BIG-BANG

APPUNTI SU: BIG BANG

origine ed evoluzione dell’Universo
di Alessandro Veronesi

Introduzione

Il titolo di questa conferenza potrebbe sembrare un po’ pretenzioso: in effetti, voler spiegare l’origine e l’evoluzione dell’Universo è certamente un compito che non può essere affrontato in modo sintetico e nello stesso tempo completo. In particolare, non si è ancora riusciti a fornire una interpretazione coerente di tutti i fenomeni che si possono osservare negli studi cosmologici.
Ciò significa che gli studi sulla struttura dell’Universo sono ai giorni nostri uno dei problemi scientifici di più grande interesse: le risposte a molte domande su questo argomento sono per alcuni quasi pronte, per altri ancora al di là da venire e per altri ancora fondamentalmente mal poste. Appare pertanto chiaro come non esista ancora un accordo definitivo all’interno della comunità scientifica riguardo a tutti i problemi che insorgono nello studio dell’Universo nel suo insieme.
Ciononostante una particolare idea ha finito per prevalere sulle altre, ed oggi il 95% dei cosmologi (e forse di più) sono comunque accomunati nei loro studi dalla teoria del Big Bang, che è stata praticamente considerata quella "giusta". Ogni discussione, divergenza di opinione, polemica, viene comunque svolta ed esaurita in questo contesto: le altre teorie sono state dichiarate non soddisfacenti o semplicemente sbagliate.
Da sempre l’uomo ha tentato di rispondere alle fondamentali domande: «Da dove veniamo?»,«Come è fatto il mondo?». Le spiegazioni che sono state proposte sono innumerevoli: senza voler risalire fino ad epoche paleostoriche, basti pensare che ogni filosofo ed ogni scienziato ha elaborato una sua propria visione globale del mondo, da Talete a Platone, da Aristotele a Tolomeo, da Copernico ad Einstein.
In questa ottica, analizzare a fondo il problema della struttura (e origine) dell’Universo è un compito certamente arduo: una teoria che percorra questa strada si dice teoria cosmologica. Naturalmente, il termine "teoria" non deve per forza far pensare ad un possente apparato matematico che sostenga validamente gli assunti e le deduzioni elaborate dagli studiosi. L’approccio cosiddetto scientifico viene applicato nella sua interezza solo a partire da Galileo (nel XVII secolo): il metodo sperimentale o galileiano è un paradigma induttivo per la costruzione e verifica delle teorie, che solo allora si possono chiamare scientifiche. I passi attraverso cui si realizza questo paradigma sono:

  1. osservazione: attraverso "sensate esperienze" (definizione di Galileo) si scoprono determinati aspetti della Natura, senza farci condizionare dai nostri pregiudizi ma senza neanche lasciarci fuorviare da difetti e imprecisioni della composizione stessa dell’esperimento.
  2. modellizzazione: questo è il passo induttivo dell’approccio di Galileo. A partire dalle sensate esperienze si elabora una prima teoria, che le inquadri in maniera più semplice possibile. Questo vincolo è richiesto poiché solo le teorie semplici possono essere sfruttate efficacemente dall’uomo, e in definitiva risultano pertanto le uniche ad essere utili.
  3. previsione: se la teoria riesce a dare conto di fenomeni non direttamente connessi con le prime osservazioni, il suo ambito di applicazione diviene più vasto. Si dice allora che la teoria è "più generale" di quello che si pensava inizialmente.
Se, alla luce di questi risultati, nuovi fenomeni vengono correttamente previsti, ed i corrispondenti esperimenti danno esito positivo, la teoria acquista di credibilità. Se invece essa non regge il confronto con la realtà (vengono scoperti casi in cui non vale), è come minimo necessario apportare delle modifiche alla sua formulazione. Quando le modifiche richieste finiscano con l’alterare profondamente la base concettuale della teoria, bisogna riconoscere che quest’ultima non può più considerarsi valida, e va pertanto abbandonata.
Il terzo punto è sicuramente il più delicato: errori fatali sono stati commessi nel voler a tutti i costi difendere la validità di una teoria contro i risultati sperimentali (può sembrare strano, ma molto spesso la "bellezza" della teoria viene preferita al "disordine" della realtà, con risultati a volte catastrofici).
Nello stesso modo, pretendere che una teoria possa continuare a valere anche molto al di fuori del particolare ambito in cui è stata verificata, può molto di frequente portare a risultati inconcludenti. In questi casi può anche succedere che, visto l’insuccesso apparente in condizioni limite, si ritenga che la teoria sia da scartare in toto, quando in realtà basterebbe prenderla per quello che è, cioè per una rappresentazione schematica di un pezzettino di realtà, e non per la verità assoluta, per la quale esiste un’unica descrizione, altrettanto assoluta ed universale.
Questo discorso è ancor più importante nel discorso cosmologico quando si pensi che per quasi tutte le teorie correlate vi è stato un pesante travisamento dei contenuti (basti pensare all’intransigenza di una certa classe religiosa nei confronti delle scoperte di Galileo, o anche alla riluttanza con la quale è stata accettata la teoria quantistica di Planck) e dei limiti entro i quali si doveva restare. La teoria del Big Bang non si è certamente sottratta a questo destino, ed anzi si può affermare che essa è attualmente un gigantesco "banco di prova" per concezioni filosofico-scientifiche contrastanti. Dagli anni della sua prima formulazione detta teoria è stata talmente modificata che oggi quasi non la si riconosce più: nuove e più accurate osservazioni delle regioni estreme dell’Universo continuano a sconcertare i cosmologi, che sono costretti a modificare continuamente i calcoli ed i postulati per rendere accettabile il Big Bang, o almeno qualcosa che gli somigli. Il fatto forse più sorprendente è che negli ultimi anni la serie di modifiche ed adattamenti a cui tale teoria è andata soggetta ha finito per sfociare in una sempre più contorta catena di supposizioni e assiomi, ormai non più verificabili dall’osservazione perché impossibili a riprodursi.
La "Teoria del Tutto", un semplice insieme di leggi matematiche che permettono di descrivere completamente ed esattamente tutto l’Universo, sembra ancora una volta a portata di mano, ma continua impercettibilmente a sfuggire dalle mani dei cosmologi. Anche alla fine del secolo scorso sembrava che la fisica fosse arrivata al suo punto finale, ma i lavori di Einstein e poi dei fisici quantistici hanno completamente ridicolizzato questa affermazione. Dopo un periodo estremamente prolifico in fatto di scoperte e teorie fisiche, si è nuovamente giunti ad un punto di stasi, che viene interpretato come il segno che "oramai non c’è più molto da scoprire".
Se così fosse, l’uomo sarebbe inevitabilmente destinato a perdere in breve tempo lo stimolo fondamentale che ne permette l’esistenza: la ricerca, la creatività ed il desiderio di svelare i misteri della Natura. Inoltre, la scoperta di una "Teoria del Tutto" (definizione amata da Stephen Hawking) permetterebbe, a detta dei suoi ricercatori, di "comprendere la mente di Dio", cioè in sostanza di far diventare l’uomo quasi una sorta di divinità, e nello stesso tempo ridurre il Creatore ad una paginetta di equazioni.
Tralasciando considerazioni religiose, qui assolutamente fuori luogo, è sufficiente notare come, ogni volta che l’uomo ha ritenuto di essere arrivato al termine del suo cammino intellettivo, si è scoperto che in realtà l’apparente periodo di ristagnamento precorreva un rapidissimo evolversi della conoscenza umana. Forse, il ritenere che la teoria in quanto tale abbia una sua propria validità indipendentemente dall’originario aggancio con il mondo reale, ha fatto dimenticare all’uomo che le equazioni non hanno alcun rapporto diretto con le entità fisiche che esse descrivono.
Quando una particella segue una certa traiettoria nello spazio, non lo fa perché ad ogni istante calcola le formule che ne descrivono il cammino, ma semplicemente perché non può fare altro, posta in quel particolare punto dello spazio e dotata delle sue peculiari caratteristiche. L’uomo è riuscito a descrivere in modo soddisfacente alcuni dei comportamenti di quella particella, che ha codificato in una apposita equazione. Tuttavia l’equazione rimane quella che è, e non diventa improvvisamente una "verità" assoluta, correlata a priori all’Universo osservabile. La prova di ciò è che le teorie vengono continuamente raffinate, cercando di imitare sempre più fedelmente ciò che si osserva in Natura. Ogni teoria descrive un "pezzetto" di realtà (si dice che è un modello, così come una cartina topografica rappresenta con grande dettaglio una zona del nostro pianeta, ma non è misticamente ad essa collegata, né la superficie terrestre è in qualche modo costretta ad un certo punto a seguirne i profili, come se improvvisamente la piantina acquistasse più importanza della regione fisica rappresentata), ma nessuna teoria descrive tutta la realtà. Abbiamo infatti numerosissime branche della fisica (acustica, ottica, meccanica, termodinamica, relativistica, quantistica ecc.), ognuna delle quali prende spunto da un certo insieme di princìpi fisici, per poi descrivere alcune delle caratteristiche del mondo in cui viviamo.
Queste considerazioni, che hanno portato via un po’ di tempo, non impediranno comunque di presentare il Big Bang come la teoria cosmologica attualmente predominante. Non tutti gli scienziati sono d’accordo con questo punto di vista (il restante 5%), e si attendono con impazienza nuove eventuali teorie che possano ancora meglio spiegare perché l’Universo ci appaia così come lo osserviamo, e perché esso stesso possa esistere. In pratica «Da dove veniamo?»,«Come è fatto il mondo?».

Aspetto attuale dell’Universo

Una teoria cosmologica deve descrivere in modo convincente ciò che possiamo osservare direttamente nel cielo di tutti i giorni. In particolare, la distribuzione di materia nell’Universo non è certamente casuale (se no noi non esisteremmo), ma dev’essere possibile spiegare in maniera semplice le strutture fisiche osservate.
Essendo la velocità della luce finita, le radiazioni che ci pervengono da oggetti lontani hanno impiegato una certa quantità di tempo per attraversare lo spazio frapposto. Ne consegue che più un oggetto è lontano nello spazio e più lo vediamo anche lontano nel tempo: ad esempio la Galassia di Andromeda dista da noi circa 1.6 milioni di anni-luce, per cui la vediamo come era 1.6 milioni di anni fa. Per questo motivo si dice che noi possediamo una visione spazio-temporale dell’Universo in evoluzione.
La struttura che possiamo osservare attualmente è una struttura gerarchica: ad ogni scala di grandezza esistono organizzazioni differenti della materia, in modo da formare una serie crescente di oggetti che ne evidenziano la capacità ad aggregarsi in molti modi diversi. A partire dalla Terra troviamo il Sole, il Sistema Solare, la Galassia, gli ammassi di galassie ed i superammassi, fino ad arrivare ad una serie di "filamenti" intrecciati di superammassi, tra i quali non vi è quasi materia. La composizione chimica dell’Universo è nettamente dominata dall’Idrogeno (H), che da solo costituisce circa il 93% di tutti gli atomi, e dall’Elio (He) - poco meno del 7%. I restanti punti decimali comprendono tutti gli altri elementi chimici, dal Litio fino all’Uranio. Una teoria cosmologica deve poter spiegare le percentuali osservate in modo soddisfacente, come anche deve giustificare la presenza di tutti quei tipi di radiazioni che sono state rilevate nello spazio profondo negli ultimi tempi. Per questi ed altri motivi, una teoria cosmologica coerente diviene necessariamente molto complessa: affinché però essa possa essere utilizzata vantaggiosamente per effettuare previsioni sull’esito di eventuali esperimenti, è pure necessario che in qualche modo si riesca a limitare il più possibile i parametri da cui dipende arbitrariamente (seguendo il principio del rasoio di Occam, bisogna "radere" via tutto ciò che non serve realmente, semplificando al massimo la struttura della teoria). Come è stato descritto in altra sede, una delle scoperte fondamentali nel campo della cosmologia è stata quella dell’espansione dell’Universo. Questa scoperta, effettuata negli anni ‘20 da Hubble, segna anche l’inizio vero e proprio della cosmologia moderna, e fornisce una visione dell’Universo tipicamente evolutiva, in contrasto con altre teorie che descrivevano il cosmo come una struttura cristallina ed immutabile. Risultò da questi studi che l’Universo era costituito da una immensa moltitudine di galassie, ognuna delle quali poteva considerarsi come un’ "isola" nell’infinito oceano cosmico (alle galassie si diede infatti il nome di "Universi-isola"). Analizzando gli spettri di alcune galassie, ed individuandone le righe caratteristiche di vari elementi chimici, si notò che la quasi totalità degli spettri era "spostata verso il rosso", cioè interpretando questo fatto attraverso un allontanamento delle galassie, pareva che i "suoni" (per fare un’analogia con l’acustica: nella realtà sarebbero le frequenze delle radiazioni osservate) fossero emessi da una sorgente in allontanamento (nell’analogia basti pensare alla sirena di un’ambulanza in rapido movimento mentre la distanza aumenta). Ciò significava che (quasi) tutte le galassie si allontanavano dalla nostra. Eliminando l’ipotesi di occupare una posizione privilegiata nell’Universo, l’unica spiegazione possibile era che lo spazio tutto doveva essere in espansione, trascinando in questa sua tendenza tutta la materia con sé (un po’ come ogni punto che giace sulla superficie di un palloncino che si gonfia si allontana da ognuno degli altri). Pertanto non sono le galassie in sé a possedere un moto proprio (come se avessero un "motore"), ma è in realtà lo spazio che le contiene ad espandersi, trascinandosele dietro. Questo primo importante fatto è alla base di tutte le teorie cosmologiche più accreditate oggigiorno: il Big Bang in particolare ha cercato di darne una spiegazione postulando che l’Universo avesse avuto, in qualche istante del passato, un’origine vera e propria. Vediamo adesso di andare avanti su questa strada, illustrando i passi fondamentali che hanno portato alla formulazione di questa teoria. (Continua)

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