UN'INTERVISTA di FABIANO BALINESI in OCCASIONE deI VENTICINQUE ANNI di ATTIVITA' DISCOGRAFICA






Il mio primo incontro con Deca risale al 1987, per la precisione agli ultimissimi giorni di quell'anno, subito dopo la pubblicazione del suo secondo vinile "Synthetic Lips". Ricordo la curiosità che il personaggio suscitò in me per il suo particolare approccio e la sua comunicativa, molto diversi da quelli a cui mi ero abituato nei contatti con altri musicisti e artisti. Deca era completamente vestito di nero ed era fisicamente circondato da un alone enigmatico, ma il suo atteggiamento era di una spontaneità disarmante; e parlando del suo nuovo lavoro mostrò una contagiosa attitudine visionaria che mi fece apprezzare il suo potenziale creativo. All'epoca era ancora misconosciuto nell'ambiente delle produzioni musicali elettroniche, veniva da esperienze prevalentemente legate a gruppi rock locali e il suo primo album "Alkaid" - dalle sonorità ancora acerbe e legate allo stile di Jarre e Vangelis - aveva avuto una circolazione limitata. Io scrissi una recensione entusiastica del secondo disco, che fu poi pubblicata sul mensile Rockerilla. Col senno di poi ritengo mi fossi spinto anche troppo oltre nel sottolineare le sue intriganti intuizioni, ma nel contempo mi conforta la lungimiranza con cui lo feci, parlando di alchimie sonore con largo anticipo. Solo a partire dalla metà degli anni '80, infatti, divenne consuetudine definire Deca "l'alchimista del suono". Oggi ritrovo questo straordinario artista al segno dei 25 onorati anni di carriera, tra i più stimati compositori italiani viventi, con almeno due album all'attivo che sono diventati oggetto di culto e hanno lasciato un'impronta rilevante nella storia della musica elettronica e ambient. Sostanzialmente immutato nell'aspetto e nell'approccio colloquiale, condivido con lui un bilancio di questo quarto di secolo.


F.B. - Il critico Aldo Chimenti scriveva qualche tempo fa: "Deca vanta una preparazione tecnica tale da consentirgli di confrontarsi liberamente con ogni forma d'espressione musicale restando sempre credibile". Sono affermazioni come questa che rendono tangibile l'essenza di un lungo difficile percorso e lo premiano?

Deca - La mia evoluzione artistica è frutto di un complesso incastro di circostanze e di scelte, vissute con consapevolezza nel bene e nel male. Come quella di molti altri artisti, credo. Conseguire risultati degni di nota ed essere approvati è un segno tangibile di questa consapevolezza, ma non parlerei di premi. Sono comunque lusingato che Chimenti scriva ciò (ride) Ha di me un'opinione migliore di quella che ho io di me stesso.

F.B. - Venticinque anni sembrano un abisso se relazionati all'evoluzione del mondo musicale, delle tecnologie, del mercato discografico. Anche l'evoluzione di Deca è paragonabile ad un abisso?

Deca - La mia evoluzione artistica personale è inevitabilmente andata di pari passo con quella dello scenario musicale globale, considerando il genere di musica che produco che è molto legato alla tecnologia. E comunque anche pensando al pianoforte, che non ho mai completamente abbandonato, gli aspetti legati alla registrazione e alla divulgazione sono mutati in modo sensibile. Se prendiamo come pietre di paragone il primo ed ultimo disco che ho pubblicato, non è difficile individuare il divario in entrambi gli aspetti. Un abisso forse è esagerato... ma la distanza è comunque tanta.

F.B. - Un divario già avvertibile alla soglia dei quindici anni di discografia, perchè "Simbionte" (del 2002 n.d.r.) messo vicino ad "Alkaid" rivela un progresso creativo e tecnico sbalorditivo. Secondo te c'è stato un punto critico e determinante in questa svolta epocale o - pur rapidissima - si è trattato di un'evoluzione sinergica e fluida?

Deca - La mia evoluzione è stata sinergica, ma non molto fluida. Due o tre momenti del mio percorso hanno segnato svolte importanti, piuttosto incisive, che hanno cambiato sensibilmente il mio modo di produrre musica benchè il substrato ispirativo sia rimasto quello visionario e onirico di sempre. Credo in ogni caso che dalla nostra prospettiva attuale sia prematuro analizzare tutto ciò. Il dato di fatto è tangibile e ci dice che rispetto alla metà degli anni '80 stiamo vivendo la musica con un approccio molto diverso. Però solo i posteri collocheranno in una prospettiva storica l'incidenza di questo cambiamento. Anche in passato ci sono stati momenti epocali determinati dall'introduzione di una nuova invenzione o tecnologia; o dal modo di suonare di un certo musicista che ha rotto gli schemi. E forse quando si verificarono, sul momento la gente ne ebbe una percezione diversa da quella che ne abbiamo noi oggi. Pensa a quanto fu dirompente l'avvento del pianoforte.

F.B. - Fare musica elettronica oggi ha ancora lo stesso significato rispetto al periodo dei tuoi esordi discografici?

Deca - L'elettronica di allora implicava un certo investimento economico per poter utilizzare sintetizzatori e campionatori costosi e non sempre alla portata di tutti nemmeno negli studi di registrazione. I primi personal computer che potevano coadiuvare un musicista a fare certe cose erano davvero limitativi. Dunque l'abilità stava tutta nel combinare o creare sonorità originali e nel riuscire a miscelare in modo preciso suoni provenienti da diverse fonti. Non era raro dover usare cinque o sei tastiere differenti per ottenere ciò che oggi ottieni con una sola. E anche i campionatori erano agli albori, si potevano campionare solo pochi secondi di rumori o voci. C'era quindi una modalità che oggi definirei artigianale di fare musica elettronica. Avevi davanti vari strumenti... tastiere, sequencer, drum-machine, registratori, eccetera... e creavi musica sfruttando al meglio ogni singola potenzialità e coordinando il tutto con la miglior precisione possibile. Poi c'è da dire che l'elettronica è entrata prepotentemente in tutti i generi musicali, compreso il liscio! E' necessario fare un distinguo tra l'uso di strumenti elettronici di per sè e l'effettiva caratteristica del suono elettronico, che è un'altra cosa.

F.B. - E' vero dunque che nel 2011 usando la tecnologia per fare musica disponi di più scorciatoie?

Deca - Le modalità che io chiamo artigianali non sono scomparse. Il fatto che la tecnologia abbia fatto passi da gigante offrendo nuove mirabolanti invenzioni non significa che devi usarle per forza. Certo il rapporto tempo/produzione è migliorato tantissimo, si sono abbassati notevolmente i costi e il livello qualitativo del suono è elevato per chiunque. Ma l'importanza delle idee e la capacità di dare un'impronta personale alla musica, creando uno stile, sono rimaste fondamentali. Solo mantenendo un approccio sperimentale ed evolutivo con la tecnologia riesci a coniugare la qualità tecnica con la qualità artistica. Fare prodotti musicali pre-confezionati è davvero facile e forse per certi settori va anche bene così. Ma se parliamo di ispirazione e di arte, l'approccio di ricerca è imprescindibile. Si ha ancora bisogno delle mani, delle orecchie, del cuore, delle visioni... anche delle allucinazioni!

F.B. - Una tua dichiarazione di qualche anno fa diceva: I pregiudizi nei confronti di chi usa le tecnologie avanzate per fare musica e arte in genere sono sintomo di grande ignoranza. Chi dice "è semplice fare musica usando dei computer, fanno tutto loro" non solo dimostra di non conoscere i computer, ma pensa che la creatività e l'inventiva umana non abbiano alcun reale potere di controllo sulle macchine. Le macchine hanno bisogno di input per produrre suoni e senza cognizioni musicali di base, senza ispirazione, senza il dono di comunicare emozioni attraverso la musica, nessuno crea un bel niente; neppure usando i sintetizzatori più sofisticati.

Deca - Ribadisco senza dubbio i contenuti di questa dichiarazione. Non ho detto nulla di inedito, tra l'altro. Molti miei colleghi ti direbbero le stesse parole. Ricordo Dave Gilmour dei Pink Floyd che già nel 1971, nel film "At Pompeii", faceva alcune osservazioni simili al riguardo.

F.B. - Paradossalmente i tuoi primi album suonano più prevedibilmente "seriali" rispetto a lavori recenti come "Simbionte" o "Automa Ashes".

Deca - Sulla produzione dei miei primi dischi indubbiamente ha pesato una sorta di ingenuità, di impreparazione ad affrontare un percorso che fino ad allora mi vedeva fermo alla fase compositiva e totalmente ignaro della fase legata alla registrazione vera e propria di un album. Pur avendo accanto collaboratori in grado di aiutarmi nella concretizzazione di certe idee, molti brani contenuti in "Alkaid" risentono di queste mie carenze. Allora ero più attento ad ottenere una dimensione stilistica, trascurando in qualche modo la necessaria cura per i dettagli e la personalizzazione dei suoni. Uno dei miei produttori mi suggeriva di avvicinarmi a quelli che per noi erano punti di riferimento nel genere, ovvero Vangelis, Jean-Michel Jarre, i Tangerine Dream... ma come ero lontano dagli standard di questi artisti!

F.B. - C'era anche una volontà più progettuale, forse.

Deca - Nei primi due album sicuramente. Basta leggere i quaderni di appunti che ho conservato di quel periodo. "Alkaid" e "Synthetic Lips" erano frutto di una volontà creativa, certamente ispirata, ma condotta per mano verso un obbiettivo finale. Del periodo di "Simbionte", ma anche del periodo di "Phantoms", non trovi una riga scritta invece. Questi dischi nacquero dal nulla, in un certo senso. Componevo, sperimentavo, lasciavo che i brani germinassero singolarmente; e solo dopo confluivano nell'insieme di un progetto discografico. E ciò non ha comunque tolto nulla alla compattezza e alla coerenza di questi lavori, perchè credo che alla base dell'identità di un album ci sia lo spirito di un periodo, di una fase. Progettato o no, un album finisce sempre per rispecchiare un nucleo compatto di idee e stati d'animo.

F.B. - Alcuni tuoi lavori importanti non sono mai stati pubblicati ufficialmente, ma solo distribuiti in forma amatoriale tra gli addetti ai lavori o tra i collezionisti. Mi riferisco a "Sodoma", "Mater Frequentia"...

Deca - La quantità totale di musica che ho registrato dal 1983 ad oggi è venti volte superiore a quella che è stata pubblicata in modo ufficiale con i dischi. Nel mio archivio ho oltre un centinaio tra nastri e cd su cui ho fissato materiale che va dal semplice abbozzo a intere opere pressochè completate e corredate di titolo, dunque album potenzialmente fatti e finiti. Tra questi i due volumi di "Sodoma", "Deceit of Time", "Digital Infarct", "Mater Frequentia", che sono capitoli importanti del mio percorso di sperimentazione sul suono e tuttavia ciò non implica che fosse imperativo pubblicarli in via ufficiale. Non sempre ci sono condizioni adeguate, a livello editoriale. Non sempre senti l'esigenza di proporre a un largo pubblico i tuoi esperimenti, per validi che siano. Certi lavori rimasti in ombra sono in qualche modo confluiti in altri lavori più divulgati, comunque. E poi esiste una fetta di interlocutori, in ambito discografico, che ogni tanto ti dà modo di ripescare qualcosa, se il contesto è quello giusto... brani d'archivio inusuali come genere, versioni embrionali di pezzi poi diventati storici, eccetera.

F.B. - I tuoi dischi, specialmente i vinili, oggi sono pezzi molto ambiti. Essere artisti di nicchia premia in questo senso?

Deca - Un musicista non dovrebbe mai porsi la questione, perchè diventare oggetto di culto per i collezionisti non rappresenta un obbiettivo. Certamente quando pubblichi tirature limitate perchè fai parte di un mercato meno massivo, dopo qualche anno dalla sua uscita un tuo disco diventa abbastanza raro. I collezionisti di vinile sono agguerriti e pignoli, spesso non sono legati tanto al singolo artista, ma ai generi, alle annate, alle aree geografiche. Cercano tutto ciò che attiene alla loro collezione personale e in questo senso anche un LP di Deca diventa interessante a prescindere dal fatto che Deca sia bravo, sia noto, sia rappresentativo. Poi è chiaro che le quotazioni dipendono dalla reperibilità del disco o da una sua peculiarità. Ultimamente leggo che una copia di "Alkaid" non te la mollano per meno di 130 euro.

F.B. - I tuoi dischi sono sempre stati piuttosto difficili da acquistare, comunque.

Deca - Forse è vero per gli anni '80, quando il numero di vinili stampati era sicuramente basso e i canali di distribuzione pochi e tradizionali. Per procurarmi certi dischi io stesso dovevo prendere il treno e andare a Milano, senza avere comunque la certezza di trovare ciò che cercavo. Col passare del tempo avere distributori sempre più forti è stato determinante. Già nel 1992 il cd di "Premonizione Humana" lo vedevo sugli scaffali di grossi punti vendita come Messaggerie e Virgin. Contare sull'appoggio del web ha poi impresso una svolta decisiva alle modalità di distribuzione. Fermo restando che le tirature non hanno mai toccato la decina di migliaia di copie e oggi l'avvento dei formati digitali ha ridotto drasticamente i volumi di produzione, i miei ultimi cd hanno avuto una diffusione capillare ovunque. "Automa Ashes" grazie al marchio RaiTrade e all'efficienza del mio editore da ormai un anno è in catalogo su decine di siti in tutto il mondo, cosa impensabile fino a qualche tempo fa.

F.B. - Parliamo di "Automa Ashes", che sembra aver seguito le orme di "Simbionte" ed ha ottenuto buoni consensi. E' vero che contiene - criptati - molti frammenti di tutti i tuoi album precedenti?

Deca - Sia criptati che palesi, direi. Chi conosce la mia discografia per intero non avrà difficoltà ad intercettare alcuni suoni o fraseggi che sono stati parzialmente modificati ed inseriti nei nuovi pezzi. E' stata un'operazione di autocitazione voluta, un rebus che contenesse il DNA della mia storia musicale. Nelle tracce di "Automa Ashes", una volta registrate in modo abbastanza completo, ho mescolato, innestato, alchemizzato sonorità ripescate da vari brani, tutti antecedenti "Aracnis Radiarum" comunque. Poi ho ulteriormente riarrangiato il tutto, perfezionando l'integrazione dei vecchi innesti con la nuova base. Qua e là sono sparsi indizi, a volte subito riconoscibili, a volte molto nascosti.

F.B. - Anche la traccia conclusiva dell'album in un certo senso compie un'autocitazione... dell'album stesso, però.

Deca - Il brano "Ashesehsa" è una sovrapposizione di tutti gli altri dodici che lo precedono, velocizzata in modo estremo, compressa in modo da durare pochissimo. Un frullato condensato, un liofilizzato parossistico dell'album, che nel finale si placa e si dilata in un'atmosfera metafisica, concludendo l'esperimento in una specie di riflessione distaccata.

F.B. - Qualcuno ha scritto che "Automa Ashes" è una metafora dell'esistenza, dal momento in cui un individuo sta per uscire dal grembo materno, dal momento del trauma stupefacente della nascita, fino all'agonia, ovvero alla percezione della fine.

Deca - In un certo senso può essere vero, perchè ogni brano rispecchia anche una fase-cardine della vita di ciascuno, quantomeno nell'accezione di una vita che non ha una fine prematura. La musica di questo disco proietta all'esterno vari stati d'animo generati dalla consapevolezza di sè durante le svolte cruciali, comprese quelle non ancora realmente vissute, ma a cui da tempo pensi perchè solitamente inevitabili. Tuttavia la parte concettuale dell'opera si è come rivelata lungo il percorso. "Automa Ashes" nella sua essenza resta soprattutto un diario personale, un viaggio della memoria subconscia, un orecchio immerso negli elementi che mette in connessione suoni e voci del mio universo interiore.

F.B. - Sporadicamente si parla anche di componenti esoteriche nei tuoi progetti...

Deca - Nella mia musica sono stati rintracciati, a torto e a ragione, i più disparati riferimenti. Compresi quelli esoterici, massonici, satanici, mistici e chi più ne ha più ne metta. Credo sia inevitabile trattandosi di un genere di musica molto evocativo, fuori da schemi rassicuranti, basato su una percezione visionaria e onirica delle cose. Un conto è avere la certezza dei riferimenti, comunque, un conto subodorarli secondo i propri gusti e le proprie aspettative. Ho letto e sentito cose bizzarre a proposito di alcune mie composizioni, che verrebbero usate in contesti strani e poco ortodossi. Nella musica ognuno legge e sente ciò che vuole, reagendo in modo emotivo e psichico alle combinazioni di suoni, alle atmosfere, anche all'integrazione tra musica e iconografia. Restando su "Automa Ashes", ad esempio, qualcuno ha visto sulla copertina il sottoscritto con zampe da capro, invece che con le gambe in fiamme come realmente è. Alla spiegazione chiarificatrice della svista, mi sono sentito rispondere: ragion di più.. il fuoco è un segno diabolico e infatti allo sguardo trasforma le tue gambe in zampe di capro!

F.B. - Indubbiamente l'originalità estrema di molte sonorità che crei può contribuire a dare un'aura esoterica al tuo lavoro. In album come "Simbionte" e "Automa Ashes" si ascoltano voci e suoni che spesso evocano sensazioni sinistre, ancestrali, anche rituali in certi passaggi.

Deca - Non credo di essere l'unico ad avere proposto un certo tipo di sonorità. Prima di me gruppi come Coil e Current 93 hanno pubblicato dischi costruiti con un approccio sperimentale volutamente teso a creare certe atmosfere, utilizzando in modo trasversale sia il suono sintetico che quello naturale. La particolarità delle timbriche che creo io, semmai, sta nel processo di elaborazione con cui trasformo i suoni naturali rendendoli qualcosa di assolutamente nuovo per l'orecchio. In particolare la voce è diventata un punto centrale delle mie ricerche. Il connubbio tra voce ed elettronica offre possibilità infinite e incredibili.

F.B. - L'odiosa domanda di rito per chiudere: progetti all'orizzonte e anche un po' oltre...

Deca - Nell'immediato è prevista la pubblicazione di una raccolta retrospettiva di produzioni italiane elettroniche e synthpop degli anni '80, in cui comparirà un mio brano inedito; ed è una raccolta interessante per il tipo di materiale che recupera e anche perchè esce in vinile, oltre che in cd. Per il 2012 confido di concretizzare un progetto discografico negli Stati Uniti, dove è nato un grosso interesse per alcune mie registrazioni inedite, sempre legate agli anni '80. Anche in questo caso si parla di un forte legame con le idee e le atmosfere di un periodo di cui abbiamo appena parlato.

F.B. - Curioso questo aggancio dei tuoi sviluppi futuri con gli sviluppi del passato.

Deca - In effetti è interessante rimettersi in gioco in modo retrospettivo, specie sulla scena estera. Certo queste produzioni hanno un significato e un peso diverso nel contesto globale di una discografia. In ogni caso sto anche lavorando a nuovi esperimenti musicali che potrebbero confluire in un nuovo album, molto più avanti. Non credo in tal senso di uscire allo scoperto prima del 2013 e troverei quasi inutile pubblicare lavori appena poco più avanti di quanto trovi già su "Automa Ashes". Ho un sacco di idee da concentrare ed elaborare. Devo sforzarmi di non disperdere il filo unitario di ciò che faccio. Tutto si deve sublimare dal piano visivo, emotivo, onirico, narrativo ad una dimensione finale fatta di suoni, che siano in grado di restituire all'ascolto qualcosa di completamente avvincente.