CAPITOLO IV

Atomismo e ontologia pluralistica.

 

 

INTRODUZIONE
 

    A seguire dai prodromi dell’ateismo veniamo ora ad occuparci di un indirizzo filosofico che appare nel V sec.a.C. e che si caratterizza precipuamente per uno spiccato materialismo e per l’eliminazione dal suo orizzonte di ogni elemento divino e trascendentalistico, determinando storicamente la prima vera weltanschauung atea. Avevamo peraltro rilevato che già anche il naturalismo milesio presentava quello spiccato carattere di rottura col mito che ci ha permesso di considerarlo anticipatore dell’ateismo. A tal proposito George Minois, nel suo Storia dell’ateismo, ci offre un’ottima sintesi del panorama culturale ellenico precedente il V secolo a.C.:

 

    Nel corso di un lungo periodo, dall’età arcaica fino al tempo dei presocratici, la distinzione tra ateismo e credo religioso è difficile da compiersi, in ragione di caratteri peculiari alla religione e alle correnti filosofiche. Tutte sono dichiaratamente ostili all’idea della trascendenza. La realtà ultima è la natura, increata ed eterna, di cui l’uomo è parte. Gli stessi dei sono calati nel mondo; eterni, ma dotati di forme corporee, essi intervengono costantemente nelle vicende umane, stabiliscono il destino, fanno conoscere i loro voleri per bocca degli oracoli, sono suscettibili di essere influenzati da pratiche magiche. La religione greca tradizionale è fortemente orientata verso un panteismo naturalistico fondato su un complesso di miti, evidentemente non più facenti parte  del vissuto, ma concettualizzati, rielaborati nella forma e spesso, e spesso degradati a leggende poetiche. In ambito popolare, questa religione è satura di un gran numero di superstizioni e di pratiche magiche e occulte. Tanto in alto che in basso è dunque una religione corrosa, che d’un canto si apre all’ateismo teorico, mediante la tendenza alla spiegazione simbolica dei miti, e dall’altro all’ateismo pratico, con l’assimilazione dei miti nella vita quotidiana. […]

    Le correnti filosofiche presocratiche, che si accostano alla realtà con abito razionale, mescolano natura e divinità, privilegiando a tal punto il primo termine, che il loro sostanziale panteismo rasenta l’ateismo. Non occorrerà molto a far scivolare la loro dottrina verso un materialismo naturalistico.

    L’idea essenziale di queste filosofie è che esiste una realtà sostanziale, senza inizio né fine, una “materia” (hylé) di cui tutti gli enti non sono che modificazioni: l’acqua per Talete, l’aria per Anassimene, il fuoco per Eraclito, la terra per altri. Questa materia prima è al contempo divina; essa è animata da un soffio, una sorta di spirito organizzatore, che la rende materia viva. Tale concezione ilozoista (da hylé,materia, e zoè, vita) è considerata generalmente come origine del materialismo […] [1]

 

Va detto che l’ilozoismo, in effetti, è sì anti-mitico, e in quanto tale può venire considerato pre-ateistico, ma per molti versi mantiene una tangenza con la religiosità abbastanza spiccata. Considerare tutta la materia come vivente e animata, e quindi dotata di una qualche forma di “psichicità”, è pur sempre un modo di ammettere una qualche forma di “divinizzazione” del cosmo [2]. 

     Ma prima di passare all’analisi dei testi vogliamo anteporre, quale introduzione all’argomento, una notazione storica estremamente interessante, poiché (per quanto se ne sappia) risulta essere, in assoluto, la prima citazione dell’ateismo, seguita dalla relativa formulazione della sua irrimediabile condanna. Si tratta di un passo de le Leggi (X, 885 b) in cui Platone definisce il proprio atteggiamento nei confronti di chi disconosce la religione e ne viola i principi dottrinali e comportamentali. Il padre dell’idealismo stigmatizza tre tipi di empietà, dal più grave al più lieve, in questi termini:

 

[…] Qualora agisca o parli così, ciò accade per una di queste tre affezioni che egli subisce, [1] o perché non crede a ciò di cui ho parlato, o , in secondo luogo, [2] perché pensa che pur esistendo gli dèi non si interessino degli uomini, o finalmente, in terzo luogo, [3] perché ritiene che con sacrifici e preghiere si possono facilmente placare e sedurre. [3]

 

L’ateismo teoretico vero e proprio è evidentemente soltanto quello relativo a [1], mentre il [2] corrisponde a quello che sarà anche l’atteggiamento di Epicuro, che all’epoca veniva considerato una sorta di ateismo attenuato. Il [3] evidentemente non ha nulla a che fare con l’ateismo e corrisponde piuttosto ai livelli più bassi della superstizione religiosa. Platone ci fornisce poi un’ulteriore precisazione, poiché l’ateismo radicale è per lui di due tipi, uno a) grave (l’ateismo pratico) e uno b) gravissimo (l’ateismo teoretico) (X, 908 d):

 

E infatti l’uno [a)] sarà, quanto al discorso, pieno di libertà di parola sugli dèi, i sacrifici i giuramenti, e, se non fosse punito, forse col ridere degli altri potrebbe rendere altri come lui, ma l’altro [b)] pensa come il primo e, d’altra parte, è stimato uomo di  spirito, pieno di astuzia, ingannatore […]

 

Ed ecco le sue “proposte di legge” (X, 908 e):

 

Ma per coloro che non obbediranno sia questa la legge sull’empietà: Se qualcuno commette empietà nelle parole e nelle opere, chi vi si imbatte difenda la legge e lo denunci ai magistrati; i magistrati che per primi ne avranno notizia lo portino davanti al tribunale [...]

 

E vediamo infine quali punizioni avrebbe voluto infliggere il buon Platone ai colpevoli di praticare l’ateismo pratico a) e quello teorico b) (X, 909 e):

 

[…] l’una [a)] è quella ironica e dissimulatrice e che commette errori che sono degni di morte non una volta sola, né due, ma di più ancora, l’altra [b)] che richiede l’ammonizione e insieme il carcere.

 

Se l’ateismo teoretico avrebbe dovuto prevedere la pena di morte (non una né due ma di più ancora!) quello pratico forse doveva essere così diffuso che si prevedeva “soltanto” il carcere. In realtà, questo tipo di empietà (in considerazione di una struttura dottrinaria quasi inesistente) si presenta non tanto come negazione del divino quanto come un non-riconoscimento degli dèi tradizionali o come una deviazione omissiva di una cultualità puramente formale, nonché piuttosto debole dal punto di vista delle ricadute esistenziali e quindi “pratiche”. Eterodossia, come è noto, comunque assai pericolosa, almeno a partire dal 432 a.C. [4], se Socrate, a causa di essa, ha potuto subire quel processo in qualità di corruttore dei giovani e fomentatore di scarso rispetto religioso, che si concluse con la sua condanna a morte.

 

                           

   

 

4.1) Caso e necessità nell’atomismo

 

    Prima di affrontare nel dettaglio il pensiero dei teorici dell’atomismo dobbiamo soffermarci su un problema interpretativo che mina alla base ogni lettura della fisica atomistica rendendola incoerente e contraddittoria. Ci riferiamo alle ripetute e gravi contraddizioni nelle testimonianze e nei frammenti concernenti Leucippo e Democrito per quanto attiene la causa prima “a monte” del moto (concetto questo assolutamente fondamentale nella cosmologia atomistica) che viene identificata ora nel caso e ora nella necessità. Tale aporia, sottolineata da molti gli studiosi, è stata tuttavia perlopiù lasciata persistere in quanto tale, senza essere stata adeguatamente tematizzata, se non con qualche modesto tentativo di dirimerla da parte di alcuni interpreti (che ci sentiamo di poter definire “filo-idealistici”) con risultati non solo insoddisfacenti ma talvolta anche capziosi e strumentali. Questa grave insufficienza nell’esegesi della filosofia atomistica ha finito per generare equivoci assai gravi e soprattutto non ha permesso di definire i termini teorici di un pensiero rivoluzionario, e manifestamente ateo, in un panorama filosofico ellenico che nel V sec. a.C. si presentava ancora agonistico ed articolato, ma che diventerà ben presto monocorde col platonismo e l’aristotelismo. Ciò deriva sia dalla forza di questi due indirizzi filosofici e sia dalla debolezza dei seguaci della filosofia atomistica, i quali, incapaci di innovare le tesi dei due fondatori, per oltre un secolo rimarrando completamente in ombra (finché non sarà Epicuro a riproporle). [5]

    Naturalmente non intendiamo dare peso più di tanto alla citazione di Diogene Laerzio circa l’ostilità (con intenti “distruttivi”) di Platone nei confronti del pensiero atomistico, ma la registriamo in quanto dato storiografico non irrilevante. Riferisce Diogene:

 

    Aristosseno nelle sue  Memorie sparse afferma che Platone ebbe l’intenzione di bruciare tutte le opere di Democrito che poté raccogliere, ma che i pitagorici Amicla e Clinia lo distolsero dal suo proposito, in quanto non ne avrebbe tratto utilità alcuna, perché ormai i libri erano ampiamente diffusi nel pubblico. Infatti, Platone, che pure menziona quasi tutti i filosofi arcaici, non accenna mai a Democrito neppure là dove avrebbe dovuto contraddirlo, evidentemente perché era consapevole che avrebbe dovuto gareggiare col migliore dei filosofi […] [6]

 

Il fatto che non ci sia pervenuto nessuno degli scritti di Leucippo e di Democrito ci lascia presumere quello che definiremo eufemisticamente una qualche “difficoltà ambientale”. Difficoltà che ha fatto sì che il loro pensiero sia stato successivamente desumibile soltanto attraverso tarde testimonianze non sempre attendibili e che si sia verificato nei secoli il sovrapporsi di nozioni, opinioni e interpretazioni, che hanno finito per irrigidire l’atomismo in uno schema concettuale “bloccato” nelle sue aporie [7]. Questa schematizzazione dell’atomismo, sia nelle sue tesi “tradizionali” e sia nelle sue contraddizioni, ne ha fatto una specie di “fossile”, filosofico, incastrato in una sua nicchia storiografica priva di veri sviluppi teorici (almeno sino ad Epicuro). Questo “placcaggio a terra” dell’atomismo (se ci si passa il temine rugbistico) è andato ovviamente a tutto favore dell’idealismo a cui esso ha inteso opporsi, nell’intento di indicare un orizzonte ontologico ateo, fuori dalle logiche sia mitico-religiose che metafisico-monistiche.

    Ma l’atteggiamento di Platone nei confronti dell’atomismo ci permette anche di introdurre qui una nota che anticipa l’analisi che condurremo sulla dicotomia caso/necessità. La nostra impressione è infatti che Platone, nella sua feroce invettiva contro l’ateismo, pensi a Democrito come rappresentante contemporaneo riconosciuto e “deputato” dell’atomismo, ma che in realtà ciò che lo sconcerta maggiormente potrebbe essere proprio la “casualità” originaria (posta da Leucippo) insita nella teorizzazione del movimento cosmogonico atomistico (e non già la necessarietà che Democrito ha invece, come spiegheremo, teorizzato in seguito). Platone infatti, e a più riprese (specialmente nelle opere tarde), fa riferimento a una “provvidenzialità divina” necessitata non lontanissima (ontologicamente) dalla necessità [8] democritea (come d’altra parte sarà poi per gli Stoici) quale esito operativo della suprema e divina intelligenza con la quale essa si indentifica. A tal proposito vale la pena ricordare qualche sua affermazione. Si legga nel Timeo (47, a):

 

  « Nel discorso precedente, tranne poche parole, si è trattato solo delle operazioni dell’intelligenza. Ora occorre dire anche di ciò che avviene per la necessità. Perché [a] l’origine di questo mondo è mista, derivando da una combinazione della necessità e dell’intelligenza »

 

Ed ancora nello stesso dialogo (53 d):

 

«Quest’origine [geometrica] noi assegniamo al fuoco e agli altri corpi, seguendo la ragione verosimile congiunta con la necessità: quanto ai principi superiori a questi, li sa dio e degli uomini quello che gli è caro.»

 

Ma è poi nel X libro di Leggi che Platone meglio esplicita il suo pensiero contro il caso (accomunando egli probabilmente Empedocle, Sofisti ed Atomisti), quando afferma (889 a – d):

 

« Dicono alcuni che tutto ciò che è, che è stato e che sarà dipende in parte dalla natura, in parte dall’arte, in parte dal caso. […] Le cose più grandi e importanti, dicono, fra quelle sopra elencate e le più belle, sembra le facciano la natura e il caso, […] Essi dicono che ciascuno di questi [gli elementi “primi”] essendo mosso e spostato a caso dalla forza propria a ciascuno di loro, […] si fusero insieme, ivi, proprio per questa stessa causa, in tal modo essi hanno dato origine all’intero cielo e a tutto ciò che è nel cielo e a tutti gli animali e a tutte le piante, una volta che tutte le stagioni per la causa di cui si è detto vennero ad esserci, e tutto ciò, non per l’azione, dicono, di una mente, né di un dio o di un’arte, ma, come stiamo riferendo noi, si fonda sulla natura e sul caso.» [9]

 

Ne segue una splendida definizione della religione che viene messa in bocca a tali irriducibili “empi” casualisti, non senza un certo tono di scherno:

 

«Caro mio, questi cominciano col dire che gli dèi sono frutto dell’arte degli uomini, non sono per natura, sono per certe leggi e convenzioni, sono diversi da luogo a luogo, come cioè ciascun popolo convenne con se stesso nello stabilirli per convenzione, come fissando una legge.» [10]

 

    Se in quel tempo, o immediatamente dopo, il pensiero di Leucippo e Democrito è stato combattuto, o perlomeno trascurato e frainteso, la nostra netta impressione è che esso non abbia avuto miglior destino neppure in seguito. E non diremo del periodo dominato dalla teologia cristiana (a dipresso quindici secoli) ma neppure in tempi molto recenti (dopo la meritoria raccolta documentale del Diels all’inizio del ‘900 [11]) a causa di un abito mentale vagamente (e in qualche caso “nettamente”) idealistico, che ne ha impedito una lettura corretta. Basti pensare al pervicace tentativo di minimizzare la portata del pluralismo leucippeo per ricondurlo all’ovile del monismo parmenideo che viene operato da molti illustri “platonici” contemporanei [12]. Ma occorre tuttavia ammettere che per un pensiero filosofico otto-novecentesco dominato dall’idealismo hegeliano e post-hegeliano (si pensi all’”Italia filosofica” di Croce e Gentile!) il pensiero atomistico poteva esser ritenuto, tutto sommato, di assai scarso interesse e quasi opzionale l’occuparsene seriamente se non per rafforzare l’eterno monismo parmenideo rimesso in auge da Heidegger (e ripreso recentemente da numerosi neo-idealisti [13]). Ma se l’affrontare il problema poteva essere un’opzione in un mondo filosofico che operava con un ermeneutica filo-idealistica, a noi, che (ateisticamente) all’idealismo ci opponiamo, tocca “d’obbligo” il tentare di dirimere la questione. Ma prima di fornire una risposta vorremmo porre preliminarmente una domanda elementare ed ovvia: «È possibile immaginare che nella Greca del V secolo ci potessero essere filosofi di professione, stimati e seguiti, così ingenui e sprovveduti da consentire il permanere di una contraddizione così plateale nelle loro tesi, tali da minarne alla base la credibilità e la coerenza? » La risposta ad un minimo di buon senso comune!

    Vediamo intanto: si tratta di una questione poi così proibitiva? Molto difficile lo è sicuramente. Ma la nostra impressione è che un vero interesse per cercarne una soluzione e raggiungere una conseguente chiarificazione del pensiero atomistico sia del tutto mancato anche da parte di chi se n’è occupato con le migliori (o soltanto apparentemente migliori?) intenzioni ermeneutiche. Un po’ per la ragione su accennata, ovvero che gli studiosi che se ne sono occupati tra ‘800 e’900 erano quasi tutti di scuola idealistica (e che quindi guardavano ad una filosofia materialista con occhi idealisti) e un po’ perché (forse) il fatto che il pensiero atomistico apparisse lacunoso ed incoerente, anziché recare fastidio, ha potuto persino far comodo.

    Si noti poi che, tanto per restare in famiglia, in un contesto intellettuale come quello italiano, se non dominato certo impregnato di cattolicesimo (e rimasto praticamente impermeabile al pensiero illuministico-materialistico) l’opposizione concettuale caso/necessità nell’atomismo poteva ben apparire argomento non degno d’indagine, e perfino futile se confrontato con gli “alti” problemi della fede. Ma non è improbabile, al contrario, che si percepisse chiaramente che una cosmologia che ponesse come causa prima della costituzione del mondo cause impersonali e “materiali” come il caso e la necessità significasse mettere fuori gioco un Dio-Persona creatore di cui essi avrebbero resa superflua l’ipostatizzzione. Quindi, l’aporia caso/necessità, che per noi è una lacuna fondamentale nella documentazione sul pensiero atomistico, poteva apparire non solo una questione di mero dettaglio concernente una teoresi filosofica del passato, ma portatrice di una filosofia aberrante che era meglio lasciare in ombra. Per noi atei è invece l’aspetto fondamentale di una teoresi filosofica storicamente importantissima, lasciando il quale in sospeso si rischia di rendere la stessa, per alcuni versi, inconsistente.

    Tenendo fede al nostro intento cominciamo allora subito coll’accennare a quello che viene considerato l’unico frammento trasmessoci di una frase che sarebbe stata scritta o pronunciata da Leucippo stesso e che ci è pervenuta attraverso Aezio [14] (I, 25, 4, Doxographi 321, Vorsokratiker 67.B.2). Una presunta base di partenza che recita:

 

«Leucippo asserisce che tutto è conforme alla Necessità e partecipa del medesimo destino. Infatti, nell’opera intitolata Sull’intelligenza afferma: “nulla avviene invano, mentre tutto consegue dalla ragione e dalla necessità”». [15]

 

Ora, a parte il fatto che non è certo che Leucippo in realtà abbia mai scritto un’opera con tale titolo (ma più probabilmente Democrito) [16], va anche ricordato che Aezio vive nel I secolo e che quindi almeno cinque secoli lo separano dalla supposta affermazione originale di Leucippo. Ma non è meno importante notare che in altre due testimonianze egli stesso contraddice il frammento suddetto, affermando l’esatto contrario. Nella prima (II  3, 2 – Dox. 330, Vorsokrat. 67.A.22) accomunando i tre atomisti afferma:

 

«Leucippo, Democrito ed Epicuro affermano che [il mondo] non è animato né è governato dalla provvidenza, ma è sorto dagli atomi, per opera di una forza irrazionale» [17].

                                         

Nella seconda (I 4, 1-4 – Dox. 289, Vorsokrat. 67.A.24, Us. Epicurea fr.308), che è una lunga esposizione della Grande cosmologia, egli riferisce nell’incipit:

 

«Il mondo pertanto si costituì assumendo una figura ricurva; e la sua formazione seguì questo processo: poiché gli atomi sono soggetti a un movimento casuale e non preordinato e si muovono incessantemente e con velocità grandissima, […]» [18].

 

Noi ci troveremmo pertanto di fronte (secondo numerosi studiosi) ad un ipsissimum verbum di Leucippo nel primo frammento; il problema è poi che lo stesso Aezio ci regala una patente negazione del suo contenuto in altri due luoghi della sua testimonianza. Ne deriva che la teorizzazione della necessità nel primo frammento, come causa del moto cosmogonico degli atomi da parte di Leucippo, entra in aperta contraddizione con Leucippo stesso nelle altre due. Ma è ancora più interessante notare che poi (con molta chiarezza) egli ci precisa in un terzo frammento (I, 25, 3, Dox. 321, Vors. 68.A.66d) quanto segue:

 

Parmenide e Democrito affermano che tutto avviene per necessità: e che essa è fato e giustizia e provvidenza e produttrice del mondo. [19]  

 

un’associazione di Democrito con Parmenide gravida di significato per il problema che stiamo affrontando, ed insieme una definizione “canonica” del necessitarismo deterministico che non lascia dubbi circa la collocazione ontologica di Democrito nell’opinione di Aezio.

    Il raffronto preliminare sopra citato (ma sull’argomento torneremo) ci pare già abbastanza sufficiente per delineare uno scenario interpretativo estremamente complicato e contraddittorio, proprio a partire dal dossografo di cui possediamo più larga messe di citazioni sul pensiero atomistico e che, come è facile evincere, per le sue contraddizioni interne rende assai problematico l’utilizzo delle sue testimonianze. A meno di operare (e lo vedremo) una sola correzione, che permetterà di rendere chiaro e significativo il panorama testimoniale di Aezio. L’assumere (come perlopiù è stato fatto) il frammento D.321 come la “verità” su Leucippo ci pare francamente del tutto arbitrario, fuorviante e soprattutto miope, poiché estrarre da un insieme di elementi un elemento isolato e contrapporlo a tutti gli altri in nome di una supposta maggiore “autenticità” rispetto agli altri ci pare operazione non solo dubbia, ma fortemente sospetta.

    Se i frammenti e le testimonianze del più importante dossografo che si occupa degli atomisti non sono in grado di aiutarci a chiarire i termini della questione possiamo tentare un ampliamento della ricerca ed andare ad esaminare l’intero corpus dei documenti a nostra disposizione, schematizzando un poco il problema ed analizzando per blocchi il materiale disponibile. Imposteremio il nostro lavoro premettendo che a noi pare di poterne individuare due aspetti collaterali sui testi pervenutici, che sono quello motivazionale e quello situazionale, a fronte dei quali il nostro lavoro analitico-interpretativo sarà, fatalmente, ancora una volta motivazionale e situazionale; poiché l’interpretante opera sempre in base alle prorie convinzioni e nel contesto che gli mette a disposizione la materia prima su cui lavorare. Fatta questa premessa diremo quindi subito che è nostra convinzione che vi sia stato un sostanziale fraintendimento del pensiero ontologico degli atomisti del V sec.a.C., sia da parte dei loro contemporanei e sia da parte della filosofia posteriore, compresa molta ermeneutica recente [20]. Su questo argomento torneremo in modo analitico in alcune note ai singoli frammenti, ma qui vorremmo completare il nostro pensiero con alcune precisazioni che chiariscono la nostra precedente affermazione circa l’inevitabile motivazionalità nell’intepretazione di ciò che è frammentario o poco chiaro. Se non si vuol essere ipocriti si deve ammettere che l’interpretante è “sempre” condizionato dalla propria weltanschauung (che agisce come un vis a tergo) in rapporto all’oggetto interpretando e alla weltanschauung di cui esso è (o si suppone), portatore. L’approccio ermeneutico è quindi sempre problematico e si configura in un “incontro” in cui l’interpretato è un oggetto non-protetto in quanto è l’interpretante che conduce il gioco e che, quand’anche sia animato dalle migliori intenzioni di neutralità e di oggettività, ha sempre la facoltà di concluderlo a suo piacimento rispettando professionalmente soltanto i limiti della “decenza” interpretativa. Ciò significa che nel momento in cui avanzo il sospetto che l’intepretazione del pensiero atomistico sia stata perlopiù invalidata da una weltanschauung idealistica o teologica (o perlomeno da un background idealistico-teologico) nello stesso tempo devo ammettere che la mia intepretazione potrebbe venire invalidata a causa del mio atteggiamento anti-idealistico e anti-teologico. Mi corre quindi l’obbligo intellettuale di supporre che “se” al pensiero manifestamente materialistico degli atomisti sottostassero elementi idealistico-teologici nascosti “proprio” gli ermeneuti sulla cui opera io avanzo il mio sospetto sarebbero stati in grado di portarli alla luce, mentre io tenderei sicuramente a fraintendeli o ad occultarli. 

    Ma procediamo con una prima osservazione. In assenza di scritti originali degli atomisti dobbiamo tenere presente che coloro che hanno parlato di loro e del loro pensiero sono stati verosimilmente legati ad un atteggiamento ricorrente (e storiograficamente accertato) col quale i pensatori antichi di solito esprimevano giudizi sugli altri. Atteggiamento condizionato dalla forte competizione presente nel mondo filosofico ellenico, per cui ciò che un pensatore dice di un altro va sempre assunto con una certa cautela. Ciò innanzitutto per una questione di “schieramento”, in funzione della lotta per il predominio culturale, per cui gli appartenenti a una certa scuola si trovavano a competere (spesso per accaparrarsi allievi) coi rappresentanti delle altre scuole, con elementi di conflittualità spesso molto accesi e non privi di “colpi bassi”. Ci pare di poter cogliere quindi tre “modalità” di giudizio “sull’altro” storicamente accertate che sono 1) la obbiettiva, 2) la omissiva plagiatoria e 3) la mistificatoria. Dove la prima si verificava perlopiù all’interno di una stessa scuola o indirizzo di pensiero, la seconda quando un filosofo occultava o negava i debiti nei confronti di un altro per millantare la propria originalità, la terza quando un pensatore volgeva a favore o a conferma delle proprie tesi ciò che esaminava o citava, “leggendo” spesso sotto un angolatura strumentale e capziosa.

    Nel contesto che stiamo trattando a noi pare di poter fare tre esempi sufficientemente chiari. Attribuiremmo la prima modalità (sia pure con molte riserve) ad Aristotele, il quale, pur nella sostanziale ostilità nei confronti delle tesi atomistiche, sembra riferirle in modo corretto in base agli elementi in suo possesso (ed analizzarle con sufficiente obbiettività). Alla seconda ci pare riferibile il comportamento di Epicuro, il quale nega recisamente ogni debito nei confronti di Democrito e molto probabilmente arriva al punto di negare “consapevolmente” ogni realtà storica alla figura di Leucippo (senza il quale nessun pensiero atomistico è pensabile) pur di evidenziare l’originalità della propria teoria fisica [21] (che con tutta evidenza si presenta soltanto quale modificazione, però non-marginale, dell’atomismo leucippeo). Per la terza non possiamo che riferirci a Platone, che nella sua grandezza rimane certamente uno dei pensatori più faziosi e mistificatori nei confronti delle tesi filosofiche a cui si opponeva che la storiografia filosofica possa ricordare. Diremo allora che questo aspetto ci aiuta abbastanza poco nella nostra analisi, se non nella misura in cui induce ad una sorta di “dubbio sistematico” circa l’attendibilità delle dichiarazioni documentali. 

    Il contesto della cultura greca del V sec.a.C. ci costringe a considerare il clima culturale in cui si sono mossi Leucippo e Democrito e quelli afferenti i secoli posteriori, in cui si sono più o meno conservati gli echi, a volte stravolti, delle loro teorizzazioni. Il già accennato prevalere dell’idealismo platonico (accanto all’aristotelismo) ha sicuramente limitato la presenza dell’atomismo già nel V sec., mettendolo subito in ombra, ma il nuovo clima culturale dell’epoca ellenistica ha favorito poi una ripresa di interesse nei suoi confronti. Ed è proprio grazie a questa nuova temperie culturale, legata all’internazionalizzazione della filosofia ed in buona misura alla filosofia epicurea, se il pensiero atomistico ha goduto di un rilancio, fino ad attestarsi poi nel mondo romano nella forma lucreziana.

    Per quanto riguarda l’analisi dell’atomismo di Democrito risulta punto centrale la questione circa le due Cosmologie (la Grande e la Piccola), una questione che si è posta fin dal secolo successivo all’apparizione dell’atomismo, come conseguenza dell’accorpamento dei testi rimasti di Leucippo sotto il nome di Democrito nella tetralogia di Trasillo. Se a ciò abbia contribuito più una crescente ostilità ambientale (determinata dal trionfo dell’idealismo platonico) oppure un qualche tipo di “appropriazione” già da parte dello stesso Democrito del pensiero del suo maestro è difficile dire, poiché, almeno per quanto riguarda la seconda ipotesi, non disponiamo di nessun elemento sicuro, se non l’anonimo frammento che compare nei Papiri Ercolanensi  (Vol. Herc. coll.alt VIII 58-62 fr. 1 [Crönert Kolotes p.147]) e che a proposito della Grande Cosmologia di Leucippo ci dice:

 

 …..il quale scrive che… quei principi sono stati precedentemente menzionati nella Grande cosmologia, opera che viene attribuita a Leucippo, e che [Democrito] viene smascherato e confutato in questo suo spingersi ad appropriarsi delle dottrine altrui sino al punto non solo di trasporre nella Piccola cosmologia quanto già si riscontra nella Grande cosmologia,…[22]

 

Ci troveremmo qui di fronte ad un vero e proprio plagio che può essersi verificato o meno (l’etica democritea parrebbe farci escludere un comportamento così meschino!) ma questo frammento conferma comunque ciò che appare già abbastanza nettamente in base ad altri numerosi elementi disponibili, ovvero che la stesura della Grande Cosmologia è di Leucippo e che solo parte di essa è passato nella Piccola, che è di Democrito. Ma potrebbe anche darsi che non fosse così, e che nella Piccola l’Abderita già ponesse in modo chiaro il fondamento ontologico della necessità, accettando dal maestro la teoria pluralistica degli atomi, ma non quella del movimento casuale di essi. Ed infatti il concetto di vortice acquista in Democrito un importanza particolare e ad esso si lega quello di necessità come sua origine. In altre parole, il concetto di vortice potrebbe essere stato meglio tematizzato da Democrito proprio allo scopo di fare da “Cavallo di Troia” del principio di necessità, senza dover entrare in aperta contraddizione col suo maestro. Contraddizione la quale, se fosse stata invece esplicitata, avrebbe evitato tutti gli equivoci di cui soffre la storiografia atomistica.

    Ma vi è ancora un altro elemento assai importante che rafforza le conclusioni a cui siamo giunti ed è quello che ritroviamo nella Fisica aristotelica (B 4, 196 a 25) laddove lo Stagirita rileva polemicamente:

 

[…] E proprio questo è stranissimo: difatti, da una parte essi dicono che gli animali e le piante né sono né nascono fortuitamente, ma che la natura o la mente o qualche altra cosa di tal genere ne è la causa […], dall’altra parte, invece, sostengono che il cielo e i fenomeni più divini derivano dal caso […] [23]

 

Lo Stagirita si esprime al plurale poiché pensa all’omologia Leucippo-Democrito, ma è a questi che si riferisce, nel cui pensiero ritiene di intravvedere un “dualismo” erroneo, che stigmatizza come “stranissimo”. In realtà Aristotele evidenzia la presunta incoerenza atomistica per sostenere qui il “proprio” dualismo ontologico, cioè quello per cui il cosmo “divino” (quello degli enti del cielo) è mosso da necessità, mentre quello “mortale” (la natura che concerne piante ed animali) presenta diffusi caratteri di casualità. In realtà un dualismo ontologico in Democrito sembra risultare del tutto assente, ma Aristotele crede di coglierlo perché confonde Leucippo con Democrito, ovvero compie un’arbitraria (ma incolpevole) operazione di sovrapposizione delle tesi esposte nella Grande cosmologia riguardanti il mondo fisico e il cosmo, con le tesi naturalistiche che Democrito espone nella Piccola.

    Ma a proposito del passo succitato della Fisica si impongono due ulteriori rilievi: 1) non esiste alcuna chiara testimonianza sul fatto che Leucippo si sia mai occupato di biologia e del mondo vivente in generale, essendo i suoi interessi noti e documentati concentrati esclusivamente sulla fisica e sulla cosmologia. All’opposto, Democrito risulta esser stato uno dei più grandi e acuti naturalisti del suo tempo e ne è prova l’abbondanza di frammenti che riguardano le sue tesi biologiche, fisiologiche e naturalistiche, 2) Aristotele rileva la contraddizione, come fa anche in altri luoghi delal sua opera (cfr. Parti degli animali, I, A, 1, 641 15-25) perché pare cogliere attentamente tutte le occasioni possibili per invalidare le teorie atomistiche ove non siano conciliabili con le proprie, ma si guarda bene dal cercare le origini della confusione documentale sui due atomisti, quantunque nell’ordine temporale sia più vicino ad essi di ogni altro pensatore importante (escluso ovviamente Platone che però, come sappiamo, ne era feroce nemico). Correlando le due constatazioni noi possiamo delineare un quadro abbastanza chiaro della vertenza di cui ci siamo occupando, poiché lo Stagirita (relativamente alla seconda) che forse disporrebbe ancora degli strumenti per sciogliere le aporie insite nell’accavallarsi delle tesi leucippee e democritee non lo fa per qualche sua buona ragione. E d’altra parte (relativamente alla prima) evidenzia una contradizione che però è tale solo a partire dalla raccolta unitaria di Trasillo e probabilmente non dalle singole testimonianze, anche soltanto verbali, che certamente al suo tempo dovevano esser ancora in circolazione. Questo sorta di silenzio-assenso dello Stagirita sull’inevitabilità della confusione e delle contraddizioni insite nel corpus democriteum già al suo tempo ci dice chiaramente come una sorta di congiura filosofica in parte consapevole e in parte no abbia determinato l’apparente incoerenza della filosofia atomistica. Incoerenza che è stata assunta e ratificata in seguito, se non addirittura alimentata dagli autori stoici e neoplatonici prima e cristiani poi.            

    Se infine assumiamo (cosa che appare assai probabile) che Epicuro abbia “eliminato” dallo scenario filosofico Leucippo (operazione fattibile proprio in base alla raccolta unitaria di Trasillo) mentre non abbia potuto fare altrettanto con Democrito, in relazione alla vasta messe di documenti che a lui si riferivano e all’esistenza di testimonianze dirette sul suo operato, comincia a delinearsi in modo sufficientemente chiaro lo stato delle cose. Ma vi è di più, Epicuro potrebbe aver occultato l’esistenza di Leucippo perché proprio da lui avrebbe tratto la casualità cosmogonica che faceva al caso suo, ma che gli appariva incompleta e non strettamente conciliabile colla sua etica libertaria. La “casualità” motoria di Leucippo, a nostro avviso, sarebbe diventata allora la “declinazione” della traiettoria di caduta dglei atomi in Epicuro attraverso il passaggio, teoricamente fondamentale, dagli atomi-forma leucippei agli atomi-peso, che cadono lungo la verticale e che deviando da essa si urtano e dallo scontro si genera la materia composta visibile. 

   Possiamo allora incominciare a trarre delle conclusioni, che per quanto si basino in parte su ipotesi non fondanti (ma soltanto rafforzative del nostro ragionamento) delineano tuttavia un quadro abbastanza chiaro della situazione interpretativa di cui ci stiamo occupando. Secondo noi Leucippo è il creatore di una teoria atomistica che si pone in termini puramente fisici e cosmologici, con a base della formazione della materia composta il moto “casuale” degli atomi. Il suo allievo Democrito ne ha assunto le linee principali ad eccezione di quella relativa al moto, che diventa per lui “necessario”, poiché è il vortice che lo genera ad avere origine dalla necessità. Se ne evince che mentre la teoria democritea, avendo assunto come causa cosmica primaria la necessità potrebbe teoricamente fare riferimento al parmenidismo, ciò è da escludere per Leucippo, che mette invece nettamente in mora l’essere necessario di Parmenide. A fronte di ciò si comprende come sia stato possibile che i dossografi posteriori, avendo a disposizione l’ontologia deterministica di Democrito (ma di cui si sapeva che non aveva avuto contatti diretti con la filosofia eleatica) non abbiano fatto altro che far risalire a Leucippo un rapporto con gli Eleati, stravolgendone completamente il pensiero. Un equivoco storico esiziale come si è visto, ma la incoerenza e la contraddittorietà potrebbero essersi determinate anche per una certa ”forzatura” da parte dei post-platonici dell’Accademia mirante a fare dell’atomismo una metafisica sussidiaria dell’eleatismo. Operazione che non aveva certo fatto Platone, a cui il caso teorizzato dall’atomismo andava benissimo per poter stigmatizzarne con più forza un empio ateismo che negava la provvidenza divina. Negazione che, evidentemente, poteva assumere un carattere decisamente “forte” con il casualismo e assai più “debole” col necessitarismo.      

    Concludiamo questa fase generale della nostra analisi dell’atomismo passando infine ad un aspetto documentale-statistico, che ci viene a ulteriore sostegno di quanto sopra evidenziato. Sotto questo aspetto siamo in grado di produrre una discreta quantità di esemplificazioni, attraverso testimonianze numerose e relative ad un arco temporale che va dal IV sec.a.C al VI sec.d.C. Testimonianze le quali, a nostro avviso, pur nella diffusa contraddittorietà tra esse presenti, se esaminate con la dovuta attenzione, confermano in gran parte la tesi che andiamo sostenendo, ovvero che Leucippo ha teorizzato come causa cosmogonica primaria il caso e Democrito, invece, la necessità. Le elencheremo seguendo uno schema che le raggruppa a seconda che la testimonianza concerna Leucippo (Le) o Democrito (De) e se gli si attribuisca la necessità (Ne) oppure caso (Cas) come causa del movimento. L’elencazione schematizza le differenti tipologie di affermazioni ed all’interno di queste le testimonianze vengono elencate con criterio crononologico. 

    Attingendo principalmente ai Die Fragmente der Vorsokratiker raccolti dal Diels e successivamente revisionati e completati dal Kranz abbiamo operato i seguenti raggruppamenti: A) LeNec: necessità riferita Leucippo, B) LeDeNec: necessità riferita a Leucippo insieme a Democrito, C) LeCas: caso riferito a Leucippo, D) DeCas: caso riferito a Democrito E) LeDeCas: caso riferito a Leucippo insieme a Democrito, F) DeNec: necessità riferita a Democrito.

 

 A) Gruppo LeNec:

 

1) Aezio I, 25, 4, Vorsokrat. 67.B.2, Dox. 321, (vedi pag.97).

 

2) Ippolito Refutatio contra omnes haereses I, 12, 2, Dox. 564:

 

 […] Leucippo […] sostiene che i mondi nascano <in questo modo>: quando molti corpi si staccano […] e intrecciandosi a circolo generano gli astri, e questi ammassi atomici si accrescono e si disgregano secondo la necessità. Leucippo non definisce, però, quale sia tale necessità. [24]

 

3) Diogene Laerzio, IX, 31 ss., Vors. 67.A.1:

 

[…] Leucippo sostiene che il tutto è infinito ed è in parte pieno e in parte vuoto (33) […] Come il mondo nasce, così anche cresce, decade e perisce conformemente ad una necessità, la cui peculiarità egli non chiarisce. [25]

 

 

B) Gruppo LeDeNec:

 

1) Aristotele, Fisica, B, 4, 195 b 36:

 

Alcuni [gli atomisti] dubitano anche se [il caso] esista o no: dicono infatti che nulla viene prodotto dal caso, ma che esiste una causa determinata di tutte le cose che noi diciamo prodursi spontanemente o per caso. [26]

 

2) Simplicio, Fisica, 28, 15 (dopo 67.A.8), Vorsokrat. 68.A.38 (da Teofrasto):

 

[…] perciò essi [Leucippo e Democrito] anche dicono che soltanto per coloro che considerano infiniti gli elementi tutto si svolge in modo conforme a ragione. [27]

 

 

C) Gruppo LeCas:

 

1) Aezio, I, 4, 2, Vors. 67.A.24, Dox.289 (vedi pag. 98).

 

2) Aezio, II, 3, 2, Vors. 67.A.22, Dox.329 (vedi pag. 98).

 

 

D) Gruppo DeCas:

 

1) Dionigi (vescovo di Alessandria) ap. Eusebio Praeparatio evangelica XIV 23, 2-3, Vors. 68.A.43:

 

    Gli uni, i quali danno il nome di atomi a corpi indistruttibili estremamente piccoli e infiniti di numero e presuppongono l’esistenza di uno spazio vuoto di grandezza illimitata, dicono che questi atomi si muovono come capita nel vuoto e s’incontrano casualmente per loro impeto disordinato […] Professarono questa dottrina Epicuro e Democrito […]  [28]

 

 

2) Dionigi (vescovo di Alessandria) ap. Eusebio Praeparatio evangelica XIV 27, 4, Vors. 68.B.118:

 

    Lo stesso Democrito, a quanto si riferisce, diceva […] che egli parte da un principio vuoto e da un’ipotesi erronea senza veder né l’origine né la necessità […] per scarso sapere e stoltezza ed infatti egli pone il caso come padrone e signore di tutto ciò che è universale e divino ed afferma che tutto avviene per caso, mentre poi bandisce il caso dalla vita degli uomini e biasima come ignoranti coloro che lo tengono in gran conto. [29]

 

 

3) Lattanzio, Institutiones divinae, I, 2, Vorsokrat. 68.A.70b:

 

[…] cominciare da quella questione che sembra essere per natura la prima, se vi sia una provvidenza che a tutte le cose provvede o se tutto nel mondo sia stato prodotto e si svolga per opera del caso, opinione questa che ebbe il suo primo assertore in Democrito ed ebbe un propugnatore in Epicuro. [30]

 

4) Simplicio, Physica, 327, 24, Vorsokrat. 68.A.67:

 

    Ma anche Democrito, là dove dice «dal tutto si distaccò un vortice di forme d’ogni genere» (ma non dice come né per quale causa), sembra significare che il vortice si produce spontaneamente e casualmente. [31] 

 

 

E) Gruppo LeDeCas:

 

1) Aristotele, Fisica, B 4, 196 a, 25:

 

Vi sono alcuni, al contrario, che considerano il caso come causa di questo cielo e di tutti i mondi: ché dal caso deriverebbero il vortice e il movimento che separa e dispone il tutto secondo quest’ordine. [32]

 

2) Aristotele, Fisica, B 4, 196 b, 5, Vors. 68.A.70a:

 

    Vi sono alcuni che considerano come causa il caso, il quale è impenetrabile alla ragione umana, essendo qualcosa di divino e di straordinario. [33]

 

3) Cicerone, Sulla natura degli dèi, I, 24, 66, Vorsokrat. 67.A.11, Dox. 119:

 

[…] Giacché queste sono le riprovevoli opinioni di Democrito, oppure anche, anteriormente, di Leucippo: dicono che ci sono dei corpuscoli […] e che da essi è stato prodotto il cielo e la terra, non perché natura alcuna li costringesse, ma solo perché s’incontrano in modo puramente casuale […] [34]

 

 

F) Gruppo DeNec:

 

1) Aristotele Generazione degli animali E, 8, 789 b 2, Vors. 68.A.66b:

 

Democrito lasciate da parte le cause finali, riconduce alla necessità [meccanica] tutte le operazioni della natura. [35]

 

2) Teofrasto, De causis plantarum II, 11, 7, Vorsokrat. 68.A.162:

 

(7) Non sembra nel giusto Democrito, quanto al modo onde ripone nelle medesime necessità la causa per cui le piante […] [36]

 

3) Cicerone, De fato, 17, 39, Vorsokrat. 68.A.66a:

 

Tutte le cose derivano dal fato si che il fato attribuisce loro una piena necessità: tale fu l’opinione di Democrito, Eraclito, Empedocle, Aristotele. [37]

 

 

4) Cicerone, De divinatione I, 3, 5, Vorsokrat. 68.A.138a:

 

… E mentre uno scrittore autorevole come Democrito dichiarava in parecchi luoghi di ammettere la previsione del futuro […] [38]

 

 

5) Aezio, I, 25, 3, Dox. 321, Vorsokrat. 68.A.66d:

 

Parmenide e Democrito affermano che tutto avviene per necessità: e che essa è fato e giustizia e provvidenza e produttrice del mondo. [39]

 

 

6) Plutarco, Stromata 7, Vors. 68.A.39, Dox. 581:

 

    Democrito di Abdera suppose l’univeso infinito […] Le cause dei corpi che attualmente nascono e si dissolvono non hanno avuto alcun principio, ma via via da tempo infinito tutte assolutamente le cose passate presenti e future sono governate dalla necessità. [40]

 

7) Diogene di Enoanda, fr. 33 col. 2 p. 41 William Lpz. 1907, Vors. 68.A.50:

 

    A chi seguisse la dottrina di Democrito, dicendo che gli atomi non hanno assolutamente movimento libero (dato il loro continuo reciproco urtarsi), e che di qui appare che tutti i corpi i muovono per una legge di necessità, noi potremo rispondere: e come non sai, chiunque tu sia, che negli atomi c’è anche un movimento libero, ignorato da Democrito, ma che Epuro mise in luce […] [41]

 

8) Dionigi (vescovo di Alessandria) ap. Eusebio Praeparatio evangelica XIV 27, 5,  Vors. 68.B.119:

 

[…] Iniziando dunque le “esortazioni” Democrito dice: «Gli uomini…della propria mancanza di senno». Per sua natura infatti il caso contrasta con la saggezza […] Gli uomini si sono foggiato l’idolo del caso come una scusa per la propria mancanza di senno. [42]

 

9) Sesto Empirico, Adversus mathematicos, IX, 113, Vors. 68.A.83:

 

[…] Sicché il mondo non si muoverebbe già, come pretendono i seguaci di Democrito, per necessità e mediante un vortice. [43]

 

10) Diogene Laerzio, IX, 44-45, Vors. 68.A.1:

 

[…] Gli atomi sono infiniti per grandezza e per numero, si muovono vorticosamente, per l’universo e generano tutte le cose composte. […] (45) Tutto accade genera secondo necessità; egli chiama necessità il vortice che è la causa della genesi di tutte le cose. [44]

 

11) Simplicio, De caelo p. 294, 33 Heib. [fr.208 Rose], Vors. 68.A.37:

 

    Poche frasi di ciò che Aristotele ha scritto nel libro Su Democrito dimostreranno le diverse visioni speculative di quegli uomini: «Democrito sostiene […] Sino a un determinato momento Democrito ritiene che le sostanze atomiche restino permanentemente connesse tra loro sino a quando una più forte necessità veniente da ciò che le contiene le scuote e le disperde separanole vicendevolmente». [45]

 

12) Simplicio, Physica, 330, 14, Vors. 68.A.68b:

 

    La frase «come quell’antica dottrina che negava il caso» sembra detta in rapporto a Democrito, questi infti benché nella sua cosmogonia paresse valersi del caso, nei problemi particolari invece afferma che il caso non è causa di nulla […]. [46]

 

 

    Nel gruppo A) LeNec abbiamo tre testimonianze, la prima delle quali è quella citatissima (e ritenuta fondamentale) con la quale Aezio avrebbe riportato le parole di Leucippo stesso. Ma questo frammento, come si è già osservato, risulta inconciliabile con gli altri due già citati e che abbiamo ripreso nel gruppo C) LeCas e quindi da essi praticamente eliso; tanto più in quanto quello si colloca verosimilmente dopo il Vors.67.A.24 (I, 4, 2) e prima del Vors.67.A.22 (II, 3, 2), per cui risulta impensabile che l’autore abbia potuto inserire un testo in contraddizione sia con uno che lo precede sia con un altro che lo segue. La nostra ipotesi è quindi che il Vors.67.B.2 (I, 25, 4) soffra o di un errore di trascrizione o di un lapsus dell’autore all’interno di un complesso di testimonianze rese molto difficili dalla confusione Leucippo/Democrito (presente anche nei Vetusta Placita postulati dal Diels ai quali Aezio avrebbe attinto). E se questo frammento anziché essere di Leucippo fosse “proprio” di Democrito? Vediamo: se noi spostiamo questo frammento da Leucippo a Democrito il puzzle sgangherato comincia a prendere una forma del tutto chiara, poiché scompaiono le contraddizioni, in quanto questo Vors.67.B.2 va ad accordarsi perfettamente col frammento 5) del gruppo F) DeNec (il Vors.68.A.66d), dove Aezio  attribuisce la necessità a Democrito, accomunandolo a Parmenide. Quindi, nell’insieme dei frammenti aeziani (se vogliamo riconoscervi un minimo di coerenza) ci troviamo di fronte all’impossibilità logica di utilizzare il Vors.67.B.2 riferito a Leucippo, per una patente contraddittorietà interna, mentre appena lo passiamo a Democrito i conti tornano perfettamente. 

    Ma vi è ancora un’altra considerazione che noi riteniamo dirimente, poiché mentre il Vors.68.B.2 è null’altro che la lapidaria sintesi di una teoria cosmologica attribuita a Leucippo, il Vors.67.A.24, al contrario, costituisce un’esposizione chiara, esauriente e circostanziata di una teoria esauriente, che sappiamo (da una serie di elementi ricorrenti e ripetuti) essere proprio quella leucippea; alla quale attingerà Democrito per la propria, che verrà esposta nella Piccola cosmologia. E l’incipit:

 

«Il mondo pertanto si costituì assumendo una figura ricurva; e la sua formazione seguì questo processo: poiché gli atomi sono soggetti a un movimento casuale e non preordinato e si muovono incessantmente e con velocità grandissima, […]»  

 

trova il suo completamente logico nel testo che segue, permettendoci un quadro sia pur parziale, ma chiaro, della fisica di Leucippo, che trova statisticamente conferma nella maggior parte del corpus di tutte le altre testimonianze su Leucippo. Questo è allora “il” testo fondamentale a cui fare riferimento, sia per la sua “fattura” chiara, sia per la sua struttura interna e sia perché è l’unico che conferisce omogeneità e coerenza alla maggior parte delle altre affermazioni relative alla cosmogonia leucippea. 

    Per chiudere col gruppo A) LeNec restano da considerare le testimonianze di Ippolito (Refutatio contra omnes haereses I, 12, 2, Dox. 564) e quella di Diogene Laerzio (IX, 30 ss.) le quali, come è evidente, sono assai simili e quindi da riferirsi ad una fonte comune. In  termini cronologici, tra l’altro, quella del primo precederebbe la seconda, in quanto Sant’Ippolito già nel 212 era prestigioso esponente del clero romano, mentre Diogene è ritenuto operoso dopo il 220 (e fino al 250). In ogni caso va notato che quella di Diogene, il quale dà per scontato che la Grande cosmologia sia di Democrito (IX, 40), costruisce la sua descrizione della fisica leucippea alla luce di una sostanziale identificazione con quella democritea. Ma mentre relativamente a Leucippo, essendo come è ovvio scarsissimi gli elementi biografici, egli si diffonde sulla fisica, il contrario avviene per Democrito (IX 34 e ss.) dove la fisica è trattata con poche frasi schematiche, mentre l’esposizione della biografia è molto estesa e ricca di elementi aneddotici piuttosto precisi. Pur tenendo conto che Diogene è uno storiografo più che un filosofo, dal confronto tra le due “vite” si evince che Diogene parla della fisica leucippea in riferimento alle notizie di cui dispone sulla Grande cosmologia (che ritiene di Democrito). Come se i due avessero detto le stesse cose e Diogene, disponendo di molto materiale biografico sul seondo trasferisce parte del materiale teorico sul primo, assegnando a Leucippo ciò che ritiene comune ad entrambi. In quanto poi ad Ippolito, che inserisce la sua definizione della fisica Leucippea all’interno del suo pamphlet contro l’eresia, non potremo certo chiedere al teologo cristiano troppi scrupoli nell’utilizzo di fonti riguardanti un notorio empio ateo, relativamente al quale sia una teoria casualistica che una necessitaristica sono parimenti considerate perverse e contrarie a quella rigorosamente provvidenzialistica di cui egli è testimone.   

    Passando al gruppo B) LeDeNec, costituito da due frammenti, abbiamo nel primo l’importante testimonianza di Aristotele, il quale nella Fisica, come si sa, non fa distinzioni tra Leucippo e Democrito e quindi attribuisce ad entrambi (ma qui non facendone i nomi) ed indifferentemente la teorizzazione della necessità come causa primaria dell’essere del mondo. Quella di Simplicio è d’altra parte molto tarda (sec.VI) e non solo tributaria della Fisica dello stagirita (di cui è commentatore) ma anche (e comprensibilmente) tendenzialmente favorevole a trovare conferme in una teoria necessitaristica che sulla base del neoplatonismo a cui aderisce gli permette di tentare una fusione con l’aristotelismo. 

    Del gruppo C) LeCas abbiamo già parlato a proposito di quello A) LeNec, al quale si contrappone, e non possiamo che sottolineare ancora una volta la fondamentale importanza della testimonianza di di Aezio che troviamo nel frammento Vors.67.A.24, che spicca per chiarezza e coerenza in tutto il contesto dei frammenti riferiti a Leucippo, e che riprenderemo nel paragrafo ad esso dedicato.

    Il gruppo D) DeCas è quello che ci crea maggiori problemi interpretativi, poiché appare come una strana isola nel metaforico mare del necessitarismo democriteo. Ma se si considera che tre testimonianze (le due di Dionigi di Alessandria e quella di Lattanzio) sono formulate da due teologi molto impegnati nella lotta contro il paganesimo, si può comprendere che se si deve etichettare negativamente un pensatore appartenente al mondo pagano (e per di più notoriamente ateo quale aggravante) la migliore efficacia si raggiunge qualificandolo come casualista, al di là di ogni ragionevole dubbio sul fatto che potesse essere invece un necessitarista.

    La testimonianza di Simplicio, da ultimo, ha carattere abbastanza dubitativo e si connette comunque a quanto largamente affermato da Aristotele, alla cui Fisica egli fa riferimento. Se poi si considera il fatto che egli, in quanto neoplatonico, non può che essere monista e necessitarista, si evince come la sua opinione sia assai poco attendibile (oppure eventualmente attendibile “per inversione”) in quanto un monista-necessitarista è probabile che tenda a ritenere un pluralista “oppositivamente” casualista. 

    Veniamo ora al gruppo E) LeDeCas in cui troviamo due testimonianze di Aristotele e una di Cicerone, dove quelle dello stagirita sono in aperta e clamorosa contraddizione con quanto esposto nello stesso Libro IV della Fisica pochi paragrafi prima. Ma a tal proposito va notato che Aristotele utilizza un espediente sottile per evitare la contraddizione, poiché, mentre altrove fa esplicitamente i due nomi (Leucippo e Democrito) accomunandoli nelle sue esposizioni, nei due passi qui ricordati e in quello precedente (del gruppo LeDeNec) si astiene dal nominare i due atomisti e li definisce come “alcuni”, rimanendo così nel vago. Ma abbiamo poi il frammento tratto dal Sulla generazione degli animali (E 8, 789 b 2, Vors. 68.A.66b) nel quale con assoluta chiarezza ci dice che Democrito «riconduce alla necessità» tutto ciò che avviene in natura, mentre in tutta l’opera dello stagirita non si trova nulla di simile riferito a Leucippo.  Per quanto riguarda poi Cicerone, uomo profondamente religioso, vale quanto detto a proposito dei teologi cristiani, che abbiamo già visto lanciare senza indugi agli atomisti l’accusa di casualismo.

    Siamo così arrivati all’ultimo gruppo, il F) DeNec, nel quale si contano ben dodici testimonianze, tutte molto esplicite nell’attribuire a Democrito la teorizzazione della necessità, ma qui vi è un elemento di interesse in più, perché troviamo il già ricordato passo di Aristotele da Sulla generazione degli animali seguito da due testimonianze di Cicerone ancora più rilevanti. Nella prima (De fato, 17, 39) si dice «Tutte le cose derivano dal fato si che il fato attribuisce loro una piena necessità: tale fu l’opinione di Democrito, Eraclito, Empedocle, Aristotele» dove Democrito è citato per primo e seguito da Eraclito e Aristotele, che necessitaristi certo sono, e da un invece meno probabile Empedocle.  Ma è la seconda che a nostro parere è ancora più significativa, poiché se Cicerone, ottimo conoscitore della filosofia stoica), afferma (De divinatione I, 3, 5): «…E mentre uno scrittore autorevole come Democrito dichiarava in parecchi luoghi di ammettere la previsione del futuro […]» ciò significa che ha colto l’essenza del necessitarismo democriteo come base della divinazione che egli ammette e in cui crede. Il futuro è infatti prevedibile solamente in una prospettiva del divenire assolutamente deterministica, e dove quindi il futuro è “leggibile” in quanto “già scritto”. A questo proposito potremmo ancora aggiungere alla nostra raccolta di citazioni quella di Clemente Alessandrino (Stromata, VI, 32, Vors. 68.A.18) dove si parla di Democrito non solo come filosofo necessitarista ma anche un preveggente:

 

Democrito, per aver predetto molti fenomeni, come gli consentiva il suo studio delle regioni celesti, fu soprannominato “Sapienza”. [47]

 

    Proseguendo la nostra disamina del gruppo gruppo, DeNec alla citazione 5) torniamo ad imbatterci in un luogo fondamentale della testimonianza di Aezio su Democrito, su cui ci siamo già soffermati all’inizio di questo paragrafo e che ribadiamo costituire un tassello fondamentale a sostegno della nostra tesi. Ai numeri 2), 6) e 7) abbiamo le testimonianze di Teofrasto, di Plutarco e di Diogene di Enoanda, le quali, da angolazioni culturali differenti confermano quanto sopraesposto. Saremmo invece propensi a non attribuire troppa importanza alla testimonianza 8) di Dionigi d’Alessandria, se non altro perché contraddittoria rispetto alla più sopra citata Vors 68.B.118 (la 2) di DeCas), mentre le 9) e 10), rispettivamente di Sesto Empirico e Diogene Laerzio, vanno a rafforzare quanto precedentemente affermato, da un punto di vista scettico e da uno eclettico (ma con forti simpatie epicuree). Per quanto riguarda le 11) e 12) di Simplicio, molto più tarde, esse completano il quadro che abbiamo delineato ed a      questo punto non ci pare di avere molto altro da aggiungere sull’argomento.

    Riteniamo di aver compiuto un operazione euristica, analitica ed esplicativa che dovrebbe finalmente portare un po’ di chiarezza su uno dei punti più intricati ed oscuri della storiografia filosofica. Siamo consapevoli di aver dovuto utilizzare nel nostro lavoro molte ipotesi e poche certezze, pensiamo tuttavia di aver operato nella correttezza che si impone in situazioni di questo genere. Senza avere la pretesa di porre la nostra come soluzione “definitiva” del problema e come ultima parola a scioglimento dell’aporia documentale caso/necessità di cui soffre la storiografia atomistica, pensiamo che essa possa costituire un importante contributo filologico e un punto forse decisivo nella ricostruzione della filosofia atomistica.   

 



[1] Georges Minois Storia dell’ateismo Editori Riuniti 2000, pp. 37-38.

[2] È interessante notare come l’ilozoismo rappresenti una tentazione costante della filosofia materialistica. In epoca rinascimentale Telesio, Bruno e Campanella lo teorizzarono esplicitamente. In epoca moderna è particolarmente interessante il caso di Ernst Heinrich Haeckel, un naturalista–filosofo tedesco il quale, pur partendo da posizioni materialistiche ed essendo uno dei più prestigiosi esponenti del darwinismo tedesco, ha finito per teorizzare una sorta di panpsichismo che ricorda certe forme filosofico-mistiche tipiche della filosofia indiana. Haeckel integrò l’evoluzionismo di Darwin con una Legge biogenetica fondamentale, in base alla quale l’ontogenesi (lo sviluppo dell’embrione) ricapitolerebbe la filogenesi in modo abbreviato e incompleto. Da tali premesse Haeckel ha sviluppato un ilozoismo assai suggestivo, che ha avuto vasta eco nel mondo filosofico e scientifico europeo della fine del XIX secolo (esclusa l’Italia, dominata dal pensiero idealistico e cattolico, dove H. fu praticamente ignorato). La sua ultima opera, L’enigma del mondo (pubblicata nel 1899) sfocia in un esplicito ilozoismo, col quale viene teorizzato che gli atomi e l’etere (la materia del vuoto cosmico) siano animati.   

[3] Platone  Opere complete – vol.7 - Le leggi (X Libro) – Laterza 1992 – p.320.

[4] Si tratta dell’anno in cui viene approvato, su istanza di un certo Diopite, un decreto che prevedeva di procedere penalmente contro tutti coloro che non credevano negli dèi ufficialmente riconosciuti. (Georges Minois Storia dell’ateismo p.41).

[5]  A questo proposito è interessante la citazione da parte di M. Andolfo (Atomisti antichi - Testimonianze e frammenti – Rusconi 1999, p. 522) di un saggio di G.Zuccante (Da Democrito ad Epicuro ovvero perché l’Atomismo fu per più di un secolo messo in disparte come dottrina filosofica, in Fra il pensiero antico e il moderno, Milano 1905, pp.167-194) in cui si sostiene che «[…] i continuatori di Democrito hanno scarsissima importanza nella storia della filosofia in quanto si sono serviti dell’Atomismo per lo più per trarne conseguenze scettiche, obliando il vero “spirito” dell’Atomismo.»

[6] Diogene Laerzio  Vite dei filosofi – vol. II, Laterza 1983, p.367-368. E’ comunque altamente significativo il fatto che nei suoi scritti Platone non citi “mai” gli atomisti: un’ “innominabilità” prossima al desiderio della loro “non-esistenza”.

[7] Così bloccato nelle sue aporie che un grande studioso della filosofia antica, Rodolfo Mondolfo; nel suo Problemi del pensiero antico (Zanichelli 1936) non si è peritato del minimo accenno a questa colossale aporia della quale ci stiamo qui occupando.

[8] Platone Opere complete – 6 – Timeo – Laterza 1974 - p.408.

[9] Platone Opere complete – 7 – Leggi, X Laterza 1992 - p.324-325.

[10] Ivi p.325

[11] A Hermann Diels va il merito di aver raccolto, attraverso un paziente e decennale lavoro di ricerca e catalogazione, uno straordinario corpus di documenti relativi ai pensatori greci che precedono in ordine temporale la comparsa di Socrate sullo scenario filosofico ellenico. Un grave limite della raccolta, a nostro avviso, sta però nel fatto che viene ignorato ogni criterio cronologico e che i frammenti vengono classificati “per argomento”, accostando pertanto autori appartenenti ad epoche e contesti completamente differenti. Del 1879 è la  pubblicazione del Doxographi Graeci, a cui segue Fragmente der Vorsocratiker, la cui prima edizione è del 1903. Seguita da altre edizioni (tra il 1906 e il 1922) l’opera, dopo la morte dell’autore (nel 1922), è stata curata con modesti aggiornamenti, mantenendo la struttura originaria, da Walter Kranz, sicché le edizioni posteriori al 1934 vengono citate con la doppia nominazione Diels-Kranz.   

[12] Penso a Giovanni Reale e ai suoi seguaci, tra i quali includerei Matteo Andolfo, traduttore e curatore di quella dei Vorsokraticker di Diels-Kranz (Atomisti antichi - Bompiani 2001) concernenti l’atomismo che utilizzeremo e citeremo più volte. Andolfo pone un titolo veramente stupefacente al Capitolo III del suo saggio critico che precede la parte documentale, che suona: L’ontologia e la gnoseologia degli Atomisti come “inveramento” di Parmenide. Tale titolo appare meno stupefacente (o quanto meno se ne capisce il motivo) quando si constata che la sua analisi trae spunto da un saggio di Reale e Ruggiu proponente una rilettura “innovativa” del poema parmenideo, tale da lasciare spazio ad una “continuità” ontologica tra la molteplicità, in quanto doxa, e l’unità, in quanto aletheia. Su questa base le insufficienze teoriche parmenidee verrebbero, secondo Andolfo, “risolte” attraverso una sorta di “completamento” da parte degli Atomisti. È particolarmente interessante, a tal proposito, il seguente passo: «Certamente, la visione ancora pre-metafisica (ossia ancora al di qua della netta distinzione tra fisico e metafisico) degli Atomisti rende aporetica la loro soluzione, poiché una volta ammessa la Molteplicità originaria degli atomi come differenziazione intrinseca dell’Essere stesso e complementare alla sua unità [sic!], la necessità del vuoto come esplicazione del moto atomico è superflua dal punto di vista logico-metafisico, mentre regge solo se l’Essere è qualcosa che, pur essendo invisibile, è anche fisico: […]».  Ovvero, l’atomismo materialistico “regge” soltanto se riconosce lo “spirito” dell’Essere parmenideo e vi si “auto-include”!

[13] Trai quali, in primis, Emanuele Severino.

[14] Aezio è un seguace eclettico della filosofia aristotelica vissuto nel I sec. ed è una fonte notevolissima di citazioni e testimonianze sulla filosofia antica. Il Diels lo studiò a lungo e arrivò ad ipotizzare una fonte più antica a cui Aezio avrebbe attinto (insieme al suo contemporaneo Ario Didimo) che indicò come i Vetusta placita, ritenendo che la composizione di essi fosse avvenuta nella prima metà del I sec.a.C. Da questa stessa fonte (sempre secondo il Diels) potrebbero derivare (in base alle analogie coi Placita) anche brani delle opere di Cicerone, Censorino e Filodemo. I Vetusta placita deriverebbero, a loro volta, dall’opera dossografica di Teofrasto, il cui influsso sarebbe presente sia in Ippolito che in Diogene Laerzio.

[15] Atomisti antichi, (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.121.

[16] Diogene Laerzio riferisce che nel catalogo di Trasillo (IX, 45-49) l’opera Sull’intelligenza viene attribuita al Democrito. (Atomisti antichi a cura di M.Andolfo, p.145).

[17] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 1981, p.655.

[18] Ivi, p.656.

[19] Ivi, p.694.

[20] Si potrebbe aggiungere che tale fenomeno è ubiquitario e appartiene ad ogni tempo. Anzi, in molti casi essere operatori della filosofia significa precipuamente “schierarsi” nel tenzone intellettuale. La figura del filosofo “fuori del mondo” e perso nelle sue meditazioni è uno stereotipo assai più letterario che reale.  

[21] È Diogene Laerzio a riferirci (X, 13) che Epicuro negava l’esistenza di Leucippo (come peraltro l’assai probabile suo alunnato presso il democriteo Nausifane) nella frase « […] Secondo Epicuro ed Ermarco il filosofo Leucippo non sarebbe mai esistito, mentre altri – e tra questi l’epicureo Apollodoro – affermano che Leucippo fu maestro di Democrito.» (Diogene Laerzio  Vite di filosofi, Laterza 1983, vol.II, p.404).

[22] Atomisti antichi - Testimonianze e frammenti secondo la raccolta di H.Diels e W.Kranz (a cura di M. Andolfo) – Rusconi 1999 - p.263. Questa testimonianza è interessante anche per un’altra ragione, perché posta in rapporto al passo di Diogene Laerzio (67.A.2) dove si dice che Epicuro negava l’esistenza di Leucippo mentre il suo allievo Apollodoro di Tiro l’affermava, abbiamo qui una ulteriore smentita in ambito epicureo (qual è quello dei Papiri ercolanensi) dell’affermazione del maestro. Ciò conferma che tra i seguaci del filosofo del Giardino si era ben consapevoli dell’esistenza della figura di Leucippo, della sua importanza quale fondatore dell’Atomismo e forse di qualche manovra non proprio limpida ai danni della sua figura di filosofo. 

[23] Aristotele Opere, vol.III, Fisica – Laterza 1983, p.37.

[24] Atomisti antichi (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.105.

[25] Diogene Laerzio  Vite dei filosofi – vol. II, Laterza 1983, p.364-365.

[26] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.694.

[27] Ivi, p.684.

[28] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.686.

[29] Ivi, p.773.

[30] Ivi, p.695.

[31] Ivi, p.694.

[32] Aristotele Opere, vol.III, Fisica – Laterza 1983, p.37.

[33] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.695.

[34] Ivi, p.651-652.

[35] I Presocratici Laterza 2004, tomo secondo, p.694.

[36] Ivi, p.735.

[37] Ivi, p.694.

[38] Ivi, p.727.

[39] Ivi, p.694.

[40] Ivi, p.685.

[41] Ivi, p.689.

[42] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.773-774.

[43] Ivi, p.700.

[44] Diogene Laerzio  Vite dei filosofi, Laterza 1983, vol.II, p.369.

[45] Atomisti antichi - Testimonianze e frammenti (a cura di M.Andolfo) – Rusconi 1999 - p.153.

[46] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.694-695.

[47] I presocratici (Testimonianze e frammenti), tomo secondo, Laterza 2004, p.672.