I sistemi di ottica attiva offrono la possibilità di deformare gli specchi e di mantenere il sistema ottico costantemente al limite delle proprie capacità: per far questo si utilizzano degli attuatori elettromeccanici controllati da un sistema di computer che annulla gli errori di curvatura dello specchio causati dalle forze gravitazionali, dalle variazioni di temperatura e da altri disturbi.
I sistemi ad ottica attiva si differenziano da quelli ad ottica passiva perché si utilizza una cella dello specchio attiva (figura 1), che compensa nell'arco di pochi minuti le deformazioni proprie del telescopio (dovute al peso, all'inclinazione, alle deformazioni della struttura e del tubo ottico, alle coppie applicate, alla temperatura), mentre le ottiche passive (quelle tradizionali) si limitano ad usare un supporto "passivo" capace di imprimere più o meno pressione solo sulla base dell'inclinazione del telescopio, attraverso l'impiego di uno schema di leve astatiche oppure di sospensioni fluide (gli specchi poggiano posteriormente su sacchi pneumatici e lateralmente su una fascia di mercurio).
Nei telescopi classici (quindi ad ottica passiva) lo spessore dello specchio è tipicamente di 1/6 del diametro ed ha la funzione di assicurare la rigidità, riducendo per quanto possibile le deformazioni introdotte dal peso quando il telescopio si muove attorno agli assi. Nel caso dell'ottica attiva lo specchio è invece molto sottile (da 1/20 ad 1/60 del diametro) (figura 2) e quindi può essere "facilmente" deformato dai supporti assiali e laterali disposti nella culla di sostegno, i quali forniscono le spinte necessarie a deformare in ogni momento la figura ottimale grazie ad una retroazione del controllo basata sull'analisi del fronte d'onda proveniente dall'astro inquadrato: le forze che premono contro il dorso dello specchio, opportunamente dosate, ristabiliscono l'esatta forma della superficie riflettente entro le tolleranze richieste dalle leggi dell'ottica.
Utilizzando le ottiche attive, si ha in ogni momento la possibilità di minimizzare gli effetti delle aberrazioni classiche dei telescopi (quali il coma, l'astigmatismo, l'aberrazione sferica, ...), che essendo statiche sicuramente non variano se non dopo alcuni minuti.
Tuttavia un sistema di ottiche attive introduce una notevole complessità per gestire gli attuatori lineari (possono essere meno di 100 per uno specchio da 3.5 metri di diametro, o più di 250 per uno specchio della classe degli 8 metri, figura !?) ed ha bisogno di ricevere un gran numero di informazioni da diverse fonti quali (per esempio):
la strumentazione scientifica sul piano focale;
l'encoder di altezza;
le camere televisive di guida;
i sensori di temperatura piazzati sulla struttura del telescopio;
i sensori di pressione piazzati nelle celle degli specchi.
OTTICHE ADATTIVE
L'atmosfera del nostro pianeta è un'entità multistrato dinamica: è alternativamente riscaldata dalla radiazione solare durante il giorno ed esposta la freddo dello spazio durante la notte, per cui si generano un gran numero di complessi processi atmosferici che muovono ed agitano l'aria.
La turbolenza atmosferica (detta anche seeing) limita fortemente la risoluzione angolare dei telescopi ottici e per risolvere questo problema esistono due possibili alternative:
o si porta il telescopio al di sopra dell'atmosfera terrestre (telescopio spaziale);
o si cerca di compensare la distorsione introdotta dal movimento dell'aria (ottiche adattive).
In linea di principio la cosa più semplice sarebbe mettere in orbita un telescopio, ma gli elevati costi di progettazione (non è pensabile costruire un telescopio orbitante che abbia un diametro superiore ai 3 metri) e di servizio (per la manutenzione sarebbe necessario disporre di un sistema coorbitante, per esempio lo shuttle) rendono più appetibile l'utilizzo di un sistema ad ottiche adattive.
La luce prodotta da una stella distante arriva al di sopra dell'atmosfera terrestre come una serie di fronti d'onda piani (fig.4) e se non esistesse l'atmosfera questi fronti d'onda sarebbero raccolti dagli obiettivi dei telescopi e formerebbero delle figure di Airy nitide, ben definite. A causa della turbolenza atmosferica è come se i fronti d'onda subissero una serie di rifrazioni (perché gli strati atmosferici hanno diversi gradienti termici e quindi diversi indici di rifrazione), per cui essi non rimangono piani, ma vengono deformati e distorti, per cui non si riescono a sfruttare appieno le capacità di risoluzione dell'obbiettivo del telscopio.
Per un telescopio equipaggiato di ottiche lavorate perfettamente e prive di aberrazioni, la risoluzione angolare teorica è pari a arcsec (Criterio di Rayleigh: l è la lunghezza d'onda della luce e D è l'apertura, ovvero il diametro, del telescopio). Per esempio per il Telescopio Spaziale Hubble (HST) la risoluzione angolare nella luce visibile ( l=500 nm) è di 0.05 arcsec (D=2.4m), mentre per il VLT sarebbe di 0.015 arcsec (D=8.2m).
Nella realtà il criterio di Rayleigh è alterata dalla turbolenza atmosferica, per cui la risoluzione angolare di un telescopio "terrestre" è limitata arcsec, dove r0 è il parametro di Fried: r0 è il diametro della subapertura determinata dalle condizioni di seeing, convenzionalmente considerato 10-20 cm (in condizioni favorevol r0=30 cm ed in situazioni eccezionali r0=40 cm !). Di conseguenza nei siti migliori solo i telescopi con un diametro D< r0 sono limitati solo dalla diffrazione, mentre i telescopi con D> r0 sono limitati dal seeing ed avranno una risoluzione angolare di un telescopio di apertura r0.
Una pseudo tecnica di ottiche adattive è la cosiddetta esposizione multipla utilizzando un otturatore ad alta velocità. Invece di acquisire un'immagine con un'unica esposizione di 60 secondi (per esempio), si acquisiscono 60 immagini della durata di un secondo, catturate solo quando la turbolenza atmosferica è inferiore ad un valore prestabilito: le 60 esposizioni vengono quindi sommate migliorando notevolmente la risoluzione dell'immagine finale (questa tecnica è usata soprattutto per le immagini dei pianeti). Questa tecnica è di per se abbastanza semplice ed economica, per cui è stata la prima ad essere utilizzata, ma il miglioramento dell'immagine che si ottiene non è così accentuato come con le tecniche di ottica adattiva più sofisticate.
Il principio di funzionamento delle ottiche adattive si basa sull'utilizzo del cosiddetto "specchio di gomma" (fig.5), uno specchio riflettente inserito nel percorso della luce che può rapidamente modificare la forma della sua superficie in modo da compensare la distorsione atmosferica.
La deformazione è attuata attraverso degli attuatori che agiscono sulla superficie posteriore
dello specchio in modo tale che la superficie riflettente attui una correzione sempre opposta al fronte d'onda della luce incidente. In questo modo, dopo la riflessione sullo specchio di gomma, il fronte d'onda riflesso torna ad essere planare, come prima di entrare nell'atmosfera.
Lo specchio deformabile, fondamentalmente, può essere realizzato in due modi diversi:
si può costruire una sottilissima superficie riflettente montata su una matrice di attuatori: gli attuatori sono costituiti da ceramiche piezoelettriche che si espandono o si contraggono in funzione della tensione applicata e così facendo deformano il profilo della superficie riflettente;
si possono utilizzare delle membrane deformabili chiamate "specchi bimorfi", costituiti da materiali piezoelettrici uniti insieme.
Un altro componente fondamentale delle ottiche adattive è il sensore del fronte d'onda, ovvero il dispositivo che deve fornire le indicazioni su quali deformazioni si devono attuare con lo specchio di gomma. I più comuni sensori del fronte d'onda sono i sensori Hartmann e gli interferometri separati (shearing interferometer) (fig.6).
Il sensore Hartmann utilizza un mosaico di lenti sistemate una vicino all'altra in modo da formare la cosiddetta lenset array. Il fronte d'onda incidente (proveniente dallo specchio principale) è diviso in una serie di subaperture dal lenset array, in modo tale da produrre un set di dischi di Airy messi a fuoco su una matrice di rilevatori (detector array): lo spostamento di ogni disco di Airy dal centro della propria subapertura fornisce le informazioni necessarie per ricostruire il fronte d'onda incidente e quindi fornisce le informazioni necessarie da inviare allo specchio di gomma per compiere le adeguate correzioni.
Negli interferometri separati il fronte d'onda della luce incidente viene superato in due fasci di luce uguali, ognuno dei quali è luminoso la metà del raggio di luce incidente iniziale. Questi due fasci sono mandati in due percorsi di lunghezza differente e poi sono riuniti in modo da formare una figura interferometrica di frange chiare e scure: le informazioni interferometriche create in questo modo sono utilizzate per estrarre le informazioni necessarie a ricostruire il fronte d'onda incidente e compiere le adeguate compensazioni.
Infine, un altro componente essenziale per far funzionare un sistema di ottiche adattive è il raggio laser necessario a creare la cosiddetta stella artificiale. Poiché i telescopi inquadrano zone di cielo molto piccole, non è sempre possibile avere a disposizione una stella sufficientemente luminosa da essere utilizzata come sorgente per il sensore del fronte d'onda; inoltre per ottenere risultati accettabili, la stella necessaria al sensore del fronte d'onda deve trovarsi entro un'area di 2 secondi d'arco dall'oggetto che si intende inquadrare.
Quindi, per creare la stella artificiale si ricorre all'utilizzo di un sistema laser il quale eccita lo strato di sodio che si trova nell'atmosfera (ad un'altezza compresa tra gli 80 ed i 100 km): se il laser emette un impulso alla lunghezza d'onda di 589nm si produce una stella artificiale sufficientemente luminosa
La figura 8 (sopra) rappresenta l'immagine della stella Capella (stella principale della costellazione dell'Auriga) in falsi colori e dimostra l'enorme incremento di risoluzione raggiungibile utilizzando le ottiche adattive:
a sinistra: una normale esposizione di un secondo produce un'immagine confusa che riempie quasi completamente il campo inquadrato di 2.9 secondi d'arco;
al centro: un'esposizione di 20 millisecondi "congela" la turbolenza atmosferica e produce un insieme di piccole immagini create dalla luce che è passata attraverso differenti celle di turbolenza nel suo percorso verso il telescopio. Ognuna di queste immagini è abbastanza nitida, ma tutte insieme continuano ad essere sparse in un cerchio di oltre 2 secondi d'arco di diametro;
a destra: con un'esposizione di 10 millisecondi ed utilizzando un sistema di ottiche adattive completo, l'immagine migliora drasticamente: la sua dimensione è di 0.13 secondi d'arco, che è di soli 0.1 secondi d'arco peggiore rispetto al limite teorico dovuto alla diffrazione.