2.7 La fisica di Newton
All’inizio del ‘700 lo scenario della fisica
è dominato dall’opera di
tre grandi personaggi, e tutti e tre grandi
matematici, che sono Descartes,
Huygens e Newton. In una visione semplificata
del quadro di riferimento forse
si potrebbe dire che il primo è un metafisico
che vuol fare il fisico, il
secondo un fisico distratto dalla metafisica
ed il terzo un fisico che fa solo
il suo mestiere. È significativo il fatto
che Newton, uomo di grande fede,
abbia sempre ritenuto che il suo lavoro potesse
andare a maggior gloria di Dio,
ma non ha mai inteso fare un passo oltre
le conclusioni della fisica per trarne
conclusioni che fisiche non fossero e che
non rispondessero rigorosamente alle
conclusioni sperimentali. Naturalmente con
ciò non sono messi in discussione
gli enormi meriti di Cartesio per aver inventato
la geometria analitica e per
averci dato la regola dei segni in algebra,
né a Huygens per aver fornito
grandi contributi e a vasto raggio in tutti
i campi della fisica, ma se il
francese aveva preso una grossa cantonata
con “la fisica dei vortici”,
l’olandese, con il suo tardo Cosmotheoros aveva purtroppo voluto
tenergli dietro. Ciò che i cartesiani non
riuscivano a capire era la realtà
dell’azione fisica “a distanza”, così pensavano
di esser più concreti
nell’ammettere solo quella “per contatto”,
al punto di accusare Newton di aver
posto una sorta di “forza occulta” [1]
in quanto “immateriale”, tanto da farlo passare
quasi per uno stregone [2].
L’inglese, senza farsi trascinare nelle polemiche,
seppe stare zitto quel tanto
che bastava per non farsi coinvolgere in
ciò che lo avrebbe distratto dal suo
lavoro ( e che lavoro!). Si è anche detto
che Newton, dal 1703 in poi, come
presidente della Royal Society, avesse esercitato
una sorta di dittatura
culturale sulla scena britannica; in realtà
il grande prestigio acquisito era
quanto mai meritato. Esso nasceva, in realtà,
solo dall’aver evidenziato le
fantasie fisiche di Cartesio e dei suoi seguaci
come di altri metafisici che si
pretendevano fisici, di aver fatto capire
la differenza tra la scienza e la pseudo-scienza,
dall’aver aperto la strada alla nuova fisica
del cosmo reale.
Naturalmente con la relatività einsteniana
il modello fisico newtoniano
è andato giustamente in soffitta, ma per
due secoli è stata la base irrinunciabile
su cui si è potuto costruire una conoscenza
di cui esso era stato valida
premessa. Né si deve ritenere che tutti i
punti di vista di Newton fossero
impeccabili, al contrario, essi risultano
non di rado contraddittori, e, se uno
dei maggiori pregi di Newton è di aver sfondato
gli orizzonti conoscitivi con
nuove intuizioni e relativi calcoli e dati,
non di rado le lasciò spesso a
mezza strada, senza dar loro seguito o producendo
sviluppi inadeguati.
Significative sono poi le oscillazioni relative
al tema dell’esistenza dell’etere;
preso in considerazione nel 1704, negato
nel 1706 ma poi ripreso nel 1717. E
neppure i suoi comportamenti possono essere
considerati ineccepibili. Poco
propenso a confronti e dibattiti in pubblico
aveva affidato (o lasciato assumere)
a suoi collaboratori o estimatori il compito
di diffondere e commentare le sue
idee, salvo ritirarne poi l’appoggio al primo
elemento di insoddisfazione.
Nel
nostro studio non potremo dare più di qualche
cenno esemplificativo di ciò che il
grande Isaac aveva esposto, ed è naturalmente
il Philosophiae naturalis
principia matematica, del 1687 (seconda edizione nel 1713 e terza
nel 1726)
, che dobbiamo incominciare a considerare.
Per quanto assai note, vogliamo qui
ricordare le definizioni con cui si apre l’opera:
1. La quantità di materia è la misura della
medesima
ricavata dal prodotto della sua densità per
il volume.
2. La quantità di moto è la misura del medesimo
ricavata
dal prodotto della velocità per la quantità
di materia.
3. La forza insita della materia è la sua disposizione
a
resistere; per cui ciascun corpo, per quanto
sta in esso, persevera nel suo
stato di quiete e di moto rettilineo uniforme.
4. Una forza impressa è un’azione esercitata
sul corpo al
fine di mutare il suo stato di quiete e di
moto rettilineo uniforme.
5. La forza centripeta è la forza per effetto
della quale
i corpi sono attratti, o sono spinti, o comunque
tendono verso un qualche punto
come verso un centro.
6. La quantità assoluta di una forza centripeta
è la
misura della medesima, ed è maggiore o
minore a seconda della potenza della causa
che la diffonde dal centro
attraverso gli spazi circostanti.
7. La quantità acceleratrice di una forza centripeta
è la
misura della medesima ed è proporzionale
alla velocità che, in un dato tempo,
essa genera.
8. La quantità motrice di una forza centripeta
è la
misura della medesima ed è proporzionale
al moto che, in un dato tempo, essa
genera. [3]
Se ci
siamo soffermati su queste otto espressioni
non è per informare sul noto, ma
per far comprendere come con Newton la fisica
cominci a porsi in quel modo
sintetico e chiaro che sarà la base evolutiva
di essa. Naturalmente ogni
definizione è corredata da un’adeguata esplicazione
sulla quale sorvoliamo. A
commento di esse diremo solo che la 1. pone
come “quantità di materia” quel
concetto di massa che è il fondamento della costituzione atomica
della
materia stessa, e che la 5. contempla la
gravità e il magnetismo quali forme
della forza centripeta, alludendo a quel
rapporto tra forme differenti di forza
che le sottraeva alle vecchie distinzioni
qualitative.
Alle definizioni segue lo scolio, in cui il Nostro, ai primi due
punti, pone quei concetti di tempo e di spazio assoluti che
costituiscono il fondamento della sua fisica.
Non ci soffermeremo oltre
sull’esposizione scientifica, ma vorremmo
cogliere soltanto alcuni punti che
riteniamo significativi dal punto di vista
filosofico. Nello scolio
conclusivo alla Sezione XI del Libro primo
si legge:
Nello stesso senso generale assumo la parola
impulso, in quanto
in questo trattato esamino, come ho spiegato
nelle definizioni, non le specie
delle forze e le qualità fisiche, ma le quantità
e le proporzioni matematiche.
In matematica vanno investigate quelle quantità
e quei rapporti delle forze che
discendono dalle qualsiasi condizioni poste;
ma quando si passa alla fisica,
questi rapporti si devono confrontare con
i fenomeni, affinché si sappia quali
condizioni delle forze convengano ai diversi
genere di corpi attrattivi. Allora
soltanto sarà lecito discutere più sicuramente
intorno alle specie, alle cause
e alle ragioni fisiche delle forze. [4]
Abbiamo
qui una rigorosa distinzione tra fisica e
matematica che vede la seconda come
fondamentale per le assunzione della prima
sotto il profilo computazionale, ma le
sue enunciazioni, sul piano della fisica,
valgono soltanto allorché vengono « confrontate con i fenomeni ». Poiché sono solo i
fenomeni, e il loro rilevamento “sperimentale”,
che conferiscono all’astrazione
matematica un significato reale. Nello stesso
tempo vengono sottintese due
altre cose: 1. che ogni definizione matematica
non va utilizzata indebitamente
per dedurne teorie fisiche, e 2. che la fisica
riguarda, in ogni caso, il “come” della realtà materiale
e
mai il “che cosa”.
Per
quanto mai esplicitato, sappiamo come Newton
abbia probabilmente sempre pensato che solo
una struttura elementare di
tipo atomico potesse rendere ragione della
sua fisica, senza peraltro (fedele
al principio hypotheses non fingo) andare oltre. Sappiamo peraltro della
sua buona conoscenza di Lucrezio da quella
parte degli Scolii classici
relativa al I Libro del De rerum natura [5],
per quanto i suoi giudizi sull’atomismo siano
sempre molto vaghi. Già nel suo
affrontare la fisica dei fluidi (Sezione
V del Secondo Libro), ci rendiamo
conto che l’insistenza sul considerare le
“particelle” costituenti un fluido e
non la sua massa è il segno di una chiara
intuizione della struttura intima
della materia in senso corpuscolare. La Proposizione
XXIII e il Teorema XVIII (col
loro scolio) è tutto un ribadire che sono
le particelle del fluido e non
il fluido in se stesso le protagoniste dei
fenomeni fisici. La conclusione è la
seguente:
Ma il quesito se i
fluidi elastici constino di particelle che
si respingono mutuamente è un
problema fisico. Noi abbiamo dimostrato matematicamente
la proprietà dei
fluidi che constano di particelle di
questo tipo, al fine di fornire ai filosofi
la opportunità di trattare tale
problema. [6]
Newton, che qui ci rende un’anticipazione
del
moto browniano, ribadisce non solo la distinzione tra il
dato matematico
e quello fisico, ma si ferma sul confine
che esulerebbe dai dati in suo
possesso, rinviando ai “filosofi” ogni eventuale
sviluppo concettuale. Sarà
nell’Ottica del 1704, e lo vedremo
più avanti, che la sua posizione “atomistica”
si farà più esplicita
Il
Libro Terzo dei Principia (che ha per titolo Sistema del mondo) è
soprattutto di argomento astronomico ed ha
per oggetto principale il moto
celeste. Esso si apre con le quattro Regole del filosofare, sulle quali
sarà utile soffermarci, poiché è con esse
che Newton indica i punti fermi di un
metodo operativo basato sulla sperimentazione e sull’induzione. E
sarà il caso di ricordare che questa, a dispetto
di tutte le acrobazie
negazionistiche di un Popper, rimane lo strumento
principale della ricerca
scientifica e dell’adeguamento delle nostre
conoscenze al reale. Le regole
sono:
1.
Delle cose naturali non devono essere ammesse
cause più numerose di quelle che sono vere
e bastano a spiegare i fenomeni.
2.
Perciò, finché può esser fatto, le medesime
cause vanno attribuite ad effetti naturali
dello stesso genere.
3.
Le qualità dei corpi che non possono essere
aumentate e diminuite, e quelle che appartengono
a tutti i corpi sui quali è
possibile impiantare esperimenti, devono
essere ritenute qualità di tutti i
corpi.
4. Nella
filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate
per induzione dai fenomeni,
devono, nonostante le ipotesi contrarie,
essere considerate vere o
rigorosamente o quanto più possibile, finché
non interverranno altri fenomeni,
mediante i quali o sono rese più esatte o
vengono assoggettate ad eccezioni. [7]
Relativamente alla 1. si noterà come venga
assunto il criterio del vecchio Rasoio di Ockham, ma anche quello
(implicito) che nelle scienze fisiche va
escluso ogni elemento di carattere
metafisico. Nella 2. è enunciato una sorta
di “criterio di contiguità”, in base
al quale: a) prima di porre nuove cause bisogna
sempre vedere se quelle note
siano applicabili ad effetti analoghi; ma
anche b): sono gli effetti che
pilotano la ricerca scientifica e non le
cause. In quanto alla 3.: ribadito il
criterio di contiguità viene sottolineato
che solo l’esperimento (nei termini
del metodo baconiano) legittima e conferma
una tesi e nient’altro. Se si
considera che Newton opera perlopiù su un
terreno matematico si comprende
l’importanza di questa precisazione. La matematica,
di cui è implicito il ruolo
fondamentale in fisica, non deve venire utilizzata
per conclusioni
logico-deduttive scorrette, poiché è solo
l’esperimento a confermare la
legittimità di una tesi scientifica. Criterio
riconfermato nella 4., dove viene
ribadito il rapporto tra induzione e sperimentazione
come l’asse teorico che
fonda ogni acquisizione scientifica.
Il
Terzo Libro si sviluppa attraverso la trattazione
dei fenomeni astronomici, cui
seguono proposizioni e teoremi, cui seguono
precisazioni sui moti della luna. A
noi interessa soprattutto lo Scolio Generale,
un’aggiunta alla seconda edizione
(1713) che ha lo scopo di precisare la posizione
dell’autore, mettendolo per un
verso al riparo dalle accuse di implicito
ateismo (mossegli soprattutto da
Leibniz) e dall’altro allo scopo di precisare
la rigorosa adesione al “fenomeno
reale” come base irrinunciabile di ogni formulazione
scientifica e quindi
l’utilizzazione dell’esperimento come unico
fattore probatorio. Lo scolio apre
con la contestazione della “teoria dei vortici”,
quella fortunata quanto falsa
teoria cartesiana che costituiva la bandiera
dietro cui si schieravano gli
anti-newtoniani, ma presto passa a trattare
di Dio in termini da subito
inequivoci: « Egli regge tutte le cose non
come anima del mondo, ma come
signore dell’universo.» [8] Già con questa prima frase vengono prese
nettamente le distanze dagli utilizzatori
del newtonismo a scopi teologici
eterodossi, come i deisti, e ribadita la
validità della fede cristiana. Una
fede capace di accettare il mistero («Come
il cieco non ha idea dei colori,
così noi non abbiamo idea dei modi con i
quali Dio sapientissimo sente e
capisce tutte le cose.» [9],
[…], « e molto meno abbiamo un’idea della
sostanza di Dio » [10])
. E poi uno dei punti fondamentali sul concetto
di attrazione gravitazionale:
Fin qui ho spiegato
i fenomeni del cielo e del nostro mare mediante
la forza di gravità, ma
non ho mai fissato la causa della
gravità. Questa forza nasce interamente da
qualche causa, che penetra fino al
centro del Sole e dei pianeti, senza diminuzione
della capacità, e opera non in
relazione alla quantità delle superfici delle particelle sulle quali
agisce (come sogliono le cause meccaniche)
ma in relazione alla quantità di
materia solida. La sua azione si estende per ogni dove
ad immense
distanze. La gravità verso il Sole è composta
della gravità verso le singole
particelle del sole, e allontanandosi dal
sole decresce costantemente in
ragione inversa del quadrato delle distanze
fino all’orbita di Saturno, come è
manifesto dalla quiete degli afelii dei pianeti,
e fino agli ultimi afelii
delle comete, posto che questi afelii siano
in quiete. [11]
Si tratta dell’esposizione abbastanza incerta
di un fenomeno dall’esistenza certa a desumere
da un dato sperimentale
altrettanto certo, la proporzionalità inversa
al quadrato della distanza. È
l’unico modo con cui uno scienziato consapevole,
ed intellettualmente onesto, può
esporre l’esistenza di un fenomeno di cui
non conosce assolutamente nulla, al
di fuori del nudo “dato sperimentale”. È
una maniera nuova di parlare della
realtà, dichiarando un “non so” che la “sapienza”
metafisica non avrebbe mai
potuto dire. Una sapienza metafisica abituata
ad inventare teologicamente delle
connotazioni della realtà e poi “dimostrarle”
con qualche giochetto logico
dialettico. Lo scienziato è di altra razza,
e precisa:
In verità non sono
ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la
ragione di queste proprietà della
gravità, e non invento ipotesi. Qualunque
cosa, infatti, non deducibile dai
fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano
posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche,
sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In
questa filosofia le proposizioni vengono
dedotte dai fenomeni, e sono rese
generali per induzione. In tal modo divennero
note l’impenetrabilità, la
mobilità e l’impulso dei corpi, le leggi
del moto e la gravità. Ed è
sufficiente che la gravità esista di fatto,
agisca secondo le leggi da noi
esposte, e spieghi tutti i movimenti dei
corpi celesti e del nostro mare. [12]
Un’importante lezione di modestia e di
correttezza scientifica, che sarebbe bene
tenessero presente le folte schiere
di fisici-teologi che contestano la meccanica
quantistica per il solo fatto che
è indeterministica. Rimane un ultimo punto
da considerare: quello delle
“qualità occulte” imputate alla fisica newtoniana
sulla base di quel
“massificante” meccanicismo cartesiano ormai
obsoleto e diventato ultimo
baluardo dialettico dei metafisici. Newton
risponde alle accuse in maniera
semplice ed esemplare nel suo Optiks
del 1704:
Io considero questi principi [la forza di
gravità e l’elettro-magnetismo] non come
qualità occulte che si immaginano
sorgere dalle forme specifiche delle cose,
ma come leggi generali della natura,
dalle quali le stesse cose sono formate.
La realtà di questi principi ci si manifesta
attraverso i fenomeni, quantunque
non ne siano ancora state scoperte le cause.
Queste qualità sono palesi,
infatti, e soltanto le loro cause sono occulte.
[13]
Straordinario come questo gigante
dell’intelletto umano riesca ad essere semplice
e chiaro quanto modesto e realistico
nelle sue enunciazioni, senza dire nulla
più del necessario e nulla meno del dovuto.
Sono queste le prerogative fondamentali della
scienza vera, che si staglia
contro tutte le cianfrusaglie logico-dialettiche
della metafisica e dei suoi
affascinanti quanto fatui orpelli.
Entrati nel campo dell’ottica, forse quello
in cui Newton ha fornito un
contributo più rivoluzionario per
l’epoca, vediamo qualche esito teorico delle
sue ricerche. Dalle Lezioni di ottica tenute a Cambridge
negli anni 1669-1671 si può cogliere un primo
punto assai importante laddove viene
ribadito che non basta descrivere i colori
ma indagarne la causa:
Pertanto, se la luce viene definita la
qualità o la forma dell’essere luminoso non
dobbiamo aspettarci che ci si dica
qualcosa delle sue cause o in che modo subisca
dei mutamenti per produrre i
vari colori […] ciò non basta a spiegare
come si producono, sia perché nessun
colore è costituito dalla sola fusione […]
sia perché la quantità di luce non
può modificare la specie del colore. [14]
Enunciazioni per noi ovvie, ma non per la
più
parte dei naturalisti del Settecento, ancora
legati all’aristotelismo e ai suoi
miseri sviluppi secenteschi. Newton è colui
che coglie in maniera chiara e definitiva
il rapporto stretto tra il pluralismo strutturale
della luce e i colori dei
corpi. Ancora nelle Lezioni:
I mutamenti della luce, donde traggono
origine i colori, sono connaturati alla luce
stessa, e non nascono né dalla
riflessione né dalla rifrazione […] a raggi
che hanno diverso potere di
rifrazione corrispondono colori diversi […]
Ogni tipo di raggio conserva sempre
e soltanto quell’unico colore che è suo per
natura, purché non si mescoli a
raggi di altri tipo […] i colori sono dovuti
semplicemente a mescolanza di
raggi di tipo diverso o separazione dei singoli
tipi di raggi dagli altri coi
quali sono mescolati. [15]
I differenti raggi luminosi (oggi diremmo frequenze)
sono a fondamento dell’ottica newtoniana,
che ha finalmente chiarito il perché
del colore dei corpi opachi:
Trovo infine che i colori di tutti i corpi
sono generati da una certa predisposizione
per cui sono adatti a riflettere
alcuni raggi e ad assorbirne altri. Così
un corpo rosso è tale perché riflette
soprattutto i raggi tendenti al rosso e assorbe
tutti gli altri quasi
completamente; uno color viola è tale perché
riflette i raggi che generano
questo colore e assorbe invece gli altri,
un corpo è bianco perché riflette
quasi tutti raggi, viceversa un altro è nero
perché li assorbe tutti, di tutti
riflettendo solo una piccola quantità. [16]
In queste poche conclusioni è enunciato come
si manifestano i raggi luminosi e come agiscono.
Che ne è allora di quella
“mistica della luce” che ha invaso e impregnato
millenni di cultura teologica? Più
nulla! La luce, quella bianca, non è altro
che il raggio-somma di tutti gli
altri tipi di raggio. Sono essi che la “fanno
essere”, essa non crea un bel
nulla, ma è piuttosto creata dai suoi componenti.
Neppure Yahvè avrebbe potuto
dire «fiat lux!», perché la lux è un
assemblaggio di tante luces che si
sono messe insieme. La luce come una delle
forme dell’elettromagnetismo è sì
una vera e grande creatrice, ma di nulla
di sacro quanto di due cose
eminentemente profane: la vita e la bellezza!
Ma
se Newton ha compreso come funzioni la luce
attraverso una serie ininstancabile
di ricerche sperimentali ammonisce anche
che la sperimentazione da sola non è
sufficiente per una scienza esaustiva. La
raccolta delle Lezioni si chiude con un elogio della matematica:
Ma perché non sembri che io nel trattare
della natura dei colori abbia superato i
limiti di quello che mi sono
prefissato (che potrebbero sembrare estranei
alla matematica), non sarà fuori
luogo ricordare ancora i motivi della mia
ricerca: e questo perché esiste tale
affinità tra le proprietà della rifrazione
e quelle dei colori, che le une non
possono esser spiegate indipendentemente
dalle altre. […] la generazione dei
colori stessi investe così da vicino la geometria
e la loro conoscenza è
convalidata da tale evidenza che di essi
potrei occuparmi considerandoli in sé
e per sé, ampliando così il campo della matematica.
[17]
La scienza è “esperimento + calcolo”, e da
ciò la conclusione:
Dirò di più: poiché lo studiare a fondo i
colori è uno dei problemi più difficili che
il filosofo possa porsi, spero di
poter fornire un saggio di quanto la matematica
sia importante nella filosofia
naturale. E con ciò vorrei esortare gli studiosi
di geometria a un più
approfondito esame della natura e i cultori
delle scienze naturali ad uno
studio preliminare della geometria. [18]
Ed
ora un brevissimo cenno alla Nuova teoria
sulla luce e sui colori, del 1672, una sorta di memoria scientifica
che
Newton invia come ringraziamento per l’ammissione
alla Royal Society al
segretario di essa Henry Oldemburg. Qui il
Nostro spiega come è arrivato a
costruire il telescopio a riflessione e nel
contempo descrive la serie dei
lunghi esperimenti che lo hanno condotto
a definire le nuove leggi della
rifrazione. Nel ricordare il suo complesso
lavoro il Nostro definisce la luce
bianca « il composto più sorprendente e meraviglioso
» [19]
quale oggetto principale delle sue indagini,
a testimonianza della sensibilità
anche estetica che si può accompagnare al
rigore scientifico. D’altra parte la
luce bianca rende possibile la percezione
della bellezza e i suoi componenti la
creano dividendosi il compito di rivelare
i colori del mondo. È possibile
studiare la luce e i colori senza innamorarsene?
Tra
Nuova teoria e l’Ottica, il trattato che conclude le ricerche sulla
luce e che appare
nel 1704 si collocano altre memorie, nelle
quali sempre più Newton insiste
sulla corpuscolarità della luce. Ora tale
“materializzazione” di quest’essenza
spesso divinizzata sconcerta non solo i teologi,
ma anche scienziati come Hooke
e Huygens. D’altra parte uno dei problemi
della fisica dell’inizio del XVIII
secolo è anche di capire perché le parti
di materia stiano assieme. Newton non
può che attribuire ciò all’attrazione gravitazionale,
ma deve anche fare i
conti con chi pensava invece ad “atomi uncinati”
o una specie di colla cosmica
chiamata “quiete”, così conclude molto semplicemente:
«Io invece dalla coesione
dei corpi desumerei che le particelle si
attraggono l’un l’altra.» [20]
Già, le particelle fondamentali della materia!
Come può il cristianissimo Isaac
fare ricorso a un concetto ontologico così
maledettamente blasfemo come quello
di quegli atei ed empi di atomisti? Molto
semplice: il fatto di essere un vero
uomo di scienza. Ma la Creazione divina è
fuori discussione, ed allora, come
già aveva fatto Gassendi, anche il Nostro
sostiene che è stato Dio a fare gli
atomi:
Considerate tutte queste cose, mi sembra
probabile che Dio al principio del mondo
abbia formato la materia di particelle
solide, compatte, dure, impermeabili e mobili,
dotate di date proprietà e di
date proporzioni rispetto allo spazio, affinché
meglio tendessero al fine per il quale egli le aveva formate. [21]
Problema risolto, quindi, e la Genesi biblica.è ancora una volta salva.
E più oltre.
Ora, con l’aiuto di questi principi [inerzia,
gravità, coesione e disgiunzione degli atomi],
tutte le cose materiali sembrano
essere state composte delle suddette particelle
dure e solide, variamente
associate durante la prima creazione dalla
volontà di un Agente dotato di
intelligenza. [22]
Si noti bene l’espressione “prima creazione”.
Newton contro Cartesio e Leibniz ritienine
che la creazione sia un processo che
continua (lo aveva già supposto anche Gassendi)
e che Dio continui a gestirla
dall’alto dei cieli:
E poiché lo spazio è divisibile all’infinito,
mentre la materia non si trova necessariamente
in tutti i luoghi, si può anche
ammettere che Dio possa creare particelle
di materia di varie grandezze e
figure, e in varie proporzioni rispetto allo
spazio, e , forse, di diversa
densità e di differenti forze, e perciò stesso
possa variare le leggi della
natura e creare mondi di diverse specie in
diverse parti dell’universo. Per
concludere, in tutto questo non vedo niente
di contraddittorio. [23]
L’universo non è “pieno”, ma in gran parte
“vuoto”, poiché la materia non è dappertutto,
e quindi Dio “può” (e non “ha
potuto” o “poteva”) creare nuove particelle.
Newton ha compreso che l’universo
non è statico e definito dalla Creazione,
ma dinamico e in evoluzione; e quindi
Dio potrebbe addirittura continuare a “variare”
le leggi fisiche a suo piacere
per creare mondi nuovi e differenti. Pare
di trovarsi di fronte
all’immaginazione di un poeta piuttosto che
di uno scienziato, e invece è solo
la consapevolezza del fisico che la realtà
è talmente complessa e mutevole che
è da ottusi immaginarla definita una volta
per tutte.
Abbiamo già rilevato come Newton si collochi
sulla line di Bacone e di
Gassendi per quanto riguarda l’operare della
scienza. Ebbene, è proprio in
chiusura dell’Ottica che egli ci dà
una compiuta testimonianza del “metodo” nei
seguenti termini:
Come in matematica, così nella filosofia
naturale lo studio delle cose difficili,
mediante il metodo analitico, dovrebbe
sempre precedere il metodo sintetico. Quest’analisi
consiste nel fare
esperimenti e osservazioni e trarre da questi,
mediante l’induzione,
conclusioni generali, non ammettendo contro
di esse obiezioni, salvo che siano
derivate da esperimenti o da altre verità
certe. Perché nella filosofia
sperimentale non bisogna tener conto delle
ipotesi. E sebbene il trarre per
induzione principi generali dagli esperimenti
e dalle osservazioni non
equivalga a dimostrarli, tuttavia è questo
il miglior modo di ragionare che la
natura consenta, e può considerarsi tanto
più saldo quanto più l’induzione è
generale. [24]
[1] Tra tali detrattori spiccava Leibniz, che nella sua Teodicea del 1710 faceva dell’attrazione gravitazionale una “causa occulta”.
[2] Va ricordato che fu il suo prezioso collaboratore Roger Cotes (correttore e revisore dei Principia) a consigliargli in una lettera del febbraio 1713 (prima della pubblicazione della terza edizione) di inserire nel libro «qualcosa mediante cui possa essere sottratto a certe prevenzioni che gli sono state accanitamente accumulate contro. Come quelle per cui abbandona le cause meccaniche, è costruito su miracoli e ricorre a qualità occulte.» (cit. nell’Introduzione ai Principi, cura di A.Pala, Torino, UTET 1977,cit, p.24).
[3] I.Newton. Principi matematici della filosofia naturale, a cura di A.Pala, Torino, UTET 1977, pp.91-100.
[4] Ivi, p.339.
[5] Si veda: Scolii classici, in: I.Newton, Il sistema del mondo e gli Scolii classici, a cura di P.Casini, Roma, Theoria 1983, pp.138-141.
[6] Principi matematici, cit. p.480.
[7] Ivi, pp.603-607.
[8] Ivi, p.793.
[9] Ivi, p.794.
[10] Ivi, p.795.
[11] Ibidem.
[12] Ivi, pp.795-796.
[13] I.Newton, Ottica, Libro III, I. In: Scritti di ottica, a cura di A.Pala, Torino, UTET 1978, p.601.
[14] I.Newton, Lezioni di ottica, in: Scritti di ottica, cit., pp.192-193.
[15] Ivi, pp.194-195
[16] Ivi, p.195.
[17] Ivi, p.196.
[18] Ibidem.
[19] I.Newton, Nuova teoria sulla luce e sui colori, in: Scritti di ottica, cit., p.210.
[20] I.Newton, Ottica, in: Scritti di ottica, cit., p.591.
[21] Ivi, p.600.
[22] Ivi, p.602
[23] Ivi, p.603.
[24] Ivi, pp.603-604.