2.7 La fisica di Newton

 

    All’inizio del ‘700 lo scenario della fisica è dominato dall’opera di tre grandi personaggi, e tutti e tre grandi matematici, che sono Descartes, Huygens e Newton. In una visione semplificata del quadro di riferimento forse si potrebbe dire che il primo è un metafisico che vuol fare il fisico, il secondo un fisico distratto dalla metafisica ed il terzo un fisico che fa solo il suo mestiere. È significativo il fatto che Newton, uomo di grande fede, abbia sempre ritenuto che il suo lavoro potesse andare a maggior gloria di Dio, ma non ha mai inteso fare un passo oltre le conclusioni della fisica per trarne conclusioni che fisiche non fossero e che non rispondessero rigorosamente alle conclusioni sperimentali. Naturalmente con ciò non sono messi in discussione gli enormi meriti di Cartesio per aver inventato la geometria analitica e per averci dato la regola dei segni in algebra, né a Huygens per aver fornito grandi contributi e a vasto raggio in tutti i campi della fisica, ma se il francese aveva preso una grossa cantonata con “la fisica dei vortici”, l’olandese, con il suo tardo Cosmotheoros aveva purtroppo voluto tenergli dietro. Ciò che i cartesiani non riuscivano a capire era la realtà dell’azione fisica “a distanza”, così pensavano di esser più concreti nell’ammettere solo quella “per contatto”, al punto di accusare Newton di aver posto una sorta di “forza occulta” [1] in quanto “immateriale”, tanto da farlo passare quasi per uno stregone [2]. L’inglese, senza farsi trascinare nelle polemiche, seppe stare zitto quel tanto che bastava per non farsi coinvolgere in ciò che lo avrebbe distratto dal suo lavoro ( e che lavoro!). Si è anche detto che Newton, dal 1703 in poi, come presidente della Royal Society, avesse esercitato una sorta di dittatura culturale sulla scena britannica; in realtà il grande prestigio acquisito era quanto mai meritato. Esso nasceva, in realtà, solo dall’aver evidenziato le fantasie fisiche di Cartesio e dei suoi seguaci come di altri metafisici che si pretendevano fisici, di aver fatto capire la differenza tra la scienza e la pseudo-scienza, dall’aver aperto la strada alla nuova fisica del cosmo reale.

    Naturalmente con la relatività einsteniana il modello fisico newtoniano è andato giustamente in soffitta, ma per due secoli è stata la base irrinunciabile su cui si è potuto costruire una conoscenza di cui esso era stato valida premessa. Né si deve ritenere che tutti i punti di vista di Newton fossero impeccabili, al contrario, essi risultano non di rado contraddittori, e, se uno dei maggiori pregi di Newton è di aver sfondato gli orizzonti conoscitivi con nuove intuizioni e relativi calcoli e dati, non di rado le lasciò spesso a mezza strada, senza dar loro seguito o producendo sviluppi inadeguati. Significative sono poi le oscillazioni relative al tema dell’esistenza dell’etere; preso in considerazione nel 1704, negato nel 1706 ma poi ripreso nel 1717. E neppure i suoi comportamenti possono essere considerati ineccepibili. Poco propenso a confronti e dibattiti in pubblico aveva affidato (o lasciato assumere) a suoi collaboratori o estimatori il compito di diffondere e commentare le sue idee, salvo ritirarne poi l’appoggio al primo elemento di insoddisfazione. 

    Nel nostro studio non potremo dare più di qualche cenno esemplificativo di ciò che il grande Isaac aveva esposto, ed è naturalmente il Philosophiae naturalis principia matematica, del 1687 (seconda edizione nel 1713 e terza nel 1726) , che dobbiamo incominciare a considerare. Per quanto assai note, vogliamo qui ricordare le definizioni con cui si apre l’opera:

 

1.      La quantità di materia è la misura della medesima ricavata dal prodotto della sua densità per il volume. 

2.      La quantità di moto è la misura del medesimo ricavata dal prodotto della velocità per la quantità di materia.

3.      La forza insita della materia è la sua disposizione a resistere; per cui ciascun corpo, per quanto sta in esso, persevera nel suo stato di quiete e di moto rettilineo uniforme. 

4.      Una forza impressa è un’azione esercitata sul corpo al fine di mutare il suo stato di quiete e di moto rettilineo uniforme.

5.      La forza centripeta è la forza per effetto della quale i corpi sono attratti, o sono spinti, o comunque tendono verso un qualche punto come verso un centro.

6.      La quantità assoluta di una forza centripeta è la misura della medesima, ed è maggiore o  minore a seconda della potenza della causa che la diffonde dal centro attraverso gli spazi circostanti.

7.      La quantità acceleratrice di una forza centripeta è la misura della medesima ed è proporzionale alla velocità che, in un dato tempo, essa genera.

8.      La quantità motrice di una forza centripeta è la misura della medesima ed è proporzionale al moto che, in un dato tempo, essa genera. [3]

 

 Se ci siamo soffermati su queste otto espressioni non è per informare sul noto, ma per far comprendere come con Newton la fisica cominci a porsi in quel modo sintetico e chiaro che sarà la base evolutiva di essa. Naturalmente ogni definizione è corredata da un’adeguata esplicazione sulla quale sorvoliamo. A commento di esse diremo solo che la 1. pone come “quantità di materia” quel concetto di massa che è il fondamento della costituzione atomica della materia stessa, e che la 5. contempla la gravità e il magnetismo quali forme della forza centripeta, alludendo a quel rapporto tra forme differenti di forza che le sottraeva alle vecchie distinzioni qualitative.

    Alle definizioni segue lo scolio, in cui il Nostro, ai primi due punti, pone quei concetti di tempo e di spazio assoluti che costituiscono il fondamento della sua fisica. Non ci soffermeremo oltre sull’esposizione scientifica, ma vorremmo cogliere soltanto alcuni punti che riteniamo significativi dal punto di vista filosofico. Nello scolio conclusivo alla Sezione XI del Libro primo si legge:

 

Nello stesso senso generale assumo la parola impulso, in quanto in questo trattato esamino, come ho spiegato nelle definizioni, non le specie delle forze e le qualità fisiche, ma le quantità e le proporzioni matematiche. In matematica vanno investigate quelle quantità e quei rapporti delle forze che discendono dalle qualsiasi condizioni poste; ma quando si passa alla fisica, questi rapporti si devono confrontare con i fenomeni, affinché si sappia quali condizioni delle forze convengano ai diversi genere di corpi attrattivi. Allora soltanto sarà lecito discutere più sicuramente intorno alle specie, alle cause e alle ragioni fisiche delle forze. [4]

  

 Abbiamo qui una rigorosa distinzione tra fisica e matematica che vede la seconda come fondamentale per le assunzione della prima sotto il profilo computazionale, ma le sue enunciazioni, sul piano della fisica, valgono soltanto allorché vengono « confrontate con i fenomeni ». Poiché sono solo i fenomeni, e il loro rilevamento “sperimentale”, che conferiscono all’astrazione matematica un significato reale. Nello stesso tempo vengono sottintese due altre cose: 1. che ogni definizione matematica non va utilizzata indebitamente per dedurne teorie fisiche, e 2. che la fisica riguarda, in  ogni caso, il “come” della realtà materiale e mai il “che cosa”. 

    Per quanto mai esplicitato, sappiamo come Newton  abbia probabilmente sempre pensato che solo una struttura elementare di tipo atomico potesse rendere ragione della sua fisica, senza peraltro (fedele al principio hypotheses non fingo) andare oltre. Sappiamo peraltro della sua buona conoscenza di Lucrezio da quella parte degli Scolii classici relativa al I Libro del De rerum natura [5], per quanto i suoi giudizi sull’atomismo siano sempre molto vaghi. Già nel suo affrontare la fisica dei fluidi (Sezione V del Secondo Libro), ci rendiamo conto che l’insistenza sul considerare le “particelle” costituenti un fluido e non la sua massa è il segno di una chiara intuizione della struttura intima della materia in senso corpuscolare. La Proposizione XXIII e il Teorema XVIII (col loro scolio) è tutto un ribadire che sono le particelle del fluido e non il fluido in se stesso le protagoniste dei fenomeni fisici. La conclusione è la seguente:

 

Ma il quesito se i fluidi elastici constino di particelle che si respingono mutuamente è un problema fisico. Noi abbiamo dimostrato matematicamente la proprietà dei fluidi  che constano di particelle di questo tipo, al fine di fornire ai filosofi la opportunità di trattare tale problema. [6]

 

Newton, che qui ci rende un’anticipazione del moto browniano, ribadisce non solo la distinzione tra il dato matematico e quello fisico, ma si ferma sul confine che esulerebbe dai dati in suo possesso, rinviando ai “filosofi” ogni eventuale sviluppo concettuale. Sarà nell’Ottica del 1704, e lo vedremo più avanti, che la sua posizione “atomistica” si farà più esplicita   

    Il Libro Terzo dei Principia (che ha per titolo Sistema del mondo) è soprattutto di argomento astronomico ed ha per oggetto principale il moto celeste. Esso si apre con le quattro Regole del filosofare, sulle quali sarà utile soffermarci, poiché è con esse che Newton indica i punti fermi di un metodo operativo basato sulla sperimentazione e sull’induzione. E sarà il caso di ricordare che questa, a dispetto di tutte le acrobazie negazionistiche di un Popper, rimane lo strumento principale della ricerca scientifica e dell’adeguamento delle nostre conoscenze al reale. Le regole sono:

 

1.       Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni.

2.       Perciò, finché può esser fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere.

3.       Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi.

4.      Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni. [7] 

 

Relativamente alla 1. si noterà come venga assunto il criterio del vecchio Rasoio di Ockham, ma anche quello (implicito) che nelle scienze fisiche va escluso ogni elemento di carattere metafisico. Nella 2. è enunciato una sorta di “criterio di contiguità”, in base al quale: a) prima di porre nuove cause bisogna sempre vedere se quelle note siano applicabili ad effetti analoghi; ma anche b): sono gli effetti che pilotano la ricerca scientifica e non le cause. In quanto alla 3.: ribadito il criterio di contiguità viene sottolineato che solo l’esperimento (nei termini del metodo baconiano) legittima e conferma una tesi e nient’altro. Se si considera che Newton opera perlopiù su un terreno matematico si comprende l’importanza di questa precisazione. La matematica, di cui è implicito il ruolo fondamentale in fisica, non deve venire utilizzata per conclusioni logico-deduttive scorrette, poiché è solo l’esperimento a confermare la legittimità di una tesi scientifica. Criterio riconfermato nella 4., dove viene ribadito il rapporto tra induzione e sperimentazione come l’asse teorico che fonda ogni acquisizione scientifica. 

    Il Terzo Libro si sviluppa attraverso la trattazione dei fenomeni astronomici, cui seguono proposizioni e teoremi, cui seguono precisazioni sui moti della luna. A noi interessa soprattutto lo Scolio Generale, un’aggiunta alla seconda edizione (1713) che ha lo scopo di precisare la posizione dell’autore, mettendolo per un verso al riparo dalle accuse di implicito ateismo (mossegli soprattutto da Leibniz) e dall’altro allo scopo di precisare la rigorosa adesione al “fenomeno reale” come base irrinunciabile di ogni formulazione scientifica e quindi l’utilizzazione dell’esperimento come unico fattore probatorio. Lo scolio apre con la contestazione della “teoria dei vortici”, quella fortunata quanto falsa teoria cartesiana che costituiva la bandiera dietro cui si schieravano gli anti-newtoniani, ma presto passa a trattare di Dio in termini da subito inequivoci: « Egli regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come signore dell’universo.» [8]  Già con questa prima frase vengono prese nettamente le distanze dagli utilizzatori del newtonismo a scopi teologici eterodossi, come i deisti, e ribadita la validità della fede cristiana. Una fede capace di accettare il mistero («Come il cieco non ha idea dei colori, così noi non abbiamo idea dei modi con i quali Dio sapientissimo sente e capisce tutte le cose.» [9], […], « e molto meno abbiamo un’idea della sostanza di Dio » [10]) . E poi uno dei punti fondamentali sul concetto di attrazione gravitazionale:

 

Fin qui ho spiegato i fenomeni del cielo e del nostro mare mediante la forza di gravità, ma non  ho mai fissato la causa della gravità. Questa forza nasce interamente da qualche causa, che penetra fino al centro del Sole e dei pianeti, senza diminuzione della capacità, e opera non in relazione alla quantità delle superfici delle particelle sulle quali agisce (come sogliono le cause meccaniche) ma in relazione alla quantità di materia solida. La sua azione si estende per ogni dove ad immense distanze. La gravità verso il Sole è composta della gravità verso le singole particelle del sole, e allontanandosi dal sole decresce costantemente in ragione inversa del quadrato delle distanze fino all’orbita di Saturno, come è manifesto dalla quiete degli afelii dei pianeti, e fino agli ultimi afelii delle comete, posto che questi afelii siano in quiete. [11]

 

Si tratta dell’esposizione abbastanza incerta di un fenomeno dall’esistenza certa a desumere da un dato sperimentale altrettanto certo, la proporzionalità inversa al quadrato della distanza. È l’unico modo con cui uno scienziato consapevole, ed intellettualmente onesto, può esporre l’esistenza di un fenomeno di cui non conosce assolutamente nulla, al di fuori del nudo “dato sperimentale”. È una maniera nuova di parlare della realtà, dichiarando un “non so” che la “sapienza” metafisica non avrebbe mai potuto dire. Una sapienza metafisica abituata ad inventare teologicamente delle connotazioni della realtà e poi “dimostrarle” con qualche giochetto logico dialettico. Lo scienziato è di altra razza, e precisa:

 

In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia  delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione. In tal modo divennero note l’impenetrabilità, la mobilità e l’impulso dei corpi, le leggi del moto e la gravità. Ed è sufficiente che la gravità esista di fatto, agisca secondo le leggi da noi esposte, e spieghi tutti i movimenti dei corpi celesti e del nostro mare. [12] 

 

Un’importante lezione di modestia e di correttezza scientifica, che sarebbe bene tenessero presente le folte schiere di fisici-teologi che contestano la meccanica quantistica per il solo fatto che è indeterministica. Rimane un ultimo punto da considerare: quello delle “qualità occulte” imputate alla fisica newtoniana sulla base di quel “massificante” meccanicismo cartesiano ormai obsoleto e diventato ultimo baluardo dialettico dei metafisici. Newton risponde alle accuse in maniera semplice ed esemplare nel suo Optiks del 1704:

 

Io considero questi principi [la forza di gravità e l’elettro-magnetismo] non come qualità occulte che si immaginano sorgere dalle forme specifiche delle cose, ma come leggi generali della natura, dalle quali le stesse  cose sono formate. La realtà di questi principi ci si manifesta attraverso i fenomeni, quantunque non ne siano ancora state scoperte le cause. Queste qualità sono palesi, infatti, e soltanto le loro cause sono occulte. [13]  

 

Straordinario come questo gigante dell’intelletto umano riesca ad essere semplice e chiaro quanto modesto e realistico nelle sue enunciazioni, senza dire nulla più del necessario e nulla meno del dovuto. Sono queste le prerogative fondamentali della scienza vera, che si staglia contro tutte le cianfrusaglie logico-dialettiche della metafisica e dei suoi affascinanti quanto fatui orpelli.

    Entrati nel campo dell’ottica, forse quello in cui Newton ha fornito un contributo più  rivoluzionario per l’epoca, vediamo qualche esito teorico delle sue ricerche. Dalle Lezioni di ottica tenute a Cambridge negli anni 1669-1671 si può cogliere un primo punto assai importante laddove viene ribadito che non basta descrivere i colori ma indagarne la causa:

 

Pertanto, se la luce viene definita la qualità o la forma dell’essere luminoso non dobbiamo aspettarci che ci si dica qualcosa delle sue cause o in che modo subisca dei mutamenti per produrre i vari colori […] ciò non basta a spiegare come si producono, sia perché nessun colore è costituito dalla sola fusione […] sia perché la quantità di luce non può modificare la specie del colore. [14]      

 

Enunciazioni per noi ovvie, ma non per la più parte dei naturalisti del Settecento, ancora legati all’aristotelismo e ai suoi miseri sviluppi secenteschi. Newton è colui che coglie in maniera chiara e definitiva il rapporto stretto tra il pluralismo strutturale della luce e i colori dei corpi. Ancora nelle Lezioni:

 

I mutamenti della luce, donde traggono origine i colori, sono connaturati alla luce stessa, e non nascono né dalla riflessione né dalla rifrazione […] a raggi che hanno diverso potere di rifrazione corrispondono colori diversi […] Ogni tipo di raggio conserva sempre e soltanto quell’unico colore che è suo per natura, purché non si mescoli a raggi di altri tipo […] i colori sono dovuti semplicemente a mescolanza di raggi di tipo diverso o separazione dei singoli tipi di raggi dagli altri coi quali sono mescolati. [15] 

 

I differenti raggi luminosi (oggi diremmo frequenze) sono a fondamento dell’ottica newtoniana, che ha finalmente chiarito il perché del colore dei corpi opachi:

 

Trovo infine che i colori di tutti i corpi sono generati da una certa predisposizione per cui sono adatti a riflettere alcuni raggi e ad assorbirne altri. Così un corpo rosso è tale perché riflette soprattutto i raggi tendenti al rosso e assorbe tutti gli altri quasi completamente; uno color viola è tale perché riflette i raggi che generano questo colore e assorbe invece gli altri, un corpo è bianco perché riflette quasi tutti raggi, viceversa un altro è nero perché li assorbe tutti, di tutti riflettendo solo una piccola quantità. [16]    

 

In queste poche conclusioni è enunciato come si manifestano i raggi luminosi e come agiscono. Che ne è allora di quella “mistica della luce” che ha invaso e impregnato millenni di cultura teologica? Più nulla! La luce, quella bianca, non è altro che il raggio-somma di tutti gli altri tipi di raggio. Sono essi che la “fanno essere”, essa non crea un bel nulla, ma è piuttosto creata dai suoi componenti. Neppure Yahvè avrebbe potuto dire «fiat lux!», perché la lux è un assemblaggio di tante luces che si sono messe insieme. La luce come una delle forme dell’elettromagnetismo è sì una vera e grande creatrice, ma di nulla di sacro quanto di due cose eminentemente profane: la vita e la bellezza!

    Ma se Newton ha compreso come funzioni la luce attraverso una serie ininstancabile di ricerche sperimentali ammonisce anche che la sperimentazione da sola non è sufficiente per una scienza esaustiva. La raccolta delle Lezioni si chiude con un elogio della matematica:

 

Ma perché non sembri che io nel trattare della natura dei colori abbia superato i limiti di quello che mi sono prefissato (che potrebbero sembrare estranei alla matematica), non sarà fuori luogo ricordare ancora i motivi della mia ricerca: e questo perché esiste tale affinità tra le proprietà della rifrazione e quelle dei colori, che le une non possono esser spiegate indipendentemente dalle altre. […] la generazione dei colori stessi investe così da vicino la geometria e la loro conoscenza è convalidata da tale evidenza che di essi potrei occuparmi considerandoli in sé e per sé, ampliando così il campo della matematica. [17]  

 

La scienza è “esperimento + calcolo”, e da ciò la conclusione:

 

Dirò di più: poiché lo studiare a fondo i colori è uno dei problemi più difficili che il filosofo possa porsi, spero di poter fornire un saggio di quanto la matematica sia importante nella filosofia naturale. E con ciò vorrei esortare gli studiosi di geometria a un più approfondito esame della natura e i cultori delle scienze naturali ad uno studio preliminare della geometria. [18]

 

    Ed ora un brevissimo cenno alla Nuova teoria sulla luce e sui colori, del 1672, una sorta di memoria scientifica che Newton invia come ringraziamento per l’ammissione alla Royal Society al segretario di essa Henry Oldemburg. Qui il Nostro spiega come è arrivato a costruire il telescopio a riflessione e nel contempo descrive la serie dei lunghi esperimenti che lo hanno condotto a definire le nuove leggi della rifrazione. Nel ricordare il suo complesso lavoro il Nostro definisce la luce bianca « il composto più sorprendente e meraviglioso » [19] quale oggetto principale delle sue indagini, a testimonianza della sensibilità anche estetica che si può accompagnare al rigore scientifico. D’altra parte la luce bianca rende possibile la percezione della bellezza e i suoi componenti la creano dividendosi il compito di rivelare i colori del mondo. È possibile studiare la luce e i colori senza innamorarsene?

    Tra Nuova teoria e l’Ottica, il trattato che conclude le ricerche sulla luce e che appare nel 1704 si collocano altre memorie, nelle quali sempre più Newton insiste sulla corpuscolarità della luce. Ora tale “materializzazione” di quest’essenza spesso divinizzata sconcerta non solo i teologi, ma anche scienziati come Hooke e Huygens. D’altra parte uno dei problemi della fisica dell’inizio del XVIII secolo è anche di capire perché le parti di materia stiano assieme. Newton non può che attribuire ciò all’attrazione gravitazionale, ma deve anche fare i conti con chi pensava invece ad “atomi uncinati” o una specie di colla cosmica chiamata “quiete”, così conclude molto semplicemente: «Io invece dalla coesione dei corpi desumerei che le particelle si attraggono l’un l’altra.» [20] Già, le particelle fondamentali della materia! Come può il cristianissimo Isaac fare ricorso a un concetto ontologico così maledettamente blasfemo come quello di quegli atei ed empi di atomisti? Molto semplice: il fatto di essere un vero uomo di scienza. Ma la Creazione divina è fuori discussione, ed allora, come già aveva fatto Gassendi, anche il Nostro sostiene che è stato Dio a fare gli atomi:

 

Considerate tutte queste cose, mi sembra probabile che Dio al principio del mondo abbia formato la materia di particelle solide, compatte, dure, impermeabili e mobili, dotate di date proprietà e di date proporzioni rispetto allo spazio, affinché meglio tendessero al fine  per il quale egli le aveva formate. [21]

 

Problema risolto, quindi, e la Genesi biblica.è ancora una volta salva. E più oltre.

 

Ora, con l’aiuto di questi principi [inerzia, gravità, coesione e disgiunzione degli atomi], tutte le cose materiali sembrano essere state composte delle suddette particelle dure e solide, variamente associate durante la prima creazione dalla volontà di un Agente dotato di intelligenza. [22]

 

Si noti bene l’espressione “prima creazione”. Newton contro Cartesio e Leibniz ritienine che la creazione sia un processo che continua (lo aveva già supposto anche Gassendi) e che Dio continui a gestirla dall’alto dei cieli:

 

E poiché lo spazio è divisibile all’infinito, mentre la materia non si trova necessariamente in tutti i luoghi, si può anche ammettere che Dio possa creare particelle di materia di varie grandezze e figure, e in varie proporzioni rispetto allo spazio, e , forse, di diversa densità e di differenti forze, e perciò stesso possa variare le leggi della natura e creare mondi di diverse specie in diverse parti dell’universo. Per concludere, in tutto questo non vedo niente di contraddittorio. [23]

 

L’universo non è “pieno”, ma in gran parte “vuoto”, poiché la materia non è dappertutto, e quindi Dio “può” (e non “ha potuto” o “poteva”) creare nuove particelle. Newton ha compreso che l’universo non è statico e definito dalla Creazione, ma dinamico e in evoluzione; e quindi Dio potrebbe addirittura continuare a “variare” le leggi fisiche a suo piacere per creare mondi nuovi e differenti. Pare di trovarsi di fronte all’immaginazione di un poeta piuttosto che di uno scienziato, e invece è solo la consapevolezza del fisico che la realtà è talmente complessa e mutevole che è da ottusi immaginarla definita una volta per tutte.

    Abbiamo già rilevato come Newton si collochi sulla line di Bacone e di Gassendi per quanto riguarda l’operare della scienza. Ebbene, è proprio in chiusura dell’Ottica che egli ci dà una compiuta testimonianza del “metodo” nei seguenti termini:

 

Come in matematica, così nella filosofia naturale lo studio delle cose difficili, mediante il metodo analitico, dovrebbe sempre precedere il metodo sintetico. Quest’analisi consiste nel fare esperimenti e osservazioni e trarre da questi, mediante l’induzione, conclusioni generali, non ammettendo contro di esse obiezioni, salvo che siano derivate da esperimenti o da altre verità certe. Perché nella filosofia sperimentale non bisogna tener conto delle ipotesi. E sebbene il trarre per induzione principi generali dagli esperimenti e dalle osservazioni non equivalga a dimostrarli, tuttavia è questo il miglior modo di ragionare che la natura consenta, e può considerarsi tanto più saldo quanto più l’induzione è generale. [24]  

 

 



[1] Tra  tali detrattori spiccava Leibniz, che nella sua Teodicea del 1710 faceva dell’attrazione gravitazionale una “causa occulta”.

[2] Va ricordato che fu il suo prezioso collaboratore Roger Cotes (correttore e revisore dei Principia) a consigliargli in una lettera del febbraio 1713 (prima della pubblicazione della terza edizione) di inserire nel libro «qualcosa mediante cui possa essere sottratto a certe prevenzioni che gli sono state accanitamente accumulate contro. Come quelle per cui abbandona le cause meccaniche, è costruito su miracoli e ricorre a qualità occulte.» (cit. nell’Introduzione ai Principi, cura di A.Pala, Torino, UTET 1977,cit, p.24).

[3] I.Newton. Principi matematici della filosofia naturale, a cura di A.Pala, Torino, UTET 1977, pp.91-100.

[4] Ivi, p.339.

[5] Si veda: Scolii classici, in: I.Newton, Il sistema del mondo e gli Scolii classici, a cura di P.Casini, Roma, Theoria 1983, pp.138-141.

[6] Principi matematici, cit. p.480.

[7] Ivi, pp.603-607.

[8] Ivi, p.793.

[9] Ivi, p.794.

[10] Ivi, p.795.

[11] Ibidem.

[12] Ivi, pp.795-796.

[13] I.Newton, Ottica, Libro III, I. In: Scritti di ottica, a cura di A.Pala, Torino, UTET 1978, p.601.

[14] I.Newton, Lezioni di ottica, in: Scritti di ottica, cit., pp.192-193.

[15] Ivi, pp.194-195

[16] Ivi, p.195.

[17] Ivi, p.196.

[18] Ibidem.

[19] I.Newton, Nuova teoria sulla luce e sui colori, in: Scritti di ottica, cit., p.210.

[20] I.Newton, Ottica, in: Scritti di ottica, cit., p.591.

[21] Ivi, p.600.

[22] Ivi, p.602

[23] Ivi, p.603.

[24] Ivi, pp.603-604.