione di vagabondi, che trovava fra gli
immigrati più poveri e più disperati la sua manovalanza e provocava inutili
disordini economici nel paese.
In anni di poco successivi si
inserisce la vicenda di Henry Ford. Ford proveniva da una famiglia di
agricoltori del Michigan, e aveva fin da ragazzo un grande interesse per le
automobili. Nel tempo libero si dedicava all’assemblaggio dei pezzi, un hobby certamente
impossibile per coloro che vivevano nelle stesse condizioni in Europa, dove un
agricoltore non aveva certamente i mezzi materiali né le conoscenze per
dedicarsi a simili attività. Ford partendo dalla sua officina casalinga ampliò
progressivamente la sua attività concentrandosi soprattutto su due aspetti: la
realizzazione di una vettura con pezzi standardizzati e il contenimento dei
costi per poter creare un bene che fosse accessibile al più ampio pubblico.
Ford si poneva il problema della sua
attività industriale in un approccio globale al problema economico in tutti i
suoi aspetti. Si propose quindi l’obbiettivo di contenere i prezzi dei beni
prodotti mediante la riduzione dei tempi di lavorazione. Tale politica era da
realizzarsi attraverso l’utilizzazione delle catene di montaggio, che se
limitavano la creatività del lavoro (problema di cui fu sempre cosciente)
rendevano per quei tempi il lavoro molto più leggero, e la novità risultò effettivamente
gradita ai lavoratori. Particolare attenzione fu prestata alle condizioni
dell’operaio: non doveva prestare la sua opera in un ambiente malsano e
insicuro, doveva disporre di tempo libero da dedicare ad attività ricreative,
ma soprattutto doveva disporre di una maggiore disponibilità economica. Con un
gesto decisamente inconsueto nel 1914 Ford decise di sua spontanea iniziativa
di ridurre le ore di lavoro e di portare la paga base da 3 a 5 dollari. Al
momento il gesto venne contestato dagli altri industriali ed esplicitamente dal
New York Times, ma successivamente tutti si adeguarono. Una buona paga
consentiva un maggiore attaccamento al lavoro da parte dell’operaio, una
maggiore pace sociale, e una proficua circolazione della ricchezza. All’inizio
degli anni Venti scrisse: “Io penso che gli uomini, se si dà loro la libertà
di svilupparsi e la coscienza del servizio a cui tutti sono chiamati,
metteranno sempre tutta la loro forza e tutta la loro sagacia anche nelle
mansioni più comuni e più umili” inoltre era ben cosciente della importanza
della crescita del reddito delle famiglie per un incremento dei consumi e
quindi della produzione: “le nostre stesse vendite dipendono in una certa
misura dai salari che noi paghiamo. Se ci è possibile distribuire alti salari,
sarà tanto denaro che verrà messo in circolazione, ed esso gioverà a rendere
più prosperi negozianti, intermediari, imprenditori e operai di altri rami
industriali, sì che le loro buone condizioni trovino un riflesso sullo smercio
dei nostri prodotti. Gli alti salari diffusi in un intero paese equivalgono al
generale benessere”. Come Ford stesso affermò, il suo non era un semplice
gesto di filantropia, considerata qualcosa che in un certo senso sminuiva
l’essere umano, ma un atto teso a migliorare la società nel suo complesso.
Oltre all’attività economica, l’inventore della produzione in serie si impegnò
in altre attività: creò scuole professionali, aderì a iniziative per la pace
negli anni della prima guerra mondiale, criticò il nazionalismo e un sistema
economico e politico che non favorisse il benessere al livello più ampio
possibile.
Gli effetti del “fordismo”, la
tendenza industriale da lui creata, si fecero vedere presto nella società
americana. Buona parte della popolazione americana viveva negli anni Venti in
condizioni non facilmente raggiungibili per la maggior parte degli europei, che
vide gli stessi benefici solo alcuni decenni più tardi. Nei cosiddetti “anni
ruggenti” era normale per una famiglia operaia disporre di automobile, di radio
o di altri elettrodomestici, e il livello di istruzione era decisamente più
alto rispetto a quello di qualsiasi altra parte del mondo. Le intuizioni dei
capitalisti americani costituirono lo spunto per il grande economista
britannico John Keynes per formulare
negli anni Trenta le sue teorie sulla crescita della domanda come stimolo alla
produzione, e il mantenimento di buoni livelli di consumo come antidoto alle
crisi economiche.
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