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Con Vittorio Amedeo II, che ottenne l’Isola nel 1713 col trattato di Utrecht, i palermitani sperarono di essersi liberati per sempre degli Spagnoli.

Ma la severa politica del nuovo sovrano, le sue controversie con la Chiesa e le sue riforme suscitarono non pochi malcontenti. Di questa situazione ne approfittarono subito gli Spagnoli che cercarono di riconquistare l’isola provocando però l’intervento degli Austriaci.

Questi, dopo un anno di duri combattimenti, riuscirono a prendere la Sicilia sotto il potere di Carlo VI. Il governo austriaco, non meno severo del precedente, ebbe comunque il merito di potenziare le industrie e il commercio.

Nel 1734 una nuova spedizione spagnola riuscì ad occupare l’isola che, sotto Carlo III di Borbone, fu unita al regno di Napoli, non più come stato vassallo della Spagna ma come stato autonomo nel Regno di Napoli.

Con Carlo III di Borbone fu regolamentato il sistema commerciale ed economico della città, si tentò di combattere la povertà con opere pubbliche per l’assistenza ai bi-sognosi, si procedette ad un censimento della popolazione e si favorì la diffusione della lingua italiana.

La nobiltà palermitana accrebbe il suo potere con l’avallamento del potere regio e si dedicò esclusivamente a feste, in cui ogni piacere ed ogni sfrenatezza erano consentiti. Risalgono a questo periodo le fastose ville nobiliari che si trovano non solo a Palermo ma anche a Bagheria, Trabia e Carini. Di queste citiamo Villa Adriana, Villa Lampedusa, Villa Niscemi e Villa Boscogrande, quest'ultima resa famosa dalle scene del celebre film Il Gattopardo.

Al lusso, agli eccessi e ai piaceri mondani della nobiltà si opponeva, però, la povertà del popolo palermitano prostata da carestie ed epidemie. Nel 1759 a Carlo III succedette Ferdinando IV che, con l’aiuto del viceré Caracciolo, si dedicò alla soluzione di parecchi problemi. Questi promosse numerose riforme amministrative di grande incidenza sociale.

Il 27 luglio del 1783 Caracciolo partecipò alla distruzione dell’archivio della S. Inquisizione: in un rogo durato più di ventiquattr’ore furono bruciati documenti, strumenti di tortura e tutto quanto potesse ricordare quell’abietto e crudele strumento di potere.

Nello stesso anno il viceré attuò vantaggiose riforme più liberali ed un’ansia di rinnovamento pervase gli ultimi anni del dominio borbonico. Vennero costruite, infatti, attrezzature di grande interesse per la vita sociale e culturale della città: l’Albergo dei poveri, sullo stradone per Monreale; la Biblioteca pubblica; l’Orto Botanico; fu siste-mata la Villa Giulia e venne installato un Osservatorio Astronomico all’interno del Palazzo Reale.

Tutto ciò ruppe il vecchio equilibrio tacitamente creatosi tra potere regio e baronaggio e acuì il contrasto fra le due parti.