origine ed evoluzione dell’Universo di Alessandro Veronesi (continua dal numero precedente)
3. La radiazione di fondo
Per poter giustificare l’espansione dell’Universo, alcuni fisici ed astronomi recuperarono negli anni ‘40 una "pseudoteoria" di un sacerdote e fisico belga, Lemaître, che a sua volta si basava su considerazioni filosofiche provenienti da Giordano Bruno e persino da Aristotele.
Dopo che era stata dimostrata la possibilità di sintetizzare elementi nuovi durante esplosioni nucleari (la bomba atomica in quegli anni aveva suscitato molto scalpore), si ritenne che un’esplosione ancora più violenta avrebbe potuto dare origine a tutta la materia osservata nell’Universo. Questo immane evento avrebbe forse generato anche quei raggi cosmici (prevalentemente raggi gamma) che a quell’epoca si incominciava a rilevare, attraverso i primi razzi e palloni-sonda portati fuori dall’atmosfera.
Il fisico americano Gamow (che tra l’altro aveva partecipato al progetto Manhattan, ossia la costruzione della prima bomba atomica a Los Alamos) nel 1946 espose la sua teoria sulla formazione degli elementi chimici, che avrebbe dovuto spiegare le abbondanze relative delle varie sostanze. I calcoli effettuati negli anni precedenti risultavano discordanti con le osservazioni: Gamow riuscì invece a spiegare in maniera abbastanza accurata la distribuzione degli elementi nello spazio.
Le discordanze tra i suoi calcoli ed i valori sperimentali andavano comunque chiariti: in particolare, bisognava determinare se il calore presente all’interno delle stelle fosse sufficiente a sintetizzare elementi più pesanti dell’elio (la reazione termonucleare fondamentale che mantiene "in vita" una stella converte atomi di idrogeno in atomi di elio). Gamow riteneva di no; tuttavia l’astrofisico inglese Fred Hoyle, nell’ambito di una teoria cosmologica del tutto differente dal Big Bang (lo "Stato Stazionario") riuscì a dimostrare come nei nuclei stellari venissero prodotti tutti gli elementi chimici fino al ferro, e, con altre considerazioni, estese questi risultati fino all’uranio. Fu proprio Hoyle a denominare ironicamente la teoria di Gamow e colleghi "un grande botto": il "big bang", appunto.
I risultati di Hoyle ed altri astronomi come i coniugi Burbridge e William Fowler furono pubblicati nel 1957, e grazie ad essi si dimostrò come gli elementi chimici fossero stati prodotti all’interno delle stelle anziché durante un ipotetico "istante iniziale". Il problema che questi risultati si portavano dietro consisteva nelle percentuali osservate di elio (26% della massa totale dell’Universo osservabile): la sola produzione stellare non era in grado di giustificare questa abbondanza (ne avrebbe coperto si e no il 4%).
Al contrario, i calcoli di Gamow riuscivano a giustificare con buona approssimazione la percentuale di elio, rimanendo tuttavia lontana dai valori osservati rispetto agli altri elementi più pesanti.
All’inizio degli anni ‘60 la radioastronomia, sviluppata durante la guerra, mise in difficoltà la teoria rivale di Hoyle, non riuscendo peraltro a sostenere il Big Bang, che così restava anch’esso parzialmente confutato. In pratica per alcuni anni non vi fu alcuna teoria cosmologica coerente tale da poter essere presa seriamente in considerazione dalla comunità scientifica.
Le controversie tra i vari modelli di Universo continuarono fino al 1965. C’era chi sosteneva che il cosmo fosse una sorta di entità perennemente oscillante, alternativamente in espansione ed in contrazione: in questo caso l’uomo vivrebbe in uno dei periodi di espansione. Altri modelli, nel tentativo di evitare "singolarità" (situazioni fisiche estreme in cui per esempio l’Universo sarebbe dovuto collassare fino ad un infinitesimo punto), introducevano nuovi parametri nel Big Bang e ne modificavano progressivamente l’aspetto globale.
Il fisico americano Robert Dicke, insieme ad un suo studente, P.J.E. Peebles, incominciarono nel 1964 a cercare un modello di Universo chiuso (illimitato ma finito: in un Universo chiuso si può continuare indefinitamente a percorrere una linea "retta", tornando prima o poi al punto di partenza, un po’ come succede a viaggiare sulla superficie terrestre, che appunto è finita ma illimitata) in cui fossero presenti i vari elementi nelle percentuali osservate.
L’esito di questi studi fu una predizione: se l’elio è effettivamente presente nelle quantità osservate, l’energia dell’immane esplosione iniziale dovrebbe essersi diluita nello spazio in modo da apparire ai nostri giorni con certe caratteristiche. In pratica, sarebbe possibile rilevare una debolissima radiazione, perfettamente uniforme in tutte le direzioni, come residuo del Big Bang: una sorta di "fossile cosmico", il ricordo della nascita dell’Universo. Per questo motivo tale radiazione venne chiamata radiazione di fondo o radiazione fossile. La "temperatura" (una misura della sua energia) di questa radiazione avrebbe dovuto essere di circa 30° K (gradi assoluti: circa -243° C).
A questo punto mancava solo il supporto sperimentale: per una fortunata coincidenza, due astrofisici che lavoravano a poca distanza dall’Università di Dicke (a Princeton), Penzias e Wilson, stavano effettuando proprio in quel periodo degli studi del cielo attraverso un’antenna che rilevava radiazioni di microonde (una zona dello spettro elettromagnetico, oltre l’infrarosso). Nel tentativo di tarare questa antenna, i due tecnici si accorsero che, da tutte le direzioni del cielo, proveniva un debole segnale, non previsto dai loro calcoli. Una volta sicuri che questo effetto non fosse spurio, e venuti a conoscenza dei lavori di Dicke, essi rivelarono la loro scoperta, e per questo ricevettero anni dopo il premio Nobel.
In realtà il segnale rilevato era molto più debole di quello previsto: circa 3.5°K, che corrispondeva ad un energia molte migliaia di volte inferiore a quella corrispondente ai 30°K calcolati. In ogni caso il risultato venne accettato per buono: ulteriori raffinamenti delle osservazioni hanno portato ad una valutazione della temperatura di fondo fino a circa 2.75°K.
L’assoluta omogeneità di questa radiazione provava che essa non proveniva da sorgenti distribuite in qualche modo nello spazio, ma che effettivamente era una proprietà dell’Universo nel suo insieme. Chiaramente questo fatto deponeva pesantemente a favore del Big Bang, poiché finalmente tale teoria riusciva a fare una previsione corretta di qualche fenomeno. Subito si affermò che "la teoria dell’Universo era infine stata svelata, e l’atto creativo di Dio veniva confermato attraverso questa scoperta". Le altre teorie, frattanto (e in particolare quella di Hoyle), non riuscivano a proporre delle valide alternative, e così il Big Bang venne "ufficialmente" considerato come la teoria "corretta".
Analizziamo adesso quale sia stata l’evoluzione successiva al 1965 del dibattito cosmologico, proseguendo nell’analisi delle vittorie, e dei problemi, incontrati durante questo cammino dal Big Bang.
La teoria inflazionaria: problemi e ipotesi
Dopo la fatidica data del 1965, i cosmologi incominciarono a studiare più a fondo la teoria vincente, per verificare quale fosse la reale rispondenza con la realtà. Nacquero subito dei problemi molto gravi, che indussero molti studiosi a rivedere le loro posizioni, ma stimolarono nello stesso tempo la comunità scientifica alla ricerca di modelli più sofisticati che riuscissero a rendere conto degli aspetti ancora non spiegati.
Va detto a questo proposito che oramai il Big Bang era considerata ufficialmente la teoria per eccellenza, e che tutte le dispute vertevano comunque intorno a diversi approcci nel raffinamento dello stesso modello di base. Effettivamente non vi era una reale alternativa al Big Bang in quanto tale; purtuttavia, la "bellezza" della teoria, l’ipotetico accordo con il racconto biblico (anche questo aspetto ebbe la sua importanza) e la seduzione che un Universo limitato nel tempo (l’atto creativo, che Dio ci fosse o no, era di un’eleganza concettuale non irrilevante) si portava dietro, convinsero anche i più dubbiosi (ma non tutti) ad accettare questa teoria.
In generale, quando una teoria non corrisponde alle osservazioni, viene scartata senza pietà. Quando però essa viene considerata a priori come valida nella sostanza, si può tendere in definitiva ad introdurre nuovi parametri, nuove varianti che ne mantengano la rispondenza con la realtà, anche se tali modifiche non hanno di per sé una vera e propria giustificazione. Così facendo si prosegue nella sofisticazione della teoria, senza più preoccuparsi se ciò che si sta calcolando abbia o meno un significato fisico. Si arriva infine alla formulazione di un complesso insieme di sottoteorie, ognuna della quali cerca di spiegare una parte dei fenomeni osservati, sottoteorie che prese insieme difficilmente riescono a rimanere mutuamente coerenti.
Se l’idea di base è errata, tra l’altro, si arriva prima o poi ad un punto morto, dal quale non si riesce più a proseguire per mancanza di coerenza interna. Un esempio lampante di questa situazione lo si ha andando ad esaminare le continue evoluzioni del modello tolemaico del mondo (Terra al centro dell’Universo e pianeti, Sole compreso, ruotanti intorno ad essa). Per giustificare le irregolarità dei moti dei vari pianeti, conservando la "bellezza intrinseca" dei moti circolari, si erano introdotti dei complicatissimi sistemi di cerchi (epicicli, deferenti, eccentriche, equanti) che avrebbero dovuto compensare tutte le discrepanze osservate. In questo modo era sorta una cosmologia irrazionale, rispondente alla realtà in maniera estremamente artificiosa (si continuavano ad inserire arbitrariamente nuovi parametri fino a quando l’orbita del pianeta non coincideva perfettamente con quella osservata).
Fino a quando la "bellezza" dei cerchi non fu sostituita dall’ "irregolarità" delle ellissi la cosmologia dell’epoca non si sviluppò più: solo dopo che, con enorme fatica (come Galileo e soprattutto Bruno potrebbero confermare!), le ipotesi di Copernico e le leggi di Keplero non furono verificate, la teoria tolemaica fu definitivamente abbandonata, e una nuova visione del mondo le si sostituì.
Tornando al nostro argomento, il Big Bang presentava alcuni fondamentali problemi.
a) Primo tra tutti era il seguente: se la radiazione di fondo è estremamente uniforme (il che indica una grande uniformità anche nella materia presente all’epoca), come si sono potute formare le strutture che noi oggi osserviamo (stelle, galassie, ammassi di galassie e così via)?
b) Inoltre, visto che, come risultava dai calcoli, durante l’esplosione le varie zone dell’Universo non avevano potuto raggiungere l’equilibrio termico (la velocità di recessione era stata così elevata che la radiazione non era riuscita a distribuirsi in tutto lo spazio), come mai si osservava questa grandissima uniformità nello spettro della radiazione fossile?
c) Un’altra questione appariva molto grave. Era stato definito il cosiddetto parametro omega (), che descriveva nella sua globalità la "forma" dell’Universo:
>1 significava che l’Universo era chiuso (secondo la definizione precedente): si immagini la superficie di una sfera. In questo caso la materia presente è sufficiente a far incurvare così tanto lo spazio (come prevede la Relatività Generale) da "chiuderlo" su sé stesso. Per capire questo concetto basta pensare che, lanciando un sasso in aria, se l’attrazione gravitazionale è maggiore dell’impulso fornito, il sasso ricade sulla Terra, e cioè il sistema sasso-Terra è un sistema chiuso. L’Universo nel suo insieme tende a rallentare la sua espansione fino a cominciare a "ricadere" su se stesso: questo è un primo modello cosmologico.
<1 implicava un Universo "aperto". L’attrazione gravitazionale globale non è sufficiente a frenare l’impulso iniziale (dato dal Big Bang), cosicché l’espansione continuerebbe per sempre. La materia si diraderebbe sempre più, e alla lunga le strutture cosmiche attualmente presenti si dissolverebbero.
=1 era la condizione limite tra il primo caso ed il secondo. L’Universo ha esattamente la velocità di espansione richiesta per non richiudersi mai più, ma la sua tendenza a diradarsi sarebbe molto piccola.
Ebbene, dalle osservazioni risultava un valore di uguale a circa 0.01. Con questo valore l’Universo (aperto) si sarebbe espanso ad una tale velocità da rendere impossibile la formazione delle galassie, le stelle e naturalmente noi stessi. D’altra parte, se fosse stato anche di poco superiore a 1, la forza gravitazionale globale sarebbe stata così intensa da far collassare l’Universo intero in pochi secondi.
Ammettendo che fosse molto più vicino ad 1 (in contrasto con le osservazioni), si stabilì che, per mantenere in uno stato "accettabile" l’Universo fino ad oggi (evitando che si disperdesse subito o collassasse altrettanto presto), si richiedeva che fosse uguale a 1 a meno di 120 ordini di grandezza! Questo significa che doveva essere inizialmente diverso da 1 al più di 10 elevato alla -120 (per avere un’idea, sarebbe come riuscire a determinare una differenza di 1 millimetro in due righelli lunghi 1 miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di chilometri!
Sembrava veramente strano che questo parametro fosse stato inizialmente stabilito con questa precisione: una benché minima differenza avrebbe completamente cambiato la struttura dell’Universo.
Perché all’inizio era così vicino ad 1?
La risposta a tutti questi quesiti non era facile da dare, e fu così che i cosmologi interpellarono i loro colleghi fisici delle particelle, per risolvere innanzitutto il problema di =0.01. Se la materia nell’Universo fosse stata molta di più di quella osservata, sarebbe cresciuto forse fino ad 1. Ma che forma doveva avere tale materia, visto che non era mai stata osservata prima d’ora? Calcoli teorici mostrarono che eventuali particelle sconosciute avrebbero dovuto essere completamente diverse da tutte le forme di materia nota fino a quel momento: queste particelle formavano la cosiddetta massa mancante, alla quale è stata data una caccia spietata negli ultimi 20 anni.
Postulando l’esistenza di più tipi di particelle dai nomi esotici (assioni, WIMP, monopòli magnetici ecc.) si poteva supporre che esse riuscissero a costituire il 99% della ipotetica massa mancante. I calcoli necessari per determinare le proprietà di tali particelle erano estremamente teorici, basandosi su modelli fisico-matematici molto astratti (ma "simmetrici ed eleganti"), e le particelle in questione risultavano praticamente impossibili da osservare sperimentalmente. In ogni caso la caccia a queste componenti oscure dell’Universo non ebbe mai successo: in compenso sono state approfondite le conoscenze sui neutrini (particelle debolmente interagenti con la materia e forse prive di massa), che sono visti come possibili candidati al ruolo di massa mancante, anche se nessuno per ora è in grado di dimostrarlo.
Le teorie cui stavano lavorando i fisici si chiamano GUT (Grand Unified Theories), ed il loro scopo è quello di descrivere unitariamente le quattro forze fondamentali della Natura, che sono: gravitazionale, nucleare forte, nucleare debole ed elettromagnetica. Da complessi calcoli teorici pare che queste forze, in condizioni normali assolutamente distinte l’una dall’altra, siano in effetti manifestazioni differenti di un’unica forza. Al di sopra di una certa energia le caratteristiche di due forze vengono a coincidere, mentre al di sotto ognuna delle due conserva la sua propria identità.
Per capire questo punto può essere utile un paragone: si immagini di porre a contatto due oggetti, uno di pietra ed uno di metallo. In condizioni normali tali oggetti sono facilmente distinguibili, e le loro proprietà sono diverse (l’oggetto metallico è conduttore mentre l’altro no, il corpo pietroso è più duro di quello metallico, e così via). Aumentando progressivamente la temperatura però si raggiunge un punto in cui i due oggetti fondono, e si mescolano così da risultare assolutamente indistinguibili.
Per essere più precisi, la teoria matematica che descrive le varie forze è di per sé "simmetrica", cioè non fa distinzioni tra l’una e l’altra. Solamente quando si vanno a risolvere le equazioni corrispondenti, le soluzioni trovate sono tutte diverse, e ciò significa che al di sotto di una certa energia (calcolata tramite la temperatura) le particelle associate alle varie forze incominciano ad assumere proprietà individuali peculiari.
Allo stato attuale, l’unificazione delle forze è riuscita perfettamente solo tra la nucleare debole e l’elettromagnetica: si è cioè riusciti a trovare delle formule matematiche che trattano queste due entità come "una sola cosa". Il lavoro teorico è stato recentemente confermato dalla scoperta di particelle previste dalle equazioni, scoperta che è valsa a Carlo Rubbia il premio Nobel.
Le GUT cercano di unificare la nucleare forte con l’elettrodebole (così si chiama l’interazione unificata di elettromagnetica e nucleare debole), postulando l’esistenza di numerose altre particelle e costruendo complicatissimi formalismi matematici, non verificabili con gli attuali strumenti (basti pensare che un acceleratore di particelle che verificasse una GUT dovrebbe avere un diametro pari a quello del Sistema Solare, ossia più di 10 miliardi di chilometri!).
La ricerca delle GUT è pertanto destinata, almeno per il momento, a rimanere un lavoro puramente teorico, che può ricevere una qualche conferma sperimentale solamente tramite esperimenti indiretti e da altri rami della fisica. Di più, l’unico fenomeno che darebbe un forte indizio verso le GUT (il decadimento spontaneo del protone in altre particelle) è un evento atteso oramai da 15 anni in apposite gigantesche strumentazioni, ma mai verificatosi. Per questo motivo le GUT vanno per ora prese come degli studi puramente teorici, che non possono portare nessuna prova in favore di una cosmologia piuttosto che ad un’altra.
Secondo il modello del Big Bang, vi deve essere stato un istante, subito dopo l’inizio del tempo e dello spazio, nel quale le energie in gioco erano così elevate da realizzare la GUT. Siccome queste condizioni non potranno mai più essere raggiunte in laboratorio, si può solo sperare di osservare nell’Universo "qualche cosa" che indichi un tale evento. In pratica il Big Bang dovrebbe verificare la GUT tramite osservazioni astronomiche, e la GUT dovrebbe verificare il Big Bang mediante studi come quello relativo al decadimento del protone: siamo in un ciclo chiuso!
Analizzando attentamente le GUT, il fisico teorico Alan Guth propose nel 1980 una variante al modello classico del Big Bang, che teneva conto delle implicazioni contenute nelle teorie di grande unificazione, come ad esempio la presenza di particelle particolari (mai osservate). Sotto queste ipotesi egli elaborò la teoria dell’inflazione o inflazionaria: nei primissimi istanti di vita dell’Universo, la differenziazione tra la nucleare forte e l’elettrodebole avrebbe potuto portare ad un (brevissimo) periodo di rapidissima espansione dello spazio. Niente di simile alla "normale" espansione osservata anche oggi: dopo 10 alla -35 secondi (altro che "batter d’occhio"!) l’Universo sarebbe diventato 1048 volte più grande, per poi riprendere il tasso normale di evoluzione.
L’inflazione risolveva anche gli altri problemi sopra analizzati. Le dimensioni dell’Universo sarebbero diventate tanto grandi che la zona da noi osservabile dovrebbe essere praticamente piatta (come essendo molto più piccoli della Terra non ci accorgiamo direttamente della sua curvatura), per cui osservato diverrebbe automaticamente 1.
Inoltre il rapido espandersi di regioni inizialmente vicine avrebbe enormemente ingrandito le zone dell’Universo già in equilibrio termico: la radiazione di fondo oggi osservata è così uniforme poiché proviene da una regione inizialmente piccola, che con l’inflazione ha permeato tutto l’Universo osservabile con la sua radiazione.
Infine, piccolissime fluttuazioni (fluttuazioni quantistiche) sempre presenti nel mondo microscopico in conseguenza di princìpi fisici ampiamente verificati, avrebbero avuto modo di ingrandirsi fino a formare le attuali disomogeneità della materia, come le galassie e gli ammassi di galassie.
In ogni caso, anche la teoria inflazionaria subì numerose modifiche ("Nuova Inflazione", "Più Recente Inflazione" e così via), fino a diventare una vera e propria sottoteoria del Big Bang, con i propri formalismi e le proprie implicazioni.
Il problema principale dell’inflazione è che non è facilmente verificabile, ed ha bisogno di continui adattamenti quantitativi (cioè di ridefinire ad hoc molti parametri) per poter essere accettabile. Ogni scoperta nel campo della fisica delle particelle è strettamente legata alle numerose varianti dell’inflazione. È quindi sperabile che in un futuro abbastanza vicino si possa far luce sui numerosi aspetti che ancora adesso non sono del tutto chiariti.
Scenario complessivo del Big Bang
Vediamo di semplificare in uno schema le cose dette fino ad ora: ciò che segue comprende l’origine ed evoluzione dell’Universo nell’ipotesi del Big Bang, comprendendo l’inflazione e le GUT.
È degno di nota il fatto che la forza gravitazionale non sia stata compresa nelle GUT, né di conseguenza trattata nel Capitolo precedente: infatti, fino ad oggi non si è stati in grado di descrivere matematicamente la struttura di tale forza analogamente alle altre. La gravità è per così dire una forza sui generis, un’intrusa tra le altre tre. Per questo motivo, tutto ciò che dovrebbe accadere nel Big Bang prima dell’ipotetico istante di unificazione (se esiste) della gravità con la GUT è totalmente ignoto. Ne consegue che ci possiamo spingere verso l’istante iniziale solo fino ad un certo punto.
Questo punto è estremamente prossimo all’ "istante zero", ma è da esso distinto: le teorie di questo tipo hanno dei problemi molto gravi quando cercano di spiegare il motivo per cui l’Universo è venuto a esistere. Infatti, prima o poi si arriva alla domanda: "Perché esistiamo?", che è più filosofica che cosmologica. Attualmente si tende ad aggirare il problema rispondendo: "L’Universo è nato da un evento senza causa": questa risposta si può interpretare in mille modi, ma il significato che le danno usualmente i cosmologi è che in realtà le equazioni non forniscono una causa, per cui detta causa non deve esistere.
Questo è il limite estremo che una teoria può raggiungere prima di essere giudicata una pura speculazione: pretendere che un insieme di formule matematiche arrivino a determinare che cosa è l’Universo, e cosa può e non può esistere in esso, è ciò che al giorno d’oggi si reputa essere la migliore teoria cosmologica a disposizione.
Forse in futuro nuove scoperte daranno risposta a molte delle domande qui presentate, e nuovi problemi sorgeranno dalle ceneri di quelli vecchi. Molto probabilmente il Big Bang verrà superato da nuove teorie, più rispondenti alla realtà e meno contorte di quelle attuali. In ogni caso, l’apporto dato alla fisica nel suo insieme sarà stato fondamentale, e se nuove basi potranno essere poste, lo saranno sulle fondamenta di quelle elaborate in questo secolo.
Gr = gravitazionale, Nf = nucleare forte, Nd = nucleare debole, Em = elettromagnetica
N.B.: il "primo tempo" misurabile, ossia 10 alla -43 secondi, è ricavato da una formula matematica che contiene solamente delle costanti fondamentali della fisica, ed esprime il fatto che al di sotto di una certa dimensione critica (il cosiddetto raggio di Planck), la descrizione completa di un processo fisico è dominata dalla sua interpretazione quantistica. Siccome non siamo ancora in grado di esprimere la forza gravitazionale in termini quantistici, non possiamo oltrepassare questo limite. In particolare si ha:
Dove G è la costante di gravitazione universale, h la costante di Planck, c la velocità della luce.
Le leggi della fisica sono valide per sistemi le cui dimensioni siano molto maggiori di 10 alla -33 cm (raggio di Planck), ma vengono meno quando lo stesso Universo è più piccolo di tale valore.