L’interesse di Deca verso l’arte in generale ha dato vita anche a numerosi progetti non discografici, come la realizzazione di musiche per il teatro, per il cinema, per installazioni e mostre multimediali, nonchè per balletti e performance sperimentali. Tanto che solo la decima parte della sua opera omnia è stata pubblicata ufficialmente e che gran parte dell’interesse dei collezionisti si è concentrata su registrazioni inedite, nastri rari, videocassette di spettacoli e documentari a cui Deca ha preso parte. In questa sezione segnaliamo i lavori più significativi tra questi.


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GATEJOX - 1985
Una raccolta di dodici brani registrati da Deca agli esordi della sua carriera solista di musicista elettronico. L’unica effettivamente distribuita, anche se su cassetta e in poche decine di copie divenute introvabili; l’unica dove sia possibile cogliere un certo nesso tra la struttura delle composizioni e l’approccio ancora acerbo ed esplorativo con gli strumenti elettronici. La raccolta fu infatti interamente realizzata con un sintetizzatore Roland JX-3P, dotato di sequencer, che Deca utilizzò senza troppi artifici e senza lavoro di post-produzione. La musica è essenzialmente sequenziale, scarna, a metà strada tra le sonorizzazioni per videogames e certe atmosfere alla Tangerine Dream. Alcuni dei pezzi (AD Christo, Desert of Gobi, Crystal Lament) diventarono tracce basilari nella realizzazione del primo album ufficiale Alkaid (1986).

DULL COLORS - 1988
Quello che rimane a tutt'oggi l'unico vero singolo di Deca è un brano in stile darkwave che segna un passo di transizione tra le atmosfere pop-ambient di Synthetic Lips e l'evoluzione di Claustrophobia. Avulsa da qualsiasi altro progetto, è una canzone con testo in lingua inglese, registrata in totale autonomia con un sound conforme ai gusti dell'epoca ed una delle rarissime incursioni di chitarra dell'intera produzione. Il lato B è una versione accorciata della strumentale "Harp", lunga suite comparsa sul demo "Overfear" qualche mese dopo.
Stampato in pochissime copie su vinile 7" è ritenuto il più ricercato e quotato pezzo da collezione della sua discografia.

ONIRIC WARP - 1988
Al culmine di una lunga e variegata stagione di lavoro nelle sale d’incisione, Deca approda ad una personalizzazione decisiva del suo stile, spostando ulteriormente l’asse delle sue ispirazioni dalla scuola cosmica e dalla musica elettronica più tradizionale a sensazioni sperimentali e industrial. Oniric Warp in questo senso è un’opera ancora incerta, ma contiene le radici da cui si svilupperanno futuri capolavori. Il progetto nasce in occasione della partecipazione di Deca alla rassegna internazionale Decadenze-a-Dissonanze, che ha luogo a Milano nell’autunno dell’88 e porta sul palco artisti come Z’ev, TAC, Sigillum S, Tasaday, Toniutti, F.A.R. Grazie ai contatti con l’allora attivissima label ADN, Deca viene inserito nel programma e propone una dozzina di nuovi brani interamente concepiti ed eseguiti con la sua nuova workstation: una Roland D20. Brani piuttosto freddi, ripetitivi, dalle sonorità metalliche tipiche del noise-sampling, a tratti persino “grezzi” se paragonati alla magniloquenza di Synthetic Lips. Tuttavia pregni di una volontà evolutiva che sposa aspetti e concetti emozionali e onirici soltanto vagehggiati nei precedenti album. Non a caso, contestualmente alla realizzazione di quei pezzi Deca traccia le linee fondamentali della Distorsione Onirica (o Distonirismo), un movimento che si attiva di lì a poco con tanto di manifesto e bollettino periodico, radunando l’attività di vari musicisti, pittori, scrittori, attori, ecc.

ESTINZIONE - 1989
Pubblicato in sole 77 copie dalla Minus Habens, questo album rappresenta non solo un progressivo passo avanti nella ricerca di un’individualità stilistica, ma anche un affascinante connubbio tra suono e narrazione, essendo ispirato pedissequamente all’omonimo romanzo, scritto da Deca due anni prima. La musica qui diventa colonna sonora a tutti gli effetti, là dove alle immagini si sostituiscono le suggestioni descrittive del racconto e la presenza di personaggi estremamente legati ad una dimensione onirica e fantastica: una stirpe antichissima di vampiri che, contagiati da un’epidemia mortale per gli umani, restano gli unici abitanti del pianeta. Tra eteree suite dai suoni di vetro, bizzarri pastiches di fiati e percussioni, violente cavalcate ritmico-rumoristiche e scorci jazzati, Deca compone un mosaico scenico che segue le vicende dei suoi protagonisti e delle sue ambientazioni; ancora con un po’ di imperizia strutturale, qualche lungaggine, ma sicuramente con un’originalità inventiva che rivela la sua capacità di proiettarsi ovunque. Difficile, tuttavia, godere appieno il fascino di questa rarità per collezionisti senza aver letto il relativo romanzo.

COMA FLOWERS - 1992
Coma Flowers pur essendo un’opera assolutamente non ufficiale va menzionata perchè costituisce il terreno germinale di tutta una serie di lavori successivi. Di Coma Flowers è importante la ricerca timbrica e ritmica, che caratterizza buona parte della produzione di Deca attorno alla metà degli anni ‘90 e almeno due tour (uno dei quali intitolato proprio The Coma Flowers Performance, con bellissime videoproiezioni). I suoni originati da una sintesi mista analogico/digitale - già accennati in Oniric Warp - diventano più personali e incisivi, le drum-machine si fanno graffianti e adrenaliniche, la ricostruzione ambientale di rumori e suoni naturali si alterna a interessanti acrobazie di suoni artificiali. Il tutto al servizio di brani ricchi di armonie e melodie, di intrecci quasi classicheggianti, a tratti intimisti, altrove nuovamente cosmici: ritroviamo tracce dei Tangerine Dream, dei Legendary Pink Dots, ma anche dei Clock DVA e dei Cabaret Voltaire. Un album “virtuale”, insomma, che segna una fase e che ritroviamo parzialmente in Electronauta, in cui compaiono infatti versioni remixate di Suspended Frame e Coma Flowers.

DIGITAL INFARCT - 1991/92
Sulla stessa linea sonora dei pezzi di Coma Flowers e di quelli che ritroveremo poi in Electronauta, Deca sviluppa in quegli anni un concept stilistico molto più forzato e provocatorio, che dà vita a due raccolte di registrazioni. Una di queste è Digital Infarct, che contiene una dozzina di brani registrati con uno schema compositivo originale e con un piglio aggressivo inusitato. Deca utilizza dei brevi blocchi preventivamente preparati, specie di microbrani completi che somma e concatena tra loro come le tessere di un domino. I ritmi martellanti, le bassline metalliche e cadenzate, l’intreccio di sequenze saltellanti si accoppiano e si lasciano, si sovrappongono, si inseguono e si alternano, costruendo decorazioni sonore varie e accattivanti. A tratti compaiono singoli pezzi di pochi secondi che smitragliano raffiche di note, come piccole danze barocche riprodotte a velocità tripla e con strumenti elettronici. Un esperimento curioso che accentua una sfumatura creativa di Deca mai presente nella sua discografia ufficiale.

DIGITAL FURY - 1992
Capitolo consequenziale di Digital Infarct è Digital Fury, evidentemente nato da una costola di quest’ultimo. Qui la vorticosità del ritmo si fa parossistica e incontenibile, i suoni diventano un magma allucinante di tremori ipnotici, i brani durano al massimo un minuto e si accostano al gusto del grind-core e dello speedmetal più cattivi. Ci troviamo davanti a un tentativo sicuramente unico nel suo genere, che mette in luce molte più implicazioni culturali e artistiche di quanto non facciano i singoli pezzi in sè. Una spinta nichilista devastante anima quei “frullati” di suono attingendo al maelstrom di immagini, messaggi, voci, rumori che saturano l’ambiente urbano e i mass-media, rendendoli automaticamente spazzatura intossicante che stordisce senza controllo. Non certo il lavoro più emblematico di Deca, ma uno dei più coraggiosi e geniali.

ONE LAST REFLECTION (about history) - 1996
Per oltre una decina d’anni - a partire dalla fine degli ‘80 - Deca collabora con il regista Gino Viziano, per cui scrive e realizza vari brani e colonne sonore. Viziano produce soprattutto documentari e film di impronta storico-culturale, che consentono a Deca di sbizzarrirsi con vari generi musicali e ricostruzioni sonore: dalle ballate medioevali alle corali liturgiche, dalle danze pagane ai temi per la natura. Un vasto archivio di tracce va così costituendosi fino alo scioglimento del sodalizio, sfiorando le ispirazioni più disparate e mettendo alla prova Deca nella registrazione professionale cinematografica. One Last Reflection è un piccolo scorcio di questo archivio, basato soprattutto su brani di carattere storico che richiamano in primis nomi come Dead Can Dance e Popol Vuh. Le sonorità sono ovviamente molto acustiche e lontane dalla sfera elettronica: organi, clavicordi, oboe, clarini, tamburi, cembali, chitarre. L’impronta stilistica di Deca è presente nella costruzione armonica e melodica, con un gusto inaspettato per le atmosfere intimistiche e minimaliste che traggono forza dalla sua preparazione classica.
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A parte i titoli citati, che costituiscono in qualche modo capitoli rilevanti dell’evoluzione musicale e artistica di Deca (assieme ai side-projects), esiste una miriade di altri lavori quasi impossibile da catalogare: musiche di scena, musiche per balletto, brani per vernissage e installazioni multimediali, sonorizzazioni per cd-rom e videogiochi, oltre a materiale incompiuto e registrazioni conosciute solo da pochi addetti ai lavori. La galassia sonora del compositore è fatta anche di tutto questo e contiene sicuramente tracce importanti, singoli episodi talvolta più interessanti di alcuni comparsi sulle pubblicazioni ufficiali.
Tuttavia in questa sede sarebbe inopportuno procedere ad un’ulteriore cernita, che disorienterebbe coloro che si avvicinano per la prima volta all’orbita di Deca.

f. balinesi